La risposta alle mie critiche a Mario Draghi e al suo
Governo è spesso sul piano del metodo: avrei l’imperdonabile colpa di essere
“ideologico” (l’ultimo a dirmelo è stato il direttore di Repubblica).
Chi sta col Governo sarebbe “pragmatico”, cioè obiettivo, chi si oppone sarebbe
invece “ideologico”, e cioè propagandistico.
Quest’uso della parola “ideologia” è di per sé
sintomatico del ribaltamento avvenuto negli ultimi decenni. Nel linguaggio
filosofico marxista, quello che l’ha più largamente usata, “ideologia”
significava «l’insieme delle credenze religiose, filosofiche, politiche e
morali che in ogni singola fase storica sono proprie di una determinata classe
sociale. […] In quanto tale, l’ideologia, lungi dal costituire scienza,
ha la funzione di esprimere e giustificare interessi particolari, per lo più
delle classi proprietarie ed egemoni sotto l’apparenza di perseguire
l’interesse generale o di aderire a un preteso corso naturale» (così,
sinteticamente, il vocabolario Treccani). È precisamente in questo senso che è
davvero, e profondamente, ideologica la posizione di quelli che sostengono lo
stato delle cose come una sorta di dogma senza alternative.
Il sostegno a Draghi e al suo Governo ha assunto fin
dall’inizio toni ultraideologici, addirittura religiosi: i giornali e i
giornalisti di sistema l’hanno raccontato come l’uomo della provvidenza, un re
taumaturgo capace di risanare il Paese col semplice tocco delle mani. Come
succede appunto con le ideologie, nessun dato di realtà è riuscito a incrinare
il dogma. Il mito del governo «di alto profilo» (Mattarella dixit)
non si è dovuto misurare con i nomi imbarazzanti, a tratti mostruosi, di
ministri e sottosegretari. Il mito che si tratti di un Governo libero dai
partiti non ha risentito all’evidenza di un condono fiscale e di una riapertura
affrettata imposti dalla Lega. Il mito di un Governo verde («La rivoluzione
verde di Draghi», ha titolato Repubblica) non appare scalfito dalla
resurrezione di nucleare, inceneritori, Ponte sullo Stretto, o da un PNRR che
continua a consumare suolo per Grandi Opere in buona parte inutili, e dunque
dannose. Il mito dell’efficienza mimetica di Figliuolo non risente dell’ovvietà
per cui le dosi ci sono state solo quando gli sono state recapitate, né
dell’incredibile caos su Astra Zeneca, né dell’irresponsabile accelerazione
propagandistica che ha portato il Governo a benedire gli Open Day delle Regioni
per i minorenni. Il mito di un Governo che lotterebbe contro le diseguaglianze
non si è dissolto dopo lo sdegnato “no” di Draghi alla pallidissima proposta di
tassa di successione di Enrico Letta. No: la realtà non esiste, esiste
l’ideologia del governo dei migliori.
Ma c’è qualcosa di più profondo. Questa ideologia non
è certo stata messa a punto per sostenere Draghi, anzi è vero il contrario: e
cioè che Draghi è l’espressione più autorevole, in Italia, del pensiero unico
occidentale che ha condotto il mondo sull’orlo del baratro ambientale, sociale
e politico. Quel pensiero unico si riassume nella «fede nel mercato […] ovvero
nel fatto che i meccanismi del mercato siano i principali strumenti per
realizzare il bene pubblico». Sono parole di Michael Sandel (La tirannia del
merito, Feltrinelli 2021), che insegna Teoria del governo ad Harvard. Non
per caso egli usa una parola che ha che fare con l’ideologia per eccellenza, la
«fede». Una fede condivisa, nota Sandel, da tutti i leader e dai partiti del
centrosinistra globale, da Clinton a Blair al nostro Pd.
In una pagina che cita esplicitamente anche quest’ultimo, Sandel nota che
questo fronte politico, «prima che possa ambire a riconquistare il sostegno
pubblico, deve rivedere il proprio modo tecnocratico orientato al mercato di
approcciarsi al governo e deve inoltre riflettere su un elemento più
impercettibile, ma altrettanto importante: l’atteggiamento verso il successo e
il fallimento che ha accompagnato la crescita della disuguaglianza negli ultimi
decenni». L’operazione Draghi punta a evitare proprio questa riflessione,
blindando l’ortodossia ideologica: riportare al governo il Pd, e riportarcelo
insieme ai populisti che avevano raccolto il consenso contestando l’ortodossia,
significa affermare che non c’è nulla da cambiare, nessun errore da
riconoscere. Il discorso di Draghi a Rimini nell’agosto scorso era esattamente
questo, uno sperticato manifesto ideologico: l’imperativo era «la crescita», e
l’obiettivo era impedire, sono parole sue, «una critica contro tutto l’ordine
esistente». Difficile dire cosa possa essere più “ideologico” che continuare a
propugnare una crescita infinita in un pianeta finito, e continuare a difendere
un «ordine esistente» già di fatto collassato.
Le parole di Sandel sull’ideologia del successo e del
fallimento spiegano l’ondata di criminalizzazione dei lavoratori che sta
montando in questi giorni: ad essere colpevolizzato è chi, ridotto in povertà,
riesce a sottrarsi a un “lavoro” schiavistico grazie al reddito di cittadinanza
(l’odiato frutto “di sinistra” del populismo al governo). Ancora una volta
l’establishment sta dando la colpa alle vittime, invece di accettare e
analizzare il fallimento della globalizzazione di mercato: è l’errore
drammatico che ha portato a Trump presidente, e alla Brexit. E perseverare –
con accanimento ideologico – in quell’errore significa continuare ad alimentare
il consenso di chi solo apparentemente è contro il sistema: e cioè correre
verso l’abisso di governi di estrema destra anche in Europa occidentale, a
partire dall’Italia.
Stare con chi vince (con i ricchi, con il privilegio,
con i padroni…) sarebbe pragmatico, stare dalla parte degli sconfitti (i
poveri, i discriminati, i lavoratori) sarebbe ideologico. Invece, sono due
ideologie: la prima a difesa dei presunti “dati di fatto” certificati da
“esperti” al servizio dello stato delle cose, la seconda fondata su alcuni
valori scardinanti. In Italia sono i valori dell’articolo 3 della Costituzione:
un’eguaglianza non di opportunità (comunque oggi lontanissima!), ma di
condizione finale, «che permetta, a quanti non ottengono grandi ricchezze o
posizioni di prestigio, di vivere una vita decente e dignitosa» (Sandel). La
necessità di «dare a ogni uomo la dignità di uomo» (Calamandrei).
Si può scegliere tra l’ideologia conservatrice del
mercato e quella riformatrice della Costituzione: ma far passare la prima come
l’ordine naturale delle cose è solo disonestà intellettuale.
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