Anatomia di un
disastro ambientale - Alessandro Marescotti
Questa condanna è stata un terremoto. E' importante
conoscere e comprendere alcune parole chiave. Per facilitarvi la comprensione
del processo e della sentenza, in cui tutti oggi vi parleranno, ecco qui un
glossario.
Ci
sono sette cose importanti da sapere per comprendere le sette novità di questo processo. Leggendo le carte processuali, ho
avuto la conferma di aver dato l’impulso iniziale alle indagini nel 2008
scrivendo di mio pugno, a nome di PeaceLink, l’esposto sulla diossina da cui è
partito tutto. Ma la carta decisiva del processo è stata la perizia
epidemiologica richiesta dal GIP Patrizia Todisco. Ne parleremo nel settimo
punto di questo articolo.
Oggi il processo, lungo e tortuoso, è approdato alla sentenza di
primo grado.
Leggerete tanti commenti. E' una vicenda scomoda perché
toccava i peccati siderurgici della sinistra. Una
vicenda che è stata messa a tacere e derubricata da tutti gli schieramenti a
questione locale, nonostante le terribili implicazioni sanitarie, salvo poi
diventare d’improvviso - di tanto in tanto - questione strategica nazionale
quanto si parlava di economia.
Tuttavia una delle ragioni oggettive della scarsa attenzione è
purtroppo dovuta ad una certa complessità della vicenda. Bisogna conoscere e
comprendere alcune parole chiave. Per facilitarvi la comprensione del processo,
in cui tutti oggi vi parleranno, proverò a scrivere un glossario. E’
stato un processo diverso, qualitativamente diverso dai precedenti processi
all’ILVA dei Riva, già condotti da Franco Sebastio, un procuratore molto
determinato. Sebastio ha avviato le indagini nel 2008 e messo un paio di anni
dopo sotto controllo le telefonate dell’ILVA. Ma non ha potuto seguire il
processo perché, guarda caso, lo hanno mandato anticipatamente in pensione in
virtù di un’apposita norma ad hoc. Da Roma confidavano in un successore meno
“spigoloso”. (https://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/47674.html)
Questo processo è sicuramente uno dei più imponenti mai celebrati
fra quelli che si occupano di ambiente. Ed è quello più delicato in
assoluto.
Riassumerò pertanto la vicenda evidenziando le cose importanti da
sapere con sette parole chiave, sperando di fare cosa utile a tutti i lettori.
1.
DIOSSINA. Le indagini nascono dopo un esposto sulla diossina
presentato alla Procura della Repubblica nel febbraio del 2008 da PeaceLink.
Nell’esposto si allegano le analisi di un pezzo di pecorino di pecore
e capre che avevano pascolato attorno all’ILVA. (https://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/25341.html) Il pecorino mi era stato consegnato da Piero Mottolese, un ex
operaio ILVA. Il pastore del pecorino è morto per un tumore. La diossina è
cancerogena (IARC classe I) ed entra nella catena alimentare. Questo processo
per la prima volta si è occupato a Taranto della contaminazione
siderurgica della catena alimentare, puntando su un reato di particolare
gravità: avvelenamento di acque o di sostanze alimentari (art. 439
del codice penale). La diossina è industrialmente connessa a un impianto che
tecnicamente è definito “impianto di sinterizzazione”, anche detto di
“agglomerazione”. L’ILVA di Taranto è dotata del più grande impianto di
agglomerazione d’Europa, con un camino alto 212 metri (il camino E-312). La diossina
è fuoriuscita, determinando una grave contaminazione dei terreni circostanti,
anche dagli elettrofiltri di questo camino. Le “polveri alla diossina” degli
elettrofiltri sono state trasportate dal vento sul territorio circostante,
anche sui pascoli dove brucavano le capre e le pecore delle storiche masserie
locali. Un dettaglio di non poco conto: la diossina fino al 2005 (anno della
rivelazione fatta da PeaceLink) è stata trattata come una sorta di segreto
industriale. Pensate che a Genova non ne hanno mai saputo nulla della diossina.
Gli ambientalisti, i chimici e i giudici del processo genovese per inquinamento
non hanno mai cercato la diossina perché neppure sospettavano che l’ILVA fosse
una fonte di diossina. La diossina è stata casualmente scoperta in seguito, nel
2005, da PeaceLink curiosando sui database online INES ed EPER, sui quali era
classificata come PCDD e PCDF. Google era appena nato. Quei dati non entravano
nei motori di ricerca. E da quella scoperta è partita la decisione di andare a fondo,
fino a verificare se la diossina fosse entrata nella catena alimentare.
2.
BENZO(A)PIRENE. Anche il benzo(a)pirene è un cancerogeno (IARC
classe I) ma proviene dalla cokeria dell’ILVA. Nel 2009 e 2010, superando i
limiti di legge, è stata al centro del processo, assieme alla diossina. L’ARPA
Puglia, diretta da Giorgio Assennato, porta alla luce i dati dello sforamento.
L’ILVA entra in un report ARPA che le addebita il 98% delle emissioni di
benzo(a)pirene a Taranto. E’ il putiferio. La politica di governo si era
dimenticata che per il benzo(a)pirene era scattato il limite di 1 nanogrammo a
metro cubo a partire dal 1999. PeaceLink ha dovuto ingaggiare un contenzioso
con la Regione Puglia per far applicare il limite. C’è un’intercettazione bollente in
cui i Riva si lamentano dei comunicati di PeaceLink sul benzo(a)pirene: “Questi
per tre giorni ci fanno un culo così!” (https://lists.peacelink.it/ecologia/2021/03/msg00002.html) Anche Vendola è preoccupato. La calda estate pugliese del
2010 diventa incandescente per il benzo(a)pirene. Finché il governo Berlusconi,
il 13 agosto 2010, cambia la legge. Sospende quel limite e toglie le castagne
dal fuoco a tutti. L’ILVA può continuare a inquinare. Ma la magistratura riesce
a intercettare telefonate molto particolari sul benzo(a)pirene e che
imbarazzano il PD. (https://www.youtube.com/watch?v=oSKMJvy4UPw)
3.
COZZE. Nel 2011 le associazioni Fondo Antidiossina e PeaceLink
denunciano il superamento dei limiti di legge delle diossine in
quello che è il simbolo e il vanto gastronomico della città di Taranto: la
cozza. Scoppia la protesta dei mitilicoltori. Il sindaco di Taranto va in
piazza a mangiare le cozze tarantine. (https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/home/247921/diossina-ilsindaco-mangia-le-cozze-non-c-e-alcun-rischio.html) Anche Legambiente aderisce pubblicamente alle degustazioni
di cozze locali. (http://web.giornalismi.info/gubi/articoli/art_9580.html) Ma quelle cozze, nonostante i tentativi di esorcizzare
pubblicamente lo spettro della diossina, risultano realmente e gravemente
contaminate. Come per il pecorino, anche per le cozze i controlli della ASL -
certificati da laboratori specializzati - danno ragione al Fondo Antidiossina e
a PeaceLink, confermando i superamenti dei limiti di legge. Anche questo filone
di indagini è entrato nel processo all’ILVA.
4.
AIA. L’AIA è l’Autorizzazione Integrata Ambientale che
avrebbe dovuto imporre prescrizioni severe all’ILVA e l’adozione delle migliori
tecnologie disponibili. E invece nel 2011 l’AIA viene rilasciata dalla
ministra Stefania Prestigiacomo con prescrizioni così blande che l’anno
successivo, alla luce delle indagini di “Ambiente Svenduto”, viene riscritta e
resa più stringente per gli impianti dell’area a caldo.
5.
AREA A CALDO. L’Ilva si compone di due parti: l’area a caldo e l’area a
freddo. La prima comprende le fasi di “cottura” del minerale di ferro (impianto
di sinterizzazione) e di trasformazione del carbone in carbon coke (cokeria);
la successiva fase è quella della produzione della ghisa negli altoforni a
cui segue con i convertitori la trasformazione in acciaio e il
confezionamento delle bramme (grandi “lingotti” di acciaio).
Qui finisce l’area a caldo (la più inquinante) e da qui comincia l’area a
freddo che trasforma l’acciaio nei prodotti finiti (come coils e tubi). L’ILVA
di Genova ha solo l’area a freddo. L’ILVA di Taranto ha l’area a caldo e l’area
a freddo. L’area a caldo è stata al centro dei provvedimenti “Salva-ILVA”. La
magistratura ne ha chiesto in passato il sequestro senza facoltà d’uso in
quanto pericolosa. I pm ne hanno chiesto la confisca.
6.
POLITICA. La grande novità di questo processo è che ha toccato anche la
politica. E in particolare la sinistra. Senza entrare nel merito
delle singole situazioni, è ragionevole chiedersi come mai sia stata la
magistratura a mettere sotto accusa l’ILVA e non la sinistra. La risposta è
purtroppo questa: all’interno della sinistra si erano coltivati buoni rapporti,
persino di stima, con Riva.
7.
INDAGINE EPIDEMIOLOGICA. La novità qualitativa di questo processo sta nell’indagine
epidemiologica richiesta dal GIP Patrizia Todisco all’epidemiologo Francesco
Forastiere. Tale indagine ha non solo descritto l’eccesso di malattie e di
morti ma ha creato un modello per verificare se tali eventi fossero
riconducibili alle emissioni dell’ILVA. E anche qui c’è da chiedersi come mai
la sinistra - allora al governo di Regione Puglia, Provincia e Comune di
Taranto - non abbia voluto commissionare una tale indagine epidemiologica,
neppure quando gli è stato richiesto.
Infine va detto che questo processo è da collocare all’interno di
una storia molto complessa, cominciata nel 2005 e che si continua ancora oggi.
Una cronistoria di cui ho cercato di sintetizzare i tratti
salienti: https://www.peacelink.it/processoilva/a/48496.html)
Sentenza Ambiente Svenduto, confiscati gli
impianti dell'area a caldo ILVA - Alessandro Marescotti
Nessuno aveva mai parlato della diossina a Taranto prima del 2005. Fummo
noi a prenderci la responsabilità e i rischi di denunciarlo pubblicamente. Oggi
è una grande giornata di liberazione dopo una lunga resistenza e tante vittime.
Venivano chiamati "allarmisti" ma avevano ragione noi.
Era tanto
attesa. Ed è arrivata.
La sentenza
sull'ILVA farà parlare, farà discutere, farà arrabbiare più di qualcuno.
Quella
sentenza è il frutto di una lunga lotta a cui abbiamo dato il via nel febbraio 2008, portando in un laboratorio specializzato
un pezzo di pecorino contaminato dalla diossina. Il latte di quel formaggio
proveniva da pecore e capre che avevano brucato nei pascoli attorno all'ILVA.
Avevamo letto su un giornale che, attorno allo stabilimento, pascolava un
gregge. La cosa ci incuriosì. Ci mettemmo alla ricerca del pastore. Una nostra
ecosentinella, Piero Mottolese, lo incontrò. Non stava bene. Quel pastore
morirà di cancro dopo non molto.
Ma facciamo
un passo indietro.
Tre anni
prima, nel 2005, avevamo scoperto che a
Taranto c'era la diossina. Nessuno aveva mai parlato prima della diossina. La
parola diossina era sconosciuta a tutti nella città dell'acciaio.
Era come se un segreto venisse gelosamente custodito. I sindacati CGIL-CISL-UIL
avevano partecipato a tanti tavoli tecnici e alle riunione degli atti di intesa
con l'ILVA, ma la parola diossina non era mai venuta fuori fino al 2005. Fino a
quel giorno di aprile in cui PeaceLink la lanciò con un comunicato stampa che
venne letto come prima notizia al TG3 della Puglia. Ma quella notizia data
dalla RAI con tanta evidenza probabilmente non era di interesse o di gradimento
gradimento per la politica perché nessuno ne fece menzione. Eppure la diossina
è un cancerogeno classificato dalla IARC il classe I, ed è un formidabile
contaminante dell'ambiente e della catena alimentare. Ma come mai nessuno aveva
mai pronunciato quella parola a Taranto? Non lo sappiamo, ma possiamo intuirne
le ragioni. Sappiamo solo che ci imbattemmo nella diossina scandagliando i dati
di un database europeo nel quale c'erano le sigle PCDD e PCDF che - a
chi non sa di chimica - non dicevano nulla. Anche in quel caso l'indizio ci incuriosì.
E venne fuori la terribile verità.
Fummo noi di
PeaceLink a prenderci quella grave responsabilità nel 2005. E a portare nel
2008 in laboratorio il formaggio.
Per anni e
anni abbiamo incontrato persone che ci dicevano scherzando: non vi hanno ancora
arrestato?
Avevamo
un'etichetta addosso: "allarmisti".
In realtà
due sono le parole che hanno guidato la nostra azione: curiosità e
responsabilità.
Spirito di
curiosità e senso della responsabilità.
Ficcanaso
impiccioni che non si facevano i fatti propri, insomma.
Di fronte a
chi pensava di cambiare il mondo con le grandi teorie, noi, più modestamente,
ci accontentavamo dei dettagli. E dai dettagli ricostruivamo il mosaico
generale, in un processo di ricerca e ricomposizione dei nessi. Possiamo
definire questa metodologia "la rivoluzione dei dettagli", prendendo
in prestito il titolo di un libro della mia amica Marinella Correggia.
Quella rivoluzione dei dettagli ha guidato ricerche
sempre più vaste. E se oggi si va a vedere quanto materiale abbiamo accumulato
con questa metodologia c'è solo da rimanere sbalorditi. E si rimane sbalorditi
per l'immenso lavoro svolto dalla polizia giudiziaria e dai magistrati. A cui
diciamo grazie per aver condotto con rigore un'azione scomoda ma necessaria e
di somma importanza.
Oggi è una
grande liberazione. I ficcanaso impiccioni, quelli che venivano chiamati
"gli allarmisti", avevano ragione.
Sì. Proprio
così. Avevamo ragione.
Oggi
fioccano le condanne. E gli impianti pericolosi vengono confiscati.
La storia
dell'ILVA dal 2005 al 2021 - Alessandro Marescotti
Tutto parte dalle analisi sul pecorino
contaminato da diossina, consegnate da PeaceLink in Procura a Taranto nel 2008;
nei tre anni precedenti erano stati acquisiti i dati delle emissioni di
diossina dell'ILVA. Nel 2012 vengono consegnate alla magistratura le perizie.
Si attende adesso la sentenza.
Su sollecitazione di un amico, ho buttato giù una breve storia
dell'ILVA dal 2005 a oggi. Poche righe, anno per anno, con le inevitabili
lacune dovute alla sintesi.
Breve storia della
mobilitazione civile a Taranto contro l'inquinamento #ILVA
2005 - I cittadini di Taranto
scoprono, facendo ricerche sugli archivi elettronici delle emissioni
industriali, che a Taranto c'è la diossina (mai le autorità ne avevano
parlato); fra la popolazione di Taranto comincia a diffondersi la voce che
questo potente cancerogeno potrebbe fuoriuscire dall'ILVA.
2006 - Un anno dopo i cittadini
scoprono che a Taranto non è stata mai acquistato alcuna attrezzatura per
misurare la diossina: le autorità sono prive di strumentazione idonea;
PeaceLink denuncia: "Taranto è la Seveso del Sud".
2007 - Le emissioni di diossina
dell'ILVA di Taranto arrivano a toccare il 90,3% del totale industriale
nazionale (la denuncia, come nel 2005, è di PeaceLink); vengono denunciate
le lentezze della Regione Puglia; l'Arpa fa i primi monitoraggi sulla diossina ILVA; dai
dati si scopre che dall'Ilva viene emessa diossina equivalente a 10 mila
inceneritori; Emilio Riva denuncia
Giulio Farella, Alessandro Marescotti e Franco Sorrentino perché in una
conferenza stampa diffondono i dati ufficiali delle emissioni di mercurio dallo
stabilimento; l'accusa è di "procurato allarme" e
"diffamazione"; la denuncia viene archiviata dalla
magistratura; con i fondi raccolti per la difesa legale viene deciso di fare
delle analisi ambientali.
2008 - I cittadini di Taranto
commissionano analisi di diossina su sangue, latte materno e matrici
alimentari; e così si scopre che a Taranto la diossina è entrata nel corpo
umano e anche negli animali perché il pecorino risulta contaminato
oltre i limiti di legge; dai dati di
quest'ultimo parte un esposto a firma di PeaceLink; iniziano le indagini della
magistratura ("avvelenamento delle sostanze alimentari"); il 29 novembre scendono in piazza
20 mila persone contro la diossina
chiedendo una legge antidiossina; è la più grande manifestazione mai svolta
fino ad allora a Taranto.
2009 - Il benzo(a)pirene cancerogeno
supera i limiti di legge e ARPA certifica lo sforamento; nuova manifestazione di 20 mila
persone a Taranto, promossa (come
l'anno precedente) dal coordinamento Altamarea.
2010 - Maxisforamento di
benzo(a)pirene cancerogeno, la Procura accelera le indagini ed ordina le
intercettazioni telefoniche; Vendola ride al telefono con
Archinà e viene intercettato. Il
governo il 13 agosto, mentre la gente è in vacanza, sospende il limite per il
benzo(a)pirene con una norma nascosta in un
DPR.
2011 - Vendola dichiara
pubblicamente la sua stima per Emilio Riva (che
l'anno dopo verrà posto agli arresti con l'accusa di disastro ambientale); il
Fondo Antidiossina di Fabio Matacchiera commissiona le analisi sui mitili, si
scopre che la diossina è entrata nelle
cozze; scatta un nuovo fronte di
indagine; ancora una volta sono i cittadini a indagare e ad esporsi; nel
traffempo viene approvata una pessima AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale)
ma il sindaco di Taranto Ippazio Stefano non fa giungere alcuna prescrizione a
tutela dell'ambiente e della salute; la Regione Puglia parla di "passaggio di valenza
storica"; in realtà l'AIA concede
all'ILVA un +50% di capacità produttiva, salendo da 10 a 15 milioni di
tonnellate annno di acciaio (una enormità, uno sproposito).
2012 - Perizie chimica ed
epidemiologica ordinata dal GIP Patrizia Todisco; la magistratura con quelle
perizie ravvisa un "disastro ambientale" e un eccesso di mortalità
causato dall'ILVA; la magistratura sequestra gli impianti dell'area a caldo,
senza facoltà d'uso; il 19 settembre Alessandro Marescotti e Angelo
Bonelli rivelano i nuovi dati dello
Studio Sentieri su Taranto, non diffuso per ragion di Stato; il 15 dicembre una folla di trentamila persone sfila in corteo a
sostegno della magistratura; subito dopo il parlamento vota la prima legge
salva ILVA in gran velocità; è la prima di una lunga serie di leggi salva-ILVA
che il M5S dichiara di voler cancellare, senza poi mantenere le promesse una
volta arrivato al governo.
2013 - La Corte Costituzionale non
boccia la legge salva ILVA ma il consenso è condizionato all'esecuzione rapida
della messa a norma degli impianti dell'area a caldo dello stabilimento, entro
l'anno successivo (notare bene: al 2021 non sono ancora stati completati i
lavori di messa a norma).
2014 - I cittadini si rivolgono alla
Commissione Europea (grande lavoro di Antonia Battaglia) che avvia una
procedura di infrazione per violazione della direttiva sulle emissioni
industriali; intanto emergono i dati dell'Istituto Superiore della Sanità
sull'eccesso di tumori infantili a Taranto (+54% rispetto alla regione);
intanto comincia il procedimento penale davanti al GUP (Giudice dell’udienza preliminare); le udienze preliminari davanti al GUP Vilma Gilli iniziano il 19
giugno 2014.
2015 - I cittadini accusano il
governo di dare aiuti di Stato all'ILVA, la denuncia arriva alla Commissione
Europea; l'ILVA fallisce, ha quasi tre miliardi di euro debiti, la vicenda approda
al tribunale fallimentare di Milano.
2016 - Il governo avvia la messa in
vendita dell'ILVA ma nessuno la vuole comprare perché gli impianti sono fuori
norma e il mercato dell'acciaio non tira più come prima. Intanto nel quartiere
Tamburi si verificano eccezionali ricadute di diossina.
2017 - Il governo rifà il piano
ambientale ILVA in senso peggiorativo spostando al 2023 i lavori che dovevano
essere completati nel 2014; gli ambientalisti si ribellano.
2018 - Il governo offre l'immunità
penale e ArcelorMittal decide di prendere in fitto l'ILVA, in vista
dell'acquisto. PeaceLink incontra il neo-ministro dell'Ambiente Sergio Costa
(M5S) portando un dossier per chiedere la chiusura dell'area a caldo; ma il M5S cambia linea sull'ILVA e abbandona le
promesse della campagna elettorale. Di Maio annuncia installazioni di nuove
tecnologie (mai installate) e consistenti tagli di inquinamento (inesistenti,
anzi le emissioni aumentano).
2019 - La Corte Europea dei Diritti
dell'Uomo (CEDU) condanna l'Italia per
violazione dei diritti umani (grande
lavoro di Daniela Spera e Lina Ambrogi Melle); l'inquinamento dello
stabilimento invece di diminuire aumenta e il ministro Di Maio a Taranto su
questo viene categoricamente smentito (aveva detto che l'inquinamento sarebbe diminuito);
ArcelorMittal fa male i conti e comincia ad accumulare perdite che oscillano
fra i 2 milioni e i 2 milioni e mezzo di euro al giorno; la perdita complessiva
del 2019 arriva a 865 milioni di euro (se i lavoratori fossero rimasti a casa
senza lavorare, ArcelorMittal avrebbe perso di meno).
2020 - ArcelorMittal non ce la fa più
a tamponare le perdite che arrivano a superare i 100 milioni di euro al mese;
la multinazionale decide di spegnere gli impianti e di andare via; il M5S
trattiene per la giacca la multinazionale: non deve abbandonare Taranto.
2021 - il TAR, con una sentenza
storica, dispone che gli impianti dell'area a caldo vanno fermati perché
malfunzionanti e pericolosi; la questione passa al Consiglio di Stato; i
cittadini si trasferiscono a Roma con le croci bianche delle vittime
dell'inquinamento in attesa della sentenza del Consiglio di Stato (grande lavoro di Massimo Castellana, Cinzia Zaninelli e del
Comitato Cittadino per la salute e l'ambiente a Taranto); all'iniziativa
aderisce Giustizia per Taranto; il Consiglio di Stato temporeggia in
attesa della sentenza del processo ILVA, che sta per arrivare a conclusione; i
pubblici ministeri chiedono condanne con pene fino a 28 anni di
reclusione.
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