L’accelerazione impressa alle nostre vite dalla
rivoluzione tecnologica che ha segnato questo inizio di millennio, ha portato a
una dilatazione del presente, a scapito delle altre due dimensioni temporali
con cui eravamo abituati a convivere: il passato, fondato sulla memoria personale e
collettiva, e il futuro,
prodotto dalla nostra immaginazione. Il copioso e continuo flusso di informazioni, immagini, dati che ci
avvolge e ci percorre quotidianamente, lascia poco tempo alla sedimentazione e
alla memorizzazione dei dati stessi. Così come una generale e diffusa
mancanza di immaginazione e di programmazione (a cominciare da chi governa i
processi globali) ha portato a una politica dal fiato corto e a una conseguente
mancanza di visione del futuro, persino quello più immediato.
Questa dittatura del presente, ha riconfigurato completamente le nostre
esistenze in quanto parti di un sistema che ha anch’esso il fiato corto e una
scarsissima visione del domani. La dimostrazione ci è stata data da
questa pandemia.
Tralasciamo per un instante l’aspetto clinico e soffermiamoci su quello
economico: sono stati sufficienti
due mesi di arresto (peraltro neppure totale) per mettere in ginocchio l’intero
mondo capitalistico-industriale. Per ridurre il mercato globale a qualche
bancarella sparsa qui e là. Ma che
sistema è quello che non ha un minimo di resistenza a un evento negativo? Che
non ha saputo prevedere alcuna forma di riserva per eventuali crisi? Un mondo incapace di pensare al domani, che
non riesce o meglio non vuole vedere al di là dell’immediato. Il trionfo
della cicala, ma almeno lei si godeva la vita: molti abitanti di questo pianeta
non potevano dire altrettanto neppure quando tutto andava bene.
Abbiamo lasciato che costruissero un mondo finto, fatto di promesse (è
così che funziona la finanza) e siamo stati al gioco, illudendoci che la
tecnologia ci avrebbe aiutati a governare i processi. Guai a pensare al domani,
di cui non c’è certezza, carpe diem. E ora scopriamo di non avere scorte, di
non avere fieno in cascina per l’inverno, perché quando era ora di
immagazzinarlo lo abbiamo venduto, per fare profitto, perché le scorte costano.
Basta! Viviamo al presente.
Purtroppo, come diceva Samuel Taylor Coleridge, il domani cammina già nell’oggi.
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