Coronavirus
e potere - Massimo Dadea
Parafrasando il Manifesto di Karl Marx, uno spettro si
aggira per l’Europa, anzi per il mondo intero: lo spettro della paura. Uno
stato d’animo, un emozione, una sensazione di pericolo per qualcosa che
minaccia la nostra esistenza. La paura non ha aspettato il coronavirus per
impadronirsi di noi.
E’ da un po’ di tempo che agitatori di professione
utilizzano lo spettro della paura per poco nobili fini. Si è iniziato con la
paura del diverso: per colore della pelle, per cultura, per credo religioso,
per genere, per preferenze sessuali. Una strategia che si è rivelata vincente:
la destra sovranista e xenofoba ha vinto le elezioni sollecitando gli istinti
più bassi, le paure ancestrali degli italiani.
La paura però per diffondersi ha bisogno di fare
affidamento sulla irrazionalità, ed è proprio in questo clima che si inserisce
la sfiducia nei confronti della scienza. Si è assistito ad un vero e proprio
elogio della incompetenza, ad una esaltazione del non sapere, diventati
addirittura motivo di vanto, di orgoglio. Il sapere ha smesso di essere un
valore per diventare un disvalore. Si è arrivati così ad un vero e proprio
linciaggio dell’esperto, visto come persona di cui diffidare, anzi di più, si è
identificato l’esperto con il corrotto.
Questo è avvenuto per i vaccini, per gli eventi
climatici, per la politica, per l’economia. La verità ha smesso di viaggiare
sulle spalle robuste della scienza ed ha iniziato a fluttuare su quelle infide
dei social: Facebook e Wikipedia sono diventati la nuova Bibbia. Oggi il coronavirus
ha trovato un ideale terreno di coltura in quelle paure che erano state diffuse
ad ampie mani ed anzi, gli stessi fomentatori di odio, i soliti avvoltoi, hanno
cercato di arruolarlo nelle proprie fila per meri fini di propaganda politica.
D’altronde il virus ha tutte le caratteristiche per
colpire la fantasia e le paure delle persone. Cosa c’è di più diverso di un
virus? Cosa c’è di più terrorizzante di un virus (dal latino virus-i veleno)?
Un’entità immateriale: invisibile, inodore, incolore, altamente contagioso,
persino letale. Ed invece, il coranavirus ha finito per scoppiare proprio tra
le mani dei novelli apprendisti stregoni. Tra tutte le conseguenze terribili
che ha determinato – sulla salute dei cittadini, sull’economia, sulle nostre
abitudini – ne ha avuto almeno una positiva.
E’ diventato l’angelo sterminatore di tutte quelle
cialtronerie che ci sono state propinate, in questo tempo nefasto, sulla
sfiducia nei confronti della scienza, sulla criminalizzazione delle competenze
e del merito, sulla delegittimazione della medicina e degli operatori sanitari.
Al momento del bisogno tutti a rifugiarsi nelle braccia accoglienti e
protettive della scienza.
È pandemia!
- Massimo
Dadea
E’ caduto anche l’ultimo velo: è pandemia.
L’organizzazione mondiale della sanità ha rotto gli indugi e, sia pure con
ritardo ha decretato quello che in molti paventavano: “il covid-19 si sta
diffondendo in tutto il mondo e la maggioranza degli uomini non ha adeguate
difese immunitarie”.
Il coronavirus sta determinando conseguenze terribili.
Sarebbe da stolti continuare a negarlo. In primo luogo sulla nostra salute:
mai, nel recente passato, abbiamo avuto una percezione così tangibile della
fragilità della nostra esistenza. Ci sentiamo inermi e indifesi di fronte ad un
pericolo subdolo e oscuro: un’entità invisibile, impalpabile, inodore,
incolore. Un nemico indecifrabile e, sino ad ora invulnerabile, che si sta
impossessando delle nostre libertà, che sta stravolgendo le nostre abitudini,
che sta incrinando molte delle nostre certezze.
La vita sociale al tempo del coronavirus è come
sospesa, così come i nostri rapporti interpersonali. Il nostro stesso pensiero
è paralizzato da una paura primordiale. Ed invece mai come in questo momento
dobbiamo saper usare la nostra intelligenza, saper attingere alla nostra
razionalità, saper fare uso del nostro buonsenso. A noi cittadini spetta il
compito di osservare scrupolosamente, senza deroga alcuna, le direttive emanate
dalle autorità sanitarie, ad iniziare da quel “Io resto a casa” che deve
diventare un imperativo categorico.
Un piccolo sacrificio rispetto a quello che è
richiesto, in questi giorni, agli operatori sanitari (medici, infermieri,
operatori socio sanitari, volontari) impegnati in prima linea nelle terapie
intensive, nelle corsie degli ospedali, nelle ambulanze del 118 – senza badare
ad orari o ai pericoli del contagio – in una battaglia decisiva da cui
dipenderà la nostra sopravvivenza. Quello che sta accadendo in Lombardia è
qualcosa di altamente drammatico. Secondo l’assessore regionale al Welfare i
pronto soccorso e le terapie intensive potranno reggere ancora per non più di
15 o 20 giorni. E’ necessario allora che le altre regioni, quelle appena
lambite dalla pandemia, adottino per tempo misure straordinarie per
fronteggiare l’emergenza. La Sardegna è tra quelle dove si contano un numero di
positivi al contagio abbastanza contenuto, dove fortunatamente non si
registrano decessi.
Siamo quindi nella condizione di predisporre un piano
straordinario di interventi: incrementare i posti letto di terapia intensiva,
-attualmente possiamo contare su appena 113 posti letto – ricordando che la
nostra è un’isola e quindi non possiamo contare sulla solidarietà delle regioni
confinanti; dotarci di un consistente numero di ventilatori (apparecchiatura
per la respirazione artificiale); l’assunzione di un adeguato numero di medici
da impiegare nelle terapie intensive e di altrettanto personale
infermieristico, così come di un appropriato numero di psicologi per
fronteggiare i disturbi d’ansia e da stress che si verificano nel corso delle
emergenze.
La sanità pubblica è rimasto l’unico baluardo contro
il coranavirus, suscita allora rabbia e disprezzo l’operato di quanti, a
livello nazionale e regionale, in tutti questi anni, hanno portato avanti una
politica dissennata ed interessata di tagli della spesa sanitaria, quanti hanno
lavorato al progressivo smantellamento della assistenza sanitaria pubblica,
quanti hanno foraggiato con cospicue risorse quella sanità privata che, al
momento del bisogno, si è squagliata come neve al sole.
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