IL CASO “WEHR ELBE”*
Poco dopo il Natale 2008, le opinioni pubbliche del mondo occidentale
vennero violentemente scosse dalle immagini del bombardamento a tappeto avviato
dall’esercito di Israele sulla Striscia di Gaza. L’operazione “Piombo Fuso”
durò dal 27 dicembre 2008 al 18 gennaio 2009, fece 1417 morti e oltre
cinquemila feriti, in larghissima parte tra la popolazione civile. Almeno
quattromila edifici vernero distrutti, con un danno valutato attorno ai 2
miliardi di dollari.
I prodromi di quella crisi non lasciavano presagire la durezza della
“punizione” che lo Stato israeliano si apprestava a infliggere agli abitanti di
Gaza e, per il loro tramite, a Hamas. Ai primi del novembre 2008 c’era stata, è
vero, la violazione di una breve tregua concordata tra le due parti, con un’incursione
dei reparti speciali delle IDF (Israeli Defence Forces) in cerca di tunnel, cui
seguì il rituale stillicidio di episodi guerreschi: Hamas aveva lanciato i suoi
razzi artigianali, i cecchini delle IDF avevano ucciso qualche palestinese che
si era troppo avvicinato al confine, colpi di mortaio erano partiti dalla
Striscia per cadere nel deserto del Negev. Poi, decisa a tavolino dai “falchi”
dell’esercito ma ispirata dallo screditato governo di Ehud Olmert in cerca di
consensi prelettorali, partì una delle più dure offensive militari mai condotte
dalle IDF nei Territori Occupati. Per inciso, dalle elezioni del febbraio 2009
uscì una maggioranza di destra tra Likud e Israel Beytenu e Benjamin Betanyahu
divenne primo ministro, carica che da allora ha conservato ininterrottamente
fino a oggi.
Durante la fase più acuta dei bombardamenti, un gruppo di esperti e
giornalisti investigativi si mise in moto per capire se e come era in corso
una supply chain per rifornire le IDF delle micidiali
bombe al fosforo bianco, armi il cui impiego in aree urbane è vietato dalle
convenzioni internazionali. In effetti quelle bombe erano fabbricate negli
Stati Uniti, e dagli Stati Uniti si stavano muovendo alcune navi commerciali
per rifornire i depositi militari israeliani, dove le scorte si erano
radipamente esaurite per la campagna in corso.
Questo riportato da “il manifesto” del 20 gennaio 2009 è il resoconto di
quell’indagine e dei suoi risultati, tra i quali figurano anche le proteste
popolari in Grecia e il blocco del porto di Astakos. Non venne mai chiarito in
seguito se la nave abbia ricevuto un sostegno “segreto” dalle autorità italiane
e dal governo Berlusconi, allora in carica.
1.Il 6 Dicembre 2008 un contratto dello US Military Sealift Command,
l’entità logistica della Marina Usa, viene vinto dalla compagnia marittima
tedesca Oskar Wehr che gestisce una trentina di navi, perlopiù portacontainers
di media dimensione. Il contratto (N00033-09-R-5505, N00033-09-C-5505, per
635.000 dollari) richiede il trasporto di 989 containers dalla base navale di
Sunny Point (North Carolina, poco a sud del porto di Southport, sulla costa
orientale statunitense) al porto israeliano di Ashdod, 39 km a nord di Gaza
City. La destinazione di questo carico è il deposito statunitense «War Reserve
Stockpile for Allies (WRSA-I)» in Israele e il caricamento, dice il contratto,
deve iniziare il 13 dicembre. Poco dopo (31 dicembre), lo stesso Sealift
Command fa un’offerta per altri due contratti (N00033-09-R-5205;
N00033-09-R-5205), per il trasporto di 157 e 168 container rispettivamente, con
destinazione ancora Ashdod e origine il porto di Navipe-Astakos – sulla costa
ionica greca, poco a Nord dell’isola di Cefalonia. Il caricamento va effettuato
a partire dal 15 gennaio. Ashdod non è nuova come destinazione di armi e
munizioni Usa – sia dirette alle forze armate israeliane, sia al deposito
statunitense in Israele. Contratti di tale tipo sono stati assegnati dal
Military Sealift Command in varie occasioni negli anni recenti (dal 2002 al
2008) con trasporti da Livorno (Camp Darby) e da vari porti greci e
statunitensi ad Israele. Esempi recenti sono due contratti del 17 agosto 2007
assegnati all’ italiana «Enrico Bonistalli » di Livorno (247.500 dollari per il
trasporto di 125 containers di munizioni) e alla statunitense TransAtlantic
Lines LLC (449.000 dollari per 125 containers di munizioni) e un contratto del
28 agosto 2007 alla statunitense Sealift Inc. (745.000 dollari per 125
containers di munizioni), quest’ultimo proprio dal porto di Navipe-Astakos ad
Ashdod (1.535 km di viaggio). Alcuni ricercatori che seguono di routine i
contratti e i trasporti militari s’accorgono che i contratti del dicembre 2008,
oltre ad avere come destinazione Ashdod in questo momento, includono menzione
del tipo di carico da trasportare: una vasta gamma sia di esplosivi ad alto
potenziale (816 tonnellate nel primo contratto) che di esplosivi inclusi nella
categoria H delle merci pericolose, ovvero fosforo bianco (secondo e terzo
contratto), oltre ad altro munizionamento e ordigni esplosivi (da testate per
missili a munizioni di vario tipo e bombe anti-bunker). Agli inizi di gennaio i
ricercatori rintracciano la nave incaricata del trasporto, la «Wehr Elbe» (IMO
9236688), capace di caricare 2.500 containers. Presente a Sunny Point il 13
dicembre, la nave parte il 20 con prima destinazione Astakos. La scoperta
finisce sui tavoli della segreteria internazionale di Amnesty International,
che già il 2 gennaio aveva in un comunicato chiesto l’embargo completo di invii
di armi ad Israele e ad Hamas. Viene allertata la stampa e l’agenzia Reuters ne
dà notizia il 10 di gennaio, provocando i primi sconquassi e smentite. Il
Pentagono si affretta a precisare che i carichi non erano diretti alle forze
armate israeliane, ma al deposito Usa succitato e il 12 gennaio il governo
greco smentisce che navi dirette ad Ashdod siano partite dai porti greci.
Compaiono altri articoli sulla stampa internazionale e il 13 gennaio una
dichiarazione del Comando statunitense in Europa afferma che gli ultimi due
contratti sono stati «cancellati» (teoricamente l’8 gennaio) e che l’operazione
è stata «rimandata ». Il 14 gennaio, un comunicato di Amnesty dettaglia
tuttavia i termini delle operazioni, chiedendo che la nave venga fermata e Stop
theWar, il movimento greco di solidarietà, protesta contro l’attraccao a
Astakos. Il 17 il premier greco Costas Karamanlis, pur ammettendo che c’è stata
la richiesta degli Stati uniti, afferma che la Grecia non avrebbe tuttavia dato
il permesso agli americani di far attraccare la nave ad Astakos e che anche in
passato nessun porto greco sarebbe stato interessato a tali invii. Pressioni
del ministero degli esteri tedesco sulla Oskar Wehr perchè fermi la nave non
sortiscono effetto dato che la Wehr Elbe non è più sotto controllo
dell’armatore, madirettamente del Sealift Command e ha a bordo militari
statunitensi armati. Le cose però non stanno proprio così.
2.Le dichiarazioni Usa sottolineano come tali trasferimenti di
munizionamento fossero stati programmati molto prima del conflitto a Gaza e non
avessero relazioni con le necessità dell’esercito israeliano. Vediamo i fatti.
È certamente possibile che i trasferimenti siano stati discussi o decisi
qualche mese prima del dicembre (probabilmente anche l’operazione israeliana è
stata «discussa» con il Pentagono qualche mese prima di iniziare…), ma resta il
fatto che il bando di gara del primo contratto è datato 4 dicembre e i tempi di
carico e scarico che esso prevede sono inusualmente stretti, ad indicare
un’operazione urgente e non routinaria. A quella prima offerta di contratto se
ne aggiungono altre due il 31 dicembre, quattro giorni dopo l’inizio
dell’assalto israeliano su Gaza. Quanto poi al fatto che i containers fossero
realmente diretti al deposito Usa in Israele, le dichiarazioni del Pentagono
omettono un particolare importante: come è scritto in una comunicazione del
Pentagono al presidente del Comitato sulle Forze Armate del Senato Usa, John
Warner, datata 10 Aprile 2003, «il Dipartimento della Difesa mantiene un deposito
– War Reserve Stockpile – in Israele. Tale deposito è un’entità separata che
contiene munizioni e materiale posseduti dagli Stati Uniti e destinati all’uso
di riserva di guerra da parte degli Stati Uniti e possono essere trasferiti al
governo di Israele in una emergenza, previo rimborso». Mentre si ribadisce che
nulla è gratis al mondo, la clausola finale è chiara.
3.Sulle dichiarazioni del governo greco che vorrebbero la Grecia alla fine
estranea a questi trasferimenti. Anche qui è certo possibile – e vi sono
dichiarazioni statunitensi del 13 gennaio al proposito – che le autorità
greche, vista la malparata, abbiano all’ultimo momento negato agli Usa
l’approdo ad Astakos, ma è del tutto irrealistico che la Grecia non avesse dato
il benestare all’operazione. Tutti e tre gli invii previsti coinvolgono il
porto di Navipe-Astakos: due differenti strumenti di tracciamento dei percorsi
delle navi danno la Wehr Elbe a Sunny Point il 13 dicembre con partenza il 20
per il porto di Astakos e tracciano la nave vicino a Gibilterra il 28 dicembre,
specificando ancora Astakos come destinazione. Non c’è ragione di pensare che
la destinazione non fosse quella, dato che le informazioni arrivano a tali
strumenti dalle navi stesse e dagli agenti assicurativi. Inoltre, i due ultimi
contratti («cancellati ») menzionano esplicitamente Astakos come porto di
partenza per Ashdod. Nessuno, in trasporti marittimi di tale genere e che nel
caso prevedevano l’assistenza di almeno quattro imbarcazioni anti-incendio per
le operazioni di carico e scarico, può sensatamente (e anche per legge) mettere
come destinazione un porto a cui non abbia comunicato l’arrivo della nave e il
tipo di carico e non ne abbia ricevuto approvazione. È del tutto falsa poi
l’affermazione del premier greco relativa all’inesistenza di invii di munizioni
ad Israele nel passato. Vi sono, come detto, almeno tre altri contratti del
Sealift Command, assegnati nel 2007, che nominano o Astakos o genericamente la
Grecia come punto di partenza di ingenti invii di munizioni ad Ashdod. E non si
tratta di bandi di concorso, ma di contratti vinti e assegnati a trasportatori
marittimi per svariate centinaia di migliaia di dollari. Vi è infine da notare
che il reale percorso della Wehr Elbe mostra alcuni elementi che contrastano direttamente
con quanto affermato dal governo greco, indicando inoltre un possibile
coinvolgimento dell’Italia (v. box accanto). A Gaza l’assalto israeliano ha
provocato la morte di 1.400 persone (la più parte civili) e il ferimento grave
di altre 5.100. Tutto è ora appeso a una fragilissima tregua unilaterale
annunciata da Israele e anche da Hamas, rispetto alle quali buon ultima è
arrivata l’Unione europea che non ha posto termini al ritiro israeliano e che,
fin qui, è stata immobile se non complice delle scelte della leadership
israeliana. Con l’Onu in macerie, fra l’altro almeno tre volte bersaglio dei
raid israeliani. Unico obiettivo dichiarato è quello di «fermare il
contrabbando di armi», naturalmente solo quello illegale per Hamas. Ma se
l’offensiva dovesse riprendere e allargarsi, l’enorme e letale carico della
Wehr Elbe non resterebbe certo nei depositi statunitensi ma verrebbe
probabilmente «trasferito al governo di Israele in una emergenza, previo
rimborso ». Se Wehr Elbe è davvero attraccata a Taranto vi è la possibilità che
essa abbia trasferito il suo carico su una veloce portacontainer che ha
lasciato proprio Taranto il 15/1 ed è arrivata ad Ashdot sabato 17. Fermiamo il
«contrabbando » di questi carichi di morte prima che sia troppo tardi.
La Wehr Elbe parte da Sunny Point/Southport il 20 dicembre. La sua velocità
massima è di 22 nodi (22 miglia nautiche all’ora) e la velocità di crociera è
intorno ai 18 nodi. I segnali satellitari mandati dalla nave la vedono il 28
dicembre al largo di Ceuta, poco oltre lo Stretto di Gibilterra. Da Sunny Point
allo Stretto di Gibilterra vi sono circa 3.524 miglia nautiche (6.526 km), che
la nave poteva percorrere in circa 8 giorni a 18 nodi di velocità media, a
conferma della data succitata. Un’informativa di fonte assicurativa afferma che
la Wehr Elbe sarebbe arrivata in primo luogo a Zeebrugge, in Belgio, e si
sarebbe poi diretta verso Gibilterra e Astakos. Non c’è conferma indipendente
di tale percorso, ma il passaggio da Zeebrugge avrebbe aggiunto più di tre giorni
al viaggio e la nave non avrebbe verosimilmente potuto essere vicina a Ceuta il
28 dicembre. I segnali satellitari mostrano poi che la nave, passata
Gibilterra, non si dirige verso Ashdod ma direttamente verso Astakos e il 31
dicembre è a circa 150 km dal porto greco. Il primo gennaio è a 4 miglia dal
porto e si ferma. Dall’1 all’11 gennaio la nave sembra non sapere che fare e i
segnali la danno continuamente in circolo intorno a quell’ultimo punto. Il 12
gennaio tuttavia, alle ore 9, la nave riparte in direzione Sud e passa intorno
alla costa meridionale di Cefalonia e alle 12 cambia ancora direzione, puntando
dritta verso Nord e il mare Adriatico. Alle alle 15 e 30, ultimo rilievo
disponibile (dato che probabilmente ha spento il segnalatore), modifica ancora
la rotta in direzione Nord-Ovest. Poi il silenzio. Se davvero il governo greco
non avesse mai dato alcun permesso d’attracco ad Astakos, perché il capitano
avrebbe portato la nave dritta ad Astakos invece che ad Ashdod? Il noleggio di
una tale nave costa in media 18/20 mila dollari al giorno (e probabilmente
molto di più per carichi di questo genere), i suoi spostamenti vengono
preparati con grande cura e certo non si va alla speraindio. Evidentemente, il
Sealift Command aveva per qualche ragione pianificato sin dall’inizio un
passaggio da Astakos, probabilmente in congiunzione con le spedizioni previste
dai due contratti poi «cancellati» l’8 gennaio. Infine, il fatto che la nave
giri in circolo per più di dieci giorni (200 mila dollari aggiuntivi a tariffe
normali) potrebbe segnalare che o era in corso una frenetica trattativa tra
greci e statunitensi per evitare l’approdo effettivo ad Astakos o si aspettava
che arrivassero i container relativi ai contratti «cancellati». L’armatore
della Wehr Elbe afferma di non aver concorso per gli altri due contratti.
Dovevano dunque arrivare altre navi? O semplicemente il Sealift Command voleva
far caricare sulla Wehr Elbe gli ulteriori 325 containers previsti dai due
contratti «cancellati»? Dove sono finiti quei 325 container di munizioni che
avrebbero dovuto essere caricati ad Astakos? Al porto di Astakos stanno
arrivando gruppi dello «Stop the War» greco e forse potrebbero dirci qualcosa
in proposito, ma dove sta andando la Wehr Elbe con i suoi 989 containers originali
e le 816 tonnellate di esplosivi ad alto potenziale? Senza poter escludere
l’approdo in due vicini porti albanesi e montenegrini, la rotta sembrerebbe
indicare come possibili destinazioni Brindisi o Taranto. Soprattutto in
quest’ultimo la Us Navy e la Nato godono di diritti di approdo esclusivi
nell’area portuale e di attrezzature adeguate ad accogliere quella bomba
natante. Nessuno, tranne il Sealift Command e certo qualche autorità italiana,
sa dove sia attualmente la nave. Forse è già arrivata da qualche parte e
aspetta, letteralmente, che si calmino le acque.
*A cura di Peter Danssaert, Sergio
Finardi, Pavlos Nerantzis, Carlo Tombola e il contributo di Mike Lewis della
Omega Foundation di Manchester
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