Davi Kopenawa, uno sciamano
alternativo a Bolsonaro - Claudia Fanti
Il giorno
successivo al discorso da incubo di Bolsonaro all’Assemblea generale delle
Nazioni unite, accolto da bordate di critiche in tutto il mondo, gli indigeni
brasiliani hanno avuto un’importante rivincita: il conferimento del prestigioso
Right Livelihood Award, noto anche come «Premio Nobel alternativo», allo
sciamano yanomami Davi Kopenawa, soprannominato il «Dalai Lama della foresta»,
e all’associazione Hutukara da lui co-fondata e presieduta.
Un’onorificenza motivata dalla «loro coraggiosa determinazione a proteggere sia le foreste e la biodiversità dell’Amazzonia che le terre e la cultura delle popolazioni indigene».
Un’onorificenza motivata dalla «loro coraggiosa determinazione a proteggere sia le foreste e la biodiversità dell’Amazzonia che le terre e la cultura delle popolazioni indigene».
«Il Premio arriva proprio al
momento giusto ed è un segno di fiducia verso di me, di Hutukara e di tutti
coloro che difendono la foresta e il pianeta Terra. Mi dà la forza per
continuare la lotta in difesa dell’anima dell’Amazzonia», ha commentato
Kopenawa, il quale, già nel 1989, era stato invitato da Survival International
a ritirare a suo nome il Right Livelihood Award, vinto quell’anno proprio dal
movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni.
CHE
IL PREMIO SIA ARRIVATO al momento giusto – davvero con un
tempismo perfetto rispetto all’aggressione di Bolsonaro ai popoli indigeni –
non ci sono dubbi. Non a caso la leader indigena Sônia Guajajara, già candidata
alla vicepresidenza del Brasile per il Psol, ha definito come «un giorno di
terrore» quello in cui il presidente «ha macchiato la storia del Brasile
all’Onu» disseminando «intolleranza» e «violenza».
Particolarmente indigesti sono
risultati ai rappresentanti indigeni dell’Apib (Articulação dos Povos Indígenas
do Brasil) presenti a New York gli insulti a un altro leader rispettato in
tutto il mondo come il cacique del popolo Kaiapo Raoni Metuktire, a sua volta
candidato al Premio Nobel della Pace per il 2020. Come pure è risultata
offensiva la presenza nella comitiva presidenziale dell’indigena pro-Bolsonaro
Ysani Kalapalo: «Potrà anche rappresentare il governo – ha commentato Guajajara
-, ma di certo non i popoli indigeni».
IN
QUESTO QUADRO, il conferimento del Nobel alternativo a Davi Kopenawa,
il leader che ha guidato la ventennale campagna condotta dal popolo yanomami
per proteggere la propria terra ancestrale, suona quasi come un risarcimento.
Tanto più che il presidente, durante il suo famigerato discorso, ha preso di
mira, insieme all’area indigena Raposa Serra do Sol (omologata nel 2005 dal
presidente Lula dopo una lotta di oltre trent’anni), proprio il territorio
degli Yanomami, negli ultimi anni invaso da 10-20.000 cercatori d’oro. Un’area
equivalente, ha detto, «al Portogallo o all’Ungheria» e quindi troppo grande
per «appena 15mila indios».
SOPRATTUTTO
TENENDO CONTO che «in queste riserve esiste grande abbondanza di
oro, diamanti, uranio, niobio e terre rare», ha evidenziato Bolsonaro evocando
le grandi prospettive di arricchimento per popoli a suo dire stanchi di essere
trattati come «cavernicoli».
Ma è stato proprio Kopenawa, nel corso di tutta la sua lotta per difendere la foresta dall’azione di minatori, allevatori, taglialegna, imprese di costruzione, a mettere ripetutamente in guardia l’umanità sul fatto che tutti apparteniamo all’unica tribù umana e che pertanto, quando la foresta non esisterà più e le viscere della terra saranno state divorate dall’attività mineraria, le fondamenta del cosmo crolleranno e il cielo cadrà sopra tutti i viventi. Ed è proprio questo, A queda do céu (La caduta del cielo), il titolo del libro (pubblicato anche in italiano nel 2018 da Nottetempo) in cui egli descrive, insieme alla cosmologia yanomami, la lotta del suo popolo per salvare la foresta e i popoli indigeni dall’avidità del popolo “bianco”.
Ma è stato proprio Kopenawa, nel corso di tutta la sua lotta per difendere la foresta dall’azione di minatori, allevatori, taglialegna, imprese di costruzione, a mettere ripetutamente in guardia l’umanità sul fatto che tutti apparteniamo all’unica tribù umana e che pertanto, quando la foresta non esisterà più e le viscere della terra saranno state divorate dall’attività mineraria, le fondamenta del cosmo crolleranno e il cielo cadrà sopra tutti i viventi. Ed è proprio questo, A queda do céu (La caduta del cielo), il titolo del libro (pubblicato anche in italiano nel 2018 da Nottetempo) in cui egli descrive, insieme alla cosmologia yanomami, la lotta del suo popolo per salvare la foresta e i popoli indigeni dall’avidità del popolo “bianco”.
«NOI
NON SIAMO CONTRO lo sviluppo – ha più volte spiegato lo sciamano
-, siamo solo contro lo sviluppo che voi bianchi volete spingere avanti sulle
nostre teste». Noi yanomami abbiamo altre ricchezze lasciate dai nostri
antenati che voi non sapete cogliere: la terra che ci sostiene, l’acqua pulita
che beviamo, l’allegria dei nostri bambini». Con un appello finale diretto
proprio alla società bianca: «Sognate la Terra, che ha un cuore e respira.
Sognatela e amatela, perché è bella e vi dà vita».
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