giovedì 12 marzo 2020

Sanità malata (non per caso)



Quanti posti letto sono stati tagliati negli ospedali italiani dal 1980 a oggi? - Stefano Colombo

Nel 1980 i posti per casi acuti erano 922 ogni 100.000 abitanti, oggi sono 275. Quarant’anni di tagli al sistema sanitario, tra mergermania e blocco del turnover, ci hanno lasciati completamente impreparati all’arrivo del nuovo coronavirus.
L’ospedale San Carlo si trova nella periferia Ovest di Milano, tra il quartiere di Baggio e quello di San Siro. La sua mole imponente è riconoscibile anche a distanza, dallo stadio, e tutti coloro che ci sono andati per vedere almeno una partita probabilmente ne hanno apprezzato il grigiore. Il San Carlo è dedicato a San Carlo Borromeo, e da anni necessita ristrutturazione. La struttura, secondo quanto riportato ormai nel 2015, avrebbe bisogno di lavori per circa 120 milioni di euro.
L’ospedale San Paolo si trova nella periferia Sud di Milano, tra il quartiere Barona e la Stadera. Anche la sua mole non è affatto disprezzabile, e lo si può vedere vicino all’autostrada A7 quando si lascia Milano per la Liguria, in genere per andare al mare. Il San Paolo è dedicato, come prevedibile, al noto santo cristiano, ed è un importante polo di formazione universitaria del milanese.
Dall’unione dell’ospedale San Paolo con l’ospedale San Carlo dovrebbe nascere l’ospedale Santi Pietro e Carlo, collocato a metà strada tra le due strutture — quindi in una zona vicina a San Cristoforo sul naviglio — per cui la regione Lombardia ha deciso che verranno investiti 450 milioni di euro da parte del governo. L’assessore regionale alla salute Gallera, che abbiamo imparato a conoscere a questi giorni, ai cittadini preoccupati per un eventuale chiusura del San Carlo — che non vale la pena spendere troppi soldi per ristrutturare, dai — ha detto di stare tranquilli: non ci si sbilancia troppo, ma la struttura continuerà ad essere in uso “per trattare le cronicità.”
Il Comitato di difesa della Sanità Pubblica-Milano città Metropolitana del Sud Ovest ha diffuso un appello su Change.org contro il gioco delle tre carte della regione, che punta ad aprire un ospedale all’avanguardia per chiuderne altri due.
“Lorsignori programmano la chiusura di due ospedali, li lasciano marcire senza usare i 90 milioni stanziati da anni, per aprirne uno con 200 posti letto in meno, spendendo 500 milioni di € pubblici e distruggendo un altro pezzo di verde nel parco sud Milano.
Siccome i soldi pubblici non basteranno, li chiederanno ai privati che in cambio avranno la garanzia della restituzione con super interessi.
L’operazione verrà poi confezionata con la ”eccellenza della sanità lombarda” per farsi belli nelle cronache dei telegiornali, mentre nel frattempo noi, persone comuni, resteremo ad aspettare cure e assistenza che ticket e liste di attesa crescenti renderanno sempre meno disponibili. Questo ingrasserà i privati che,prima di essere medici, sono imprenditori assetati di profitto.”
* * *
Questo prima che l’epidemia di nuovo coronavirus si abbattesse sul sistema sanitario lombardo. È presto per dire cosa succederà dopo che il peggio sarà passato, ed è anche difficile provare a concentrarsi con chiarezza su quanto sta succedendo oggi, tra il dolore per le vittime e l’impatto devastante della quarantena. Si può però provare a capire come si è arrivati a una situazione in cui nella regione più ricca d’Italia e tra le più ricche d’Europa si muore perché non ci sono abbastanza respiratori per tutti — e tra le soluzioni inizialmente proposte e messe in pratica c’è stato l’acquisto di “fantascientifici caschi respiratori.
Il sistema sanitario lombardo negli ultimi vent’anni ha privilegiato l’impresa privata rispetto al servizio pubblico. In tempo “di pace” questo ha significato soprattutto una crescente disparità nella possibilità dei cittadini di accedere alle cure. In tempo “di guerra,” ha significato che potrebbero essere state perse molte più vite di quanto si sarebbe potuto evitare con una sanità efficiente e non sabotata.
In questi giorni è emersa con particolare forza soprattutto la mancanza effettiva di posti letto in cui ricoverare i malati che presentano i sintomi più gravi della Covid-19, e che necessitano dunque delle cure nel reparto di terapia intensiva. Come riportato da il Messaggeroil coordinatore dell’unità di crisi della regione, Antonio Pesenti, ha dichiarato che “Si fanno delle scelte, ma ciò fa parte della disciplina del trattamento nei casi di catastrofe. Se al pronto soccorso in una notte arrivano 50 persone da intubare e servono 50 ventilatori, e in quel momento non ci sono, il medico fa delle scelte.”
Continua a leggere l’articolo su The Submarine.







Sanità, meno risorse al pubblico, più favori ai privati e ora il virus ci presenta il conto – Simone Siliani

Con il progredire del contagio da Corona Virus di questi giorni, aumentano le preoccupazioni per la tenuta del nostro Sistema Sanitario Nazionale (di cui celebriamo quest’anno il 40° compleanno). Cioè, ci rendiamo conto, improvvisamente, di fronte ad una crisi certo eccezionale (ma a queste devono far fronte i sistemi di protezione, sanitaria come idrogeologico o sismico), che questo sistema così come oggi è configurato, non è in grado di assicurare un servizio universalistico di tutela forse del più sacro dei beni comuni, cioè la salute pubblica. L’epicentro di questa crisi si colloca non in uno dei territori in cui la qualità del sistema sanitario è, secondo i Livelli essenziali di assistenza (LEA), al di sotto del punteggio minimo accettabile, bensì in uno dei più eccellenti, tanto da essere definito un “modello” (Lombardia o Veneto). Possiamo immaginare cosa potrà succedere quando e se saranno colpite con la stessa intensità le Regioni del sud. Ma la fragilità del nostro Sistema Sanitario Nazionale davanti alla crisi non è come una delle dieci piaghe d’Egitto mandate dal Signore per punire il popolo egizio: è piuttosto uno degli esiti di almeno 20 anni di rimodellamento e riduzione del sistema. Un esito ampiamente prevedibile e previsto; grave ma, forse, non irreversibile. Purché ci si predisponga a riflettere sulle lezioni che questa crisi ci consegna. Propongo in tal senso di assumere la lectio corretta dell’esegesi biblica per cui solo la prima delle 10 piaghe è definita tale, mentre le altre nove sono dette «prodigi» o «segni». Accogliamo dunque i segni che ci può lasciare questa crisi.

Numeri che dicono tutto
Numeri. L’Italia ha ridotto progressivamente dal 1997 al 2015 il numero dei posti letto per i casi acuti e la terapia intensiva del 51%, passando da 575 ogni 100 mila abitanti ai 275 attuali. Infatti, per correre ai ripari (ma direi con colpevole ritardo), si è dovuto fare una gara-lampo della Consip per dotarsi di 1.100 nuovi posti letto nelle terapie intensive e sub intensive italiane. Entro 3 giorni saranno consegnati 119 ventilatori, 200 tra 4 e 7 giorni e 886 tra 8 e 15 giorni. Per altri 2.713, che consentono l’allestimento di altrettanti posti letto, la consegna è prevista tra 16 e 45 giorni. Così ci informa un’ANSA del 10 marzo.
I fondi per gli investimenti sanitari fra il 2014 e il 2017 hanno subito una drastica riduzione del 42% che, come dichiara la Corte dei Conti, comporta il rischio di …riverberarsi sulle possibilità di garantire i livelli di assistenza e sulla qualità dei servizi offerti”. Il nostro patrimonio tecnologico, per quanto dotato di attrezzature, è obsoleto, mal distribuito e ha un livello di utilizzo pari a circa il 25% di altri paesi UE.
La spesa sanitaria italiana è prevista per il 6,5% del PIL nei prossimi anni, quando era il 7,1% nel 2009; in Germania è al 9,6%, in Francia al 9,5%.
Fra il 2009 e il 2017 il nostro Sistema Sanitario Nazionale ha perso 46.000 unità di personale dipendente (-6,7%): fra questi 8.000 medici (che oggi hanno una età media talmente alta da far prevedere un collocamento in pensione di 2 medici specialisti e 9 di famiglia al giorno nei prossimi anni… a meno di non accedere alla proposta, solo assurda al pensiero, di farli lavorare fino a 70 anni) e 13.000 infermieri. In condizioni “normali” l’elevata età media, il numero ridotto e turni di lavoro sulle 24 ore rende poco sostenibile ed efficiente il loro lavoro: possiamo seriamente sorprenderci, allora, delle foto del personale sanitario distrutto dal superlavoro di questi giorni?

Depauperamento
Perché questo depauperamento della sanità pubblica è potuto avvenire? Da un lato esso ha fatto parte di un modello “culturale” complessivo che voleva presentare la riduzione della spesa pubblica come una virtù. L’Unione Europea ha certificato e validato questo modello. Un recente studio ha evidenziato che da quando è stato istituito il Semestre Europeo (2011, sotto l’egida del Patto di Stabilità e Sviluppo, 1997) la Commissione Europea ha inviato ben 63 raccomandazioni agli Stati membri per ridurre i costi del sistema sanitario e per introdurre il privato nei servizi socio-sanitari. E queste raccomandazioni hanno trovato governi ben lieti di ottemperare a queste raccomandazioni e le hanno seguite in modo pedissequo.
È cambiato, o sta cambiando, il modello della sanità anche in Italia, da “diritto fondamentale” (con perdita progressiva del suo carattere universalistico) a qualcosa che assomiglia piuttosto ad una “merce”, che ha un valore economico che puoi comprare, di qualità più o meno alta a seconda della tua disponibilità economica. Così, si è spostata l’attenzione verso le prestazioni specialistiche (soprattutto a pagamento), distogliendola dalle cure primarie (che sono meno costose, riducono la pressione ingiustificate su ospedali e pronto soccorso, e sono maggiormente inclusive e capaci di prendere in carico complessivamente il cittadino, soprattutto quello più vulnerabile). Così, si è ridotta l’integrazione tra la presa in carico di tipo sociale e quella di tipo sanitaria, perdendo la capacità di occuparsi e comprendere i bisogni complessivi della persona. Qui hanno perso rilevanza il territorio e gli enti locali, che sarebbero importanti non perché coinvolti nelle nomine delle strutture, ma in quanto in grado di far collaborare il personale sanitario del SSN con quello comunale dei servizi alla persona di tipo sociale, ma anche formativo e culturale. In questo “nuovo” modello si è allargata la forbice delle disuguaglianze fra coloro in grado di “comprarsi” (anche attraverso la sanità integrativa) cure migliori e chi deve accontentarsi di quel che passa il pubblico. A questo corrisponde una perdita di ruolo della sanità pubblica che è quello essenzialmente di garantire l’uguaglianza dei cittadini davanti alla malattia e anche di perequare in questo ambito fra le diverse possibilità di ciascuno. Per questo è diventata funzionale a questo modello anche l’idea, che talvolta fa breccia anche in campo progressista (penso alle posizioni di Emma Bonino e di +Europa), di togliere i più ricchi dalla contribuzione al sistema sanitario nazionale consentendo loro di comprarsi una sanità completamente privata: in questa prospettiva verrebbe completamente meno la funzione perequatrice, legata non al solo gettito IVA ma alla tassazione progressiva sui redditi delle persone fisiche, della sanità pubblica.

Una revisione necessaria
Tutto questo sforzo economicista, di rendere meno costosa la sanità pubblica, per quanto immotivato sul piano del confronto con gli altri paesi europei (che spendono molto più di noi), ha premiato la logica dei Piani di rientro per contenere i disavanzi, distraendo le politiche pubbliche dal vero obiettivo che sarebbe stato quello della riqualificazione dei servizi.
Ora, è possibile invertire questa tendenza? Certamente, se – assumendo il “segno” della crisi del Corona Virus – sapremo cambiare radicalmente direzione, investendo più risorse per un periodo di tempo non breve e quindi con un indirizzo di politica di spesa pubblica strutturale nel ricambio e nell’aumento del personale sanitario, nella revisione sostanziale della sanità integrativa (rendendola effettivamente integrativa e non sostitutiva), armonizzando l’offerta con i principi di appropriatezza e sicurezza previsti dai LEA, evitando la strada dell’autonomia differenziata delle sanità regionali (che, come ci dimostra il caso lombardo, ma anche quello veneto, è una pericolosa illusione), centrando sui livelli essenziali delle prestazioni relativi ai diritti civili e sociali, integrando servizi sociali, educativi e sanitari sul territorio.
Un virata netta e stabile in una diversa direzione. È possibile e necessario, altrimenti passato il Corona forse non reggeremo al prossimo virus.

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