Molte decisioni durante la pandemia sono state prese sulla base del concetto di stupidità collettiva. Sull’idea del popolo bue, della gente analfabeta funzionale, degli italiani incoscienti… si sono prese decisioni insensate: sono state imposte dall’alto decisioni che se lasciate ai singoli, dando fiducia al prossimo, in realtà avrebbero avuto la stessa efficacia e avrebbero aiutato a responsabilizzare.
Se ci fosse stata più fiducia nei cittadini tutta
una serie di misure dal sapore paternalistico ce le saremmo risparmiate. Ma sia per i politici che per il nostro ego
la retorica che porta a sentirsi illuminati e superiori agli altri funziona. E
così si dà addosso ai medici, che sarebbero incompetenti e non sanno
curare, agli insegnanti che
non hanno voglia di lavorare, ai
giovani incoscienti ed egoisti, ai genitori che ubbidiscono e non si ribellano, alle mamme che hanno paura di
tutto, agli scienziati sempre in tv che dicono tutto e il contrario di
tutto, ai giornalisti che
pur di vendere la notizia utilizzano un linguaggio scandalistico lontano dalla
realtà… Finisco con questa ultima affermazione perché riguarda anche me. Io per
prima l’ho scritto perché ammetto di considerare i giornalisti i massimi
responsabili del clima terribile generato in Italia con la pandemia. Ma in
realtà anche loro ubbidiscono alle leggi del mercato, al simbolico del denaro e
del potere.
Lasciatemi quindi dire che non solo queste generalizzazioni non funzionano ma non aiutano nemmeno a pensare.
Rendono la situazione immodificabile in modo che il senso di impotenza cresce, funzionale
a chi prende le decisioni e a chi sta davvero al potere. Infatti non tutti i
giornalisti stanno a questo gioco come non tutti gli scienziati sono rapiti dal
loro narcisismo e non si prendono la responsabilità di quello che affermano. Io
penso che bisogna fare molta
attenzione a chi si prende di mira e bisogna farlo radicando la riflessione
partendo da sé… Bisogna lavorare negli interstizi, facendo leva sulle relazioni con persone che puntano
sull’indipendenza simbolica, che non
rinunciano a dire la loro verità con il rischio di ritrovarsi sole, ma che al
tempo stesso non rinunciano a scambiare con chi la pensa diversamente,
con chi ha un linguaggio e competenze differenti, in un conflitto che non
diventa contrapposizione e schieramento, banalizzazione con identificazione del
nemico di turno, ma che implica accettare di fare spazio per la verità
dell’altro, quando si vede onestà intellettuale.
Questo cerco nella mia vita, da una vita. L’ho
imparato dal femminismo e cerco di metterlo in
pratica nei progetti nati con la pandemia. Questa per me è l’unica
strada interessante proprio perché molto ambiziosa, l’unica a mio parere
efficace, lontana dalle dinamiche
di potere e dalle ideologie, ma radicata alle idealità e non
disposta a svenderle. Lontana da verità assolute e opportunismo ma ancorata ai dubbi. Questo è quello
cerco di mettere in pratica con il collettivo che sta nascendo attorno
alla pagina della “Goccia”.
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