Parliamoci chiaro, parafrasando un immortale
capolavoro del cinema italiano, il concorso a cattedra è una boiata pazzesca.
Attenzione però! Non sto affermando che per reclutare i docenti della scuola
italiana non serva un percorso selettivo, tutto il contrario. Sto dicendo che
il concorsone nazionale, che spesso oscilla tra il remake di Highlander (concorsi
ordinari) e il Todos Caballeros (concorsi riservati), è il
peggior sistema per selezionare e reclutare dei bravi insegnanti.
In primo luogo le prove scritte, quando ci sono, vanno
a testare conoscenze ed abilità che non coincidono con quelle che vorremmo in
un buon insegnante. Anche qui, non fraintendetemi, ovviamente vogliamo docenti
che siano competenti nella materia che andranno a insegnare, ma alla conoscenza
enciclopedica preferiamo una buona capacità di relazione, la chiarezza
espositiva, l’abilità nel coinvolgere gli studenti e far apprezzare loro la
bellezza insita nella materia che andranno ad insegnare.
No, queste competenze non sono innate e non sarà una
prova scritta, tanto meno un test a crocette, a poterle certificare. Servono
tre cose: formazione, formazione e formazione.
In secondo luogo il concorsone nazionale è una
procedura lunga e faticosa, sia per chi vi partecipa come aspirante, sia per
chi lo fa come commissario. Tra quando si inizia a parlare di concorso e quando
lo si conclude, possono passare 3, 4, 5 o più anni, mentre il mondo della
scuola aspetta, invano, i suoi docenti di ruolo.
Nel frattempo, però, si è formata una nuova platea di
aspiranti con servizio, i cosiddetti “precari” che iniziano a rivendicare per
sé il concorso per soli titoli, la sanatoria, il Todos Caballeros.
Ecco quindi la terza ragione per cui i concorsoni nazionali sono una boiata
pazzesca: la loro lentezza contribuisce enormemente alla creazione delle
sanatorie. Una curiosità: evidenze totalmente aneddotiche segnalano che i
precari maggiormente militanti, quelli che scrivono al Ministro di turno ogni
giorno chiedendo l’ennesima sanatoria (per loro), sono anche quelli più
spietati nel valutare gli studenti allo scrutinio finale, ma questa è un’altra storia.
La quarta, sempre figlia della lentezza dei concorsi
nazionali, è quella per cui chi si trova a non superarli una, due o anche tre
volte non è che cambi mestiere, te lo ritrovi comunque a settembre come
supplente, forte di un punteggio stratosferico dovuto al servizio e del fatto
che, mentre il concorso riempiva i buchi di tre anni prima, nel frattempo si
sono create altre decine di migliaia di posti per i pensionamenti.
Infine, ci sono I ricorsi: ogni procedura concorsuale
viene sempre accompagnata da decine di ricorsi volti a soddisfare per via
giudiziaria quelle aspettative che una Commissione d’Esame aveva negato. “Ci
sarà pure un giudice a Roma!” E spesso c’è.
E quindi come li reclutiamo gli insegnanti?
Io credo che sia possibile trovare una procedura
adatta solo se cambiamo paradigma e ragioniamo con gli occhi degli studenti. Di
cosa hanno bisogno gli studenti? Di un corpo docente preparato, stabile nel
tempo e formato sulle esigenze di quella particolare realtà scolastica.
Prendiamo un giovane aspirante insegnante, che viene
nominato supplente annuale di matematica in un Istituto tecnico. Oggi, appena
nominato, viene subito sbattuto in classe: qualche colloquio con i colleghi di
Dipartimento, qualche chiacchiera con i colleghi del Consiglio di classe, ma
niente di più.
1. Formazione specifica per i supplenti: è necessario che un docente che
entra per la prima volta in una scuola sia accompagnato dai colleghi in un
percorso che lo porti a conoscere la sua realtà particolare, il suo piano dell’offerta
formativa (la stella polare che guida la comunità scolastica) ecc.
Inoltre, specialmente se è alle prime supplenze, è
necessario predisporre per lui un percorso formativo personalizzato in modo da
aiutarlo a divenire un valore aggiunto per tutta la scuola e questo è possibile
se e solo se la scuola avrà la facoltà di “trattenerlo”, in futuro, se soddisfa
le sue esigenze.
Arrivati alla fine dell’anno non c’è differenza tra i
supplenti che hanno lavorato bene e quelli che hanno causato un mucchio di
problemi: entrambi otterranno lo stesso punteggio nelle graduatorie di
istituto. Ciò che conta è lavorare per accumulare punti e rendere quindi più
probabile una chiamata l’anno successivo.
2. Valutazione dell’anno di supplenza: se le prove del concorsone
nazionale non sono utili per valutare se un candidato sarà anche un buon
insegnante, l’osservazione sul campo, invece, questo lo può fare in modo molto
più efficace. Ogni scuola ha già un Comitato di valutazione dei docenti, perché
non potrebbe utilizzarlo per giudicare, positivamente o negativamente l’anno di
supplenza appena prestato dal precario? Se il giudizio è positivo fa punteggio,
altrimenti no.
Ogni anno decine di migliaia di supplenti salutano le
loro classi sapendo che, molto probabilmente, l’anno successivo saranno
altrove. La scuola vorrebbe tenerli, i loro studenti pure, ma il meccanismo
delle assegnazioni delle supplenze potrebbe scontentare tutti. Parallelamente
vi sono scuole e alunni che pregano che quel particolare supplente il prossimo
anno non ci sia più.
3. Riconferma dei supplenti valutati positivamente: se una scuola ha trovato un buon
insegnante, il posto è disponibile e c’è la volontà di entrambe le parti per
una riconferma, perché negarla? Allo stesso tempo, se la valutazione è stata
negativa, perché condannare la scuola e gli studenti a riavere quel supplente
che ha causato tutti quei problemi? Tra l’altro, in questo modo si
velocizzerebbe il processo di copertura dei posti vacanti, che oggi costringe
molte scuole ad aspettare anche ottobre per avere tutti i docenti.
Ovviamente questo percorso deve portare, prima o poi,
all’assunzione in ruolo. Tre anni di supplenza con valutazione positiva, in cui
si è seguito un percorso di formazione specifico per quella realtà scolastica,
mi sembrano sufficienti per selezionare un buon docente.
4. Dopo tre anni di valutazioni positive, se c’è il
posto vacante e disponibile, si procede all’assunzione in ruolo: è molto importante che la
scuola di titolarità sia la stessa scuola in cui il docente si è formato e ha
ottenuto le valutazioni positive, in modo da garantire quella stabilità del
corpo docente di cui molti istituti hanno disperatamente bisogno.
Ed è tutto. Certamente, bisogna affinare i dettagli,
studiare percorsi di recupero per chi avuto una valutazione negativa e di
accompagnamento fuori dal mondo della scuola per chi ne ha ricevute tante, però
la base è questa qui: mettere in piedi un percorso che aiuti la scuola a
formare e reclutare il corpo docenti di cui ha bisogno, appena ne ha bisogno.
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