(Traduzione di Teresa Albanese)
La chiamano “la guerra sucia”, ma se le parole hanno un senso
in quell’espressione l’unica cosa corretta, per difetto, per grande difetto,
per immenso difetto, è la parola sucia (sporca).
A pensarci bene neanche sucia è un aggettivo corretto, perché
le cose sporche si possono pulire, ma lo sterminio sistematico da parte della
dittatura è una cosa incancellabile, sia per la memoria, sia per gli infiniti
lutti e dolori che non si possono dimenticare.
E poi la parola guerra, come quando cioè una compagnia, un
gruppo di persone armate, con una strategia ben studiata va a caccia di cinghiali,
quella non è una guerra, è una caccia al cinghiale.
E il cinghiale è più “fortunato”, lo ammazzano subito, non lo
portano all’ESMA, non lo torturano, non lo portano ancora vivo su un
elicottero, non lo buttano in acqua, non se lo mangiano i pesci.
Forse anche Hitler chiamava guerra sucia quella contro gli
internati dei lager, il cui destino era lo sterminio.
“Guerra sucia” è un modo di dire inventato dai nazisti e
fascisti per giustificare il loro sterminio.
Detto questo, il romanzo comprende tutta la storia
dell’Argentina, dopo l’arrivo dei civilissimi europei era iniziato in tutta
l’America lo sterminio di tutti gli indigeni, che continua con altri mezzi,
espropriazioni, furti di terre, virus, e mille altre armi. E poi la dittatura.
Il romanzo riguarda i rapimenti dei bambini, dopo la tortura
e l’omicidio dei genitori, da dare alle famiglie bene, entrano in gioco, nella
storia, le Madres de Mayo, i bambini rapiti, ormai grandi, che scoprono la
verità, Jana (mapuche) e Ruben (figlio di desaparecidos) stanno insieme in una
lotta senza quartiere contro gli assassini ancora in circolazione, che hanno
tante protezioni e complicità, poliziesche e religiose in primis.
È un romanzo pieno di dolore e di violenza, ma la sofferenza
e la morte dei militari e torturatori che rialzano la testa non dispiace, anzi.
Buona lettura, Caryl
Férey non vi deluderà, promesso.
…“Mapuche” è un libro forte e terribile. Un libro pieno di
violenza in cui è la violenza stessa degli aguzzini ad insegnare una risposta
violenta alle vittime. Perché la passività non aiuta a sopravvivere. I ricordi
di Rubén Calderon, dei giorni indistinguibili dalle notti passate nelle carceri
dell’ESMA, fanno rabbrividire. Suo padre si era suicidato in prigione - e non
perché non aveva più la forza di resistere alle torture, ma perché l’ultima
prova a cui era stato sottoposto era fuori dall’umano. Anzi, neppure degli
animali avrebbero fatto quello che hanno fatto gli aguzzini. Solo dei mostri
sputati dalle fiamme dell’inferno. Dovrebbe avere pietà, Rubén, verso uomini
capaci di tanto? E Jana, carica del bagaglio di soprusi inflitti alla sua
gente, diventa un angelo vendicatore con il viso tinto col carbone, ritorna ad
essere una selvaggia che scatena la sua furia: dopotutto non erano ancora
considerati tale, i Mapuche?
…Férey mette insieme il lascito di terrore della
dittatura argentina con la difficile sopravvivenza di quanto resta delle
esistenze mapuche in una società ostile nei loro confronti. “Mapuche” solo
apparentemente ha come protagonista Rubén Calderon, detective
argentino, sopravvissuto alla repressione militare che si dedica alla caccia
dei boia della dittatura e alla ricerca dei figli dei desaparecidos.
E Rubén ci mette l’anima in questa missione, scontrandosi
con la polizia, ancora compromessa con la passata esperienza della dittatura
militare, frantumando omertà e, se necessario, non disdegnando la giustizia
sommaria verso i boia di turno. A contrapporsi alla sua indagine è una congrega
di sopravvissuti della giunta militare, generali, colonnelli, boia e aguzzini
che cercano in tutti i modi, specie con l’omicidio, di cancellare le tracce del
loro feroce passato. Ma la vera protagonista è in realtà Jana,
giovane mapuche, figlia di un popolo a cui hanno da sempre sparato a vista
nella pampas argentina, scultrice dall’esistenza precaria che incrocia il
proprio destino con quello di Calderon…
Nessun commento:
Posta un commento