lunedì 18 maggio 2020

La scuola ha bisogno di insegnanti selezionati con concorsi seri - Christian Raimo



La pandemia ci ha fatto capire quanto sia fragile il nostro sistema scolastico, in pesante affanno rispetto alla possibilità di garantire per tutti una didattica nell’emergenza, e in ritardo decennale rispetto all’infrastruttura digitale. Anche per compensare queste annose carenze, nel decreto Rilancio il governo ha deciso di stanziare una cifra consistente sulla scuola: 1,45 miliardi, da usare prima di tutto per l’edilizia scolastica e l’adeguamento degli spazi alle nuove condizioni per la ripresa che avverrà auspicabilmente a settembre, ancora non sappiamo bene come.
L’altro grande investimento riguarda le assunzioni dei docenti. Ci saranno tre concorsi per circa 78mila posti: il concorso straordinario per la scuola secondaria (medie e superiori) prevede di assegnare 32mila posti; quello ordinario per la scuola d’infanzia e la primaria quasi 13mila; quello ordinario per la scuola secondaria (sempre medie e superiori) 33mila.
Parliamo del concorso più discusso in questi giorni, quello straordinario, che dovrebbe svolgersi a breve, anche se ancora non abbiamo delle date precise. Sappiamo però che permetterà ai vincitori di essere stabilizzati dall’inizio di settembre.
Le modalità per abilitarsi
Per abilitarsi – cioè per entrare nell’amministrazione pubblica con un contratto a tempo indeterminato da docenti – serve almeno uno di questi prerequisiti:
·         una laurea coerente con la classe di concorso a cui si intende partecipare;
·         un’abilitazione specifica per la classe di concorso;
·         un’abilitazione per altra classe di concorso o per altro grado di istruzione, in aggiunta al titolo di accesso alla classe di concorso.
Per i posti di sostegno i requisiti sono gli stessi, più il titolo di specializzazione.
Sono necessari poi altri due aspetti fondamentali:
·         bisogna aver insegnato almeno per tre anni – tre annualità di servizio, si dice in gergo scolastico, ossia da settembre a giugno – anche non consecutivi tra il 2008/09 e il 2019/20 in una scuola statale (non vale dunque l’insegnamento nelle scuole paritarie);
·         bisogna aver insegnato almeno per un anno la materia della classe di concorso che si è scelto (anche qui, solo nelle statali).
Per i posti da insegnante di sostegno le regole sono un po’ più complesse.
Come si svolgerà questo concorso? A causa delle misure necessarie al contenimento del contagio, l’esame sarà molto ridimensionato: si esamineranno i titoli; e si farà una prova scritta che consisterà in un test al computer. Sarà un questionario con 80 domande a risposta multipla, per cui si avranno a disposizione 80 minuti di tempo: 45 saranno sulla materia della classe di concorso; 30 sulle competenze didattico/metodologiche; 5 riguarderanno la capacità di lettura e comprensione del testo in lingua inglese.
Per superare la prova scritta occorrerà conseguire un punteggio minimo di 56/80.
Le proteste
È certo un modo decisamente inadeguato per selezionare i docenti per un concorso; ed è chiaro che la ragione di questa versione di un concorso pubblico con i soli quiz da fare al computer – senza, per esempio, un esame scritto a risposte aperte e un esame orale in presenza, che sarebbe stato il minimo auspicabile – è il risultato dell’emergenza dovuta alla pandemia.
Rispetto a questa modalità si è creato un fronte molto ampio di protesta, che va dai sindacati a molte forze politiche, sia di opposizione come la Lega sia di governo, come il Partito democratico e Leu, che ne chiedono la cancellazione. La loro proposta alternativa è: nessun esame, selezione solo per titoli e anni di servizio.
A difendere la necessità di avere almeno un esame per un concorso pubblico è rimasta solo la ministra dell’istruzione Lucia Azzolina. Il suo sottosegretario Peppe De Cristofaro (Leu) e il responsabile scuola del Pd Francesco Verducci sono contrari all’idea di fare il concorso quest’estate. La straordinarietà della pandemia non lo consentirebbe, dicono. E propongono un esame da far fare a chi è stato selezionato una volta che abbia finito l’anno di prova. Una prova che dovrebbe svolgersi nell’estate del 2021.
La mobilitazione contro Azzolina e contro l’esame sta ricevendo il consenso di centinaia di migliaia di insegnanti precari che ritengono che in queste condizioni difficili la loro assunzione debba essere garantita senza un esame: chiedono una stabilizzazione. “Sarebbe stato opportuno un percorso semplificato con esclusione della prova scritta computer based che, stante la attuale situazione di emergenza, non può essere in alcun modo calendarizzata ed effettuata”, recita una delle varie note sindacali degli ultimi giorni, firmata da Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda. Ma anche Cobas e Usb la pensano più o meno allo stesso modo.
Una sanatoria?
La questione che occorre porsi è: ma questa stabilizzazione non sembra piuttosto una sanatoria? È comprensibile che questi docenti – che in moltissimi casi (e anche in questa pandemia) hanno garantito il diritto all’istruzione a milioni di studenti – si sentano in credito rispetto al ministero: si stima che ogni anno ci siano centomila insegnanti che lavorano nelle scuole pubbliche italiane con contratti a termine, rinnovati se va bene di anno in anno.
Ma è giusto entrare stabilmente nell’amministrazione pubblica senza un vero concorso? L’articolo 97 della costituzione dice: “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”. E questo articolo andrebbe preso sul serio per la scuola.
Abbiamo bisogno di tanti insegnanti in modo che le classi siano meno numerose, abbiamo bisogno di insegnanti ben retribuiti e con contratti stabili, ma abbiamo al tempo bisogno di selezionare e di formare la nostra classe docente.
Come scrive Michelangelo Pecoraro in una riflessione molto articolata di qualche settimana fa: “Insegnano nelle aule italiane insegnanti molto bravi, in grado non solo di istruire bene rispetto alle materie, ma anche di motivare, educare, insegnare agli studenti a riconoscere le proprie emozioni, in grado di stimolare alla riflessione e ai sogni, e insegnanti inadatti o addirittura cattivi, che non solo non riescono a istruire rispetto alle materie, ma danneggiano la psiche degli studenti e delle studentesse, sono incapaci di gestire il gruppo classe, di motivare gli studenti, di comprenderne i problemi. Per intervenire nelle situazioni di palese incapacità non ci sono molti strumenti, soprattutto quando i dirigenti scolastici sono passivi o assenti. Gli ispettori si occupano di controllare solo gli adempimenti burocratici”.
Il concorso è praticamente l’unico momento in cui esista una possibilità di verificare le capacità didattiche degli insegnanti. Una volta entrato in ruolo, quell’insegnante non verrà quasi più valutato in modo serio. Questo ovviamente non vuol dire che quella persona non migliori, che non si formi, che non impari sul campo come essere un insegnante buono se non straordinario; ma se è un insegnante pessimo, impreparato, inadatto a insegnare, demotivato, non aggiornato, nessuno potrà farci nulla.
La proposta di istituire un esame alla fine dell’anno di prova è poco credibile. Quell’esame esiste già ed è sempre poco più di una formalità. Pensare di valutare e soprattutto di selezionare dopo un anno di ruolo decine di migliaia di insegnanti è veramente peregrino. Possiamo immaginare la possibilità di negare a qualcuno di questi 32mila insegnanti un contratto a tempo indeterminato dopo un’immissione in ruolo per titoli e un anno di prova svolto in classe? È chiaro che si vuole solo rimandare la responsabilità di un discorso serio sulla scuola, per poi eluderlo di nuovo fra un anno.
Il vizio di fondo sta chiaramente nell’aver reso molto ordinari questi concorsi straordinari, che altro non sono che immissioni in ruolo di massa, anche se ancora insufficienti al fabbisogno di docenti della scuola.
Sembra un gioco delle parti che si ripete sempre identico: non si creano normali – e serie – modalità di formazione e abilitazione; il numero di precari cresce a dismisura; fino a quando si crea un conflitto tra sindacati e ministero per immettere in ruolo almeno una quota di questi precari. L’ultima scena è sempre un concorso straordinario. Non è umiliante per tutti?
Cattiva consuetudine
In questi giorni il dibattito è ancora più deprimente. I toni della discussione sembrano quelli di una campagna elettorale molto populista dove la questione della professionalità dei docenti, e il tema della formazione, sono pressoché scomparsi. Il diritto di diventare insegnanti a tempo indeterminato sembra possa essere semplicemente acquisito sul campo. Purtroppo è stato così per milioni di insegnanti nella storia della repubblica, ma è giusto chiamare principio quella che invece è solo una cattiva consuetudine? Si dice che ci sono precari storici che aspettano da anni una stabilizzazione, ma a onor del vero occorre annotare che negli ultimi dieci ci sono stati tre concorsi importanti, nel 2012, nel 2016 e nel 2018, e diversi cicli di percorsi di formazione abilitanti (Tfa). Si fanno paragoni discutibili con le assunzioni straordinarie di personale medico e sanitario durante la fase più critica della pandemia, e si dimentica il dibattito sulla necessità di un esame per chi è all’ultimo anno delle medie e delle superiori.
Si insiste molto su questo aspetto. Ragazze e ragazzi dovranno sostenere l’esame a giugno. Alle medie saranno valutati tramite una tesina, modalità già molto criticata. I secondi dovranno affrontare “il rito della maturità” – com’è chiamato con enfasi – attraverso un esame orale di un’ora in presenza. Non basta. Dalle ultime dichiarazioni, pare che – al contrario da quanto era emerso nelle settimane passate – non ci saranno promozioni per tutti.
Insomma agli studenti si dice e si mostra quanto sia ineludibile un esame serio e difficile, che arriva alla fine di un anno in cui si è continuato a fare scuola tutti i giorni, con la fatica sempre crescente della didattica a distanza. Per molti docenti sembra invece un’onta doversi sottoporre a un esame che così com’è pensato si rivelerà molto semplice per quelli preparati, che spesso ovviamente coincidono con quelli che lavorano tutti i giorni a scuola.
Accanto a questa discussione piuttosto mediocre, viene da sperare che la questione della formazione e della selezione degli insegnanti sia trattata in futuro mettendo al centro le sfide pedagogiche sempre più impegnative che i contesti sociali ci pongono. Abbiamo bisogno degli insegnanti migliori che possiamo avere.


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