In tutti i dibattiti, webinar, seminari che si sono tenuti nel corso della così detta quarta guerra contro Gaza, ci sono delle parole che non sono mai state pronunciate e questo fa capire come questa tregua non ha in se alcun germe di pacificazione. Per i palestinesi tra l’altro non c’è alcuna tregua, tutto continua come prima e peggio di prima: arresti, assassinii, violenze nelle proprie case, espropriazione di case e terreni, ridotto accesso ai beni come acqua, salute, istruzione.
Ma veniamo alle parole che non si è avuto la decenza di pronunciare per non
irritare l’ospite pro israeliano di turno in tutti questi dibattiti.
Occupazione: i Palestinesi sono un popolo occupato da parte non di uno stato
(israele), ma da parte di un progetto sionista che è ben precedente alla
ratificazione ONU del 48 che assegnava ad una minoranza ebraica la maggioranza
delle terre palestinesi. “Questo progetto di pulizia etnica nei confronti degli
abitanti della Palestina, era stato pianificato e preparato in modo accurato.
Innanzitutto venne proposto un registro dettagliato di tutti i villaggi
palestinesi, gestito dal Fondo Nazionale Ebraico (JNF) . Questo meccanismo di
registrazione e di schedatura dei villaggi palestinesi era iniziato a partire
dagli anni ’30. Di ogni villaggio erano state indicate le vie d’accesso, la
qualità della terra, le sorgenti d’acqua, quali fossero le principali fonti di
reddito, la struttura socio-politica, le appartenenze religiose, le relazioni
con gli altri villaggi, l’età degli uomini tra i 16 ed i 50 anni e altri
dettagli ancora, in particolare veniva anche indicato il “livello di ostilità”,
verso i sionisti, questo indice era stato stabilito in base alla partecipazione
o meno del villaggio alla rivolta del 1936” ( Ilan Pappe, storico israeliano
“La pulizia etnica della Palestina”). Il progetto sionista ha
potuto prendere forma grazie al fatto che il 02 novembre 1917 un ministro degli
esteri di un paese europeo (Balfour- inglese) ha dato il permesso al capo di
una etnia religiosa europea (Rotschild – ebreo) di occupare terre non sue (la
Palestina) dove viveva in armonia il popolo palestinese: arabi mussulmani,
arabi cristiani e, se vogliamo considerare la definizione del vocabolario
Treccani (arabo: “denominazione che designa in senso stretto gli abitanti
musulmani dell’Arabia e più comunem. tutti gli individui aventi per lingua
madre l’arabo”) arabi ebrei perché comunicavano tra loro con una lingua
comune che era l’arabo.
La seconda parola è resistenza: i palestinesi come popolo occupato hanno il
diritto a resistere. La risoluzione 37/43 dell’AG dell’ONU ribadisce “la
legittimità della lotta dei popoli per l’indipendenza, l’integrità
territoriale, l’unità nazionale e la liberazione dal dominio coloniale e
straniero e dall’occupazione straniera con tutti i mezzi disponibili, compresa
la lotta armata”. I palestinesi lottano quotidianamente con qualsiasi mezzo:
pietre, temperini, automobili, coltelli, forbici, contro un esercito
ipertecnologico munito di autoblindo, mitragliatrici, ragazzini armati di
tutto punto con divise antiproiettile, motovedette, cacciabombardieri. “ E i
razzi di Hamas e i razzi della Jihad?” Questa era la frase che abbiamo sentito
più frequentemente da parte di giornalisti atteggiati a fare “il giornalismo
serio” il giornalismo veramente cazzuto, tosto, duro (???!!!). Facevano
veramente ridere se non ci fosse da piangere. In tutte le trasmissioni main
stream che ho sentito era una giaculatoria continua ….e i razzi di Hamas … cosa
mi dice dei razzi di Hamas? Domande veramente profonde che avrebbero dovuto
avere l’effetto di inchiodare l’interlocutore. Ma i razzi che cosa??? Mettere
sullo stesso piano l’aggressore e l’aggredito è una tattica furba ma che non fa
fare un passo alla risoluzione dell’aggressione israeliana. Non parliamo poi di
mettere sullo stesso piano una potenza nucleare con il quarto esercito più
tecnologico del mondo contro i 100-200-1000 (anche qui i numeri che i
giornalisti davano erano numeri in libertà) razzi di Hamas. E’ sempre
esecrabile contare i morti da una parte e dall’altra, ma come rapporto siamo
più o meno vicini alle rappresaglie naziste: 20 palestinesi per un israeliano.
Si può discutere sulla opportunità strategica, sui dissidi interni che
certamente ci sono stati. Così come avveniva quando, nella lotta partigiana,
avvenivano furiose discussioni sulla scelta di portare aventi determinate
azioni di guerra non condivise da tutti, ma questo non ha mai fatto mettere
sullo stesso piano il nazismo e la resistenza ad esso. Un altro
importante aspetto da considerare è che quegli stessi che si stracciano le
vesti per i razzi di Hamas sono gli stessi che stanno mettendo fuorilegge il
BDS, il movimento di resistenza non violenta di boicottaggio ad israele. Cioè
da una parte usano i razzi di Hamas per fomentare reazioni antipalestinesi
dall’altra impediscono che gli stessi usino un sistema di lotta non violenta.
Apartheid, questa è l’altra parola taciuta. Possibile che anche dopo il
rapporto, minuzioso ed iperdocumentato di HRW sull’apartheid israeliana, (qui) nessuno, ma proprio nessuno in tutte le
interviste e dibattiti che ho ascoltato ha pronunciato questa parola che
sta alla base di tutto. Non staremo qui a parlare se non ci fosse
l’apartheid israeliana. Tra gli altri dibattiti ho ascoltato un seminario
dell’ISPI che è un ente che fa ricerca seguendo analisi sui diritti umani,
ingiustizie nel mondo ecc… (qui) dove tra gli invitati c’era Gad Lerner che doveva
coprire il punto di vista israeliano ed altri relatori che dovevano cercare di
portare il punto di vista Palestinese. In quasi un’ora di seminario nessuno ha
mai pronunciato la parola Apartheid, men che meno la parola occupazione,
resistenza, BDS… Gad Lerner poi, ha detto che era spaventato dal nuovo volto
dell’estremismo isreliano riferendosi all’episodio del raduno sul monte Meron
di 100000 ebrei ultraortodossi, dove per la calca sono morte quasi 50 persone e
dove la polizia non è stata in grado di imporre misure di sicurezza per la
sfrontatezza e l’arroganza delle persone. Ricordo a Gad lerner che
quelle sono le stesse persone che vanno ad incendiare uliveti, dissotterrare
aranceti palestinesi, attaccare case palestinesi, scortati dall’esercito
israeliano.
Le parole che non abbiamo sentito sono state sostituite da parole come
equidistanza, senso di responsabilità tra le parti, razzi di Hamas … insomma da
parole vuote, senza senso, veramente prive di un significato riconducibile alla
realtà.
In geometria l’equidistanza è la relazione tra due oggetti aventi la
stessa distanza da un terzo oggetto. La traslazione in senso figurato della
stessa parola assume un significato opposto. Quasi un ossimoro. In politica
l’equidistanza, come sappiamo non esiste. Chi la tira in ballo vuole
contrabbandare una distanza uguale tra due parti politiche ma in realtà ha già
deciso da che parte stare. In genere la usa chi appoggia il più forte per
cercare di contrabbandare una solidarietà inesistente con il più debole. Come
possono gli USA essere equidistanti da israeliani e palestinesi quando il
massacro su Gaza non si è fermato proprio grazie al loro divieto al consiglio
di sicurezza? Quando hanno in atto un piano da 30 miliardi (trenta! Quasi Il
bilancio annuale del Mozambico!) di dollari di aiuti in spese militari per
israele (750 milioni dati all’indomani della gragnuola di bombe su Gaza).
Un piano in 10 anni non firmato dal “cattivo” Trump ma dal “bravo” Obama. Gli
USA stanziano miliardi di dollari in favore di israele come se questo
fosse un paese in via di sviluppo.
Come può essere equidistante l’Europa che al la di poche ed insignificanti
prese di posizione di facciata, continua a fare affari con israele, soprattutto
militari. Non parliamo dell’equidistanza del PD, che ha cercato di coprire
l’ignominiosa foto di Letta con i fascisti italiani che solidarizzavano con i
fascisti israeliani, con una telefonata all’ambasciatrice palestinese!
Certo, le parole taciute sono una spia preoccupante ma qualche segnale di
speranza c’è. In questi anni, nonostante le divisioni della sua classe
politica, il popolo palestinese è attraversato da un fermento “rivoluzionario”
mai visto prima. Tutto questo grazie ad associazioni di base ed a giovani
molto ben preparati dalle ottime università Palestinesi. Da questi giovani
nascono, in totale autonomia da partiti e fazioni politiche, iniziative
come la marcia del ritorno, incontri settimanali non violenti in solidarietà ai
villaggi particolarmente segnati dalle demolizioni e dalle “deportazioni”, come
è avvenuto recentemente a Sheikh Jarrah, il quartiere di Gerusalemme che ha
fatto nascere l’ennesima aggressione israeliana. Speranza anche alimentata
dalla solidarietà internazionale che si è manifestata, non con le prese di
posizione della diplomazia politica, ma con i milioni di cittadini in
tutto il mondo che hanno manifestato in favore del popolo palestinese. In
America poi sta avvenendo un fatto se vogliamo più prosaico ma non meno
importante. Qui infatti, nonostante gli sforzi della propaganda
israeliana, i cittadini che pagano le tasse riescono a capire sempre meno
perché molti dei loro soldi debbono andare ad “aiutare” un paese considerato
tra i più ricchi al mondo!
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