La logistica che uccide - Marco Revelli
La logistica
si sta rivelando ogni giorno di più come il vero cuore nero del capitalismo
italiano. Il punto di snodo delle linee strategiche del modello produttivo
dominato dalle grandi piattaforme, quello dove con maggiore intensità si
scaricano i processi di accelerazione in corso e, di conseguenza, si esasperano
i livelli dello sfruttamento e le tensioni nel rapporto capitale-lavoro. La
morte atroce di Adil Belakhdim davanti ai cancelli della Lidl di Biandrate ne è
una terribile conferma. Riproduce il profilo della più classica conflittualità
sindacale in tempi d’imbarbarimento dell’agire padronale, quando si arriva a
toccare la nuda vita, e a toglierla, in un contesto nel quale la logica del
profitto mostra di non rispettare più nulla, né leggi dello Stato (di uno Stato
che ha abdicato alla propria sia pur formale imparzialità) né della decenza. Un
sindacalista che partecipa a un picchetto – lo strumento principe di ogni vera
lotta sindacale -, un crumiro che trasforma il proprio autocarro in un’arma
micidiale contro gli scioperanti, un corpo steso sotto un telo blu sul piazzale
del capannone di una delle tante società che hanno contribuito a esasperare il
confronto. Adil era il coordinatore novarese del Si Cobas, sindacato
radicatissimo nel comparto ma spesso ignorato o marginalizzato ai tavoli
negoziali, aveva 37 anni, due figli, e la dignità di chi non abdica ai propri
diritti.
Ora sappiamo
che il presidente del Consiglio Draghi chiede di “fare piena luce”. E ci
domandiamo: “su cosa?” Basterebbe una sia pur fuggevole occhiata ai fatti, di
oggi e delle settimane passate, per capire ciò che sta accadendo. E le relative
cause e responsabilità. Qualche giorno fa a Tavazzano, vicino a Lodi,
l’aggressione a un altro picchetto dei lavoratori Si Cobas della logistica da
parte di energumeni sul modello tardo ottocentesco dei Pinkerton americani, a
terra numerosi lavoratori, uno in gravi condizioni. E prima ancora, gli scontri
a San Giuliano Milanese, sempre in quel triangolo incandescente della logistica
che sta tra lodigiano, cremonese, piacentino – punto d’incrocio dei grandi assi
autostradali su cui viaggiano, ininterrotti, i flussi di merci oltre che
maxi-focolaio Covid fin dalla prima ondata – dove il nuovo far west del lavoro
mette in scena il proprio mucchio selvaggio. All’origine di tutto l’iniziativa
della FedEx TNT, gigante della trasportistica globale: circa 400.000 collaboratori,
160.000 veicoli, 657 aerei, 70 miliardi di dollari di fatturato dopo aver
incorporato per 4 miliardi e mezzo il colosso olandese. Grande beneficiata
dalla pandemia: nei 9 mesi che vanno dal maggio 2020 a febbraio ’21 ha
incrementato i propri ricavi di 10 miliardi di dollari e il risultato operativo
do 4. La quale fin da febbraio ha deciso di chiudere il proprio sito
piacentino, dove i Cobas erano maggioritari, lasciando a casa centinaia di
lavoratori e distribuendo le proprie sedi logistiche nei capannoni lodigiani e
milanesi, davanti ai quali appunto i licenziati hanno inseguito il proprio
lavoro disperso e sono stati accolti a sprangate. E’ un anticipo di come questi
padroni intendono la “ripartenza” e interpretano la fine del blocco dei licenziamenti.
Draghi, se vuole la luce, farebbe bene ad accenderla in casa propria. Vedrebbe
in quale misura il suo governo ha favorito questo tipo di interessi non certo
orientati al bene comune, e quanto ne abbia irrobustito l’arroganza.
Se poi,
visto che siamo in tema di illuminazione, si degnasse di accendere un lumino
anche fioco, magari una lampadina a pochi ampères o persino una candelina, su
quell’accrocchio infetto che proprio tra il basso milanese e il piacentino vede
innestarsi le logiche globali di FedEx con quelle locali di operatori come la
Zampieri holding, la quale ufficialmente si occupa di “trasporto collettame a
Roma per conto terzi”, ma nel caso specifico nelle vicende piacentine di suo
mette a disposizione i capannoni vuoti in cui ospitare le esternalizzazioni
FedEx, interfacciandosi nello stesso tempo con soggetti come la Logis srl a sua
volta interconnessa con la Nks Security & Global Service, società tutte
nelle quali logistica e sorveglianza, trasporto e offerta di servizi oscillanti
tra l’intelligence e il bodyguarding si supportano e si mescolano a vicenda in
una logica tendenzialmente militarizzata (la si è vista all’opera a Tavazzano)…
beh, se Supermario buttasse il suo occhio ben educato su questa materia
maleodorante di sopruso e di violenza, da caporalato 4.0 e insieme da padroni
delle ferriere ottocentesche, forse un’idea un po’ più chiara di cosa la sua
ripresa e annessa resilienza stiano portando con sé, in termini di tecniche e
pratiche di comando sul lavoro di ultima generazione… Il “Fatto
quotidiano” un primo sguardo l’ha dato, con i limitati mezzi
investigativi che ha a disposizione, e i risultati già inquietano. Se lo
facesse lo Stato…
L’ha
avvertita perfettamente la puzza di bruciato che sale da questi territori
fibrillanti Ezio Mauro, in un bell’editoriale di “Repubblica” in cui virus e
“civiltà del lavoro” venivano messi in connessione nel quadro di una quasi
mortale malattia sociale: “Gli operai-facchini che picchettano il fantasma del
lavoro scomparso rincorrendolo nella sua mobilità, le squadre dell’azienda che
sfondano il blocco, in una sorta di appalto del conflitto – ha scritto -, sono
le due facce dell’ultima mutazione. Che non a caso si compie nel settore chiave
del cambiamento della domanda e dell’offerta, del costume e delle abitudini,
quella “logistica” del trasporto e consegna di merci e prodotti arrivata oggi a
100 miliardi di euro di fatturato, il 7 per cento del Pil. Con la pandemia che
ha funzionato da acceleratore dei fenomeni, spingendo il settore in 24 mesi ad
un giro d’affari che nelle previsioni si sarebbe raggiunto soltanto in nove
anni”. E aggiungeva: “Non è un caso nemmeno che l’epicentro di questo
cortocircuito finale sia il Piacentino, con i suoi 8 mila addetti alla
logistica in un distretto che ha una distesa di capannoni pari a 5 milioni di
metri quadrati, proprio all’intersezione tra le due autostrade E35 ed E70: qui
durante la prima ondata si era concentrato anche il virus, viaggiando sui tir
per sopravvivere durante il lockdown, e causando nella prima fase proprio a
Piacenza – insieme con Cremona – il numero di morti più alto d’Italia in
rapporto alla popolazione”. In questo contesto – è la conclusione – dove il
vertice della modernità e il massimo del primitivismo di toccano e si
confondono, il lavoro rischia di andare in pezzi, e così la civiltà che su di
esso si è costruita, i suoi sistemi di mediazione, le sue forme del
riconoscimento e della rappresentanza, le modalità dell’attribuzione di status
e dei diritti, nella regressione a una sorta di stato di natura dove vale,
brutale, solo la legge del più forte. E la democrazia perde di significato.
Altro che resilienza! Forse si dovrebbe parlare di entropia.
Ma questa
storia non parla solo dell’imbarbarimento padronale. Parla anche di un
fallimento storico del sindacato confederale. Del buco nero che il suo
abbandono dei canoni più propri del sindacalismo classico ha lasciato scoperto.
Della sua incapacità di tutelare le fasce più sfruttate (spesso composte da
lavoratori migranti, i più vulnerabili, quelli per cui basta il ritiro del
permesso di soggiorno per cancellarne l’esistenza). Della sua pervicace volontà
di tagliare fuori le rappresentanze di base dalle trattative. Talvolta della
sua, reale o apparente, connivenza con una controparte che non sanno, o non
vogliono, contrastare come si dovrebbe. Non si deve dimenticare che lo sciopero
per cui Adil è morto si svolgeva nel quadro della giornata nazionale di
mobilitazione della logistica proclamata da tutto il sindacalismo di base
contro gli episodi di “squadrismo padronale” ma anche contro il contratto
nazionale di lavoro di recente siglato dai Confederali e considerato, appunto,
collusivo. Così come fa male, a chi ha conosciuto la CGIL in altri tempi,
sapere che l’intervento della polizia contro i picchetti dei lavoratori della
FedEx TNT di Piacenza che all’inizio di aprile protestavano contro la chiusura,
era stato richiesto da esponenti della Camera del lavoro locale (un esposto in
tal senso era firmato dal segretario della Filt Cgil piacentina),
che infatti nei giorni successivi era stata circondata in segno di
protesta da centinaia di lavoratori
disgustati. Spettacolo che dovrebbe far riflettere i tanti che
ancora in CGIL credono nella propria storia, e che a me personalmente ha
ricordato il luglio del’62 a Torino, quando migliaia di operai Fiat assediarono
la sede della Uil, rea di aver firmato un contratto separato con Valletta. E
fu, quello, l’inizio del poderose ciclo di riscossa operaia che sarebbe
culminato con l’autunno caldo.
LE MORTI ANNUNCIATE. UN COMPIANTO FUNEBRE PER ADIL BELAKHDIM - Peppe Sini
L'uccisione di Adil Belakhdim, militante sindacale, ennesima vittima della
violenza padronale, rivela cosa sia diventata l'Italia negli ultimi decenni.
Nel comparto della logistica lo sfruttamento della forza-lavoro si svolge
ormai in condizioni palesemente semi-schiaviste e in una sorta di regime
neo-coloniale: la mano d'opera in gran parte immigrata subisce il doppio
sfruttamento del ricatto schiavista padronale e dell'apartheid imposto da uno
stato che nel corso dei decenni oltre che come comitato d'affari della
borghesia (e della rendita) sempre di piu' si e' fatto - nel suo ceto politico
ed amministrativo e nelle sue effettuali strutture e dinamiche di potere -
razzista e fascista.
Oppressione di classe e razzismo sono qui una cosa sola. Chi organizza la
resistenza e' aggredito, perseguitato, ucciso.
Cosi' come ogni giorno la deregolamentazione imposta dal capitalismo
selvaggio uscito vincitore dal secolo breve uccide lavoratrici e lavoratori
vittime sia di patologie legate alle condizioni imposte dai datori di lavoro
sia di incidenti sul luogo di lavoro determinati da ritmi sempre piu' frenetici
e modalita' organizzative sempre piu' brutali: e sono morti che sempre si
potevano evitare se soltanto si fossero disposti adeguati sistemi e protocolli
di salubrita' e sicurezza, se soltanto si fossero rispettati i diritti sanciti
dalla Costituzione della Repubblica italiana, se soltanto le lavoratrici e i lavoratori
non fossero costretti a subire rapporti di dominio e alienazione sempre piu'
disumani.
Le lotte operaie nella logistica - come quelle bracciantili contro il
caporalato - sono lotte di resistenza per difendere condizioni minime di
umanita', e quindi di civilta': hanno quindi un valore generale, che coinvolge
l'umanita' intera; hanno un valore generale che le ricollega alla resistenza
antifascista, al movimento antischiavista, alle plurisecolari lotte per la
conquista dei diritti umani fondamentali per tutti gli esseri umani.
*
Oggi il capitalismo ha trionfato su scala mondiale, non vi e' paese al
mondo che non gli sia asservito: la stessa Cina, che pure ha un regime politico
caratterizzato dal partito unico e un'ideologia statuale che si pretende socialista,
nella realta' e' un paese esso stesso ipercapitalista e doppiamente
totalitario: nei confronti degli esseri umani in quanto lavoratori, e nei
confronti degli esseri umani in quanto cittadini. Della Russia non v'e' bisogno
di dire.
La lotta della classe lavoratrice contro lo sfruttamento, che ebbe nel
Manifesto del 1848 e nella fondazione della prima Internazionale il suo storico
punto di riferimento teorico ed organizzativo, ha conosciuto sul finire del
Novecento una sconfitta epocale delle prospettive socialiste, che peraltro
neppure nei paesi del cosiddetto "socialismo reale" avevano potuto
realizzarsi, represse nel sangue e nella schiavitu' dai regimi totalitari li'
instauratisi.
Ma questa sconfitta del movimento delle oppresse e degli oppressi in lotta
per la liberazione dell'umanita' significa forse che sara' sempre impossibile
realizzare una societa' giusta e solidale?
Io non lo credo.
Credo invece che il sistema capitalistico per le sue caratteristiche
intrinseche e fondanti non possa che trascinare l'umanita' nel baratro.
Credo che un sistema economico fondato sulla "crescita
illimitata" cozzi contro i limiti naturali della biosfera e non possa che
devastarla.
Credo che un'organizzazione produttiva e riproduttiva fondata
sull'accumulazione crescente e tendenzialmente infinita del capitale astratto
ai danni del lavoro vivo, ovvero sulla rapina e sull'alienazione dell'umanita',
cosi' come sulla devastazione ed il divoramento consumista della natura non
possa garantire alcun degno futuro all'umanita', alla cui stragrande
maggioranza impone sofferenze crescenti e violenze abominevoli, e spinge a un
disastro tale da minacciare l'estinzione della civilta' e finanche della stessa
presenza umana nel mondo.
Sono da piu' di mezzo secolo un comunista antitotalitario: comunista
perche' persuaso dell'eguaglianza di dignita' e diritti di tutti gli esseri
umani, e quindi del dovere della condivisione fra tutte e tutti di tutto il
bene e di tutti i beni, applicando la massima antica e perenne che suona
"agisci nei confronti delle altre persone cosi' come vorresti che esse
agissero verso di te"; e quindi: "opera per una societa' in cui da
ciascuno sia dato a seconda delle sue capacita' ed a ciascuno sia dato a
seconda dei suoi bisogni"; e quidni "agisci in modo che in ogni tua
azione tu sia l'umanita' come dovrebbe essere". Ed antitotalitario perche'
consapevole che il limite e l'imperfezione, la carenza e il bisogno di aiuto,
l'inevitabile comune esposizione al dolore e alla morte, sono dati costitutivi
dell'esistenza umana, e nessun regime deve mai poter prevalere sui fondamentali
diritti di ogni persona: alla vita, al riconoscimento di dignita', alla
solidarieta' che salva le vite, alla condivisione del bene e dei beni, alla
sobria felicita', alla civile convivenza, al dono e al perdono, alla
responsabilita' per l'altra persona, per l'umanita' intera, per l'intero mondo
vivente: ogni essere umano ha diritto alla liberta'; senza liberta' non si da'
giustizia, cosi' come non si da' giustizia senza liberta'.
Da quando raggiunsi l'eta' della ragione anch'io mi arrovello sulla
possibilita' obiettiva e sulle necessarie caratteristiche di una gestione
socialista e libertaria della civile convivenza e delle risorse necessarie alla
vita comune, al bene comune nella valorizzazione e nella salvaguardia dei beni
comuni.
Credo che una gestione socialista e libertaria della vita dell'umanita' sia
possibile oltre che necessaria. Anche se ben poche possono sembrare le
esperienze storiche rispetto al diluvio di male imposto all'umanita' dai poteri
dominanti, tuttavia queste esperienze di liberazione e di solidarieta'
efficace, di condivisione responsabile e adeguata ai bisogni, si sono pur date,
e sia pure per brevi periodi ed ambiti limitati e tra mille conflitti e
contraddizioni; ed anche se esse date non si fossero, resterebbe comunque la
persuasione che anche se fino ad oggi non si fosse mai realizzata la giustizia
e la liberta', questo nulla dimostra contro la possibilita' che domani esse si
possano realizzare: e per questo - per l'affermazione concreta ovvero
l'inveramento effettuale dell'eguale dignita' e degli eguali diritti di tutti
gli esseri umani - vale comunque la pena battersi sempre. Salvare le vite e' il
primo dovere.
Ma e' poi vero che poche siano state le esperienze di progresso reale
nell'inveramento della dignita' umana? Io credo sia vero piuttosto il
contrario. Tutte le le grandi esperienze storiche di affermazione della
democrazia e dei diritti sono altrettanti passi verso la realizzazione del fine
dell'umanizzazione dell'umanita', verso il riconoscimento dell'umanita' di ogni
essere umano, verso l'universale responsabilita' e solidarieta'.
La socializzazione dei mezzi di produzione non porta necessariamente ai
gulag; mi sembra sia vero piuttosto il contrario: che la rapina da parte delle
classi sfruttatrici e dominatrici (di qualunque casacca esse si ammantino e
comunque si camuffino) rende tutto il mondo una prigione.
A chi pretende d'imporre lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo come stadio
insuperabile della vicenda umana, mi sembra si possa e si debba opporre il
motto di Rosa Luxemburg che nel capitalismo individuava la barbarie e al
socialismo affidava la salvezza dell'umanita' (quel socialismo libertario che
la portava ad opporre ad ogni autocrate la considerazione che "la liberta'
e' sempre la liberta' di chi la pensa diversamente").
*
Temo che anche la morte di Adil Belakhdim sara' presto dimenticata, come
altre avvenute in circostanze analoghe che l'hanno preceduta; e temo che altre
morti seguiranno ancora.
Ma penso anche che lo strazio che oggi per questa morte proviamo deve
muoverci ad insorgere nonviolentemente per far cessare tutte le uccisioni, per
far cessare schiavitu' e razzismo, per far cessare il "disordine
costituito" dei mangiatori di carne umana.
Penso che la morte di Adil Belakhdim deve essere un momento di verita',
un'ora di parresia.
Tutto si tiene. Il conflitto di classe, ovvero tra gruppi sociali tra loro
legati da relazioni di sfruttamento e rapporti di dominazione tali per cui
un'esigua minoranza di soverchiatori godono di privilegi immensi derubando e
vampirizzando la stragrande maggioranza dell'umanita'; il razzismo, ideologia e
pratica finalizzata alla riduzione in schiavitu' che nega l'umanita' della
stragrande maggioranza degli esseri umani; il militarismo, che e'
l'organizzazione e l'istituzionalizzazione della violenza da parte dei potenti
per tenere asserviti nel terrore e nel sangue la stragrande maggioranza
dell'umanita'; il maschilismo, che e' la prima radice e il primo paradigma di tutte
le violenze. Tutto si tiene. Ed unica e' la lotta per la liberazione
dell'umanita'.
A questa necessaria lotta per affermare la dignita' umana di tutti gli
esseri umani, per la liberazione dell'umanita' intera, per realizzare una
civile convivenza che nessuna persona opprime od esclude, Adil Belakhdim ha
dato il suo cotnrinuto fino all'estremo.
Non lo dimenticheremo.
Anche nel suo ricordo proseguiremo la lotta comune.
E qui e adesso anche nel suo ricordo torniamo ad affermare che occorre
un'insurrezione nonviolenta delle coscienze e delle intelligenze per
contrastare gli orrori piu' atroci ed infami che abbiamo di fronte, per
affermare la legalita' che salva le vite, per richiamare ogni persona ed ogni
umano istituto ai doveri inerenti all'umanita'.
Occorre opporsi al maschilismo, e nulla e' piu' importante, piu'
necessario, piu' urgente che opporsi al maschilismo - all'ideologia, alle
prassi, al sistema di potere, alla violenza strutturale e dispiegata del
maschilismo: poiche' la prima radice di ogni altra violenza e oppressione e' la
dominazione maschilista e patriarcale che spezza l'umanita' in due e nega piena
dignita' e uguaglianza di diritti a meta' del genere umano e cosi' disumanizza
l'umanita' intera; e solo abolendo la dominazione maschilista e patriarcale si
puo' sconfiggere la violenza che opprime, dilania, denega l'umanita'; solo
abolendo la dominazione maschilista e patriarcale l'umanita' puo' essere libera
e solidale.
Occorre opporsi al razzismo, alla schiavitu', all'apartheid. Occorre far
cessare la strage degli innocenti nel Mediterraneo ed annientare le mafie
schiaviste dei trafficanti di esseri umani; semplicemente riconoscendo a tutti
gli esseri umani in fuga da fame e guerre, da devastazioni e dittature, il
diritto di giungere in salvo nel nostro paese e nel nostro continente in modo
legale e sicuro. Occorre abolire la schiavitu' in Italia semplicemente
riconoscendo a tutti gli esseri umani che in Italia si trovano tutti i diritti
sociali, civili e politici, compreso il diritto di voto: la democrazia si regge
sul principio "una persona, un voto"; un paese in cui un decimo degli
effettivi abitanti e' privato di fondamentali diritti non e' piu' una
democrazia. Occorre abrogare tutte le disposizioni razziste ed incostituzionali
che scellerati e dementi governi razzisti hanno nel corso degli anni imposto
nel nostro paese: si torni al rispetto della legalita' costituzionale, si torni
al rispetto del diritto internazionale, si torni al rispetto dei diritti umani
di tutti gli esseri umani. Occorre formare tutti i pubblici ufficiali e in modo
particolare tutti gli appartenenti alle forze dell'ordine alla conoscenza e
all'uso delle risorse della nonviolenza: poiche' compito delle forze
dell'ordine e' proteggere la vita e i diritti di tutti gli esseri umani, la
conoscenza della nonviolenza e' la piu' importante risorsa di cui hanno
bisogno.
Occorre opporsi a tutte le uccisioni, a tutte le stragi, a tutte le guerre.
Occorre cessare di produrre e vendere armi a tutti i regimi e i poteri
assassini; abolire la produzione, il commercio, la disponibilita' di armi e' il
primo necessario passo per salvare le vite e per costruire la pace, la
giustizia, la civile convivenza, la salvezza comune dell'umanita' intera.
Occorre abolire tutte le organizzazioni armate il cui fine e' uccidere. Occorre
cessare immediatamente di dissipare scelleratamente ingentissime risorse
pubbliche a fini di morte, ed utilizzarle invece per proteggere e promuovere la
vita e il benessere dell'umanita' e dell'intero mondo vivente.
Occorre opporsi alla distruzione di quest'unico mondo vivente che e' la
sola casa comune dell'umanita' intera, di cui siamo insieme parte e custodi.
Non potremo salvare noi stessi se non rispetteremo e proteggeremo anche tutti
gli altri esseri viventi, se non rispetteremo e proteggeremo ogni singolo
ecosistema e l'intera biosfera.
Opporsi al male facendo il bene.
Opporsi alla violenza con la scelta nitida e intransigente della
nonviolenza.
Oppresse e oppressi di tutti i paesi, unitevi nella lotta per la comune
liberazione e la salvezza dell'umanita' intera.
Salvare le vite e' il primo dovere.
Chi salva una vita salva il mondo.
Sii tu l'umanita' come dovrebbe essere.
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