Spesso ci si chiede quale sia il grado di maturità delle generazioni più fresche, ancora “impreparate” alla vita. Probabilmente ci stupiremmo oggi nel leggere le parole che un bambino, poco più che decenne, scriveva in un tema di quinta elementare nel 1903. Quel bambino era Antonio Gramsci. A saltar fuori dalle brume del passato, dimenticato chissà quando in un libro, lo stupefacente documento è una vera chicca. Il “tema d’autore” fa parte della collezione di Giovanni Cocco, giovane ricercatore dell’Università di Sassari, ereditato dal padre Agostino, segretario per vent’anni proprio nella scuola frequentata proprio dall’allora semplice alunno Gramsci Antonio Sebastiano Francesco ed ha suscitato, sin dal momento della sua scoperta, non poco interesse mediatico. Una grafia già matura seppur nella sua infantilità ha tracciato centosedici anni orsono una riflessione che, a ripercorrerla oggi, non può che mettere i brividi, risuonando anche come un ammonimento che ognuno dovrebbe far proprio.
“Se un tuo compagno benestante e molto intelligente ti avesse espresso il proposito di abbandonare gli studi, che cosa gli risponderesti?” – questa la traccia assegnata dal maestro elementare alla classe del piccolo Gramsci. Sorprendono non poco le parole di quello che sarebbe diventato poi uno dei filosofi e dei pensatori di più alto livello del ‘Novecento, riconosciuto tale anche da intellettuali dal colore politico differente. Ipotizzando di scrivere una lettera ad un immaginario amico di nome “Giovanni”, Gramsci senza saperlo scrive una lettera a tutti noi, ai posteri, alle generazioni del futuro, affrontando un argomento fondamentale, che nel 1948 sarebbe stato sancito anche nella Costituzione, il diritto allo studio. Nel piccolo Antonio lo stupore è grande quando apprende che il suo amico ha deciso di non proseguire gli studi, proprio lui che all’epoca era uno dei pochi che poteva permettersi un’istruzione. Con un’insistenza che sa di sincera e affettuosa amicizia, Antonio tenta di dissuadere il suo amico da una decisione così priva di senso.
“Carissimo amico,
Poco fa ricevetti la tua carissima lettera, e molto mi rallegra il sapere che tu stai bene di salute. Un punto solo mi fa stupire di te; dici che non riprenderai più gli studi, perché ti sono venuti a noia. Come, tu che sei tanto intelligente, che, grazie a Dio, non ti manca il necessario, tu vuoi abbandonare gli studi? Dici a me di far lo stesso, perché è molto meglio scorrazzare per i campi, andare ai balli e ai pubblici ritrovi, anziché rinchiudersi per quattro ore al giorno in una camera, col maestro che ci predica sempre di studiare perché se no resteremo zucconi. Ma io, caro amico, non potrò mai abbandonare gli studi che sono la mia unica speranza di vivere onoratamente quando sarò adulto, perché come sai, la mia famiglia non è ricca di beni di fortuna. Quanti ragazzi poveri ti invidiano, loro che avrebbero voglia di studiare, ma a cui Dio non ha dato il necessario, non solo per studiare, ma molte volte, neanche per sfamarsi. Io li vedo dalla mia finestra, con che occhi guardano i ragazzi che passano con la cartella a tracolla, loro che non possono andare che alla scuola serale. Tu dici che sei ricco, che non avrai bisogno degli studi per camparti, ma bada al proverbio “l’ozio è il padre dei vizi”. Chi non studia in gioventù se ne pentirà amaramente nella vecchiaia. Un rovescio di fortuna, una lite perduta, possono portare alla miseria il più ricco degli uomini. Ricordati del signor Francesco; egli era figlio di una famiglia abbastanza ricca; passò una gioventù brillantissima, andava ai teatri, alle bische, e finì per rovinarsi completamente, ed ora fa lo scrivano presso un avvocato che gli da sessanta lire al mese, tanto per vivacchiare. Questi esempi dovrebbero bastare a farti dissuadere dal tuo proposito. Torna agli studi, caro Giovanni, e vi troverai tutti i beni possibili. Non pigliarti a male se ti parlo col cuore alla mano, perché ti voglio bene, e uso dire tutto in faccia, e non adularti come molti. Addio, saluta i tuoi genitori e ricevi un bacio dal tuo aff.mo amico Antonio.”
Non si può che restare colpiti da un bambino di dieci anni che eleva nei suoi pensieri lo studio come forma più alta della libertà di un uomo prescindendo dalle sue condizioni economiche. Il filosofo della “questione meridionale” e autore dei “Quaderni del carcere”, quando aveva dieci anni pensava che non risiedesse nel denaro e nell’esibizione di questo, modelli sbagliati che la società moderna ha stoltamente glorificato, la chiave per “un futuro onorato”, ma nello studio. “Studiare è la mia unica speranza di vivere onoratamente quando sarò adulto” scrive Gramsci nel suo tema. Come un messaggio in bottiglia forse questo, scritto di cui fino ad oggi si era ignorata totalmente l’esistenza salta fuori al momento giusto, per ricordarci che il solo strumento che ha l’uomo per migliorarsi ed elevarsi spiritualmente non può essere altro che la conoscenza.
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