Per il
decimo anno consecutivo Wal-Mart mantiene il primo posto, per fatturato, nella
graduatoria mondiale delle multinazionali. Lo rende noto Top 200, edizione 2019, il
dossier curato dal Centro Nuovo Modello di
Sviluppo sulle prime 200 multinazionali del mondo. Wal Mart è la più grande catena di
supermercati: 11.200 in tutto il mondo sparsi nei cinque continenti. Con
2 milioni e 200mila dipendenti, di cui 1 milione e mezzo negli Stati Uniti,
Wal-Mart è anche ai primi posti in termini di multe per violazione dei diritti
dei lavoratori. Dal 2000 ad oggi, solo negli Stati Uniti, ha collezionato multe
per un miliardo e mezzo di dollari.
Al 13° posto
della graduatoria delle multinazionali, troviamo un’altra impresa del
commercio, che benché più piccola è senz’altro più nota in Europa. Si
tratta di Amazon, il cui patron,
Jeff Bezos, per il secondo anno consecutivo si è collocato al primo posto della
graduatoria stilata da Forbes sulle persone più ricche della terra. E
neanche lui passa per essere un buon datore di lavoro. Nichole Gracely, una
giovane statunitense che ha lavorato vari mesi come stagionale in un centro
logistico di Amazon, ha detto che è meglio essere disoccupata e senza casa
piuttosto che lavorare alle dipendenze di Amazon.
Non sappiamo
come se la cavino i lavoratori delle altre catene commerciali, ma di sicuro
sappiamo che i supermercati
costituiscono il gruppo di imprese più numerose fra le top 200: ben 35 per un
fatturato complessivo di 4 mila miliardi di dollari e 11 milioni di dipendenti. Solo
il settore energetico (le terribili multinazionali del petrolio) riesce ad
andare più su con un fatturato complessivo di 4.192 miliardi. Ma al terzo posto
troviamo le imprese finanziarie a
confermare come banche, assicurazioni e fondi di investimenti rappresentino la
spina dorsale del capitalismo moderno.
Ed è proprio
a questi soggetti che Top 200 riserva alcuni approfondimenti. In particolare “Banche sporche di catrame”, richiamandosi
alla ricerca condotta da Banking on climate change, mette in
evidenza che dal 2015, anno in cui venne firmato l’accordo di Parigi, le
principali 33 banche mondiali hanno impegnato il 7% di risorse in più a
vantaggio delle imprese che estraggono combustibili fossili. Poi non c’è da
stupirsi se le emissioni di anidride carbonica hanno continuato a
crescere: del 1,6% nel 2017 e del 2,7% nel 2018. Al primo posto per
finanziamenti concessi c’è JPMorgan Chase, la banca internazionale guidata da
Jamie Dimon, anche presidente della Business Roundtable che nell’agosto 2019 ha
fatto credere al mondo che d’ora in avanti il capitalismo terrà conto degli
interessi sociali e ambientali, non dei profitti degli azionisti.
E sempre parlando di finanza, un altro servizio si concentra sulle banche
con l’elmetto, quelle, cioè, che sostengono le imprese di armi. Fra le banche europee al
secondo posto troviamo Unicredit con 4 miliardi di finanziamenti, superata solo
da Lloyds Bank. Fra i clienti di Unicredit c’è Northrop Grumman, che è
coinvolta nella produzione di armi nucleari. Fra i clienti di Lloyds, c’è General
Dynamics, anch’essa coinvolta nella produzione di armi nucleari e fornitrice di
armi a Egitto e Arabia Saudita. Armi controverse inviate a paesi controversi,
laddove per armi controverse si intendono sia quelle illegali che quelle che
provocano effetti indiscriminati e sproporzionati. Sotto questa categoria sono
ricondotte le armi nucleari, le mine antiuomo, le armi incendiarie. Per paesi
controversi si intendono quelli autoritari con un basso tasso di libertà e
rispetto per i diritti umani. Un’ulteriore
dimostrazione che, al di là delle politiche d’immagine, pur di fare soldi le
imprese non si fanno scrupolo a finanziare operazioni di morte e di aggressione
contro le persone e la natura. Solo la vigilanza e l’agire critico
potranno salvarci.
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