Si racconta che un Faraone d’Egitto per ringraziare un suo ospite del dono
del gioco degli scacchi, gli chiese cosa volesse in cambio. L’interpellato
rispose che voleva solo del riso: un chicco sulla prima casella della
scacchiera, due chicchi sulla seconda, quattro sulla terza e così continuando
fino alla sessantaquattresima casella. La somma del grano richiesto è però più
di diciotto miliardi di miliardi di chicchi, un numero astronomico. La crescita
esponenziale esemplificata da questa storia è poco intuitiva ma capita spesso
intorno a noi: ad esempio, gli eventi meteorologici catastrofici hanno origine
da una crescita esponenziale di piccole perturbazioni.
Se si considerano i dati che sulla crescita nel tempo del Coronavirus
(numero di decessi, numero di pazienti positivi in terapia intensiva,
ecc.) si trova che la crescita è ben approssimata da una curva
esponenziale (si veda qui gli
andamenti aggiornati nei vari paesi): questa è originata dal fatto che, al
momento, il numero di nuovi casi è proporzionale al numero di casi già
esistenti. In generale, i modelli di diffusione di una epidemia prevedono una
crescita esponenziale iniziale seguita da un rallentamento sempre più marcato:
questa avviene dopo un tempo che dipende dalla probabilità con cui una persona
esposta al virus diventa infetta – bisogna lavarsi le mani per diminuire la
probabilità di infezione una volta che si è stati esposti al virus – e dal
numero di individui con cui, in media, si viene a contatto – e per questo
bisogna stare a casa. Non sapendo quando avverrà il passaggio da una crescita
esponenziale a un rallentamento della diffusione, è necessario effettuare
previsioni accurate usando i big data in cui si tracciano in tempo reale la
posizione e gli spostamenti di milioni di individui (ponendo non banali problemi
di tutela della privacy): si effettua cioè uno studio numerico della diffusione
di una epidemia su una rete complessa, la nostra società globalizzata, ed è per
questo necessario effettuare calcolo intensivo con i più grandi super-computer
disponibili. Questa disciplina, nota come epidemiologia computazionale (si
veda qui per
una introduzione), vorrebbe avere lo stesso ruolo dei calcoli che si fanno in
meteorologia per la previsione del tempo. Tuttavia, mentre nell’ultimo caso si
può avere un riscontro immediato della qualità delle previsioni (piove o non
piove) questo è più difficile per l’epidemiologia computazionale poiché il
fenomeno di diffusione è legato anche alle policy di intervento per il suo
contenimento.
Per continuare nel parallelo e capire le connessioni tra scienza, politica
e società, immaginiamo che un uragano si stia dirigendo verso la costa di una
certa regione e il governatore di questa debba decidere se evacuare o meno una
certa città. Entrambe le scelte hanno un rischio e dunque un costo: da una parte
non si può sapere con esattezza se quell’uragano arriverà su quella città
poiché un errore nel calcolo della traiettoria di qualche km cambierebbe
completamente lo scenario. D’altra parte, l’evacuazione di una città ha un
costo enorme come lo ha la non evacuazione quando una città viene colpita da un
uragano (pensiamo a New Orleans). Quando si prende una decisione non conoscendo
abbastanza bene l’errore della previsione della traiettoria ci si assume un
rischio: quale è la soglia di rischio tollerabile da un punto di vista politico
data una certa incertezza? Dal punto di vista dei decisori politici, la
previsione in probabilità di un evento catastrofico estremo è utile in pratica
soltanto se a valle ci sono protocolli operativi in grado di gestire e usare
informazioni con un’incertezza quantificabile e/o formulate in termini di vari
scenari evolutivi con associata stima della probabilità (si veda qui per
una introduzione divulgativa e qui per
una trattazione più tecnica).
Il Coronavirus è come un uragano, ormai nel pieno del suo sviluppo, che sta
investendo tutto il mondo (una pandemia ha detto l’OMS) ma che, a differenza di
un fenomeno metereologico, può essere attenuato da decisioni politiche e
comportamenti individuali opportuni. Il problema è però che nel caso specifico
non c’è un protocollo ben definito da seguire e dunque tutto s’improvvisa
sull’onda dell’emergenza. Tuttavia, il fatto che l’intervento esterno possa
cambiare l’evoluzione del fenomeno fa sì che questo sia molto diverso da un
urgano che si sviluppa a prescindere. Si entra cioè nella zona di confine tra
scienza, politica, e società che rappresenta oggi la frontiera dell’attuale
ricerca: quando la ricerca cessa dunque di essere solamente accademica ma riguarda
direttamente ognuno di noi e quando lo scienziato diventa il necessario
interlocutore per prendere decisioni politiche e per spiegarle alla
collettività. Questa situazione fornisce una chiara risposta alla famosa
domanda di Silvio Berlusconi “Perché dobbiamo pagare uno scienziato se facciamo
le scarpe più belle del mondo”? E rende anche chiaro che le politiche che hanno
indebolito sia l’università sia il sistema sanitario (dal taglio di posti
letto al numero chiuso a medicina) sono state scellerate:
nell’immediato è davvero difficile porvi rimedio ma è ora cambiare rotta.
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