Ecuador e fronte
Cina-Usa
Ecuador, il sudamerica
attraversato dall’equatore, sul fronte del Pacifico. Austerity e repressione
dura del governo di Lenin Moreno, il successore di Rafael Correa al timone
dell’Ecuador. Fine della ‘Revolución Ciudadana’, imposta dall’FMI, il fondo
monetario internazionale, con una dura pratica neoliberista. Tumulti di
protesta esplodono sia a Quito, la capitale, che a Guayaquil, la città più
grande. Rafael Correa, nei suoi tre mandati, dal 2007 al 2016, era riuscito ad
abbassare il tasso di povertà ecuadoriano dal 37% al 22,5%. Come? Le royalties
per l’estrazione del greggio tolte agli Stati Uniti e passate alla più generosa
(o meno ladra) Cina.
Socialismo alla Correa
Il ‘Producto interior
bruto’ (il nostro Pil), per sistema sanitario e educativo, il mantenimento di
un’imprenditoria privata e cooperativa, e controllo delle multinazionali negli
investimenti dall’estero. Ma quando i prezzi del petrolio crollano a livello
internazionale, si apre la crisi economica (molte similitudini economiche col
Venezuela). L’attuale contestatissimo presidente Moreno, è arrivato al potere
vincendo di misura le elezioni 2017. Correa intanto si era ritirato dalla
politica attiva, andando a vivere in Belgio. Tradimento anche giudiziario in
casa con un mandato di estradizione, emesso dalla procura di Quito ma respinto
dall’Interpol.
Ecuador modello FMI
L’Ecuador modello FMI
imposto, spiega Flavio Bacchetta sul Fatto, si trasforma in un massacro
sociale, assieme alla rinnovata sottomissione agli Usa (iniziata con l’arresto
di Julian Assange all’interno dell’ambasciata ecuadoriana a Londra). Prestiti
dal fronte occidentale a caro prezzo. Correa demonizzato oggi, ma allora
elezioni trasparenti e libera circolazione dei giornali di opposizione.
Dalla foresta Amazzonica alle Ande
«Adesso è in vigore uno
stato di emergenza che porta a repressioni violente e arresti in serie -annota
Bacchetta- La stessa china che ha visto Mauricio Macrì in Argentina scendere
dal piedistallo di eroe nazionale per salire sul poco ambito podio del politico
più impopolare».
La rivolta contro il
‘paquetazo’
Diventa intanto sempre
più brutale la repressione delle proteste popolari contro le misure selvagge di
austerity (il ‘paquetazo). I dati della Coordinadora ecuatoriana de
contrainformación -scrive Claudia Fanti sul Manifesto- parlano di 7 morti tra
cui un neonato, 95 feriti gravi, più di 500 feriti lievi, 85 persone scomparse,
più di 800 detenuti e 57 giornalisti aggrediti dalla polizia. «Questo è un
governo repressivo e criminale». Bombe lacrimogene persino contro i centri di
rifugio della Pontificia università cattolica salesiana. «Non c’è memoria nella
storia recente del paese di una repressione tanto atroce e violenta contro un
popolo che rivendica i suoi diritti», denuncia Jaime Vargas, il presidente
della Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador.
Protesta quasi
rivoluzione
La rivolta, tuttavia,
non si ferma, finché «il Fondo Monetario Internazionale non uscirà
dall’Ecuador». Nel frattempo la Corte Costituzionale ha convalidato lo stato di
emergenza disposto da Moreno, ma ne ha dimezzato l’applicazione temporale,
fissata inizialmente a 60 giorni. Il presidente intanto accusa il suo
predecessore Rafael Correa, “sostenuto dal presidente venezuelano Maduro”
(altro ben noto bersaglio statunitense), di essere dietro le agitazioni che
stanno «destabilizzando il governo e l’ordine democratico». E per sua sicurezza
sposta della sede del governo dalla capitale Quito a Guayaquil.
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