AGAMBEN, IL CORONAVIRUS E LO STATO DI ECCEZIONE
- Davide Grasso
Giorgio Agamben ha pubblicato il 26 febbraio sul Manifesto il suo punto di vista sul Coronavirus. Il
titolo dell’articolo è, manco a dirsi: Lo stato d’eccezione provocato
da un’emergenza immotivata. Che altro, qualcuno si chiederà, avrebbe potuto
scrivere il filosofo romano? Ma proprio questo è il problema. La prevedibilità
delle affermazioni del filosofo e l’apparente assenza di argomentazioni
impegnative nel suo contributo sono state accolte da molti con sorpresa. Eppure
non tutti si sono stupiti: la stanchezza di certi paradigmi e la scarsa
vitalità del panorama teorico-politico fanno di simili prese di posizione lo
specchio di una condizione più generale. Quando, di fronte alla realtà
sfaccettata e cangiante del mondo, le formule interpretative si ripetono
identiche a sé stesse, si può avere la sensazione che la critica abbia aperto
almeno in parte la strada al dogmatismo, nel senso kantiano di derivazione di
concetti da concetti senza l’irruzione di un esterno che li vivifichi. Questo
“esterno” dovrebbe mettere alla prova confini e rapporti tra categorie, così
che queste ultime non appaiano sospettosamente intatte, inscalfibili.
La tesi di Agamben parte dal presupposto che la malattia provocata dal
Covid-19 non sia grave. “Poco più di una normale influenza”. Lo si sente dire
spesso in questi giorni. Le misure prese dal governo sarebbero quindi “sproporzionate”.
Tali misure sarebbero anzi frutto di una precisa, ancorché nascosta,
intenzione: aumentare, “con un pretesto”, il controllo politico sulla
popolazione. Come già in passato la tutela della salute sarebbe utilizzata per
imporre limitazioni della libertà e forme di militarizzazione, abituando i
cittadini a restrizioni sempre più invasive della libertà. L’eccezione
giuridica – accumulo e concentrazione di sovranità secondo coordinate che
presuppongono un’azione al di sopra o contro la legge ordinaria, in nome di una
necessità dell’arbitrio fondativa per il diritto – diventa sempre più “regola”,
vita inframmezzata di emergenze (epidemie, terrorismo, terremoti) che
giustificano il ricorso continuo a misure invasive, rese di volta in volta
permanenti.
Agamben cita un comunicato del Cnr come fondamento della sua valutazione
medica. È un fatto curioso. Il Cnr è l’istituzione che per eccellenza agisce e
coordina la ricerca per conto e nella logica dello stato. Il filosofo intende
mettere a nudo un’operazione del sistema complessivo di poteri e
saperi che dalle istituzioni si irradia, in primis sul
piano medico; ma con quale criterio discerne quali interventi pubblici,
formulati da e per conto di quel sistema, sono o meno parte di un disegno
politico non immediatamente perspicuo? La questione è tutt’altro che
irrilevante sul piano epistemologico; ma c’è di più. Il comunicato del Cnr non
afferma affatto che il Covid-19 sia una semplice influenza: semmai che i
sintomi, nell’80-90% dei casi, sono simili a quelli dell’influenza. Afferma
anche che nel 10-15% insorge la complicanza polmonare, che è quella che provoca
il sovraffollamento ospedaliero e i decessi. (La polmonite, per quanto suoni
innocua, è una delle prime cause di morte per malattia infettiva in vaste regioni
del mondo, e la prima in Europa). Se il Cnr contribuisce giustamente a
contestualizzare la pericolosità del virus entro una cornice razionale, ricorda
anche che un 4% dei casi rende necessaria la terapia intensiva, e non è affatto
una percentuale bassa.
Nessuno sta dicendo che il Covid-19 sia il flagello del secolo o il virus
più pericoloso al mondo. Le preoccupazioni per la sua diffusione sono molto più
equilibrate di quanto alcuni sembrano pregiudizialmente pensare, talvolta mossi
da uno schifo elitario per i comportamenti di massa. È vero, ad esempio, che
virus anche più pericolosi non si diffondono con analoga rapidità. Benché non
sia in grado di provocare effetti disastrosi, il Covid-19 non è quindi la
semplice influenza, come del resto spiegato – volendo restare a fonti
scientifiche statali, e in attesa di un criterio per selezionarle –
dall’Istituto superiore della sanità. Potrebbe dire Agamben che la differenza
tra influenza stagionale e Coronavirus non è comunque abbastanza rilevante
da giustificare simili misure del governo? Qui veniamo al problema essenziale:
come saperlo? Contrariamente ad altri virus le caratteristiche del Covid-19 non
sono conosciute ad ora in maniera precisa, né sono stati messi a punto vaccini
o terapie vere e proprie (per essi ci vorrà un po’ di tempo, forse fino a due
anni). Per questo la gente spera di non prenderselo.
Non siamo in presenza, quindi, di uno “stato di paura che in questi anni si
è evidentemente diffuso nelle coscienze degli individui e che si traduce in un
vero e proprio bisogno di stati di panico collettivo”, per usare le parole di
Agamben. Al contrario: la gente è piuttosto tranquilla, la vita procede
regolare, nel mio quartiere a Torino supermercati e farmacie non sono
sovraffollati. Ciò non toglie che tutti preferiscano che il virus circoli il
meno possibile. Non mancano qua e là paranoici della pandemia, ma sono più
numerosi, mi sembra, i paranoici del complotto, che negano vi sia un reale
pericolo per le persone e deridono i comuni mortali. Ci sono invece ottime
ragioni per preoccuparsi, il che non vuol dire assolutamente perdere le staffe.
Dovendo sopravvivere vorremmo che l’economia non sprofondasse, molti di noi
hanno già subito danni economici a redditi bassi, e sappiamo che le condizioni
economiche, già prima non esaltanti, peggioreranno per lungo tempo se il
contagio diventa epidemico. Un’epidemia porterebbe inoltre al tracollo del
fragile e sottofinanziato comparto sanitario, mettendo in forse un numero di
vite molto maggiore. Il collasso degli ospedali nelle regioni più colpite della
Cina ha provocato decessi per semplice mancanza di cure adeguate. Accadrà anche
in Europa?
Continua Agamben: “Si direbbe che esaurito il terrorismo come causa di
provvedimenti d’eccezione l’invenzione di un’epidemia possa offrire il pretesto
ideale per ampliarli oltre ogni limite”. In primo luogo, qui non c’è nessuna
“invenzione”. La diffusione del virus e il virus stesso non sono inventati ed
esistono concretamente, fuori dai nostri benedetti schemi concettuali, e non è
necessario aspettare che metà degli italiani sia contagiata per pensare a delle
misure, perché prevenire è meglio che curare. Le statistiche della diffusione,
per ora molto limitata, sono note e veritiere almeno fino a prova contraria,
salvo pensare di poter accusare migliaia di operatori sanitari di intelligenza
con un presunto piano segreto di disinformazione. I media esibiscono
indubbiamente un ansiogeno eccesso di zelo nel divulgare le statistiche (chissà
se, qualora non lo facessero, si griderebbe alla censura), ma questo non
corrisponde verosimilmente a un piano preordinato dello stato, esprimendo
semmai la tipica logica capitalistica della competizione spettacolare; che è
nefasta, ma non rientra nella lettura che Agamben dà della situazione.
Per ciò che concerne la politica, non sembra che Conte stia usando la
diffusione del virus come pretesto per ampliare “oltre ogni limite” il potere
dello stato o provvedimenti eccezionali. Questa sì che mi sembra la descrizione
di una circostanza “inventata”. Se analizziamo i fatti, vediamo che il governo
ha tentato in ogni modo di minimizzare un fenomeno di cui poco sanno i medici –
figuriamoci i politici – e ora prende misure che hanno come primo scopo
mostrare all’Italia e all’estero che sta facendo qualcosa. Proprio per tenere
d’occhio con attenzione le mosse dello stato, sempre pericolose, a poco serve
gettare subito ogni provvedimento in una notte in cui tutti i decreti sono
stati di eccezione, rischiando di aumentare la sfiducia o l’indifferenza che le
persone hanno maturato verso le filosofie radicali. Indubbiamente gran
parte delle ordinanze e degli articoli del decreto saranno incoerenti o
sbagliati. Occorrerebbe allora commentarli uno per uno e argomentare le
obiezioni. Dovremmo riabituarci a fornire qualcosa di concreto a coloro cui
rivolgiamo un’interpretazione dei fatti: le grandi costruzioni ideologiche,
dovremmo averlo imparato, perdono mordente se non sono in grado di impigliarsi
nella realtà.
Il paragone che Agamben fa tra Coronavirus e “terrorismo”, d’altra parte, è
quanto mai rivelatore. Credo si riferisca agli attentati dell’Isis degli anni
scorsi. Qui è all’opera tutta una meccanica acritica dell’analogia. Un
movimento politico fatto da uomini non è per nulla analogo alla diffusione di
un microbo. Gli attacchi dell’Isis, che non erano a loro volta un’invenzione,
possono aver dato adito a sperimentazioni del controllo su vari piani, ed
essersi a loro volta nutriti di quelle reazioni, ma non sono fenomeni di fronte
ai quali si possa reagire senza violenza e quindi senza esercizio di un potere.
Chi poi voglia o debba farsi carico del problema è un altro paio di maniche, ma
emerge il problema di fondo di proposte teoriche che, per quanto valide e
illuminanti su tantissimi aspetti, sembrano non porsi mai il problema
dell’alternativa reale. Anche quando lo stato sperimenta l’eccezione in seguito
ad attentati, la nostra critica non deve sovrapporre meccanicamente tutte le
iniziative prese dallo stato le une con le altre, affogandole in un’analisi uniforme,
perché proprio se si intende sostituirlo con qualcosa d’altro occorre
immaginare cosa faremmo noi se avessimo responsabilità pubbliche in quella
situazione. Allora ci renderemmo conto che alcune delle misure repressive (ad
esempio procedere a perquisizioni, interrogatori, controlli sulle strade)
sarebbero le stesse che prenderebbe una forza rivoluzionaria in condizioni
analoghe (accade ad esempio in Rojava). Probabilmente una forza rivoluzionaria
procederebbe anzi contro l’estrema destra, islamica e non, con minori complessi
sul piano politico, ed anche con minori ambiguità.
Certa critica teorica, in ambito accademico e “militante”, ha scelto di
ritagliare per sé il vezzo esclusivo ed escludente del negativo puro:
si limita ad analizzare le dinamiche di potere, chiamandosi fuori dal problema
decisivo che esso rappresenta anche per la trasformazione. Questo induce a
sviluppare un’attitudine a un tempo cupa e contemplativa, che non vede vie
d’uscite e non riesce a dare conto della complessità e delle differenze insite
nello sviluppo politico. Tutto ciò che questa attitudine vede attorno a sé è
narrazione, ideologia, mito e menzogna, e le uniche narrazioni analizzate sono
quelle attribuibili al “potere”, appunto. Il potere: chi è costui? Una domanda
familiare. Pur essendo descritto in via di principio come un reticolato di
interventi umani nella società, assume poi paradossalmente, in interventi come
questo, le sembianze di quella vecchia idea di Potere, concentrato e
completamente individuabile, che proprio una stimolante tradizione di pensiero
voleva in origine abbandonare.
dice ancora Davide
Grasso (nella sua pagina facebook)
Non essendo più da alcuni giorni pervenuto il
complottismo negazionista, sembra ci sia chi si sta riversando nel ribellismo.
Sembra che alcuni circoli, collettivi e centri sociali italiani intendano
continuare le attività pubbliche, comprese serate, cene e concerti, come se
nulla fosse. In attesa di rivendicazioni palesi e argomentate di questo
atteggiamento scioccante, vorrei dire la mia su alcune
"giustificazioni" che ho sentito in questi giorni:
(1) “Tanto anche i locali privati, come in piazza San
Marco a Venezia, continuano a fare e pubblicizzare aperitivi, quindi perché noi
no?”
Perché quello si chiama nemico di classe. “Noi”, se con
questo si intende una collettività che mette in discussione la società
capitalista, non abbiamo la stessa assenza di etica di chi mette il denaro
sopra tutto, anche sopra la salute e la vita.
(2) “Non si può accettare che sia limitata la libertà
d’espressione”
Ci sono modi e modi di esprimersi: bisogna per forza
radunare in locali chiusi centinaia di persone quando tutta l’Italia sta
cercando di non farlo? Non ci si può esprimere in altri modi? Per chi ha poca
fantasia, consiglio di leggere le comunicazioni sulla mobilitazione dell’8-9
marzo di Non una di meno Torino.
(3) “E’ una presa in giro! I centri commerciali sono
aperti e i mezzi pubblici funzionano!”
Occorre distinguere la critica del modo in cui funziona
la distribuzione capitalistica dei beni e del lavoro dalla necessità biologica
che beni circolino e alcune attività continuino. Quindi se senz’altro si
possono fare critiche al modo in cui si giustificano, si organizzano o si
permettono certe attività, resta che se tutti i centri commerciali chiudessero
e tutti i mezzi si fermassero i frigoriferi si svuoterebbero e tutti
morirebbero di fame, compresi i malati, i medici e le persone più ribelli. Se
invece chiudono per qualche tempo i concerti (ed anche teatri, cinema, ecc.) è
dimostrato che non muore nessuno.
(4) “Le misure restrittive fanno male all’economia,
quindi in primis ai lavoratori e ai precari”
Verissimo, per questo dovremmo superare questi
atteggiamenti e concentrarci su rivendicazioni che dovranno essere accompagnate
da battaglie sociali di lunga durata e all’altezza della situazione. Serate
danzanti, in ogni caso, non daranno da mangiare a precari e disoccupati.
(5) “Non posso accettare una decisione che pregiudica la
mia libertà individuale”
È invece un ottimo momento per chiudersi in casa
soprattutto per gli individualisti di destra e di sinistra, e far fumare le
meningi per rendersi conto che l’individuo senza società non solo è fottuto,
perché alla fine quel che la società con tutti i suoi difetti crea, in primis
la scienza, salva anche gli oscurantisti dalle loro tribolazioni, ma è tenuto
anche per questo a rispettare la società, cioè gli altri. L’individuo può
togliersi la salute e la vita quanto vuole ma non può, come avverrebbe in
questo caso, toglierle agli altri.
(6) “Le nostre serate saranno diversamente consapevoli”
Se essere diversamente consapevoli significa radunare
persone in spazi dove non sarebbe possibile tenere le debite distanze, e non si
sarebbe certo in grado di imporre il rispetto di decine di precetti per diverse
ore, anche soltanto un portatore sano del virus infetterebbe parte dei
presenti, creando nei giorni successivi l’effetto pioggia che si vede in queste
ore.
(7) “Diremo agli anziani e agli immunodepressi di non
venire alle serate”
Anche se le vostre serate saranno limitate ai giovani e
forti, i partecipanti che si contageranno l’un l’altro, seppure avranno buone
chance di sopravvivere, incontreranno altre persone e finiranno per condurre la
malattia anche a persone anziane o deboli. Cosa pensate che penserebbero le
eventuali vittime delle vostre idee rivoluzionarie, se potessero sapere che
anziché del destino sono state vittime di una "ribellione politica"?
(7) “Noi non ci adeguiamo alla psicosi”
È il momento dell’umiltà e di smettere i panni dei
saccenti, ragionando e apprendendo anziché insegnare a tutti i costi che si è
migliori dei poveri mortali che stanno fuori dai circolini della microsinistra.
Se anche il virus non si fermerà, con questa umiltà si contribuirà a
diffonderlo meno ed è una grandissima differenza.
(8) “Noi non ci fidiamo del governo e dello stato”
Fate bene, ma allora, visto che questo non è un esercizio
di filosofia, proponete misure alternative cui il paese possa se vuole
uniformarsi, basate sulle stesse informazioni scientifiche (o su informazioni
alternative, che però dovete accreditare e rendere pubbliche) e fatele
prevalere attraverso un movimento di massa, ma in tempi brevi. Se prevedete di
non riuscirci, meglio abbassare le ali e mantenere lo spirito critico senza
infettare sé stessi e il prossimo, e senza spargere sciocchezze che stanno
deprimendo tante persone che si riconoscono nei vostri percorsi in queste ore,
perché accreditano certe dicerie sugli attivisti alternativi: bambinoni viziati
e inadatti alle più elementari responsabilità della vita adulta. (Dicerie che
non devono trovare riscontro, fanno bene solo alla destra e non bisognerebbe
avvalorare neanche involontariamente).
(9) “Non si può rinunciare all’azione politica”
Non mi sembra che nessuno di noi sia mai stato sul punto
di immolarsi, se non in rarissimi casi, quindi è un po’ ridicolo immolare GLI
ALTRI sull’altare di una “lezione politica” che comunque le masse non ci stanno
chiedendo a gran voce. PRIMA bisogna creare un movimento politico dotato di un
peso storico, POI si può avanzare l’idea che le “nostre” azioni siano cruciali
qui e ora per tutta la società. Quest’ultima potrebbe accontentarsi anche solo
che non facciamo danni, in questo caso. Ricordiamoci che i circoli, i
collettivi e i centri di sinistra NON rappresentano al momento la società e NON
sono portatori in ogni caso di alcuna necessità storica immanente e/o
superiorità morale da scienza infusa, almeno fino a prova contraria. Quando
saremo sull’orlo di una rivoluzione da noi provocata allora si potrà dire: “Va
beh, moriranno centinaia di persone per il coronavirus ma già ne stanno morendo
tante di più in questa rivoluzione, inoltre gli effetti della vittoria
rivoluzionaria saranno benefici per secoli, quindi ci spiace, ma…”.
Adesso NON siamo in questa situazione.
Adesso NON siamo in questa situazione.
(10) “E allora l’Ilva? E allora la Siria? E allora i
migranti sul confine greco? Ecc.”
Non si risolvono certo quei problemi complicandone un
altro. Se proprio dobbiamo mantenere l’azione politica, possiamo manifestare
all’aperto rispettando le norme suggerite dai medici, come avverrà per l'8
marzo di Nudm o il 15 marzo al presidio per i martiri delle Ypg ai giardini di
via Revello a Torino. Se non ci prendiamo cura degli anziani, delle nostre
mamme e dei nostri nonni, dei nostri amici con problemi di salute, davvero
pensiamo che sia credibile e trasparente la nostra preoccupazione per gli
(altri) operai, per i migranti, per i curdi, per i palestinesi o per i siriani?
Tutte quelle persone stanno cercando di proteggere sé stesse e i loro amici e
affetti, e la comunità in cui vivono. Non potremmo cominciare a prendere
esempio da loro? Per noi schiavi del consumismo, più o meno alternativo, sembra
essere già tanto. E possiamo stare tranquilli che quei soggetti vorrebbero
tante cose da noi, ma non che diffondiamo il virus, perché questo genere di
malattia mette in pericolo soprattutto quell* come loro.
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