[Davide Grasso, militante No Tav, collaboratore di Carmilla e di altre testate, ha combattuto contro l’ISIS nei ranghi delle
forze armate libertarie curde. In patria ne sono seguite persecuzioni,
giudiziarie, poliziesche e persino bancarie. Il suo articolo, ma sarebbe meglio
parlare di saggio, va letto con estrema attenzione, perché la merita.]
Vi ricordate
quando, nel 2003, il segretario alla difesa statunitense Colin Powell agitò
alla riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu la famosa provetta che doveva
dimostrare la presenza in Iraq di “armi di distruzione di massa” (poi
rivelatesi inesistenti) per giustificare la guerra che avrebbe gettato gran
parte del mondo musulmano nella catastrofe? Powell portò quel giorno anche un
secondo argomento, meno noto: la presenza, sui monti Zagros, nell’Iraq
settentrionale, di una banda di integralisti islamici curdi, Ansar al-Islam
(“Ausiliari dell’islam”). Il suo fondatore era il fanatico giordano Abu Musab
al-Zarqawi e la sua presenza, secondo gli Stati Uniti, dimostrava che Baghdad
gli dava protezione. Questo era probabilmente falso, mentre è vero che
l’attuale segretario di stato Mike Pompeo, il 28 febbraio 2020, ha affermato
che gli Stati Uniti sostengono gli sforzi dell’esercito turco nel proteggere i
“ribelli” che occupano la provincia siriana di Idlib.
Idlib è una
piccola provincia del nord-ovest della Siria, di appena 6.000 km quadrati (poco
più della Città metropolitana di Roma). Confina a est con la provincia di
Aleppo e a nord con la Turchia. Lì oggi combattono contro il regime di Assad e
la Russia proprio i miliziani di Ansar al-Islam, che figurano quindi,
diciassette anni dopo le accuse e la guerra all’Iraq, tra coloro che gli Stati Uniti
vogliono proteggere, chiamandoli “ribelli” anziché, come all’epoca,
“terroristi”. Ansar al-Islam combatte a Idlib nell’ambito di un’alleanza
paramilitare chiamata Harid al-Mu’minin (“Incita i credenti”), in cui compaiono
anche Hurras al-Din e Ansar al-Tahwid (“Guardiani della religione” e “Ausiliari
del Monoteismo”, affiliati ad Al-Qaeda, l’organizzazione responsabile
dell’abbattimento delle Twin Towers a New York nel 2001 e di innumerevoli altri
crimini) e Ansar al-Din (“Ausiliari della religione”, vicino all’Isis).
L’alleanza di questi quattro gruppi agisce al fianco di Tahrir al-Sham, branca
siriana “ufficiale” di Al-Qaeda, e di Ahrar al-Sharqiya, gruppo in cui militano
ex esponenti dell’Isis, in azione tanto a Idlib quanto in Rojava contro i curdi
delle Ypg-Ypj.
Perché, se
l’intervento militare turco in Siria è a protezione di tali “ribelli”, la
scandalosa posizione degli Stati Uniti – che è la stessa dell’Unione Europea –
non viene denunciata pubblicamente? La scelta di denominare gruppi criminali di
tale levatura con un’espressione compiacente sugli organi di stampa è motivata
da superficialità, ma anche da conformismo: esiste infatti un interesse
politico da parte dei governi di Usa e Ue a contenere – a costo di appoggiare,
con la Turchia, gli estremisti più pericolosi del pianeta – i successi militari
in Siria di attori geopolitici opposti: il regime siriano, la Russia e l’Iran.
Come è possibile tutto questo? Come si è arrivati a questo? E chi sono,
realmente, i “ribelli” di cui Turchia, Stati Uniti e Unione Europea sostengono
con le parole o con i fatti a Idlib l’infinita, sanguinosa e inutile guerra?
L’occupazione jihadista di Idlib (2011-2013)
Nel giugno
2011, a tre mesi dall’inizio delle manifestazioni popolari contro il potere
dispotico di Bashar al-Assad, alcune persone impugnarono per la prima volta
armi da fuoco usandole contro la polizia. Accadde a Jisr al-Shughur, un piccolo
centro della provincia di Idlib. Perché proprio a Idlib? La parte della
rivoluzione che voleva armarsi necessitava di qualcuno che le fornisse armi, e
quel “qualcuno” a Idlib era giusto oltre la frontiera. Nel 2016, in Siria, un
ragazzo di Aleppo che combatteva nelle Ypg mi raccontò come gli agenti turchi,
mischiati con i nuovi paramilitari anti-Assad, all’inizio della guerra
andassero in giro per le campagne di Aleppo e Idlib promettendo alle famiglie,
per i figli, stipendi doppi rispetto a quelli di un soldato del governo. La
Siria fu letteralmente invasa di armi introdotte dal confine turco e questo
avvenne con la collaborazione accertata degli Stati Uniti (mi permetto di
rinviare su questo al mio saggio Il fiore del deserto,
Agenzia X, 2018).
Erdogan,
considerato un moderato dai media e dai governi occidentali, si ergeva
all’epoca non solo in Siria, ma anche in Tunisia, Libia ed Egitto a protettore
delle primavere arabe. L’aiuto turco giungeva però soltanto a coloro che, in
quei paesi, sposavano la linea politica della destra oscurantista che Erdogan
rappresenta. Le province siriane di Aleppo, Idlib e Raqqa, che confinano con la
Turchia, furono trasformate perciò nel 2012 in teatro di operazioni per bande
di islamisti (che non significa “musulmani”, ma jihadisti). Idlib era
attraversata da carichi di armi lungo il confine e da miliziani giunti da ogni
parte del mondo con lo scopo di imporre la legge coranica nel paese. La Turchia
e il suo principale alleato ideologico, il Qatar (entrambi sostenitori del
movimento islamista globale della Fratellanza musulmana) ritennero i tempi
maturi per proclamare la nascita di un organo in esilio preposto a governare
una futura Siria islamizzata. Questo organo fu chiamato, d’accordo con gli
Stati Uniti, “Coalizione nazionale siriana” (Cns). Egemonizzata dai Fratelli
musulmani della Siria, la Cns esibiva anche qualche figura liberale, su pressione
dell’allora segretario di stato Hillary Clinton.
Stati Uniti,
Francia, Italia e Gran Bretagna riconobbero già nel 2012 la Cns come “legittimo
rappresentante delle aspirazioni del popolo siriano”. Si trattava però di un
organo artificiale, prodotto fuori dalla Siria che, senza alcuna legittimazione
popolare, promuoveva una visione retrograda della società. La costituzione
della Cns fu accolta non a caso con freddezza, se non con preoccupazione, da
gran parte dei siriani, compresi molti di coloro che si erano battuti nelle
piazze contro Assad, e che ora temevano il prevalere di progetti armati e
sostenuti dall’estero intenzionati a riportare la Siria al medioevo. Turchia,
Qatar e Stati Uniti tentavano di coordinare le bande armate sotto la dicitura “Esercito
libero siriano” (Fsa). All’interno di questo “Esercito” i Fratelli musulmani
cercarono di fare da tramite con la Cns quale organo politico, formando il
battaglione Failaq al-Sham (“Legione del Levante”).
La Cns non
riuscì tuttavia a prendere la guida del pericolosissimo processo che aveva
scatenato. Molti dei miliziani giunti dall’estero, infatti, non si
riconoscevano nella Fratellanza musulmana, considerandola un movimento
antiquato e troppo moderato. Molti aderirono perciò a gruppi salafiti, ossia
fautori di un’applicazione ancora più rigida delle interpretazioni religiose. I
“comandanti” dell’Fsa restarono sempre tali sulla carta perché visti come
burattini dei ricchi trasnfughi della Cns in Turchia, che vivevano tra gli agi
e non conoscevano le sofferenze di chi combatteva in patria. Si formarono così
gruppi politico-militari nuovi, più consistenti e potenti di Failaq al-Sham. Il
più forte fu Al-Qaeda, che allora si faceva chiamare in Siria Jabhat al-Nusra
(“Fronte di salvezza”), rifiutando di usare il simbolo dell’Fsa, e compiva
eccidi nei villaggi sciiti e alawiti (confessioni islamiche minoritarie in
Siria), perseguitava i cristiani ad Aleppo e imponeva i tribunali della sharia
nelle zone conquistate. Quando la Cns, sostenuta da Failaq al-Sham, si
auto-nominò a Idlib “Governo ad interim della Siria” nel 2013, Al-Nusra si
rifiutò di riconoscerne la legittimità, continuando ad agire in modo
indipendente tramite i suoi tribunali.
Un altro gruppo
che rubò la scena a Failaq al-Sham fu Ahrar al-Sham (“Uomini liberi del
Levante”), milizia salafita appoggiata direttamente dalla Turchia per
recuperare consensi tra le fazioni più estremiste. Ahrar al-Sham faceva parte
delle strutture di comando dell’Fsa, e annunciò sull’emittente qatariota
Al-Jazeera nel 2012 di considerare blasfemo il concetto di democrazia e di
voler trasformare la Siria in uno stato islamico. Usava la bandiera dell’Fsa
anche Harakat Al-Zenki, che si fece subito notare per brutalità e corruzione:
nel 2014 avrebbe rapito diversi cooperanti internazionali a scopo di riscatto,
tra cui le italiane Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, e nel 2016 avrebbe
sconvolto il mondo con la decapitazione filmata di un ragazzino ad Aleppo.
Seguì poi la formazione di Jaish al-Islam, creato dall’Arabia Saudita per fare
concorrenza alla Turchia e al Qatar nella guerra, che annunciò di voler
ripulire la Siria da tutti gli sciiti. Per questo nel 2015 organizzò per le
periferie di Damasco una “processione” in cui decine di famiglie alawite furono
rinchiuse in gabbie e trascinate come animali per le strade.
Le sconfitte del jihadismo (2014-2017)
All’interno di
questa galassia si formò da una costola di Al-Nusra/Al-Qaeda l’Isis o “Stato
islamico”, che si rivoltò contro tutti gli altri gruppi fondamentalisti
(Al-Nusra compresa) accusandoli di moderazione e apostasia dottrinale. L’Isis
si impadronì di un terzo del paese nel 2014, massacrando migliaia di persone e
facendo piombare la Siria e l’Iraq in un incubo. Failaq al-Sham, Al-Nusra e gli
altri gruppi islamisti si dovettero ritirare nella parte settentrionale della
provincia di Aleppo e in quella ancor più occidentale di Idlib sotto la duplice
spinta degli attacchi dell’Isis e del governo. La gran parte della Siria
orientale fu occupata allora dal nuovo “califfato” che trovò un’efficace
resistenza soltanto nelle Ypg-Ypj curde, socialiste e animate dal protagonismo
femminile.
L’occidente ha
per anni in parte identificato la guerra siriana con la lotta all’Isis condotta
dai curdi, che formarono con combattenti arabi e cristiani le Forze siriane
democratiche (Sdf), sostenute dal cielo dalla Coalizione internazionale a guida
statunitense (gli Stati Uniti e l’Ue, infatti, intendevano ora reprimere la
degenerazione estrema del mostro che loro stessi avevano creato). Le lunghe e terribili
operazioni contro il “califfato”, tuttavia, non sono state che un aspetto della
vicenda. Negli anni in cui tutta l’attenzione era concentrata sull’Isis, Idlib
ha subito un destino del tutto analogo a quello di Raqqa e degli altri
territori occupati dal “califfato”: è diventata infatti la capitale non
dell’Isis, ma di tutti gli altri gruppi fondamentalisti. Nel 2015 Al-Nusra,
Al-Zenki, Ahrar al-Sham e Failaq al Sham formarono un’alleanza detta “Esercito
della conquista” (Jaish al-Fatah), e riuscirono a cacciare le ultime unità
governative da Idlib. Di questa alleanza faceva parte anche un gruppo ceceno,
Ajnad al-Kavkaz, “I soldati del Caucaso”: miliziani che, sconfitti nel
tentativo di trasformare la Cecenia in “Emirato” nel 2009, e trovato allora riparo
in Turchia, erano stati spediti da Erdogan nel 2011 a combattere in Siria.
La sconfitta
dell’esercito siriano a Idlib indusse Putin a far intervenire la sua aviazione
a difesa di Assad. Si creò così, per motivi completamente diversi, un’azione
parallela della Nato a est e della Russia a ovest contro le due facce del
jihadismo nella Siria settentrionale: quella dell’Isis nel primo caso, quella
di Al-Qaeda e dei suoi alleati nel secondo. Ciò permise alla rivoluzione
confederale di matrice curda e alla restaurazione fascistoide di Bashar
al-Assad di conquistare territori e far traballare i piani espansionisti di
Erdogan, le cui bande armate di riferimento erano sempre più divise, detestate
dalla popolazione e in difficoltà. Fu allora, nel 2016, che la Turchia invase
per la prima volta la Siria per bloccare l’avanzata delle Ypg-Sdf, che stavano
per congiungere i cantoni confederati di Kobane e Afrin. L’esercito turco
invase il nord della provincia di Aleppo riunendo alcuni gruppi armati della
zona nell’alleanza “Scudo dell’Eufrate”: si trattava della Divisione Sultan
Murad (espressione del movimento fascista dei “Lupi grigi” turchi, che si
abbandonò a stupri seriali di donne curde nelle campagne), Ahrar al-Sharqiya
(“Uomini liberi dell’est”, miliziani di Ahrar al-Sham provenienti dalle zone
occupate dall’Isis) e la Divisione al-Hamza, originaria di Azaz. Il “Governo ad
interim” della Cns che rivendicava il governo su Idlib si installò grazie a
queste milizie anche nelle nuove zone occupate.
Subito dopo
l’invasione, in quello che sembrò un do ut des, Erdogan
abbandonò al loro destino i miliziani di Al-Nusra e Ahrar al-Sham nella città
di Aleppo, permettendo a regime siriano, Iran, Russia e Ypg-Ypj di liberarne i
quartieri orientali, trasformati dal 2012 in una piccola enclave salafita. Ai
miliziani superstiti e alle loro famiglie fu permesso di riparare a Idlib, dove
già li aspettava il resto delle bande. La sfortunata provincia diveniva sempre
più il rifugio dei gruppi jihadisti sconfitti nel resto del paese e, come se
non bastasse, scoppiò subito una guerra tra le fazioni: Al-Qaeda (che si era
nel frattempo rinominata Tahrir al-Sham, “Liberazione del Levante”) e Ahrar
al-Sham si combatterono con migliaia di morti tra miliziani e civili per tutto
l’anno, fino a spartirsi la provincia: Ahrar al-Sham mantenne una presenza nei
territori del “Governo ad interim” della Cns, mentre Al-Qaeda/Tahrir
al-Sham costituì a fine 2017 un “Governo siriano di salvezza” nel resto della
provincia. Proprio allora scoppiò nel Regno Unito lo scandalo Jihadis You Are Paying For: donazioni benefiche di
cittadini britannici, convinti di aiutare bambini siriani, erano finite tramite
la Cns e la Turchia nelle mani di bande come Al-Zenki attraverso una supposta
“Polizia libera” che a Idlib e attorno ad Aleppo assisteva, tra le altre cose,
lapidazioni di donne accusate di adulterio.
La riorganizzazione
turca del jihadismo (2018-2019)
Idlib è da
allora una zattera abbandonata a sé stessa. Anche i superstiti di Jaish
al-Islam sconfitti attorno a Damasco nel 2018 vi si sono rifugiati,
trasformandola sempre più in un inferno sovraffollato e isolato dove decine di
bande si combattono e impongono alla popolazione e a milioni di profughi ogni
genere di angheria. Nelle zone occupate a nord di Aleppo nel 2016 l’esercito
turco provvedeva intanto ad addestrare e inquadrare i gruppi Al-Hamza, Sultan
Murad e Ahrar al-Sharqiya (lo “Scudo dell’Eufrate”) in un “Esercito nazionale
siriano”, la cui costituzione fu annunciata il 30 dicembre 2017. Tre settimane dopo,
il 20 gennaio 2018, tale “Esercito” fu utilizzato come forza di terra (protetta
dall’aviazione turca) per attaccare per la prima volta il Rojava confederale
nel cantone curdo di Afrin. L’invasione, avvenuta in accordo con la Russia nel
silenzio internazionale, provocò oltre duecentomila profughi e migliaia di
morti, molti civili uccisi in modo sommario perché si ribellavano a rapimenti e
saccheggi, e a tutte le donne – comprese quelle non credenti, ezide o cristiane
– fu imposto l’uso dell’Hijab se non la
conversione. Alla combattente curda Barin Kobane furono asportati i seni con
coltelli in un filmato realizzato a monito delle donne della zona.
Fu così che il
Governo ad interim della Cns a Idlib prese il controllo anche di Afrin, sempre
sotto l’attenta regia dei ministri di Erdogan. Ai politici dei Fratelli
musulmani considerati da Italia e Ue “legittima rappresentanza delle
aspirazioni del popolo siriano” venivano così formalmente consegnati i
territori nord-occidentali che da Idlib e Afrin giungono fino al settentrione
della provincia di Aleppo affacciandosi sulla città curda – ancora oggi
autonoma e confederale – di Kobane. I gruppi dell’Esercito nazionale siriano
iniziarono però a combattersi nuovamente strada per strada ad Afrin per il
controllo del commercio di olio d’oliva. Subito dopo l’occupazione di Afrin
Putin ed Erdogan firmarono l’accordo di Sochi per una “de-escalation” nella
provincia di Idlib. La Turchia avrebbe posizionato anche lì le sue truppe,
formalmente per disarmare i gruppi jihadisti. Anziché fare questo l’esercito
turco convinse il 28 maggio 2018 Failaq al-Sham, Ahrar al-Sham e Al-Zenki a
unirsi in un “Fronte siriano di liberazione”, cui i militari turchi cercarono
di convincere anche i miliziani di Al-Qaeda/Tahrir al-Sham ad aderire
individualmente.
Come se non
bastasse, con la sconfitta del “califfato” l’anno successivo, nel 2019, i
miliziani di Ahrar al-Sharqiya, ora parte dell’“Esercito nazionale” filo-turco,
aiutarono membri dell’Isis a fuggire da Deir el Zor verso Idlib coadiuvati,
secondo quanto ricostruito da The National, da
Katibat Turkestani, detto anche Partito islamico del Turkestan in Siria. Basato
a Idlib e alleato di Al-Qaeda, il gruppo fu formato da salafiti turcomanni
della Cina occidentale (appartenenti all’etnia degli uiguri, che naturalmente
non va confusa con il gruppo estremista sorto al suo interno) che, come i
fondamentalisti ceceni di Ajnad al-Kavkaz, la Turchia aveva introdotto in Siria
dal Pakistan e dall’Afghanistan all’inizio della guerra civile. Lo stesso capo
dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi, si trovava non a caso a Idlib quando è stato
ucciso, e tanto l’Osservatorio siriano per i diritti umani quanto il Rojava
Information Center hanno fornito documentazione sull’adesione di ex miliziani
dell’Isis ad Ahrar al-Sharqiya.
La crisi attuale a
Idlib e in Rojava
L’operazione di
unificazione delle forze jihadiste siriane sotto il comando dell’esercito turco
ha avuto un’ulteriore evoluzione il 4 ottobre 2019. A Urfa, in Turchia, alla
presenza di generali turchi, i comandanti del “Fronte siriano di liberazione”
(Idlib) hanno annunciato la loro fusione con il cosiddetto “Esercito nazionale
siriano” (nord di Aleppo e Afrin). Da allora questa forza paramilitare riunisce
la maggior parte delle fazioni teocratiche della guerra siriana: Ahrar
al-Sharqiya, Al-Hamza, Sultan Murad, Jaish al-Islam, Ahrar al-Sham, Harakat
al-Zenki (quest’ultimo si è sciolto ad Afrin nel 2018 dopo un incontro con
militari turchi e ha mutato nome in Failaq al-Majd: “Legione della Gloria”).
Queste forze,
accompagnate da mezzi corazzati, artiglieria e aviazione turche, hanno
sottratto un grande territorio al Rojava tra Tell Abyad e Serekaniye (Ras
al-Ain) tra il 9 e il 25 ottobre 2019, provocando trecentomila sfollati,
migliaia di morti, torture, uccisioni sommarie, stupri, rapimenti e saccheggi.
I miliziani di Failaq al-Majd hanno nuovamente mutilato il cadavere di una
combattente delle Ypj nei pressi di Serekaniye, filmando e diffondendo la scena
come monito, mentre la politica curda Hevrin Khalef è stata sequestrata e
uccisa dopo terribili torture, assieme ad altri nove civili, sull’autostrada M4
il 12 ottobre 2019. A commettere la strage sono stati i miliziani di Ahrar
al-Sharqiya. L’offensiva turco-jihadista, che continua ancora adesso attorno a
Hasakah e Kobane, è stata avallata dagli Stati Uniti che, come la Russia, hanno
riconosciuto già a fine ottobre come status quo l’occupazione militare di Tell
Abyad e Serekaniye.
Lo scorso 18
dicembre è iniziata la seconda fase di una grande offensiva dell’esercito
governativo siriano, supportato da Russia, Iran e dalla milizia libanese
Hizbollah, per liberare la provincia di Idlib da tutte le formazioni jihadiste
che la occupano dal 2015. La Turchia, che secondo gli accordi del 2018 avrebbe
dovuto da tempo aver disarmato le milizie della zona, ne sta invece in queste
settimane coadiuvando la resistenza con armi e truppe, ed esse sono per questo
riuscite a bloccare a febbraio le forze governative presso il villaggio di
Saraqib, alle porte della città di Idlib. Decine di migliaia di profughi sono
fuggiti dalla provincia verso il Rojava che, pur a sua volta sotto attacco
(l’aggressione turca continua da ottobre, anche se sotto silenzio) li ha
accolti. La Turchia si è invece rifiutata di aprire la sua frontiera agli
sfollati fino al 28 febbraio quando, in risposta a un bombardamento
russo-siriano che ha ucciso decine di suoi militari, ha aperto il confine
facendo immediatamente dirigere le migliaia di sfollati verso le frontiere con
Grecia e Bulgaria. I governi di questi paesi hanno risposto all’arrivo dei
migrati con la polizia, e le forze dispiegate sulla frontiera greca hanno già
provocato due morti, tra cui un bambino.
Attualmente
tutti i gruppi del cosiddetto “Esercito nazionale siriano”, assieme a Tahrir
al-Sham/Al-Qaeda, ai salafiti filo-Isis di Harid al-Mu’minin, di cui fa parte
anche Ansar al-Islam, ai ceceni di Ajnad al-Kavkaz e ai turcomanni cinesi di
Katibat Turkestani sono impegnati in una guerra di religione senza esclusione
di colpi contro le truppe regolari siriane, e non sembrano essere intenzionati –
anche perché sotto pressione o sotto comando turco – a una resa che
risparmierebbe inutili sofferenze e salverebbe migliaia di vite. La popolazione
siriana è al corrente dell’identità dei miliziani che sparano a Idlib. Chi in
Siria crede nell’imposizione dello Stato islamico, di un solo stile di vita per
tutte e tutti e della sola derivazione divina delle norme della convivenza
sociale, li appoggia; chi invece non crede in questo, li avversa. Le
popolazioni europee e nordamericane, purtroppo, pensano al contrario che a
Idlib ci siano delle specie di partigiani della libertà, dei “ribelli” non
meglio qualificati, perché i media continuano a non dire la verità sulle
responsabilità che ha l’Europa in Siria, dove dal 2012 appoggia con gli Stati
Uniti un ceto politico oscurantista che la Turchia ha imposto nel nord del
paese a milioni di cittadini con la violenza, nella piena illegalità
internazionale e con l’uso di bande criminali.
da qui
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