Ieri il
governo italiano, per iniziativa del ministro della difesa Guerini, di fronte
all’imperversare del Coronavirus ha invocato il soccorso del Pentagono. I
non-detto di questa iniziativa sono due: il primo è che il decreto del governo
per contrastare il contagio da Coronavirus non ferma le fabbriche di armi (F35
compresi); il secondo è la preoccupazione – un retropensiero sia dei governati
ai domiciliari per il nostro bene, ma anche dei governanti – che sia evidente
come gli aiuti veri arrivino da tutte le parti, anche dai «nemici», tranne che
dagli alleati storici; così si chiamano in causa, in modo pressante e all’ultimo
momento Stati uniti e Alleanza atlantica, che alleanza proprio non è ma
sudditanza.
Perché sotto
gli occhi di tutti dopo i medici e gli infermieri cinesi da Wuhan con un carico
ingente di respiratori e mascherine, ieri mattina sono arrivati 9 giganteschi Yliuscin
russi carichi di laboratori mobili, con 100 medici militari; e, come se non
bastasse sono già operativi a Cremona i 52 medici cubani arrivati domenica.
Passi per
l’intervento «riparatore» di Xi Jinping che invia medici coinvolti
nell’epicentro che è stato Wuhan, passi per il soccorso peloso, ma ingente,
della Russia di Putin che gioca così anche una carta propagandistica, la vera
sorpresa sta nell’aiuto di Cuba, un Paese sotto embargo Usa, che spiazza ogni
ragionamento strategico-diplomatico.
Così partono
con battimani dall’aeroporto de L’Avana, e sono ricevuti con applausi a Milano
con tanto di bandiera cubana, e dichiarano che per loro è «naturale»,
l’insegnamento che hanno ricevuto è quello «umanitario», per una patria che
considerano il «mondo intero bisognoso», come hanno dimostrato per decenni, più
soli che mai, nell’Africa devastata da tante epidemie.
Dagli Usa
invece molti tweet solidali e tricolori, ma in concreto assai poco, un piccolo
ospedale da campo per 10 posti pronto ad Aviano – da dove però è partito il
volo militare che ha portato negli Usa 500mila kit diagnostici del coronavirus
prodotti in Italia – e un’altra piccola struttura sanitaria allestita a Cremona
da una Ong cristiano evangelica. Quel che non si vede proprio è invece l’aiuto
massiccio e sostanzioso dell’alleato Trump.
Che fin qui
è stato «chiaro»: ha allarmato i suoi cittadini a non venire in Italia, ha
bloccato ogni volo civile, ha tardato ad allertare l’America nonostante fosse
informato da tempo dai Servizi segreti, continua ad accusare la Cina per
nascondere la responsabilità dei suoi ritardi mentre l’epidemia si estende, e
si rifiuta – dice «per paura di una statalizzazione che porta al socialismo» –
di usare il Defense of Production Act invocato da Sanders e da Cuomo che dà al
presidente il potere di costringere tutti i produttori negli Stati Uniti a
trasformare le loro fabbriche per fornire al Paese le attrezzature sanitarie
necessarie; e alla fine si prepara ad una elargizione a pioggia di
finanziamenti sullo sfondo delle presidenziali – accusano i democratici.
Tranquilli
però, nell’augurio che tutto finisca presto e che la litania di bare, quasi
impossibili da raccontare, si riduca sempre di più, che sia alleviato il dolore
delle vittime, che ci sia restituita la nostra vita in comune, ecco che quando
torneremo a liberarci dall’oppressione dell’epidemia, tutto tornerà come prima.
Con le
nostre mastodontiche spese di decine di miliardi per la difesa e per i nuovi
cacciabombardieri – le fabbriche d’armi intanto non si fermano -, per i nostri
interventi «umanitari», per simulare nuove pericolose manovre militari a est.
Torneremo insomma nella normalità atlantica. Speriamo con qualche dubbio in
più.
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