mercoledì 27 maggio 2020

Mapuche - Caryl Férey


(Traduzione di Teresa Albanese)


La chiamano “la guerra sucia”, ma se le parole hanno un senso in quell’espressione l’unica cosa corretta, per difetto, per grande difetto, per immenso difetto, è la parola sucia (sporca).
A pensarci bene neanche sucia è un aggettivo corretto, perché le cose sporche si possono pulire, ma lo sterminio sistematico da parte della dittatura è una cosa incancellabile, sia per la memoria, sia per gli infiniti lutti e dolori che non si possono dimenticare.
E poi la parola guerra, come quando cioè una compagnia, un gruppo di persone armate, con una strategia ben studiata va a caccia di cinghiali, quella non è una guerra, è una caccia al cinghiale.
E il cinghiale è più “fortunato”, lo ammazzano subito, non lo portano all’ESMA, non lo torturano, non lo portano ancora vivo su un elicottero, non lo buttano in acqua, non se lo mangiano i pesci.
Forse anche Hitler chiamava guerra sucia quella contro gli internati dei lager, il cui destino era lo  sterminio.
“Guerra sucia” è un modo di dire inventato dai nazisti e fascisti per giustificare il loro sterminio.

Detto questo, il romanzo comprende tutta la storia dell’Argentina, dopo l’arrivo dei civilissimi europei era iniziato in tutta l’America lo sterminio di tutti gli indigeni, che continua con altri mezzi, espropriazioni, furti di terre, virus, e mille altre armi. E poi la dittatura.

Il romanzo riguarda i rapimenti dei bambini, dopo la tortura e l’omicidio dei genitori, da dare alle famiglie bene, entrano in gioco, nella storia, le Madres de Mayo, i bambini rapiti, ormai grandi, che scoprono la verità, Jana (mapuche) e Ruben (figlio di desaparecidos) stanno insieme in una lotta senza quartiere contro gli assassini ancora in circolazione, che hanno tante protezioni e complicità, poliziesche e religiose in primis.
È un romanzo pieno di dolore e di violenza, ma la sofferenza e la morte dei militari e torturatori che rialzano la testa non dispiace, anzi.
Buona lettura, Caryl Férey non vi deluderà, promesso.





…“Mapuche” è un libro forte e terribile. Un libro pieno di violenza in cui è la violenza stessa degli aguzzini ad insegnare una risposta violenta alle vittime. Perché la passività non aiuta a sopravvivere. I ricordi di Rubén Calderon, dei giorni indistinguibili dalle notti passate nelle carceri dell’ESMA, fanno rabbrividire. Suo padre si era suicidato in prigione - e non perché non aveva più la forza di resistere alle torture, ma perché l’ultima prova a cui era stato sottoposto era fuori dall’umano. Anzi, neppure degli animali avrebbero fatto quello che hanno fatto gli aguzzini. Solo dei mostri sputati dalle fiamme dell’inferno. Dovrebbe avere pietà, Rubén, verso uomini capaci di tanto? E Jana, carica del bagaglio di soprusi inflitti alla sua gente, diventa un angelo vendicatore con il viso tinto col carbone, ritorna ad essere una selvaggia che scatena la sua furia: dopotutto non erano ancora considerati tale, i Mapuche?

Férey mette insieme il lascito di terrore della dittatura argentina con la difficile sopravvivenza di quanto resta delle esistenze mapuche in una società ostile nei loro confronti. “Mapuche” solo apparentemente ha come protagonista Rubén Calderon, detective argentino, sopravvissuto alla repressione militare che si dedica alla caccia dei boia della dittatura e alla ricerca dei figli dei desaparecidos. E Rubén ci mette l’anima in questa missione, scontrandosi con la polizia, ancora compromessa con la passata esperienza della dittatura militare, frantumando omertà e, se necessario, non disdegnando la giustizia sommaria verso i boia di turno. A contrapporsi alla sua indagine è una congrega di sopravvissuti della giunta militare, generali, colonnelli, boia e aguzzini che cercano in tutti i modi, specie con l’omicidio, di cancellare le tracce del loro feroce passato. Ma la vera protagonista è in realtà Jana, giovane mapuche, figlia di un popolo a cui hanno da sempre sparato a vista nella pampas argentina, scultrice dall’esistenza precaria che incrocia il proprio destino con quello di Calderon

Nessun commento:

Posta un commento