La più grande minoranza culturale europea, spesso risolta come gruppo
etnico o come razza zingara: i Rom in Europa scatenano grandi passioni e intolleranze,
per il solo fatto di esistere. In Italia la questione non è migliore: i Rom
sono appena lo 0,25 per cento della popolazione italiana, per la maggior parte
integrata in una vita quotidiana uguale a tutti gli altri, in case come tutti
gli altri. A Roma, i Rom sono visibili a tutta la cittadinanza perché abitanti
dei campi nomadi, famiglie che vivono in baracca anche dalla guerra
nell’ex Jugoslavia, quando scapparono dalla sanguinosa vergogna europea i Rom
Serbi come quelli della Bosnia. Scapparono dalla guerra e vivono da quattro
generazioni nei campi ufficiali del Comune di Roma.
A Roma vive il 41 per cento delle comunità Rom abitanti campi nomadi,
secondo i dati forniti dall’Associazione 21 Luglio, da tempo attenta osservatrice delle
situazioni invivibili dei campi: sporcizia, topi, baracche spesso mantenute
dignitose dai grandi sforzi delle donne, poca acqua, nessun servizio. I campi
ora sono vigilati dalle Forze Armate, l’ingresso è vietato a chi non ci
vive. Una prigione a cielo aperto, da cui però non è impossibile
uscire, come stanno facendo alcune famiglie appena possono, o come propone
l’Associazione 21 Luglio. A Roma esistono più di cento insediamenti
formali, oltre che diverse decine di campi informali: ci vivono circa 20.000
persone, troppo povere per provare altre soluzioni abitative e per essere
ascoltati.
Carlo Stasolla è impegnato da molti anni a proporre alle amministrazioni
pubbliche soluzioni che tengano conto dei Diritti Umani anche per le persone
Rom: tutte le politiche susseguitesi in trent’anni non hanno risolto la
questione sociale, in primis abitativa per decine di migliaia di persone, di
cui almeno la metà minori. La situazione non è migliorata con
l’emergenza Covid-19: come analizza Stasolla, “è aumentato l’abbandono
istituzionale di cui i campi sono vittime da diversi anni; è continuata
l’amnesia verso queste persone baraccate, dato che nei campi non vivono solo
Rom; aumenta l’esclusione e la marginalità sociale. È peggiorata una
situazione già molto critica: al campo di Castel Romano, il più grande di
Roma, gli abitanti hanno continuato a prendere l’acqua alla solita autobotte,
senza che nessuno si preoccupasse di garantire l’approvvigionamento in modo
sicuro. Ancora più drammatica la situazione dei minori Rom: prima del Covid-19,
solo il 20 per cento erano scolarizzati, con il lockdown l’abbandono
scolastico è stato fortissimo, dato che per i bambini e le bambine è stato
impossibile seguire la didattica a distanza, in situazioni in cui per esempio
non c’è la rete internet. Le scuole hanno pochissimi contatti con le
famiglie Rom, l’ufficio scolastico del Comune di Roma non ha fatto altro
che registrare l’aumento vertiginoso dell’abbandono scolastico. Pochissimi
bambini sono tornati a scuola”.
In questa situazione di abbandono, l’Associazione 21 Luglio ha attivato una
campagna per fornire pacchi bebè alle famiglie in una situazione di
deprivazione economica totale. “Un pacco bebè costa 25 euro, un neonato ha
bisogno di almeno 100 euro di prodotti al mese. Abbiamo raccolto 100.000 euro,
come prima risposta all’emergenza“. L’economia di molte famiglie,
basata sulla raccolta dei rifiuti ed il loro riciclo o la vendita nei mercati,
attività spesso svolte a nero, è stata devastata dall’emergenza,
rendendo impossibile anche l’alimentazione. I pacchi bebè, oltre che per
agli abitanti di Tor Bella Monaca, sono stati donati alle comunità dei campi di
Castel Romano, Salone e Tor Cervara. “Hanno partecipato alla composizione dei
pacchi ed alla sua distribuzione politici, cardinali, esponenti associativi, le
stesse mamme, gli abitanti di Tor Bella Monaca. È stata data così una mano in
una situazione sociale grave, questa soluzione ha dato una boccata d’ossigeno
per tirare avanti”. Chi ha potuto è scappato dai campi romani: “Tanti sono
andati via, alcuni sono tornati in Romania perché meglio fare la fame a casa
loro, e la Romania fino a qualche settimana fa era la prima nazione dell’Unione
Europea per casi Covid-19. Chi non ha potuto andarsene è rimasto, ma le
prospettive non sono rosee”. Come nel campo “tollerato” di Via Salviati, lì
nessuno se n’è andato e continuano a viverci circa 250 persone, e l’emergenza
continua.
Il 3 giugno sarà presentato il Piano per il superamento dei Campi Rom,
proposta che l’Associazione 21 Luglio farà al Comune di Roma e alle
amministrazioni locali disposte a discutere di questo tema. “Le misure adottate
dall’amministrazione comunale sono fallite, non hanno funzionato come avevamo
già fatto presente alla Sindaca Raggi, le soluzioni calate dall’alto non
tengono conto della realtà”. Eppure dai campi le famiglie Rom continuano a
uscire: “Le famiglie si stanno attivando autonomamente per l’accesso alle case
popolari, nel biennio scorso cinquecento persone sono uscite dai campi
per abitare nelle case popolari pubbliche. Non è vero che i romani sono
razzisti e non vogliono i Rom come vicini di casa, a parte Casal Bruciato non è
successo niente. Bisogna sostenere politiche ordinarie, non quelle
straordinarie che non funzionano. Il nostro piano parte da una programmazione
partecipata con le persone, non servono uffici speciali Rom,
assistenti sociali dedicati, piani sviluppati a tavolino. Occorre ascoltare
quali sono i bisogni, partendo dalle persone, per avviare le politiche di
effettivo superamento dei campi. Riteniamo che se un sindaco applicasse il
nostro piano, in quattro anni si chiuderebbero tutti i campi romani, con costi
sicuramente minori di quelli finora impegnati”.
L’Italia, secondo l’Unione Europea, è ancora chiamata non a caso il paese
dei campi, Roma è la capitale anche in questo (nell’autunno del 2000, la rivista
Carta pubblicò il rapporto dell’European roma rights cnter, il cui titolo
era Il paese dei campi...). “Occorre un’azione forte di
discontinuità, per evitare gli errori fatti fino ad ora”. D’altronde, i campi
sono l’unica soluzione per chi non ce la fa ad uscirne: “Abbiamo osservato negli
ultimi anni che le giovani generazioni vogliono uscire dal ghetto campo.
L’altro elemento è che la situazione nei campi è così drammatica che tante
famiglie stanno cercando di uscire. Chi rimane ha situazioni molto fragili, con
ragazzi con disabilità, senza altra prospettiva sociale, ma la vita nei campi è
sempre più invivibile”.
Una visione della società a partire dagli ultimi che l’Associazione 21
Luglio vuole proporre, anche organizzando una Scuola Politica che
sta riscuotendo molto successo, con l’obiettivo di agganciare i grandi temi
sociali e culturali del paese anche alle condizioni di vita dei Rom, non più
visti come minoranza etnica ma come persone estremamente povere, perché nei
campi vivono persone con grandi difficoltà a cui la società civile deve
attenzione. Un’attenzione che è sempre sottolineata dall’Unione Europea: “Ma le
raccomandazioni europee non sono vincolanti, più di questo non si può fare, non
essendoci vincoli le amministrazioni locali fanno quello che vogliono”.
Il 5 luglio l’Associazione 21 Luglio organizzerà a Roma un convegno
nazionale, presentando uno studio su dieci città italiane che hanno cercato di
superare i campi nomadi, dove parteciperanno gli amministratori comunali
coinvolti per mettere a confronto le pratiche realizzate. “Amministrazioni
di tutti gli orientamenti politici si stanno impegnando nel superamento dei
campi dando case popolari ai Rom, come quella leghista di Ferrara,
ma anche Palermo, Firenze, Sesto Fiorentino, Moncalieri (Torino).
Al di là dell’ideologia, serve il buon senso, capire che sgomberare non
serve a nulla, ma bisogna attivare processi di inclusione chiudendo i campi
e facilitando i percorsi di cittadinanza delle persone”.
A Roma, in pieno lock down, sono invece continuati gli sgomberi forzati, proibiti anche dalla legislazione di emergenza. “Si è violato la normativa nazionale, articolo 130 del Decreto Conte, oltre che i Diritti Umani. Le persone sgomberate si sono trasferite di pochi metri, in condizioni ancora più povere perché le ruspe avevano distrutto quel poco che avevano. Gli sgomberi sono un cinico gioco dell’oca, che perpetuano gli stati di emergenza. Finora, come 21 Luglio, abbiamo diverse interlocuzioni con le amministrazioni pubbliche. A Roma la porta è sempre stata chiusa, nonostante abbiamo più volte chiesto confronti. Speriamo che con la prossima amministrazione si possa dialogare, vorremmo portare avanti il nostro piano per il superamento dei campi, per cambiare un approccio finora sbagliato. Abbiamo speranza che con la prossima amministrazione cambi il clima, facendo proprio il piano che proporremo, cambiando l’approccio di politiche sociali dall’alto verso il basso, avviando un dialogo che possa mettere fine alla stagione dei campi”. Già, malgrado tutto se lo augurano in tanti e tante, che non debbano più esistere poveri e campi per poveri.
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