Ed ecco che puntualmente sui giornali appare la retorica del «nulla sarà
come prima». Si preconizza, dopo la pandemia, un mondo migliore e più giusto.
Perché e con quale profondità? Avremo dopo il coronavirus davvero un futuro,
più equo e con meno disuguaglianza? Come spiega Walter Scheidel in La
Grande livellatrice, ponderoso libro edito dal Mulino (pp. 640, euro 35),
solo grandi guerre, rivoluzioni, fallimenti di stati ed epidemie si sono
mostrate efficaci per cambiare il mondo. Nel caso di pandemie come la peste del
‘300 la popolazione europea si era ridotta del 30-45%. Il coronavirus si
fermerà su scala molto più bassa. Però ha un pregio per le élite: se bloccano
il contagio legittimeranno il loro potere e la disuguaglianza.
Le epidemie, scrive lo storico austriaco, sono il «Quarto Cavaliere» dopo
gli alti tre, guerre, rivoluzioni e crolli di stati e imperi. Si differenzia
dagli altri fattori in quanto coinvolge altre specie anche se in termini non
violenti ma certi attacchi di batteri e virus sono stati molto più letali di
tutti i disastri causati dall’uomo.
LA MORTE NERA, la peste del Trecento descritta da Decameron Di
Boccaccio, ha avuto straordinari effetti sulla demografia e i rapporti di forza
dentro la società medioevale in Europa e oltre: questa pandemia ha mutato
radicalmente per più di un secolo e mezzo la relazione tra terra e lavoro, fu
un grande livellamento che portò al crollo delle rendite fondiarie e
all’impennata del costo del lavoro. In poche parole i ricchi di prima furono
meno ricchi e i poveri meno poveri e con maggiore potere contrattuale.
La Morte Nera ci mise un po’ a viaggiare, ma non così tanto come si può
supporre oggi. La peste, causata da un ceppo batterico che colonizza il tratto
digestivo delle pulci per poi infestare ratti e altri animali, scoppiò nel
Deserto del Gobi intorno al 1330. Fu denominata «bubbonica» per la tremende
tumefazioni a inguine o ascelle dove di solito si infilano le pulci. Una sua seconda
versione è la peste polmonare che si trasmette tra gli umani con le goccioline
trasportate dell’aria.
Le rotte carovaniere dall’Asia centrale furono i veri canali di diffusione:
15 anni dopo il Gobi la peste raggiunge la Crimea nel 1345 dove si propaga alla
marina genovese durante l’assedio di Caffa (Feodosia) quando esplose la
pestilenza tra i tartari che assediavano la città. Ma da lì comincia a correre
veloce.
DOPO DUE ANNI la peste era a Costantinopoli, quindi passò il Bosforo e toccò
Alessandria d’Egitto. Le navi genovesi la portarono in Sicilia nel 1347, un
anno dopo nel 1348 si era propagata da Parigi al Nord Europa e all’Italia. «No
come uomini ma quasi come bestie morieno», si legge nel Decameron:
24 milioni le vittime secondo le stime del Vaticano.
La popolazione europea scese da 94 milioni nel 1300 a 68 milioni nel 1400.
La grande livellatrice aveva tagliato di un quarto gli europei ma anche il
Medio Oriente e l’Asia. «L’intero mondo è cambiato», scriveva il grande storico
arabo Ibn Khaldun.
E I CAMBIAMENTI più profondi si produssero proprio nella sfera dell’economia e sul
mercato del lavoro. La Morte Nera era arrivata in Europa dopo tre secoli che la
popolazione, a partire circa dal Mille, si era triplicata per una combinazione
di fattori, dai miglioramento dei metodi di coltura agricoli alla riduzione
dell’instabilità politica. Con un’abbondanza di bocche da sfamare erano
cresciuti i prezzi del cibo mentre la pressione demografica aveva ridotto il
valore del lavoro e quindi anche i redditi reali. La Morte Nera portò a una
drammatica diminuzione della popolazione ma lasciò intatte le strutture, ovvero
la terra: grazie a un’accresciuta resa dei terreni la produzione scese meno
della popolazione producendo un aumento del prodotto pro capite del reddito
medio.
LA TERRA ERA DIVENTATA più abbondante del lavoro e i proprietari furono
messi sotto pressione da richieste di aumenti salariali. In Francia,
Inghilterra e nelle signorie italiane le istituzioni e il potere si scatenarono
in ordinanze per calmierare le richieste ma in gran parte vennero disattese. I
redditi dei lavoratori raggiunsero un picco all’inizio del 1400: ci volle più
di un secolo perché i salari reali cominciassero a scendere per allinearsi
intorno al 1600 ai livelli antecedenti l’epidemia di peste bubbonica. Questo
avveniva in Europa ma anche nel Mediterraneo orientale: i registri ottomani
degli operai edili di Istanbul mostrano che i redditi reali rimasero alti fino
alla fine del 19 secolo, il che sottolinea la straordinaria espansione legata
alla peste.
Gran parte della nostra conoscenza sul ruolo delle pandemie nel
livellamento della disuguaglianza è abbastanza recente. Ma questo può avvenire
ancora? La riposta di Schneidel è piuttosto decisa. Oggi occorrerebbe la morte
di centinaia di milioni di persone, cosa che supera gli scenari più
pessimistici. E non è per niente sicuro che una pandemia possa livellare la
disuguaglianza di reddito o di ricchezza come avvenne nell’era agraria.
PER ESEMPIO la spagnola del 1918-20 provocò dai 50 ai 100 milioni di morti ma
siccome i suoi effetti si mescolarono a quelli della guerra non si può dire se
abbia avuto una conseguenza significativa sulla redistribuzione delle risorse
materiali E poi oggi, dice lo storico austriaco, la società è assai più sofistica:
dall’informatica, ai robot, alle biotecnologie e alla loro applicazione
all’uomo. Eppure l’epidemia continua come un tempo a fare paura, l’essere umano
continua a essere troppo umano.
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