Paolo Persichetti e il complottismo eterno delle procure - Daniele Zaccaria
Paolo Persichetti è indagato per
il suo lavoro di ricercatore storico sul caso Moro avrebbe divulgato documenti
“riservati” che tutti conoscevano.
Che il complottismo demenziale animi lo
spirito dei tempi non stupisce più di tanto, alimentato e moltiplicato dalla
rete, incubatrice di paranoiche visioni e leggende metropolitane, esso offre
rifugio e conforto alle frustrazioni di tutti noi fornendo risposte pronte a
qualsiasi quesito. Cedere alle lusinghe intellettuali delle sirene
cospirazioniste è una tendenza molto umana, incarnata dal cosiddetto “popolo
del web”, autore collettivo delle più strampalate teorie su congiure, misteri e
diaboliche macchinazioni.
Una letteratura “dal basso” che come un
telefono senza fili passa di bocca in bocca. Fa però molta più impressione
quando il complotto viene agitato e avallato dalle autorità; personaggi
politici, ufficiali di polizia, e immaginifici procuratori della repubblica. Ci
sono in tal senso pagine della nostra storia costantemente annebbiate dal
morboso retropensiero complottista, con la sua fanatica ricerca della “verità”,
sempre e immancabilmente diversa da quella ufficiale. Una di queste riguarda la
“controstoria” del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro nutrita dalle
lisergiche pubblicazioni dell’ex senatore Sergio Flamigni (già membro della
Commissione parlamentare d’inchiesta) che da decenni insegue le ipotesi più
pittoresche su quella tragedia, evocando trame oscure, intelligence deviate e
connivenze politiche nel tentativo di far passare le Brigate Rosse come una
succursale dei servizi segreti. Suggestioni che non hanno mai avuto lo straccio
di un riscontro nella realtà, ispirando per lo più la schiera dei dietrologi in
servizio permanente e filmacci come l’ineffabile Piazza delle cinque lune del
sovranista Renzo Martinelli, ma evidentemente hanno estimatori anche nel
variegato mondo delle toghe.
Quel che è accaduto a Paolo Persichetti,
ex membro delle Br-Ucc (ha scontato una condanna di 22 anni di reclusione per
concorso morale dell’omicidio del generale Licio Giorgieri). Oggi uomo libero e
ricercatore storico, è un caso emblematico di questo inesauribile filone.
Almeno dieci agenti della Digos della Polizia postale gli sono piombati in casa
di prima mattina e, per un’intera giornata, hanno rovistato tra i suoi archivi,
sequestrando computer, telefono, tablet, hard disk, pendrive, fotocamere,
quaderni, appunti e le bozze di un saggio che avrebbe dovuto essere pubblicato
nei prossimi mesi. Si sono portati via persino i certificati e referti medici
che appartengono al figlio disabile.
Persichetti, che sul caso Moro ha
pubblicato diversi libri spesso polemici con le sommarie supposizioni della
Commissione d’inchiesta, è ufficialmente indagato per un reato gravissimo:
associazione sovversiva finalizzata al terrorismo e favoreggiamento. E per aver
diffuso documenti “riservati” “acquisiti e/o elaborati dalla Commissione
parlamentare d’inchiesta sul sequestro e l’omicidio di Aldo Moro”, come recita
l’ordinanza del sostituto Eugenio Albamonte. Secondo la procura di Roma farebbe
parte di un’organizzazione attiva dal 2015 volta a realizzare un indefinito
disegno terrorista di cui “non si conoscono ancora il nome, i programmi, i
testi e proclami pubblici e soprattutto le azioni concrete”, scrive lo stesso
Persichetti in un intervento sul suo sito web Insorgenze, in cui racconta la
surreale violenza con cui gli hanno portato via anni di ricerca storica,
l’irruzione, brutale nella sua vita privata. “Oggi sono un uomo nudo, non ho
più il mio archivio costruito con anni di paziente e duro lavoro, raccolto
studiando i fondi presenti presso l’Archivio centrale dello Stato, l’Archivio
storico del senato, la Biblioteca della Camera dei deputati, la Biblioteca
Caetani, l’Emeroteca di Stato, l’Archivio della Corte d’appello e ancora
ricavato da una quotidiana raccolta delle fonti aperte, dei portali
istituzionali, arricchito da testimonianze orali, esperienze di vita,
percorsi”, continua Persichetti, tuonando contro la doppiezza e la malafede dei
suoi accusatori.
Perché lo scopo dell’indagine non è
certo smantellare un’organizzazione criminale che non c’è, quello è soltanto un
artificio giuridico per far scattare l’articolo 270 bis del codice penale
sull’associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine
democratico. Uno strumento “speciale” che autorizza l’impiego di metodi di
indagine invasivi figli della legislazione di emergenza che limitano il diritto
alla difesa e le tutele degli indagati. L’obiettivo della procura è chiaramente
il lavoro storico di Persichetti, tutto incentrato nella minuziosa ricerca sul
periodo degli anni 70, anche per contrastare e le sue eterne fake news che
regolarmente aleggiano attorno alla vicenda Moro (dal covo di via Gradoli che
sarebbe appartenuto al Sisde, alla grottesca circostanza della “scopa nella
vasca da bagno” al ruolo ambiguo di Mario Moretti).
Ma c’è chi non si rassegna, forse per
narcisismo intellettuale, forse per sincere manie di protagonismo e continua a
rovistare nel pozzo senza fondo del complottismo. Sempre la procura di Roma, in
un’inchiesta parallela, ha fatto prelevare lo scorso marzo un campione di Dna
ad una decina di persone tra cui l’ex br Giovanni Senzani e Paolo Baschieri per
confrontare il codice genetico con quello presente sui mozziconi di sigarette
trovati in una delle auto utilizzate il 16 marzo del 1978 per sequestrare il
presidente della Dc.
(da Il Dubbio)
da qui
La procura sequestra e tace
- Paolo Persichetti
Vorrei ringraziare tutte e tutti per i
messaggi di solidarietà ricevuti in pubblico e in privato. Siete in tanti, sui
social, direttamente, e non riesco a starvi dietro in queste giornate un po’
faticose. L’appello che è stato lanciato mi dicono che è già vicino alle 500
firme. A breve verrà reso pubblico.
Nonostante siano trascorsi dieci giorni dalla perquisizione di martedì 8 giugno
la Procura tace. Nessun fascicolo è stato depositato davanti al tribunale del
riesame dove il mio avvocato, Francesco Romeo, ha presentato ricorso. Ad oggi non
sappiamo ancora cosa c’è scritto nell’informativa della Polizia di prevenzione
del 9 febbraio da cui sono scaturite le accuse di associazione sovversiva con
finalità di terrorismo e favoreggiamento e il sequestro di tutti i miei
strumenti di lavoro e comunicazione, oltre che del mio intero archivio digitale
nel quale sono raccolti decenni di ricerche, dell’archivio amministrativo di
famiglia, dell’intero archivio medico-sanitario di mio figlio Sirio, di quello
scolastico del fratello Nilo. Oltretutto emergono falle procedurali notevoli.
Dopo aver dato comunicazione pubblica di quanto avvenuto, ho deciso di
attendere prima di riprendere la parola. La Costituzione, il Diritto, la norma
giuridica, la procedura penale prevedono che quando si apre una procedura
penale sia chi muove le accuse a dover giustificare i propri atti,
documentandoli se ne è in grado. Non sta a me fornire delle spiegazioni, tanto
meno in una materia come la ricerca storiografica che è libera.
Caso Persichetti,
la ricerca storica sotto attacco - Marco Grispigni
Anni Settanta. Incredibile iniziativa
della Procura di Roma che ha emanato un mandato di perquisizione nei confronti
dello studioso Paolo Persichetti al termine del quale gli sono stati
sequestrati tutti i documenti analizzati e schedati in lunghi anni di lavoro e
di consultazione di archivi
Osservandola da fuori, indubbiamente
l’Italia è un paese assai strano da comprendere. Se poi ci si interessa agli
anni Settanta del secolo scorso, forse più che strano il paese sembrerebbe
immerso in una sceneggiatura distopica.
È infatti nel campo dell’assurdo che si
colloca l’incredibile iniziativa della Procura di Roma che ha emanato un
mandato di perquisizione nei confronti dello studioso Paolo Persichetti al
termine del quale gli sono stati sequestrati tutti i documenti analizzati e
schedati in lunghi anni di lavoro e di consultazione di archivi. L’accusa è la
divulgazione di materiale riservato «acquisito e/o elaborato dalla Commissione
parlamentare d’inchiesta sul sequestro e l’omicidio di Aldo Moro».
Il reato di divulgazione di materiale
riservato andrebbe inserito nel contesto di due più gravi reati, quello di
favoreggiamento e addirittura di associazione sovversiva con finalità di
terrorismo. In sostanza, per giustificare perquisizione e sequestro, si accusa
Paolo Persichetti da far parte di una banda terrorista attiva niente di meno
che dall’8 dicembre 2015. A parte l’assurdità dell’accusa e dell’utilizzo del
reato di associazione sovversiva con finalità di terrorismo, la data di inizio
rimanda al giorno in cui la commissione parlamentare presieduta da Giuseppe
Fioroni, ex democristiano e ora deputato del Pd, discuteva ed emendava la bozza
finale della relazione. Una nuova colonna, «studi storici», nasceva in quel
giorno con l’incarico di divulgare le segretissime carte, che poco dopo
diventeranno pubbliche con il versamento all’archivio storico della Camera.
Ora a parte l’ironia possibile su questa
vicenda che ha un effetto pesante e ingiustificato sulla vita e il lavoro di
Paolo Persichetti, direi che questa iniziativa solleva almeno tre ordini di
problemi.
Il primo è l’incredibile attacco alla ricerca
storica che si interroga su periodi “difficili” della nostra storia nazionale.
È inevitabile leggere questa iniziativa giudiziaria quasi in parallelo con la
proposta di legge di introdurre il reato di «negazionismo» nei confronti di chi
mette in discussione la vulgata bipartisan-presidenziale sulle «foibe». Questo
tema è al centro dell’appello lanciato da
alcuni studiosi in solidarietà con Persichetti.
Il secondo riguarda gli studi e
riflessioni sugli anni Settanta e sul fenomeno della lotta armata di sinistra.
Dopo che per un ventennio il discorso pubblico e la ricostruzione storica di
quel periodo erano state sostanzialmente delegate alle aule di tribunale e ai
magistrati, da diversi anni ormai su quel decennio e sul tema della violenza
politica c’è una notevole produzione scientifica, sia in ambito universitario
che fuori dai circuiti dell’accademia. Ora l’accusa contro Persichetti sembra
una sorta di duro monito proprio contro la vasta area di studiosi non
accademici di quegli anni. Mentre si giustificano operazioni di pura vendetta,
come quella contro i dieci «terroristi» rifugiati in Francia, con un presunto
bisogno di «svelare i misteri» di quella stagione, si avvia una procedura
giudiziaria contro uno studioso che su quei «misteri» ha a lungo lavorato,
smontando con l’uso di documenti di archivio i vari complottismi.
Il terzo, infine, riguarda
direttamente Paolo Persichetti. Persichetti non è solo un conosciuto studioso
non accademico e autore di diverse pubblicazioni su quegli anni, ma è anche un
«ex». Persichetti infatti fece parte delle Brigate rosse – Unione dei comunisti
e fu condannato a 22 anni per banda armata e concorso morale nell’omicidio del
generale Licio Giorgieri. La sua condizione di «ex» è il punto di partenza di
tutti gli articoli su questa iniziativa giudiziaria. Ovunque, prima di soffermarsi
sull’incredibilità delle accuse, gli articoli iniziano parlando della passata
militanza di Persichetti.
Il messaggio abbastanza chiaro è:
«stiamo parlando di un ’ex terrorista’, quindi anche se le accuse sembrano
strampalate, non si sa mai». La damnatio memoriae nei
confronti di quegli anni e in particolare nei confronti di chi scelse la strada
della lotta armata deve essere riaffermata sempre. Il diritto di parola esiste
se si è funzionali a ricostruzioni basate su oscuri complotti e se è preceduto
da un «contrito pentimento».
Quelle pietre
d’inciampo preziose che hai seminato - Silvia De Bernadinis
Caro Paolo, avevi ragione tu e sbagliavo
io. Avevi ragione ogni volta che hai insistito nell’andare alla ricerca del più
piccolo dettaglio nella ricostruzione dei fatti per stanare i diffusori
istituzionali di bufale, pur sapendo perfettamente che ciò non significasse
affatto risolvere il problema della dietrologia. Smonti una truffa e ne creano
altre cento! Come ben sai, ho sempre pensato fosse una perdita di tempo ed
energie, sottratto all’essenza della storia. E invece avevi ragione tu, perché
le assurdità delle tante balle su cui abbiamo forse con leggerezza e
sottovalutazione riso un po’ tutti (il livello di cialtroneria raggiunto
dall’ultima Commissione Moro ha raggiunto davvero punte inarrivabili), erano
lanciate per l’attacco finale, perché non restassero evidenze della realtà,
qualcosa se possibile che è più che riscrivere la storia, come nel peggiore
degli scenari distopici, sotto l’egida del colle più alto e della sua Verità.
Non si trattava per niente di perdita di tempo. Sono pietre d’inciampo
preziose, oggi più di ieri, quelle che hai messo. Nessuno, che non sia
mediamente serio, può prescindere dalla lettura e dal confronto con il tuo
lavoro se vuole orientarsi in quel labirinto artificiale, un apparato
mastodontico creato per portare su sentieri che svelano ai più attenti non i
misteri, ma i meccanismi di auto-preservazione del potere. Che ipocritamente
santificano il loro martire avendone fatto scempio e continuando a farlo. Da lì
deve cominciare se vuole capire quanto sia illusoria e allo stesso tempo
profondamente politica la sua costruzione. Colpirti, perché si colpisce il tuo
lavoro, è segno inequivocabile che hai fatto centro, che sei andato a rompergli
le uova. Non c’è nessun labirinto e il re è nudo. Non resta che continuare su
questa strada dunque. Se fino alla scorsa settimana pensavo avesse una qualche
importanza fare quel che ognuno di noi a suo modo fa, oggi sono convinta che
sia un dovere, una necessità assoluta quella di continuare. Non solo per amore
della storia evidentemente, in ballo c’è molto di più, a cominciare dalla
banalissima libertà di pensiero, per chi ancora un pensiero critico e libero ce
l’ha! Al lavoro dunque, più di ieri!
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