Il Welfare e
il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) pubblico e universale fondato sulla
fiscalità generale sono uno dei maggiori successi di circa 150 anni di lotte
operaie e popolari che già dalla rivoluzione industriale in
Europa, dalle prime concessioni di Bismarck nella Germania di fine
‘800 sino al Piano Beveridge nella Gran Bretagna dell ‘inizio del ‘900 e di
Keynes nel dopo guerra, hanno portato i paesi industrializzati a dotarsi
di sistemi di sicurezza sociale su modello assicurativo (Olanda), universalistico fondato
sulla fiscalità generale (Gran Bretagna, Italia, Svezia) o misto (Francia,
Germania), strappando questa conquista alle forze conservatrici e ai datori di
lavoro.
L’Italia,
che già aveva in Costituzione sancito un nuovo e più avanzato equilibrio tra le
forze sociali, dopo il decennio di lotte dei lavoratori, degli studenti e delle
donne, in coerenza con l’art. 32 della Costituzione, si è
dotato di un SSN sul modello universalistico, superando il
diseguale, inefficiente e costoso, nonché in bancarotta, sistema
mutualistico, che proteggeva in modo differente solo i lavoratori e i loro
famigliari.
Questa
conquista ha consentito un maggiore benessere dei ceti meno abbienti, dei
lavoratori e delle classi medie, che hanno potuto destinare parte del proprio
reddito ai consumi, facendo crescere la domanda interna e determinando la loro
maggiore integrazione democratica.
La crisi
progressiva di questo modello soprattutto dopo il trattato di
Maastricht e il fiscal compact in Costituzione e la crisi economica
del 2008, sta spingendo questi settori della società verso scelte di democrazia
illiberale e risentimento autoritario, sul cui fuoco soffiano le
forze nazional-sovraniste e fasciste, complici le scelte impopolari
dell’UE e dei Governi nazionali, nonché delle sinistre al governo nazionale e
regionale, che, in vario modo, hanno favorito questi processi, individuate come
corresponsabili.
Tuttavia il
SSN in Italia, istituito con 30 anni di ritardo rispetto a quello dei laburisti
britannici del 1948, con la L. n. 833/1978, insieme a molte altre normative
importanti frutto di quella stagione di lotte (L. n. 180/1978 sulla chiusura
dei manicomi, L. n. 194 /1978 sulla maternità responsabile e l’interruzione di
gravidanza), è bene ricordare che ha avuto molti avversari e la Riforma
sanitaria è stata disattesa e ostacolata soprattutto al Sud, finché
è iniziato un vero periodo di controriforma con il D. Lgs. N.
502/1992, concause sia il positivo allungamento della speranza di
vita, lo sviluppo delle malattie croniche nella popolazione anziana, l’
introduzione di nuova diagnostica e farmaceutica, che ne hanno aumentato
i costi (la sanità è il 70% dei bilanci regionali), sia il
cattivo funzionamento della Pubblica Amministrazione, fino
alla Tangentopoli del 1992, con l’istituzione delle Aziende
sanitarie, l’obbligo di pareggio di bilancio e la figura monocratica e
autoritaria del Direttore generale, mentre gli Enti locali perdevano il loro
ruolo.
La crisi
fiscale dello Stato, con la forte evasione fiscale italiana, e il progressivo
ridursi del PIL hanno fatto il resto.
Nella sanità
siamo dunque di fronte a processi che stanno portando al
progressivo e strisciante smantellamento del Servizio
Sanitario Nazionale (SSN), non dichiarato esplicitamente ma non per questo meno
grave.
Punti chiavi
di questo processo sono stati la riduzione della spesa pubblica, il blocco
delle assunzioni del personale nel settore pubblico e del turn over e
il contemporaneo spostamento della spesa su acquisto di beni e servizi (esternalizzazioni,
accreditamenti): questa è la contraddizione principale in questa fase.
Questo
disegno si sviluppa attraverso le scelte portate avanti dagli ultimi governi da
Berlusconi, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni e Conte1 ed è alimentato
da una campagna promossa dalla Confindustria, con il pensiero unico dominante
della Cattolica e della Bocconi, dai grandi gruppi sanitari e assicurativi
anche del mondo cooperativo e sindacale (welfare aziendale nei CCNL),dal
mondo finanziario, per convincere i cittadini dell’insostenibilità economica
del Servizio Sanitario pubblico con il solo prelievo fiscale al fine di
superare il modello del SSN universale fondato sulla fiscalità generale
istituito con la L. n. 833/1978, produttore diretto di servizi , puntando a
un modello assicurativo integrativo e/o sostitutivo che che cerca
risorse altrove e acquista i servizi sul mercato.
ll SSN
infatti sta progressivamente cessando di produrre direttamente servizi ma li
compra da altri: una vera e propria moderna “rimutualizzazione” del SSN
governata centralmente dal Ministero dell’ Economia e delle finanza.
Appare
abbastanza chiaro che si procede, a partire dal Governo nazionale, con
l’assoluto consenso delle Regioni e degli Enti Locali, ad una strisciante
privatizzazione – pur mantenendo il formale contenitore pubblico
– (il 40% dei servizi a livello nazionale ma oltre il 50% nel Sud è
acquistato dal SSN dai privati) e ad un progressivo affermarsi delle
assicurazioni private che agiscono in una condizione di privilegio come
concorrenti sleali nei confronti dei servizi pubblici. Si è assistito, in
questi anni ad un ingente investimento di risorse private in sanità con
l’obbiettivo della conquista di questo “mercato” anche con l’utilizzo di fondi
pubblici secondo tendenze internazionali per cui la finanza individua la “white
economie” come un nuovo settore di investimenti e profitti che tramite la
deducibilità determinano un ulteriore danno al bilancio pubblico.
In questo
quadro la finanziarizzazione dell’economia, la globalizzazione e il
decentramento produttivo, hanno spostato ingenti risorse, complice la
rivoluzione informatica, dai paesi industrializzati alle economi emergenti
determinando la crisi del 2008.
Il divario
tra le Regioni e tra Nord e Sud è stata aggravato dalla riforma del
titolo V della Costituzione voluta dal Governo di Centro sinistra
(D’Alema) con una ancora più forte regionalizzazione così come il
commissariamento per le Regioni in deficit di bilancio (Prodi). Mentre i
progetti di autonomia differenziata iniziati dal governo Conte
1, ma con l’accordo delle Regioni in cui governa il centrosinistra (Emilia
Romagna, Toscana), mineranno ulteriormente, se attuati, l’unità della
Repubblica che, come recita la Costituzione, è formata da Stato, Regioni e
Comuni: non si tratta dunque di ridare centralità al Governo e al Ministero
attraverso un nuovo centralismo autoritario come già conosciuto quando
governava la DC e i suoi alleati, ma di riscostruire un equilibrio democratico
fondato sull’equa e solidale ripartizione delle risorse attraverso
la rideterminazione della quota capitaria e il superamento
dello storico divario del Meridione aggravato dalla mobilità passiva.
Le Regioni,
sono chiamate così a fare il lavoro sporco: riducono e spremono il personale,
tagliano e privatizzano i servizi, li accorpano e li esternalizzano, mentre i
lavoratori hanno visto diminuire il loro potere d’acquisto
attraverso il blocco della contrattazione e dei salari fermi da
molti anni sino al positivo recente rinnovo del CCNL, nonché gli spazi
democratici dentro aziende sanitarie sempre più grandi (regionali, provinciali
o di grandi aree metropolitane come a Roma), prevalentemente a
trazione giuridico-contabile e lontane dai cittadini e dai lavoratori
attraverso la ormai superata figura del Direttore generale, organo monocratico
privo di contrappesi democratici in linea con la verticalizzazione autoritaria
dalla tentata riforma costituzionale al preside manager.
Si
interrompe così la tradizione della sinistra di decentramento amministrativo,
buon governo e allargamento della democrazia mentre continuano i fenomeni di
illegalità e corruzione. Sino all’assurdo della R. Lazio che ha cambiato il
nome da SSN a Sistema sanitario regionale, contravvenendo, peraltro, ad ogni
norma nazionale e regionale, distorcendone senso e finalità.
La
Regioni gestiscono ed erogano l’attività sanitaria tramite le
Aziende sanitarie locali ed ospedaliere (ASL/ASO), impropriamente rispetto al
loro ruolo costituzionale di programmazione e indirizzo mentre le
Amministrazioni comunali hanno sempre di più rinunciato alla loro
funzione nel campo del diritto alla salute, sebbene nella normativa
italiana e nella L. 833/1978 istitutiva del SSN il legislatore avesse previsto
per il Sindaco un importante ruolo di autorità sanitaria locale che lo avrebbe
dovuto portare a rappresentare lo stato di salute e i bisogni dei
propri cittadini nelle sedi dove avvengono le scelte relative alla
programmazione dei servizi.
Si registra
nell’ultimo periodo un oggettivo peggioramento della possibilità di
accesso alle cure, la quantità e la qualità dei servizi risultano in
costante decremento, tranne poche Regioni che tuttavia iniziano a scricchiolare
come la Toscana, a causa dei tagli sulla spesa e soprattutto, del blocco del
turn over del personale determinato dal pluriennale divieto di assunzioni nella
Pubblica Amministrazione.
In merito a
quest’ultimo, va rilevato il costante invecchiamento del personale in servizio
associato a larghe fasce di precarietà e contratti atipici che frammentano e
corporativizzano ancora di più il mondo del lavoro in sanità. Ciò oltre a
essere un oggettivo attacco alle condizioni di lavoro, produce un deperimento
della qualità della presa in carico degli utenti e un impoverimento
scientifico-culturale dei servizi (es. esternalizzazioni attività
informatiche). Le esternalizzazioni sono inoltre un aggiramento del blocco
delle assunzioni nel pubblico impiego, mentre la sanità
convenzionata/accreditata opera con il continuo ricatto occupazionale dei
licenziamenti. Sarebbe invece opportuno pensare ad un esteso programma di reinternalizzazioni
per una ripubblicizzazione del SSN e a concorsi regionali per
professione e disciplina con graduatorie a scorrimento
anche per evitare diffusi fenomeni di arbitrarietà e illegittimità nei concorsi
pubblici nelle ASL/ASO e il riassorbimento nei CCNL della medicina di base e
specialistica convenzionata.
La
disaffezione dei cittadini provocata dalle liste di attesa mal gestite
e mal governate, cioè da un rapporto perverso tra la domanda del paziente e
l’erogatore della prestazione orienta, di fatto, verso la privatizzazione,
favorita da una totale mancanza di gestione della intramoenia e dei ticket,
ingiusto balzello sulla salute, per cui l’eliminazione del superticket è
insufficiente e la sua rimodulazione per reddito determinerebbe la fuoriuscita
dal sistema dei ceti più abbienti.
In
particolare:
1) I temi
dell’efficienza, degli sprechi, dell’ inappropriatezza prescrittiva diagnostica
e terapeutica o organizzativa (efficacia) e della corruzione in
sanità – pur importanti- vanno riletti alla luce di questa
elaborazione: la CONSIP per esempio si è rivelata al pari delle gare gestite
dalle Aziende sanitarie luogo di illegalità e non sempre gli acquisti, con gare
al massimo ribasso, sono sinonimo di qualità, la medicina basata sulle prove di
efficacia (EBM), pensata principalmente per la tutela della salute, non sempre
riduce i costi (es.: vaccinazioni, farmaci epatite C) mentre le
scelte organizzative sono speso funzionali a meri disegni di potere mentre
viene meno ogni sforzo di programmazione nazionale e regionale nonostante le
ampie basi di dati disponibili.
2) Il
cambiamento del quadro epidemiologico da malattie acute e cronico
degenerative ormai in corso da decenni, la longevità non sempre affiancata da
una migliore qualità della vita con l’età (oggi le malattie croniche
assorbono l’80% delle risorse), i cambiamenti demografici, le nuove
povertà e disuguaglianze, che determinano una relativa rinuncia alle cure
per via del ticket o perché non coperte dal SSN e dai LEA, l’immigrazione, le
trasformazioni della famiglia tradizionale con la frammentazione
della rete famigliare e generazionale, i nuovi bisogni di genere pongono
accanto all’ospedale, per cui è necessario fermare la riduzione dei posti letto
e la chiusura dei piccoli ospedali in zone disagiate, ma anche una sua radicale
trasformazione culturale, organizzativa e di ruoli, il potenziamento di un
sanità del territorio attraverso il modello innovativo della medicina di
iniziativa che si fondi su un maggiore decentramento e la partecipazione
democratica di cittadini e operatori, dall’assistenza domiciliare ai
consultori, attraverso la cultura della presa in carico e dell’integrazione
socio-sanitaria con la personalizzazione delle cure nel rispetto delle differenze.
Va ridotta la partecipazione economica dei cittadini alle rette dei servizi
residenziali e semi residenziali, di trasporto e accompagnamento di malati e
disabili. Nei LEA va introdotta tutta l’odontoiatria e l’ ortodonzia,
le prestazioni di fisioterapia attualmente escluse e la psicologia.
I servizi accreditati e esternalizzati vanno reinternalizzati attraverso il
blocco dell’affidamento ai privati rivedendone nell’immediato i rapporti
contrattuali e i sistemi di pagamento.
3) I farmaci
sono un aspetto importante della salute del SSN non solo per gli aspetti
economici: gli enormi profitti delle multinazionali del farmaco si sposano con
il consumismo che pervade la società cui le terapie non sono estranee; i
farmaci generici, il cui utilizzo va esteso, richiedono una contestuale
strategia per i farmaci innovativi con l’uso degli strumenti consentiti dalla
normativa sui brevetti, inclusa la licenza obbligatoria, evitando che
l’introduzione di nuovi farmaci rappresenti un fattore di insostenibilità per il
SSN consentendone l’accesso a tutti attraverso costi ragionevoli per il SSN.
Per questo è necessario la revisione delle modalità di funzionamento della AIFA
(Agenzia per il farmaco) anche a livello europeo, il potenziamento della
ricerca indipendente e pubblica, la creazione di una azienda publica per la
produzione e la commercializzazione dei farmaci.
4) Va messo
in sicurezza, riconvertito ecologicamente e ammodernato il patrimonio
edilizio e tecnologico sanitario iniziando dal Sud, evitando complessi
e costosi progetti di finanza privata.
5) La
prevenzione che pure è formalmente al centro della normativa ha visto un
progressivo appassirsi dell’iniziativa in questo campo: permangono 4000
morti/anno sul lavoro, inquinamento atmosferico da
polveri sottili da traffico veicolare, cambiamenti climatici e
desertificazione, inquinamento delle falde acquifere e in
agricoltura (pesticidi,PFAS, rifiuti, attività estrattive), le crisi ambientali
dalla terra dei fuochi, all‘ILVA alla Val D’Agri sino alle
più recenti tematiche dei 5G, alla crisi abitativa, la disoccupazione e
il degrado delle periferie, richiedono di ripensare radicalmente il sistema
della prevenzione tra livelli stati centrali, regionali e locali evitando di
scaricare sul SSN la mancate politiche di prevenzione in tutti settori e di
separare l’attenzione dal modello di sviluppo (produzione e consumi)
dagli stili di vita (che da quel modello sono profondamente influenzati): fumo,
sostanze d’abuso, alimentazione e attività fisica non sono un problema individuale
ma collettivo e sociale.
E’ evidente
che se la sinistra non sarà in grado di sviluppare un nuova originale
elaborazione di contenuti in un orizzonte di radicalità riformatrice, superando
la propria subalternità ai centri del pensiero unico neo liberale dominante
(democratizzazione del SSN, reintroduzione della progressività
dell’imposta fiscale come previsto della Costituzione, lotta all’evasione
fiscale non di facciata, riduzione delle spese inutili in altri settori come
quello militare e della difesa, rapporto tra ambiente e salute, centralità
della prevenzione in tutte le politiche, territorio e cronicità, cultura della
presa in carico, superamento delle privatizzazioni ed esternalizzazioni) e più
radicali forme di lotta anche internazionali, non si riuscirà ad invertire la
tendenza delineata.
* Medico di
sanità pubblica Direttore di Distretto ASL
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