Sono oltre cinque milioni i profughi palestinesi.
Chiedono da 71 anni di poter tornare alle terre di origine, come è concesso a
tutti i rifugiati. Il governo
Netanyahu esclude categoricamente che possano esercitare questo diritto sancito
dalla risoluzione 194 delle Nazioni Unite. E
nel frattempo crescono le pressioni di Israele e Stati uniti affinché la
questione dei rifugiati sparisca e con essa il diritto al ritorno. Nel
mirino c’è soprattutto l’Unrwa,
l’agenzia dell’Onu che assiste i profughi palestinesi.
L’Amministrazione Trump, con la conferenza economica tenuta in Bahrain a fine
giugno, ha segnalato di essere impegnata a convincere i paesi arabi a
naturalizzare i profughi palestinesi che ospitano da decenni. L’Amministrazione
Usa è convinta di aver spazio di manovra, poiché l’Arabia saudita e gli Emirati
dietro le quinte appoggiano l’Accordo del secolo, il presunto “piano di pace”
statunitense che esclude diritto al ritorno e indipendenza per i palestinesi.
L’Accordo
del secolo sarà annunciato dopo il voto israeliano del 17 settembre. Il
quotidiano libanese Al Akhbar scrive
che gli Stati Uniti hanno convinto
il Canada ad accogliere 100mila profughi palestinesi: 40mila dal Libano e
60mila dalla Siria. Il
giornale parla anche di una intesa con la Spagna, pronta a ricevere 16mila
rifugiati. Il progetto Usa prevederebbe inoltre la naturalizzazione in Libano
tra 75mila e 100mila rifugiati. Dal Canada hanno seccamente smentito
la notizia, eppure Washington e Tel Aviv non si lasciano scoraggiare.
Certo, Beirut e Damasco hanno alzato un muro ma
israeliani e americani confidano di poter convincere la Giordania. Non si può escludere che Amman in cambio di molti
miliardi di dollari possa assorbire i suoi due milioni e oltre di rifugiati
dalla Palestina, forse offrendo loro una cittadinanza di serie B e poteri
politici limitati, in modo da non alterare i fragili equilibri etnici e
demografici interni. Una ulteriore spinta all’Accordo del Secolo potrebbe
arrivare in qualche modo anche dalla Lega araba, ormai a guida saudita, che
pure manifesta sostegno ai palestinesi.
Il successo del piano Usa passa obbligatoriamente per
l’uscita di scena dell’Unrwa,
simbolo del diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Gli attacchi
all’agenzia – a cui gli Usa hanno tagliato le loro donazioni (30% del budget) –
sono incessanti. Qualche settimana fa, all’improvviso, è venuto alla luce uno
scandalo interno all’Unrwa – abusi di potere e nepotismo – in seguito al quale Svizzera, Belgio e Olanda
hanno sospeso i loro finanziamenti. E il ministro degli esteri
svizzero Cassis starebbe
discutendo con il suo omologo israeliano Katz di “alternative” all’Unrwa. Si
vocifera della fine dell’Unrwa nel giro di un paio d’anni e del trasferimento dei profughi palestinesi all’Unhcr che
ha criteri molto più restrittivi per la definizione dello status di rifugiato.
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