“Se il
Sessantotto fosse avvenuto nel 2020 non ci sarebbe stato”. Questa frase apparentemente
incomprensibile è un tentativo di spiegazione ucronica degli
avvenimenti che stiamo vivendo. L’ucronia non è la storia come si è
sviluppata nella realtà e come la conosciamo, ma è una storia alterata, grazie
a una variazione nella catena causa-effetto: è il racconto dei mondi possibili,
perché evidenzia che nella storia non c’è un’unica possibilità.
Nel 1968 il mondo fu colpito da una pandemia che, a
tutt’oggi, ha fatto più morti del covid-19. Durò per circa due anni provocando
(secondo le stime dell’epoca, certamente meno precise di quelle odierne) oltre
100.000 morti negli Stati Uniti, oltre 20.000 in Italia. Complessivamente, nel
mondo, secondo il sito web dell’Encycopaedia Britannica “si
stima che la pandemia influenzale del 1968 abbia portato tra un milione e
quattro milioni di morti” (articolo di Kara Rogers: last updated: Mar 25,
2020). Alla data attuale, i morti di coronavirus, per l’osservatorio della Johns
Hopkins University, in tutto il mondo sono 240.000, negli Usa
circa 60.000, mentre al primo posto per vittime (quasi 30.000) c’è il caso
straordinario e non ancora chiarito dell’Italia.
L’influenza di Hong Kong, come venne chiamata (poi definita
“spaziale” dato che erano gli anni delle missioni lunari), iniziò nel 1968 e si
spense due anni dopo. Era il periodo delle grandi manifestazioni di protesta,
in varie parti del mondo, che mettevano a stretto contatto milioni di persone,
senza alcuna “distanza sociale”, come si direbbe oggi. In Cina, dove anche in
quel caso si avviò il virus, si era al picco della Rivouzione culturale,
con le “guardie rosse” di Mao impegnate in continue e oceaniche manifestazioni
di piazza. In occidente, dagli Usa all’Europa, si moltiplicavano i nutriti
cortei contro la guerra nel Vietnam e dei movimenti studenteschi (e
poi anche operai, nel 1969). Assemblee affollatissime, in luoghi chiusi, erano
all’ordine del giorno. Se nel 1968 fosse scattato lo stesso allarme di oggi di
fronte alla pandemia, con il lock-down quasi globale, nessuna di quelle
manifestazioni e di quelle assemblee sarebbe stata possibile. E il Sessantotto
non ci sarebbe mai stato, con soddisfazione di chi, ad esempio, da decenni
addebita al Sessantotto mille mali italiani.
Il gioco dell’ucronia ci potrebbe spingere a
immaginare il mondo di oggi senza il Sessantotto e senza i
movimenti di quel biennio pandemico: niente Statuto dei lavoratori, niente
conquiste del femminismo, le università dominate esclusivamente dalla vecchia
cultura accademica, i manicomi ancora aperti, eccetera. E, continuando con i
“se”, forse gli Usa avrebbero vinto la guerra del Vietnam, la Primavera di
Praga non ci sarebbe mai stata (o avrebbe trionfato) e gli equilibri
internazionali sarebbero cambiati radicalmente. Oppure niente di tutto questo.
Il mondo, comunque, non si fermò per la pandemia del
1968 e il Sessantotto ci fu. I governi presero le loro blande misure di
sicurezza (in molte parti della Cina si chiusero le scuole, le fabbriche e si
girava con la mascherina, in occidente nemmeno questo) e dopo milioni di
vittime il virus divenne solo un ricordo. Anzi, nemmeno un ricordo: quante sono
le persone già nate nel 1968 che rammentano con terrore i mesi di
quell’influenza letale? Molti non se li ricordano affatto, pochissimi ricordano
di aver preso il virus e di essersela vista brutta, nient’altro. Il mondo in
cinquant’anni è cambiato molto. Continueremo da questo blog a riflettere sulla
pandemia del 1968. E sul mondo del 2020.
da qui
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