(interviste a cura di Federico Giusti)
La
deprofessionalizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici è una elemento
sempre piu’ presente nei luoghi produttivi con il manager o dirigente che sia a
standardizzare le attività richieste piegandole a logiche disumanizzanti.
Abbiamo provato a raccogliere alcune testimonianze per cogliere questo aspetto
totalizzante e repressivo mirante a ridurre ai minimi termini l’autonomia e la
libertà della forza lavoro, ad accrescerne lo sfruttamento. Abbiamo raccolto
alcune testimonianze per cogliere dalle voci dei diretti interessati le
testimonianze di quella commedia umana del lavoro che alimenta le pratiche di
sfruttamento selvaggio.
M. ha quasi
60 anni, è
una educatrice di lungo corso, lavora in un nido comunale
negli ultimi
anni sono arrivate alcune nuove figure, le coordinatrici pedagogiche che
controllano tanto le strutture a gestione diretta quanto, almeno in teoria,
quelle a convenzione. Nei nidi in convenzione le educatrici fanno anche parte
dei lavori ausiliari, hanno contratti a tempo determinato o se indeterminati
non vanno oltre 10 mesi l’anno, insomma la durata del calendario scolastico o
poco piu’. Sono le coordinatrici a determinare la nostra valutazione visto che
la dirigente non ci conosce neppure o è comunque impossibilitata a verificare
il nostro lavoro. Ci siamo adattate al nuovo ambiente e a un
sistema di controlli che ha come obiettivo la fine di ogni autonomia dei
collettivi e mette in discussione il modello pedagogico a cui per anni abbiamo
fatto riferimento. Un modello pedagogico puo’ anche cambiare ma se lo fai
per ridurre l’autonomia delle educatrici, se lo fai per escludere il
personale ausiliario relegandolo a ruoli meramente esecutivi, se lo fai per
sottoporre la forza lavoro a continui cambiamenti, il discorso cambia.
Nel corso
degli anni lo stress correlato al lavoro è cresciuto con le richieste
esigibili, ci viene imposta la redazione di reports via on line , peccato che
abbiamo un computer per struttura e spesso poco funzionante e a 60 anni
imparare ad usarlo bene non è facile.
Se chiedi un
confronto /sulla valutazione/ con la dirigente subisci un diniego, se scrivi
una email la risposta è solo negativa, se chiedi 3\4 giorni delle ferie
provenienti dalle cosiddette festività soppresse non c’è personale per
sostituirti e a quel punto devi ricorrere a un permesso breve o alla malattia.
Mi è stato
detto, anzi niente di esplicito perché dalle mancate risposte si traggono
spesso le conclusioni, che sono superata e non ho i tempi giusti per il lavoro
nei nidi, per principio voglio restare al mio posto anche se potrei
cambiare profilo per questioni legate alle condizioni di salute, non voglio
farlo perché non mi sento un ferro vecchio, ho ancora voglia di dedicare tempo,
energie e passioni ai bambini e alle bambine. Ma neppure il lavoro a casa,
senza retribuzione alcuna, viene considerato sufficiente, mi sento male
solo all’idea di restare ancora 5 anni in un ambiente ostile.
D, 56 anni,
autista nella logistica. Da qualche mese hanno collocato sui mezzi il gps, faccio questo
lavoro da 30 anni , oggi vengo gestito da un algoritmo che impone tempi di
lavoro, percorrenze, operazioni di carico e scarico da contingentare in pochi
minuti. Se trovi un incidente devi recuperare il tempo perduto , se fai un
errore alla guida la responsabilità è personale e rischi il posto o almeno sei
tu a pagare i danni al mezzo con decurtazioni in busta paga. E’ disumanizzante
la imposizione di ritmi e tempi di lavoro, di operazioni codificate nell’ottica
di ridurre ai minimi termini i tempi morti, non è ammesso alcun cambiamento
pena il richiamo disciplinare e la sanzione.
Tra i miei
colleghi dominano gli ansiliotici mai dichiarati al medico del lavoro che resta
una figura aziendale e dalla parte del padrone per quanto ne dicano, se vengo
dichiarato inabile alla guida perdo il posto perché non ci sono altre mansioni
nelle quali collocarmi e qualora ci fossero sarebbero ancora più massacranti
.La mia professionalità di autista è indubbia, ho tutte le patenti necessarie,
perfino quella del muletto ma la generalizzazione\standardizzazione delle
pratiche quotidiane, la ripetitività, i continui ordini o richiami a seconda
della visione del gps sono elementi di stress sempre meno tollerabili. Un
lavoro disumanizzato da tempi e modalità di lavoro standardizzate nell’ottica
di abbattere tempi morti, anche se il recupero psico fisico per quanti stanno
alla guida dovrebbe essere insostituibile non solo per la nostra sicurezza ma
per quanti viaggiano su strada.
D, 45 anni
rappresentante. Mi viene
chiesta la massima disponibilità, non ho orari, devo essere convincente, il mio
aspetto fisico impeccabile, se ingrassi o tieni i capelli imbiancati non sei
adatta al lavoro al pubblico, se hai una camicetta non stirata diventa un
dramma. Ci sono corsi obbligatori ai quali non puoi sottrarti, peccato che
siano corsi di sabato e quasi sempre non retribuiti. La nuova capo area ha
rivoluzionato il modo di presentarsi al cliente, sei costretta a mettere in
campo tutti gli strumenti in tuo possesso, devi non solo vendere un prodotto ma
viene imposta una disponibilità totale alle esigenze aziendali almeno sei
giorni su 7, 12 ore al giorno, devi rispondere anche dopo a chiamate o messaggi
whatsapp. Un tempo potevamo organizzare il lavoro con maggiore libertà ora
invece non accade più, sei chiamata senza preavviso e sbattuta in una città
vicina per pochissimi euro di paga maggiorata tornando a casa dopo 12 ore.Devi
essere felice per comunicare al cliente il piacere dell’acquisto, ci viene
ripetuto ogni giorno, ma come faccio a essere soddisfatta di un lavoro che
brucia ogni energia fisica ed intellettuale? A quando la richiesta di ben altre
disponibilità?
R, 32 anni, operaio agricolo. Lavoro in una cooperativa del verde, rispettano il
contratto nazionale di riferimento, non possiamo lamentarci ma se confronto le
ore lavorate con la paga finale mi accorgo di essere sfruttato. Ho avuto un
infortunio serio sul lavoro due anni fa ma dopo 4 mesi ero già in produzione e
al medico del lavoro non ho portato tutta la documentazione medica che
attesterebbe parziali inidoneità. Perché non l’ho fatto? Perché verrei
collocato in altre aree lavorative dove non si fa un’ora di straordinario e
quelle 200\300 euro al mese in piu’ sono per me indispensabili, ho moglie e due
figli e un affitto da pagare. I committenti girano nei cantieri e ti chiedono
ogni giorno di eseguire nuovi lavori, di farli diversamente da come li hai
sempre eseguiti E per soddisfare la stazione appaltante siamo costretti a
repentini cambi organizzativi, disponibili ad allungare i tempi di lavoro o a
flessibilizzare l’orario in base a richieste sempre più pressanti. In teoria
ogni lavoro avrebbe necessità di una distanza critica, di un punto di vista
personale, anche nel realizzare i giardini, ma questa autonomia non è ammessa.
Tra lavoro prescritto, cio’ che dobbiamo fare, e il lavoro reale, quanto in
realtà svogliamo, corre grande differenza
D, 50 anni quadro aziendale. Laurea in economia con il massimo dei voti, da
anni alle risorse umane in una multinazionale. Mi sento come un Kapò, è questa
la tragica realtà, sono io a dettare linee guida e comportamenti secondo
obiettivi non dissimili da quelli di una fabbrica fordista, i miei sottoposti
sono come automi o almeno tali appaiono ai mie occhi. Perché accetto di
raccontarvi questa storia? Perché ho una figlia ricoverata in un ospedale a
psichiatria, il suo disagio profondo ha sconvolto la mia stessa esistenza, non
le ho dedicato tempo per troppi anni assorito dalla carriera e supino agli
ordini aziendali. Se prima eravamo pezzi di un ingranaggio o di una catena
grande, oggi i lavoratori e le lavoratrici sono sempre più soli e vulnerabili.
Molti dipendenti operano in smart, non hanno tempi di lavoro morti, non li
paghiamo, come accade nel pubblico, i buoni mensa ma controlliamo il loro
operato costantemente, in maniera più asfissiante che se operassero in
presenza. Mettiamo in competizione i lavoratori e le lavoratrici, ogni anno
chiediamo prestazioni aggiuntive in cambio di bonus e welfare aziendale. Visto
che fanno una vita sedentaria abbiamo proposto invece degli aumenti la
iscrizione in palestra o un piano alimentare con un dietologo per abbattere il
colesterolo, anche le prestazione del welfare aziendale sono studiate a
tavolino e a guadagnarci è sempre l’azienda perchè un lavoratore in forma alla
fine rende di piu’ di uno in condizioni di salute precarie. Visto che molti
impiegati non volevano subire una organizzazione aziendale modello fordista li
abbiamo accontentati con piani personificati e lavoro smart, non si sono
neppure accorti di avere accresciuto la produttività senza un euro di aumento e
anzi per accrescere il prestigio e sperare in promozioni di carriera sono
sempre più proni ai dettami aziendali, disponibili a lavorare anche nei giorni
festivi o di sera senza essere visti da colleghi\e. E i sindacati? Si
accontentano di sottoscrivere accordi con il welfare aziendale, il cral della
azienda riceve sempre dei benefici e così guadagnamo il loro assenso.
Nessun commento:
Posta un commento