I video sono ovunque su Youtube. Soldati israeliani mascherati assaltano la casa di una famiglia palestinese nel cuore della notte. I genitori, vestiti con indumenti da notte, sono improvvisamente circondati da uomini pesantemente armati con il passamontagna.
I bambini piccoli sono costretti a svegliarsi. Con un misto di confusione e
paura, sono costretti a rispondere alle domande poste loro in un arabo stentato
da questi sconosciuti senza volto e armati. Vengono allineati in una stanza
mentre i soldati li fotografano con in mano la carta d’identità. E poi, proprio
come sono arrivati, gli uomini mascherati scompaiono nella notte.
Non ci sono domande oltre all’identificazione delle persone in casa.
Nessuno viene “arrestato”. Non c’è uno scopo ovvio; solo il senso di sicurezza
di una famiglia distrutto per sempre.
Per la maggior parte delle persone che guardano questi video sconvolgenti,
tali scene sembrano un incubo orwelliano. E di sicuro Israele ha dato a
questa procedura un nome orwelliano: “Intel Mapping” (“Mappatura delle
Informazioni”).
La scorsa settimana, su pressione dei tribunali, l’esercito israeliano ha
annunciato di aver posto fine alla pratica della “mappatura”, a meno che, e
questa sarà una scappatoia facilmente sfruttabile, non vi siano “circostanze
eccezionali”.
Dato che le famiglie le cui case, intimità e dignità vengono violate non
sono sospettate di alcun reato, è difficile immaginare quali “circostanze
eccezionali” potrebbero mai giustificare queste incursioni umilianti e
terrificanti.
Intrusi mascherati
Nell’annunciare la sua decisione, l’esercito israeliano ha affermato che
nell’era digitale c’erano altri strumenti che poteva usare per ottenere
informazioni sui palestinesi, oltre a invadere casualmente le loro case con le
armi spianate nel cuore della notte. Un comunicato ha aggiunto che si
tratta di un gesto umanitario volto a “mitigare lo sconvolgimento della vita
quotidiana dei cittadini”.
Tranne, naturalmente, che i palestinesi non sono “cittadini” israeliani;
sono soggetti senza diritti che vivono sotto una belligerante occupazione
militare. E non si tratta di “disagi”, i palestinesi non stanno affrontando un
ritardo imprevisto del treno, ma una forma di punizione collettiva, e quindi un
crimine di guerra.
Come osserva un rapporto di tre organizzazioni israeliane per i
diritti umani pubblicato lo scorso novembre, “è altamente dubbio che qualsiasi
caso di mappatura possa essere considerata legale ai sensi del diritto
internazionale”. Tuttavia, queste invasioni domestiche sono all’ordine
del giorno. Sono parte integrante della politica dell’esercito israeliano di
sorveglianza, controllo e persecuzione dei palestinesi.
Secondo i dati raccolti dalle Nazioni Unite, l’esercito israeliano ha
effettuato circa 6.400 “operazioni di ricerca o di arresto” solo nel 2017 e nel
2018, ciascuna operazione potenzialmente comprendente più di una casa. Una
ricerca di Yesh Din, un gruppo israeliano per i diritti umani, mostra che la
stragrande maggioranza di tali operazioni inizia tra mezzanotte e le cinque del
mattino.
In un quarto dei casi i soldati sfondano la porta per entrare e in un terzo
dei casi un familiare viene aggredito fisicamente. Due terzi delle famiglie
hanno subito queste invasioni più di una volta.
Le operazioni di “Intel Mapping” sono state particolarmente difficili da
giustificare per l’esercito su qualsiasi tipo di motivo di sicurezza. Ciò ha
portato all’inizio di quest’anno a un esame non gradito da parte della Corte
Suprema israeliana, che ha dato tempo all’esercito fino ad agosto per divulgare
la formulazione del suo protocollo di “mappatura”. La cancellazione
della pratica da parte dell’esercito la scorsa settimana significa che la
logica per traumatizzare migliaia di famiglie palestinesi per molti anni
continuerà a essere un segreto.
Crimini di guerra abituali
La realtà è che la “mappatura” non ha mai riguardato la costruzione di
un’immagine più accurata della società palestinese. Ha molti altri scopi, molto
più sinistri.
In termini pratici, viene utilizzato per addestrare giovani soldati
israeliani, familiarizzandoli con le tecniche di invasione delle case
palestinesi e di intimidazione dei palestinesi, il tutto in un ambiente sicuro
per i soldati. L’esercito sa che i genitori palestinesi si occuperanno
principalmente di proteggere i propri figli dalla terrificante presenza di
intrusi armati in quello che dovrebbe essere lo spazio più sicuro della
famiglia.
In una testimonianza di Breaking the Silence, un’organizzazione
di ex soldati israeliani che rivelano il loro passato nell’esercito, un soldato
ha osservato: “Raramente c’è una motivazione operativa per questo. Spesso,
la motivazione è pratica, il che significa che per la prima volta abbiamo uno
strumento di violazione per forzare porte aperte; nessuno ha un programma,
quindi decidiamo di irrompere in una casa in qualsiasi momento.”
Ma ci sono altri scopi, anche più oscuri, dietro queste incursioni casuali
di “mappatura”. Fanno parte del processo graduale attraverso il quale
l’esercito forma i suoi giovani soldati ad una vita di costanti crimini di
guerra. Abbatte il loro senso della moralità e ogni residuo di compassione dopo
anni di esposizione nel sistema scolastico israeliano al razzismo
anti-palestinese.
Terrorizzare i palestinesi, anche i bambini, diventa rapidamente parte
della monotona routine dei “doveri” militari.
Guerra psicologica
Ma soprattutto, le irruzioni nelle abitazioni traumatizzano i palestinesi
con modalità studiate per consolidare l’occupazione e renderla permanente. Sono
una forma di guerra psicologica, una campagna di terrore, contro le famiglie e
le comunità in cui vivono. Rafforzano il messaggio che l’esercito
israeliano è ovunque, controllando i più piccoli dettagli della vita dei
palestinesi.
I soldati prendono a cuore queste indicazioni. Uno ha detto di aver capito
che lo scopo di nascondere il volto “era quello di essere più intimidatorio,
più spaventoso, e quindi forse trovare meno resistenza”.
L’attività di “mappatura” è progettata per far credere ai palestinesi che
qualsiasi tipo di opposizione all’occupazione è inutile o controproducente. Le
invasioni domestiche lasciano cicatrici permanenti, poiché le donne spesso
descrivono di sentirsi violate e di perdere un senso di orgoglio nella loro
casa, mentre gli uomini soffrono del trauma associato all’incapacità di
proteggere mogli e figli. I bambini soffrono di ansia e disturbi del sonno e
fanno fatica a scuola.
C’è un ulteriore obiettivo in queste operazioni di “mappatura” quando gli
insediamenti ebraici sono stati costruiti vicino alle famiglie palestinesi
prese di mira. Le invasioni domestiche avvengono regolarmente per queste
famiglie, servendo come forma di pressione per incoraggiarle ad abbandonare le
loro case in modo che i coloni possano occuparle.
Un sondaggio delle Nazioni Unite del 2019 su un’area di Hebron ambita dai
coloni ha rilevato che in un periodo di tre anni, il 75% delle case palestinesi
nel quartiere era stato “mappato”. Un residente la cui casa è stata
perquisita più di 20 volte ha detto ai ricercatori di Yesh Din: “Penso che le
irruzioni dei soldati siano solo un deterrente, per cacciarci di casa”.
Spiare i palestinesi
Persino alcuni ex soldati capiscono che le motivazioni della raccolta di
informazioni per queste invasioni sono fasulle. Molti hanno detto ai gruppi per
i diritti umani che le informazioni presumibilmente ottenute da queste
operazioni non sono mai state utilizzate in seguito. Nessuno è stato in grado
di indicare una banca dati in cui venivano archiviate le informazioni.
Anche se le operazioni di mappatura riguardavano principalmente la raccolta
di informazioni, l’esercito ha mezzi molto più efficaci per spiare e
controllare la popolazione palestinese nei territori occupati della
Cisgiordania e di Gerusalemme Est.
Il lavoro dell’Unità 8200, una delle tante squadre dell’esercito per
raccolta di informazioni, include l’ascolto delle comunicazioni palestinesi per
trovare segreti che possono essere usati per ricattare ed estorcere ai
palestinesi la collaborazione con le autorità di occupazione.
Una cosiddetta unità informatica nel Ministero della Giustizia israeliano
ha il compito di spiare Internet e le comunicazioni sui social media dei
palestinesi. E Israele ha infinite altre fonti di informazione sui
palestinesi: collaboratori, il registro della popolazione palestinese che
controlla, documenti di identità biometrici, tecnologia di riconoscimento
facciale, interrogatori ai posti di blocco, uso di droni e sequestro di
palestinesi per interrogatori.
Complicità dei tribunali
Ancora più importante, l’esercito sa che può continuare come prima
con queste invasioni domestiche usando altri pretesti. Comprenderà le
operazioni di “mappatura” all’interno di tipologie ancora più violente di
incursioni notturne, come la ricerca di armi, gli interrogatori di bambini sul
lancio di pietre o gli arresti.
Purtroppo, i tribunali israeliani hanno sempre mostrato la volontà di
colludere con l’esercito proprio in questo tipo di inganni salva-faccia e
ciniche manipolazioni del linguaggio. Non c’è motivo di credere che il
sistema giuridico israeliano farà qualcosa di concreto per garantire che le
invasioni domestiche, sia per “mappatura” che per qualsiasi altro scopo,
abbiano fine.
I resoconti dei tribunali israeliani sono stati costantemente pessimi nel
proteggere i palestinesi dagli abusi dell’esercito israeliano. Anche
quando i tribunali si pronunciano tardivamente contro i protocolli militari che
violano palesemente il diritto internazionale, l’esercito trova invariabilmente
il modo di indebolire la sentenza, di solito con la complicità del tribunale. Per
anni, l’esercito ha continuato a usare i palestinesi come scudi umani,
trascinando avanti procedimenti legali riqualificando la pratica come una
cosiddetta “procedura di vicinato” o “preavviso”.
Non è difficile immaginare che “l’intel mapping” possa ricevere un simile
rifacimento linguistico usando un nuovo gergo. E c’è un motivo in più per essere
scettici: Più di 20 anni fa, l’Alta Corte israeliana ha vietato la
tortura dei detenuti palestinesi, eppure, è continuata quasi senza sosta perché
la Corte ha creato una scappatoia per i casi definiti come “bombe ad
orologeria”, quando cioè gli interrogatori presumibilmente devono affrontare
una corsa contro il tempo, a causa di un pericolo imminente, per estorcere
informazioni “necessarie” per salvare vite umane.
La realtà è che quando Israele tratta la sua occupazione come permanente,
allora preservare l’infrastruttura dell’occupazione, per sorveglianza,
controllo, intimidazione e umiliazione, diventa una necessità assoluta. Quando
l’occupante cerca inoltre di cacciare i palestinesi per sostituirli con la
propria popolazione di coloni, il marciume è ancora più profondo. Uomini, donne
e bambini palestinesi sono ridotti a nient’altro che pedine da spazzare via da
una scacchiera.
Per questo motivo, le invasioni domestiche, il terrore delle famiglie nel
cuore della notte da parte di soldati mascherati, continueranno, qualunque sia
l’eufemismo usato per giustificarli.
*****
Jonathan Cook è un giornalista britannico che vive a Nazareth dal 2001, in
passato ha vinto il Premio Speciale Martha Gellhorn per il giornalismo.
La versione originale di Middle East Eye
Traduzione in italiano di Beniamino Rocchetto per Invictapalestina.org
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