La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato
l’aumento del costo del trasporto pubblico a Santiago, una città dove vivono 8
milioni di abitanti. Il sistema dei trasporti e delle metropolitane è così
insufficiente che a volte hai 7-8 persone in un metro quadrato e impieghi fino
a due ore per tornare a casa, il servizio è pessimo. Immaginate quindi quando
hanno annunciato che ne avrebbero aumentato il prezzo a 30 pesos. Sono stati
gli studenti a dare il via alla protesta, a entrare in metro senza biglietto e
tutti li hanno sostenuti. I giovani da noi sono l’unica parte della società che
può permettersi di manifestare perché il resto della gente lavora 12 ore al
giorno per ottenere un salario minimo che le permette a stento di campare.
Ma se tu scendi in strada e chiedi, sono tutti dalla
parte dei manifestanti, anzi ti diranno: questi ragazzi lottano per tutti noi.
Il problema – va detto chiaramente – non sono i 30 pesos del biglietto della
metro ma sono gli ultimi trent’anni in cui abbiamo vissuto in democrazia ma la
disuguaglianza sociale è stata più grande e più forte dello sviluppo economico.
Finalmente oggi le persone si sono rese conto che è stata raccontata loro
un’enorme bugia: quando veniva detto che se avessero lavorato duramente, per
tante ore e fatto tutto quello che veniva loro richiesto avrebbero avuto un
futuro migliore. Una falsità. Oggi c’è poca speranza e la gente non ha più
nulla da perdere. Che importa allora distruggere le fermate della metro?
Nessuno si vuole più prestare al gioco dei potenti.
In fondo sono convinta che la nostra anima sia rimasta
sempre profondamente socialista, anche se piegata prima dalla dittatura e poi
dal neoliberismo. In questi trent’anni di democrazia, quest’anima non ha
ottenuto risposte e oggi, dopo il torpore causato dal terrore provato negli
anni della dittatura, si è svegliata. Certo, mi si spezza la voce se penso che
questa sera dovrò chiudermi in casa alle 8 e non potrò uscire fino a domani
mattina. L’ultima volta era accaduto con Pinochet e l’ultima volta che si erano
visti i carri armati in strada era stato quel maledetto settembre del 1973
quando uccisero Salvador Allende. Fa male a tutti pensare che stiamo ritornando
a quell’epoca, è un trauma per chi ha vissuto quell’orrore, ma adesso nessuno
di noi è disposto a ripiombare nel silenzio.
La mia generazione è nata nella democrazia e non ha
paura della mobilitazione sociale. I nostri genitori, invece, hanno subìto
tutti la violenza di Pinochet e da allora hanno smesso di manifestare. Dieci
anni fa in Cile ha preso il via un movimento studentesco enorme che ha lottato
e alla fine ottenuto che il governo si impegnasse per assicurare un’istruzione
pubblica. Si è trattato, però, di una piccola vittoria, come quella raggiunta
poco tempo fa dalle donne per rendere legale l’aborto: grazie alle proteste del
movimento femminista del quale faccio parte oggi, se c’è un rischio per la
madre o se una donna è stata violentata ha la possibilità di interrompere la
gravidanza. Certo è che in un Paese conservatore come il Cile siamo ancora
lontanissimi dal vedere riconosciuto pienamente questo diritto.
È vero quello che vi è stato raccontato: il Cile è un
Paese molto sviluppato economicamente, è una delle grandi economie dell’America
Latina. Le nostre città sono molto simili a quelle europee, però, quello che
non vi è stato raccontato abbastanza è che dalla fine della dittatura nel 1989
il nostro Paese ha adottato un sistema economico di neoliberismo estremo. Il
nostro sviluppo è stato costruito sulle diseguaglianze tanto che oggi siamo tra
i paesi più diseguali del mondo. L’avvicendarsi di governi di destra e di
sinistra non ha mai dato risposte alle necessità della gente. Abbiamo un
territorio enorme con 17 milioni di abitanti, in maggioranza di classe media e
con un 80% della popolazione che non trova soluzione alle proprie necessità:
non esiste sicurezza sociale, la sanità pubblica è assolutamente insufficiente,
non c’è un sistema previdenziale pubblico e per avere una buona istruzione devi
pagare scuole e università private. Non abbiamo niente.
Il nostro stipendio minimo è di circa 300mila pesos
vale a dire, più o meno, 400 euro, mentre il costo della vita è altissimo. Io
ho famiglia sia in Italia che in Spagna quindi viaggio tutti gli anni e veramente
vivere in Cile ha lo stesso costo che vivere in Italia. Mi riferisco a cose
fondamentali come andare a fare la spesa. Qui tutto è carissimo: quei 400 euro
mensili non bastano ad affittare un appartamento, a comprare da mangiare, a
vivere una vita dignitosa. Per questo il 70% dei cileni ha debiti con banche e
società finanziarie. Se non trovi un buon lavoro, non c’è nulla che tu possa
fare per te e per i tuoi. Allo stesso tempo, però, ci sono persone che si
arricchiscono: basti pensare che un politico guadagna 20 o 30 volte in più di
una persona comune. C’è un problema enorme anche con le pensioni: sono private
e il 90% di pensionati cileni ha un assegno inferiore ai 200 euro al mese. Così
continuano a lavorare anche se vecchi e anziani semplicemente perché devono
sopravvivere.
In questo contesto, due anni fa il governo di destra
ha avviato riforme che assottigliano ancora di più i nostri già limitati
diritti sociali: tutto è iniziato con un aumento dei costi dell’elettricità,
poi hanno iniziato ad attaccare la sanità. Sembra che si stiano prendendo gioco
delle persone. E la gente è stanca. Faccio un esempio: il Ministro della Sanità
ha dichiarato recentemente che tutto sommato ai cileni faceva piacere andare in
ospedale fin dalle 5 del mattino perché è un luogo di aggregazione dove poter
fare vita sociale. Affermazioni come queste rendono esattamente l’idea di
quanto la nostra classe politica sia disconnessa e lontana dai bisogni della
vita reale. Il mio ragazzo lavora in ospedale e vi assicuro che c’è gente che
aspetta 21 ore solo per ricevere una prima visita in pronto soccorso e l’80%
dei cileni si rivolge alla sanità pubblica che è letteralmente al collasso.
Oggi nell’ospedale più grande di Valparaiso non ci sono guanti né medicinali
eppure quando il presidente del Cile Sebastian Piñera partecipa ai vertici
internazionali racconta che il nostro Paese è perfetto e che siamo molto
sviluppati. Peccato non aggiunga che la disuguaglianza che c’è qua non riesci
neanche a immaginarla per quanto è enorme.
In questo momento la situazione è difficilissima,
complicata dal fatto che le proteste sono spontanee, diffuse, senza un leader,
nascono dalla rabbia e dall’esasperazione. La soluzione non sarà fare marcia
indietro sul costo dei biglietti del trasporto pubblico a Santiago ma
rispondere alle necessità del popolo cileno: alzare lo stipendio minimo,
garantire istruzione gratuita e di qualità, diritto alle cure e alla sanità,
pensioni dignitose. Noi, giovani cileni, non ci fermeremo.
(L’articolo è tratto da ilfuturoblog 21 ottobre
2019)
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