Senza tregua, il falso cessate il fuoco - Alberto Negri
Antonio
Guterres, segretario generale dell’Onu, il 23 marzo si era rivolto ai paesi in
guerra chiedendo un cessate il fuoco per impedire che in zone già devastate e
indebolite dai conflitti il coronavirus potesse mietere ancora più vittime.
Nessuna grande o media potenza se lo è filato, tranne qualche gruppo di
guerriglia come gli insorti comunisti delle Filippine.
Siamo senza
tregua ma sui media ci raccontiamo la favoletta della “pace da coronavirus”.
Il Pentagono
ha ordinato ai comandanti militari di prepararsi a un aumento dei combattimenti
in Iraq emanando una direttiva per preparare una campagna contro le milizie
sciite: alcuni generali esitano ma Trump e Pompeo spingono per approfittare
dell’indebolimento dell’Iran prostrato dall’epidemia.
Il quadrante
iracheno è ribollente. Gli Usa si sono defilati da alcune basi per evitare
attacchi dei miliziani mentre la Francia ha ritirato qualche centinaio di
soldati: questo è il prezzo che Macron ha pagato per la liberazione di quattro
ostaggi francesi dell‘organizzazione umanitaria Cristiani d’Oriente prigionieri
per oltre un mese non si sa se di qualche milizia o degli stessi servizi
iracheni. Appare sempre più chiaro che a Baghdad si sta aprendo un nuovo capitolo
della “guerra di Soleimani” tra le forze che vorrebbero un ritiro degli
americani e gli Usa che qui vogliono fare la guerra a Teheran e alla Mezzaluna
sciita.
Altro che
tregua. Non finiscono neppure le guerre economiche. Anzi gli Stati Uniti
continuano a strangolare Teheran con le sanzioni e hanno imposto persino una
taglia sul presidente venezuelano Maduro. Da ogni parte si chiede la
sospensione delle sanzioni all’Iran: quelle finanziarie e bancarie, lo scrive
anche il New York Times, impediscono a Teheran qualunque operazione di
pagamento internazionale, compreso l’import di medicinali. Non solo:
Washington, dopo avere offerto agli ayatollah la carità pelosa di aiuti
umanitari, si prepara a bloccare la richiesta di Teheran di un presto da 5
miliardi di dollari al Fondo monetario.
Ognuno
strangola chi può. Non pensiamo che noi europei siamo tanto meglio: il Nord
dell’Unione europea non ci vuole regalare soldi perché spera di raccogliere
quel che resterà di buono tra le macerie delle economie meridionali come la
nostra. La Germania non ha bisogno di eserciti: fa lavorare l’epidemia e
l’economia. Dopo avere evocato terminologie belliche per settimane adesso che è
in guerra la nostra classe dirigente stenta ad accorgersene e se ne meraviglia.
L’America di
Trump non rinuncia al suo obiettivo, cambiare i regimi che non gli piacciono
perseguendo politiche contrarie alla carta delle Nazioni Unite. Del resto non
ci si poteva aspettare altro visto che hanno cominciato l’anno il 3 gennaio
assassinando il generale iraniano Qassem Soleimani a Baghdad.
Si combatte
eccome, dalla Siria allo Yemen, dall’Afghanistan all’Iraq. Quel che si vede
sono soltanto pause o un rallentamento delle operazioni. Nella provincia di
Idlib siriani e turchi continuano a spararsi in mezzo ad azioni di guerriglia e
attentati. In Libia sono in corso violenti scontri a sud-est di Misurata e le
forze di Khalifa Haftar si stanno scontrando con quelle del governo di Tripoli.
Haftar sta tentando a Ovest di impadronirsi di Zuara sulla direttrice di
terminali di gas dell’Eni a Mellitah. Il governo di Tobruk garantisce che non
intende interrompere il flusso del metano nella pipeline verso l’Italia ma
quello che sta accadendo in Libia non è un buon viatico per la nuova missione
europea Irene destinata a far rispettare l’embargo sulle armi.
Dove non si
guerreggia è soltanto perché si teme la diffusione del coronavirus non tra le
popolazioni, completamente abbandonate al loro destino, ma tra eserciti e
miliziani: quando la pandemia sarà passata serviranno truppe efficienti per
regolare i conti.
Certo c’è
spazio anche per la diplomazia. Ma sui generis, per fare altre guerre. Il
principe ereditario di Abu Dhabi, lo sceicco Mohammed bin Zayed e il presidente
della Siria Assad si sono messi d’accordo: i Paesi del Golfo stanno riaprendo a
Damasco che è entrata nell’asse con la Russia e l’Egitto in appoggio al
generale Haftar in Libia. I siriani insieme a Mosca stanno reclutando schiere
di miliziani da mandare a combattere per il generale libico e controbilanciare
la presenza della Turchia a favore di Tripoli e di Sarraj.
I più
dimenticati di tutti sono i profughi: per loro non c’è fine alla sofferenza. E
ora sono vulnerabili anche all’epidemia. In Medio Oriente, dalla Siria, allo
Yemen, dall’Afghanistan alla Libia, oltre 20-30 milioni di persone ammassate
nei campi profughi, all’addiaccio, o in cammino tra deserti e montagne, vivono
senza neppure la speranza di raggiungere l’Europa. Loro restano in una perenne
“zona rossa”, sospesi tra la vita e la morte. Senza tregua.
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