giovedì 7 maggio 2020

Mai crisi per l'industria della guerra


(vignetta di Benigno Moi)



Meno armi, più ospedali - Giulio Marcon

Nel 2019 sono stati spesi nel mondo quasi 2mila miliardi di dollari in armi, mentre il bilancio dell’Oms è di poco più di due. In Italia aumentano le spese militari e, nel pieno dell’emergenza Covid-19, si conferma il programma d’acquisto degli F-35 ed è in arrivo una legge da 6 miliardi di euro in armamenti.

Il nuovo Rapporto annuale del SIPRI, il prestigioso istituto svedese di ricerca sulla pace e il disarmo, ci dice che nel 2019 sono stati spesi 1.917 miliardi di dollari per le armi e la difesa. Nello stesso tempo il bilancio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) è di poco superiore ai due miliardi di dollari, lo 0,11% di quanto si spende per le armi.
Si è paragonata – sbagliando – la pandemia del coronavirus a una guerra. Sta di fatto che per le guerre vere o inesistenti si spendono migliaia di miliardi di dollari e per difenderci a livello globale da una pandemia che sta causando centinaia di migliaia di morti si danno all’organismo globale che dovrebbe coordinarci e intervenire solo le briciole. Il bilancio dell’Oms è basato su contributi volontari e in parte sono privati: il secondo finanziatore dell’Organizzazione è la Fondazione Bill e Melinda Gates.
Intanto, che cosa fa il governo del nostro paese? Con il decreto Cura Italia sta mettendo un po’ di risorse sulla sanità, ma dal 2008 gli esecutivi che si sono succeduti in questi anni hanno definanziato il servizio sanitario nazionale. Lo certifica in queste ore l’Istat. Negli stessi anni sono aumentate le spese militari.
Nella conferenza stampa online tenutasi il 27 aprile scorso, Sbilanciamoci!, la Rete Disarmo e la Rete della Pace hanno chiesto al governo di bloccare l’imminente “legge terrestre” (6 miliardi di euro per carri armati, blindo, ecc.) e di fermare gli ulteriori investimenti per gli F-35. Il Movimento 5 Stelle ha ripreso la proposta e una cinquantina di parlamentari si sono attivati in questa direzione.
Il Ministro della Difesa Lorenzo Guerini e il PD hanno fatto muro, sbandierando “accordi internazionali vincolanti” (non è vero) e inesistenti “penali” se si dovesse fermare il programma dei cacciabombardieri. E nei provvedimenti di queste settimane – mentre gran parte delle aziende si sono dovute fermare – si è consentito alle aziende militari di continuare a produrre, senza che fossero produzioni essenziali o strategiche. Anche durante un’emergenza così grave le scelte del governo sono piegate agli interessi dell’industria bellica.
Non sarebbe ora di invertire le scelte? Come propone Sbilanciamoci!, da tempo possiamo recuperare almeno dieci miliardi di risorse dalla riduzione delle spese militari e dei nuovi sistemi d’arma. Come viene scritto nel documento-appello In salute, giusta, sostenibile. L’Italia che vogliamo, le spese per la difesa non devono superare l’1% del Pil.
Si deve bloccare il programma F-35, evitando di spendere altri 12 miliardi nei prossimi anni. Si deve fermare una legge che ci farebbe spendere 6 miliardi di euro in carri armati e mitragliatrici. Oggi le urgenze sono quelle di un servizio sanitario nazionale pubblico che funzioni, di un welfare che dia diritti a tutti, di una scuola che non cada a pezzi. Queste sono le vere priorità del paese.


Difesa e sanità, due modelli da rivedere - Giorgio Beretta

Che il nostro Paese non fosse preparato a fronteggiare questa emergenza sanitaria è ormai evidente. Come noto, per sopperire alle mancanze del sistema sanitario e della Protezione Civile è stato chiesto l’intervento delle Forze Armate. Sistema della difesa e sistema sanitario sono accomunati da due rilevanti caratteristiche: entrambi sono chiamati a tutelare dei diritti fondamentali dei cittadini italiani (sicurezza e salute) e, pertanto, devono essere in grado di rispondere alle emergenze che costituiscono una parte essenziale della loro attività. Un confronto tra questi due sistemi può essere fatto esaminando quattro ambiti (produzione, controllo, investimenti e pianificazione).
Una analisi dei dati tra la produzione militare e quella medico-sanitaria fa emergere innanzitutto un primo elemento: mentre l’Italia produce gran parte dei sistemi militari necessari alla Difesa tanto da poter essere sostanzialmente autosufficiente, è invece ampiamente dipendente dall’estero per quanto riguarda diverse tipologie di apparecchiature medico-sanitarie. I dati ufficiali degli ultimi tre anni mostrano infatti un saldo ampiamente positivo per le esportazioni di sistemi militari (2,5 miliardi di euro di esportazioni annuali a fronte di 500 milioni di importazioni) e positivo anche per gli apparecchi medico-sanitari (7,4 miliardi di euro di esportazioni annuali a fronte di 7 miliardi di importazioni), ma con un’evidente dipendenza dall’estero per le apparecchiature mediche.
In entrambi gli ambiti si registra un forte sbilanciamento sul versante dell’esportazione. Ma, anche a questo riguardo emerge una sostanziale differenza: mentre le esportazioni di sistemi militari comportano il grave rischio del sostegno militare a governi di Paesi illiberali, spesso coinvolti in conflitti armati in violazione del diritto internazionale e dei diritti umani fondamentali (più del 60% dell’esportazione militare italiana è diretta a Paesi extra Nato-Ue, in gran parte nell’aera mediorientale), le esportazioni di tipo medico-sanitario servono a curare la popolazione. Non tutelare adeguatamente la produzione medico-sanitaria e incentivare – come da alcuni anni stanno facendo i governi del nostro Paese – le esportazioni di armamenti non solo non favorisce lo sviluppo sostenibile, ma rischia di compromettere gravemente la sicurezza internazionale e il benessere delle popolazioni.
Questo è un primo e fondamentale elemento che richiede una profonda revisione nella direzione della riconversione a fini civili di quella parte dell’industria militare ormai obsoleta e di una razionalizzazione programmatica dei settori industriali militari nel contesto di un rinnovato e diverso Piano di difesa europeo. Si tratta di un indirizzo già presente nella normativa vigente, purtroppo ampiamente inattuata, che prevede che lo Stato predisponga «misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa» (L. 185/1990, art. 1, c. 3). Occorrerà inoltre rivedere e differenziare la produzione di tipo medico-sanitario per garantire la disponibilità di quelle apparecchiature mediche di cui oggi l’Italia è dipendente dall’estero.
Questi dati esplicitano un’evidenza poco nota. Lo Stato italiano è il principale azionista di tutte le maggiori aziende di produzione militare, come il gruppo Leonardo e Fincantieri. Non solo: attraverso il “golden power” lo Stato esercita un controllo fondamentale anche sulle imprese private «operanti in ambiti ritenuti strategici e di interesse nazionale». Tra queste aziende figurano tutte quelle nei settori dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni e anche tutte quelle del settore militare e degli armamenti, ma non quelle del settore medico-sanitario. Considerare strategica e di interesse nazionale l’industria militare e non quella medico-sanitaria manifesta un grave problema di comprensione e di definizione non solo della tutela del diritto alla salute, ma anche della sicurezza che lo Stato deve garantire ai cittadini.
L’impatto dell’epidemia ha inoltre evidenziato diverse carenze del nostro sistema sanitario. Ciò è dovuto al costante indebolimento del Sistema Sanitario Nazionale a fronte di una ininterrotta crescita di fondi a favore delle spese militari.  Lo hanno segnalato la Rete italiana per il disarmo e la Rete per la pace in un comunicato congiunto. «Mentre la spesa sanitaria ha subito una contrazione complessiva rispetto al Pil passando da oltre il 7% a circa il 6,5% previsto dal 2020 in poi, la spesa militare ha sperimentato un balzo in avanti negli ultimi 15 anni passando dall’1,25% rispetto al Pil del 2006 fino a circa l’1,40% raggiunto ormai stabilmente negli ultimi anni».
L’Italia, dunque, investe sempre più per la difesa armata e sempre meno in cure sanitarie. Non solo: mentre il personale militare è tuttora ampiamente sovradimensionato rispetto alle reali esigenze del Paese, il Servizio Sanitario nazionale dal 2009 al 2017 ha perso 46 mila addettiMentre al per la sanità è stata applicata la “spending review” non altrettanto può dirsi per il settore militare e in particolare per il “procurement militare”, cioè per l’acquisto di armamenti, la cui spesa negli ultimi bilanci dello Stato si è sempre aggirata tra i 5 e i 6 miliardi di euro annuali.
Non è, però, solo una questione di stanziamenti, di mezzi e personale. Il problema è soprattutto di modello e di pianificazione. Lo evidenzia l’ultimo rapporto della Fondazione Gimbe dal quale emerge la «mancanza di un disegno politico di lungo termine per preservare e potenziare la sanità pubblica» e la necessità di «aumentare le capacità di indirizzo e verifica dello Stato sulle Regioni nel rispetto delle loro autonomie». Come noto, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione, il “Piano sanitario nazionale” viene predisposto dal Governo, ma la sua adozione spetta, nel concreto, alle Regioni sulla base dei propri Piani sanitari regionali: una differenza fondamentale rispetto al “modello di difesa” che, invece, è definito a livello nazionale dal Ministero della Difesa. Così, mentre esiste un “Libro Bianco della Difesa” allo scopo di «affrontare con razionalità, metodo e lungimiranza il problema della sicurezza e della difesa del Paese, non limitandosi alla pur doverosa gestione degli eventi improvvisi», non esiste invece a livello nazionale un simile “Libro Bianco della Sanità” (l’ultima edizione è del 2008) e lo stesso “Piano sanitario nazionale” di fatto risale al 2006.
Di pari passo, la gestione delle emergenze nel settore della difesa, pianificata in ambito Nato, è ampiamente prevista nel “Libro Bianco della Difesa” che a tal fine prevede, tra l’altro, forme specifiche di addestramento ed esercitazioni. Non altrettanto può dirsi per quanto riguarda  il settore della sanità che da un lato rinvia al quadro delle decisioni assunte a livello europeo, dall’altro rimanda alle funzioni di competenza della Protezione Civile.
In particolare appare carente, per entrambi i settori, la predisposizione di specifici piani per affrontare emergenze che implicano un ampio e diretto coinvolgimento della popolazione come, ad esempio, i piani di evacuazione in caso di attacco terroristico o di terremoti, di incidenti a impianti petroliferi e a rigassificatori o ad unità a propulsione nucleare di cui dovrebbero essere dotate almeno tutte le città portuali o, come si sta verificando in questo giorni, per gestire una prolungata quarantena della popolazione. Anche la gestione e il contrasto alle minacce in campo chimico, batteriologico, radiologico e nucleare (Cbrn) non si possono affrontare solo con le conoscenze e l’approccio di esperti, delle aziende militari e di qualche istituzione sanitaria, come sta invece facendo il Cluster CBRN-P3. Il problema non consiste, infatti, solo nell’intensificare i livelli di sinergia e di cooperazione tra settore sanitario, Protezione Civile e Forze Armate: si tratta, invece, di pianificare, prepararsi e gestire le emergenze con la diretta partecipazione delle associazioni della società civile.
I capisaldi della convivenza tra i cittadini e gli ambiti dell’azione delle strutture pubbliche sono ben definiti dalla Costituzione, in particolare da due articoli. Innanzitutto l’articolo 32 stabilisce che «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti» e – per quanto riguarda la difesa – l’articolo 52 esplicita che «La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino». L’articolo in questione non si riferisce solo ed esclusivamente alla “difesa armata”, cioè alla difesa attraverso lo strumento militare: diverse deliberazioni della Corte Costituzionale, del Consiglio di Stato e della Cassazione hanno riconosciuto e parificato le forme di difesa armata a quella civile e nonviolenta.
È in questa direzione, di pieno coinvolgimento della società civile e delle sue associazioni che dovrebbe essere ripensato sia il “modello di difesa” che deve comprendere a pieno titolo e con eguale dignità e valore la difesa civile e nonviolenta (si veda la Proposta di Legge di iniziativa popolare per la difesa civile, non armata e nonviolenta), sia la ridefinizione del Piano Sanitario Nazionale e della gestione delle emergenze. L’attuale pandemia ha mostrato chiaramente che l’emergenza non è solo di tipo sanitario, economico o di ordine pubblico: è innanzitutto una crisi umana e sociale e come tale va affrontata. Proprio per questo le questioni attinenti alla sanità, alla sicurezza e alla difesa non dovrebbero essere il monopolio delle rappresentanze politiche e neppure dei soli specialisti del settore.
L’Italia ha un ampio bacino di associazioni e di competenze nella società civile (dal volontariato alla cooperazione internazionale, dalle associazioni educative a quelle impegnate nel campo della tutela dell’ambiente, della solidarietà e del disarmo) che possono e devono rappresentare il vero valore aggiunto del nostro Paese anche nella fase di progettazione e non solo assistenziale.
Diverse misure che vengono adottate in questi giorni (dall’impiego delle Forze Armate alla quarantena obbligatoria, dal dispiegamento di militari nelle strade alle restrizioni per le aziende fino alle possibili modalità di tracciamento degli spostamenti individuali) possono collocarsi sul crinale tra uno Stato democratico e forme autoritarie di controllo sociale. La differenza non sta solo nell’approvazione parlamentare o nel consenso popolare più o meno generalizzato verso queste misure, ma anche nella partecipazione della società civile e delle sue associazioni. Torna utile ricordarlo sin da ora, per poter valutare e programmare meglio appena l’emergenza sanitaria sarà passata.


La pandemia minaccia il mondo ma il mondo aumenta la spesa per gli armamenti – Francesco Lenci

L’International Peace Research Institute (SIPRI, qui il sito ) è un istituto internazionale indipendente dedicato alla ricerca su conflitti, corsa agli armamenti, controllo degli armamenti e disarmo. Fondato nel 1966, SIPRI fornisce dati, analisi e raccomandazioni, basate su fonti aperte, a responsabili delle politiche, ricercatori, media e pubblico interessato. Con sede a Stoccolma, l’Istituto è regolarmente classificato tra i think tank più rispettati in tutto il mondo.
La missione di SIPRI è di intraprendere ricerche e attività in materia di sicurezza, conflitti e pace; fornire analisi e raccomandazioni politiche, facilitare il dialogo e promuovere misure di fiducia reciproca e trasparenza, fornire informazioni autorevoli al pubblico interessato.
L’Orologio del Bulletin segna cento secondi all’apocalisse
Da cinquant’anni, tutti gli anni, il SIPRI pubblica un Annuario (SIPRI Yearbook) che è un rigoroso e dettagliato compendio di dati ed analisi nelle aree dei conflitti armati e della loro gestione, delle spese militari e per l’ammodernamento dei sistemi d’arma, della non-proliferazione nucleare, del controllo degli armamenti e del disarmo. Per tutti gli studiosi di problemi di controllo degli armamenti e di disarmo il SIPRI Yearbook è una fonte preziosa di informazioni e di elementi di discussione (per approfondire vai qui ).
Il SIPRI Yearbook 2019 offre una serie di dati originali relativi a spesa militare mondiale, produzione e trasferimenti internazionali di armi, forze nucleari, conflitti armati e operazioni multilaterali di pace, nonché analisi aggiornate su aspetti importanti circa il controllo delle armi, della pace e della sicurezza internazionale (leggi il rapporto ).
Come risulta chiaramente dal SIPRI Yearbook, e come da più autorevoli voci sottolineato da lungo tempo, il regime di controllo degli armamenti è profondamente in crisi e i rischi di guerra nucleare sono più alti di sempre: il 23 gennaio scorso l’Orologio del Bulletin ha fissato a 100 secondi (un minuto e quaranta secondi) il tempo che ci separa dall’inizio dell’apocalisse. Il 3 aprile 2020, l’alto rappresentante per le questioni di disarmo del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Izumi Nakamitsu, che è l’autorità dell’Onu di più alto livello nel campo del controllo degli armamenti, ha dichiarato che “la pandemia è arrivata mentre le nostre strutture per prevenire il confronto catastrofico si stanno sgretolando. I paesi stanno costruendo armi nucleari più veloci e accurate, sviluppando nuove tecnologie per le armi con implicazioni imprevedibili e riversando più risorse militari rispetto a qualsiasi momento nei passati decenni”.

Le spese militari globali aumentano vertiginosamente
Qualche anno fa Carlo Bernardini, a proposito degli arsenali nucleari scriveva: “Quando una cosa che incombe è gigantesca, la gente non la vede più (come la storia dell’omino che non vede l’elefante se sta proprio sotto la sua pancia)”. Mi sembra che ancora una volta Carlo Bernardini sia stato profetico.
Particolare preoccupazione e sdegno nascono dall’esame delle spese militari mondiali per il 2019 (leggi qui i dati ): le spese militari globali totali sono salite a 
1917 miliardi di Dollari USA nel 2019. Il totale per il 2019 rappresenta un aumento del 3,6 per cento rispetto al 2018 e la più grande crescita annuale delle spese dal 2010. I cinque maggiori investitori nel 2019, che rappresentano il 62 per cento delle spese, sono Stati Uniti, Cina, India, Russia e Arabia Saudita.
Nella attuale gravissima situazione sanitaria di tutto il mondo, nella quale già sopravvivono a stento migliaia di esseri umani in fuga da guerre, carestie, fame, povertà, nessun accenno alla possibilità di ridurre gli investimenti in armi. Più di sempre credo sia da riflettere sulla conclusione della Nobel Lecture di Mohamed ElBaradei, già Direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, Premio Nobel per la Pace nel 2005 (qui  il testo): “Immaginate cosa accadrebbe se le nazioni del mondo spendessero tanto nello sviluppo quanto spendono nella costruzione delle macchine da guerra. Immaginate un mondo in cui ogni essere umano potesse vivere libero e in maniera dignitosa. Immaginate un mondo in cui si versassero le stesse lacrime quando un bambino muore nel Darfur o a Vancouver………”. E sulla conclusione del Manifesto Russell-Einstein: “Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale”

Nuova guerra fredda su Sarscov2 - Alfonso Navarra


Sia Nature Medicine sia il Bullettin of Atomic Scientists non escludono che il virus - sicuramente non bio-ingegnerizzato andando ad esaminare il suo genoma - possa anche, come ipotesi secondaria, essere nato dalle evoluzioni spontanee di colture in vitro dei laboratori di Wuhan.
Ma non hanno - lo asseriscono chiaramente - nessun elemento fattuale che possa suffragare l’ipotesi dell'incidente come causa della diffusione di SARSCOV2.
(Lo studio di Nature con le sue conclusioni l’avevo già citato in un mio precedente articolo su questo argomento che si può trovare sul sito dei Disarmisti esigenti:
http://www.disarmistiesigenti.org/…/nuovo-virus-non-nasce-…/).
Ora arriva la smentita dell’OMS alle accuse di Mike Pompeo (vedi articolo sotto riportato del Fatto Quotidiano e tratto dal sito Raiawadunia), che sembrano ripercorrere la strada delle armi chimiche attribuite dal generale Powell a Saddam Hussein.
Allora - nel febbraio del 2003 - una sceneggiata all’ONU giustifico’ la guerra di Bush junior contro l’Iraq; oggi dall’impero militarmente più forte (ma in declino economico) si lancia ufficialmente una “nuova guerra fredda” contro la Cina anche perché, al di la’ delle ragioni di fondo della competizione di potenza, Trump ritiene utile per la sua rielezione il prossimo novembre fare di essa il capro espiatorio di tutte le contraddizioni ed i gravi problemi nella gestione americana della pandemia.
Personalmente, da eco pacifista scafato e avvertito, ritengo che la vera domanda che bisogna farsi è sul senso profondo di queste ricerche che fanno cinesi, americani, russi e quanti altri sugli OGM: sono davvero necessarie in via preventiva per trovarsi più attrezzati con i vaccini? O nascondono inconfessabili legami con le ricerche sulle armi biologiche?
E’ questa domanda che - ad avviso dello scrivente - colloca sul binario giusto la riflessione e la discussione da sviluppare. Una ricerca scientifica opaca, con legami opachi con i settori militari, è anche essa un aspetto di quella hubrys che caratterizza il rapporto tra la specie umana e la Terra che la ha originata.
Dobbiamo fare la pace tra la società umana universale e la Natura sostituendo le attuali Élites dell’1% al comando: questo è il compito che dobbiamo assolutamente fissare come prioritario e pare che abbiamo solo una decina di anni per sbrigarlo, costi quel che costi, pena, ad essere fortunati, la ricaduta nella barbarie…
Da questo punto di vista la nuova guerra fredda tra statunitensi e cinesi è l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno…


Spese militari italiane in forte crescita: superati i 26 miliardi di euro su base annua - Francesco Vignarca




Questa scheda elaborata dall’Osservatorio Mil€x sulla spesa militare italiana intende fornire la valutazione più precisa e approfondita possibile degli investimenti militari dello Stato italiano nel 2020 con la documentazione attualmente a disposizione.
Risulta doverosa una premessa di natura metodologica riguardante le spese militari in generale e quelle relative all’Italia in particolare. Valutare in maniera compiuta la spesa militare è un compito arduo, perché mentre alcuni costi sono evidentemente di questa natura per altri è più difficile andare a stabilire precisamente che tipo di funzione abbiano all’interno dell’apparato statale.
Come criterio scientifico di riferimento l’Osservatorio Mil€x usa come standard la definizione di spesa militare dell’istituto di ricerca SIPRI di Stoccolma, globalmente considerato tra i più affidabili e rigorosi, eppure va notato che nonostante questa convergenza le stime riguardanti l’Italia possono essere anche decisamente differenti. Ciò avviene da un lato perché di norma il SIPRI considera stime di consuntivo, mentre la scheda specifica che avete fra le mani si concentra sul bilancio previsionale, dall’altro perché esiste ovviamente un diverso grado di accesso a documenti e cifre ufficiali del Bilancio dello Stato. In tal senso si può considerare più affidabile e precisa la stima di Mil€x in quanto è più semplice e diretto l’accesso a documentazione anche in lingua originale senza necessità di mediazione dei dipartimenti e uffici pubblici preposti.
Inoltre l’Osservatorio Mil€x non solo ha sviluppato in questi anni una capacità di analisi diretta affidabile delle documentazioni della Legge di Bilancio, ma è stato anche in grado elaborare alcuni meccanismi di conteggio per valutare parti della spesa militare che si possono desumere solamente per via indiretta (costi pensionistici, presenza di basi straniere sul territorio italiano, etc).
L’ultima sottolineatura importante prima di passare all’analisi dei dati è la già ricordata natura previsionale di questa stima, in quanto basata sulla documentazione della Legge di Bilancio votata dal Parlamento a fine 2019 e i cui capitoli e le cui allocazioni potrebbero quindi essere oggetto di variazioni da parte del Governo in corso d’anno. Ciò significa che la spesa militare reale del 2020 potrà, alla fine, anche differire di molto rispetto alle stime fornite con questo documento, ed anzi di norma è quello che succede: quasi sempre si riscontrano dei consuntivi più alti rispetto ai bilanci previsionali. Ciò sembrerebbe togliere valori ai dati che vengono qui forniti, che al contrario possiedono un interesse ed una rilevanza per nulla intaccati dalle considerazioni appena svolte. Ciò perché uno degli aspetti più importanti delle analisi che si conducono sulla spesa militare è anche la dinamica tendenziale, perché è in grado di fornire indicazioni sulle scelte politiche dei vari governi sul tema richiamando paragoni chiari fra vari bilanci. Riteniamo dunque opportuno continuare a fornire una valutazione approfondita della spesa militare previsionale, con una metodologia consolidata che la rende direttamente e pienamente comparabile con quella degli anni precedenti.

La stima della spesa militare italiana per il 2020
Ricordiamo che la metodologia di conteggio elaborata dall’Osservatorio Mil€x e derivante dalla già ricordata definizione SIPRI di spesa militare prevede che al Bilancio proprio del Ministero della Difesa vadano aggiunti anche capitoli di natura militare presenti in altri Ministeri, oltre che sottratti (totalmente o in parte) costi rientranti nello stesso Dicastero ma evidentemente con funzioni di natura non militare.
Nella Tabella seguente vengono quindi fornite le cifre di comparazione tra le previsioni per il 2019 e le previsioni per il 2020 delle voci di spesa selezionate secondo il criterio appena esposto. Vengono riportate in colore rosso le cifre che non sono ricomprese (in tutto o in parte) nella stima conteggiata da Mil€x.




Come si può notare con tutta evidenza la spesa militare previsionale 2020 registra un fortissimo aumento di oltre 1,5 miliardi di euro pari ad oltre il 6% in più su base annua, sia per la crescita diretta del bilancio proprio del Ministero della Difesa sia per il mantenimento di alti livelli di spesa di natura militare anche su altri Dicasteri. Continua ad essere in crescita la quota di investimento per nuovi sistemi d’arma proveniente dal Ministero per lo Sviluppo Economico (ormai arrivata a quasi tre miliardi) ma è soprattutto la decisa risalita degli investimenti per armi allocati sul bilancio della Difesa (circa 2,8 miliardi con un +40% rispetto al 2019) a portare i fondi a disposizione per acquisti di nuove armi ad un livello forse record di quasi 6 miliardi.
È importante notare che per carenza al momento di documentazione e dettagli affidabili sui trasferimenti pensionistici e la difficoltà insita nell’elaborazione di stime sulla specifica voce relativa alle basi internazionali presenti nel territorio italiano tali cifre specifiche sono state considerate come invarianti rispetto all’anno precedente. Una scelta di approssimazione che comunque permette di avere una stima realistica complessiva e non falsare il paragone di trend tra un anno e l’altro poiché si tratta di voci non sottoposte a variazioni repentine in quanto scelte e conseguenze di medio-lungo periodo.
Sono invece ancora da definire, e dunque non sono stati considerati in questa scheda di approfondimento, gli impatti sia su quest’anno che a livello pluriennale di alcuni programmi di investimento per sistemi d’arma annunciati in anni recenti, all’interno di Fondi più ampi predisposti dalla Presidenza del Consiglio dei ministri o di Fondi concertati tra il Ministero della Difesa e il Ministero per lo Sviluppo Economico. Rimandiamo a schede ed analisi successive la valutazione approfondita di questi specifici aspetti.
Infine, come pista di lavoro e conferma della già sottolineata tendenza ad avere una spesa consuntiva molto più alta del bilancio previsionale, è opportuno notare che la stesa documentazione ufficiale della Legge di Bilancio rileva su questo esercizio la presenza di residui presunti per il Ministero della Difesa pari a 1.007 milioni di euro. Che comportano poi autorizzazioni di cassa per 23.296 milioni e una cifra complessiva spendibile (residui più competenza) per il 2020 di 23.977 milioni. Cioè circa un miliardo tondo in più di quanto evidenziato nelle previsioni sopra riportate (ma che non è possibile attribuire “in toto” alla spesa militare perché potrebbe riguardare residui relativi ad esempio alle funzioni di polizia e controllo del territorio dei Carabinieri).


Coronavirus vs. deterrenza nucleare - Roberto Del Bianco

Dal sito ufficiale del PNND, ecco qualche "Good News". Al tempo della pandemia, c'è chi riflette (e cerca di far riflettere). Sarà il caso di cambiare destinazione alle ingenti somme destinate al mantenimento della flotta sottomarina britannica?

Ieri 1° aprile 2020, tre ex comandanti della Royal Navy hanno inviato una lettera a tutti i membri del Parlamento, mettendo in discussione la politica di mantenimento di un deterrente nucleare permanente in mare. Il costo di 2 miliardi di sterline all'anno sarebbero adesso ingiustificabili, tanto più che i costi economici della pandemia di coronavirus vanno aumentando e che oltretutto non sembra esserci alcuna minaccia di un attacco nucleare contro il Regno Unito.
"È assolutamente inaccettabile che il Regno Unito continui a spendere miliardi di sterline per distribuire e modernizzare il sistema di armi nucleari Trident di fronte alle minacce alla salute, ai cambiamenti climatici e alle economie mondiali che il Coronavirus pone", ha affermato Robert Forsyth, ex comandante di sommergibili nucleari, firmatario della lettera e sostenitore della campagna "Move the Nuclear Weapons Money".
Mentre ha dichiarato Tom Unterrainer, direttore della Bertrand Russell Peace Foundation"Questa pandemia e l'incapacità del governo britannico di prepararsi o rispondere efficacemente a una minaccia così immediata alla vita dimostrano le priorità contorte al centro della spesa per le armi nucleari. Piuttosto che lavorare per garantire la vera sicurezza, questo governo privilegia l'acquisizione e lo spiegamento di armi di omicidio di massa"
La lettera, sostenuta da numerosi parlamentari, accademici e attivisti per la pace, è stata inviata dalla Bertrand Russell Peace Foundation a tutti i membri della Camera dei Comuni britannica, della Camera dei Lord britannica, del Parlamento scozzese, dell'Assemblea nazionale per il Galles e dell'Assemblea nordirlandese.
La lettera è stata supportata dalla copresidente della PNND, la baronessa Sue Miller (UK House of Lords) e da Bill Kidd (Parlamento scozzese).
Bill Kidd afferma: "Tutte le potenze delle armi nucleari, e quegli stati che le supportano, stanno sprecando preziose risorse come i Trident contro i desideri dei loro popoli, quando dovrebbero rivolgersi al nemico reale e mortale, il COVID19".
"Il Covid-19 ci sta dimostrando che le peggiori minacce, pandemie e cambiamenti climatici dell'umanità sono condivise a livello globale", ha affermato la baronessa Sue Miller"Non dovremmo sprecare risorse per rinnovare le armi nucleari poiché dovremmo utilizzare tutte le risorse che possiamo per affrontare questi problemi fin troppo reali."
I firmatari della lettera sperano che i loro sforzi per mettere in discussione il "deterrente permanente in mare" incoraggino i politici e i cittadini a iniziare a porre in questione la moralità e la fattibilità delle armi nucleari.
I firmatari della lettera:
·         Commander Robert Forsyth RN (Ret’d)2nd in Command Polaris submarine, commanded two other submarines and the Commanding Officer’s Qualifying Course.
·         Commander Robert Green RN (Ret’d)Former nuclear-armed aircraft bombardier-navigator, Staff Officer (Intelligence) to CINFLEET in Falklands War
·         Commander Colin Tabeart RN (Ret’d)Former Senior Engineer Officer, Polaris submarine
Note:
·         L'articolo originale del PNND







The war is over - Phil Ochs

Silent Soldiers on a silver screen
Framed in fantasies and dragged in dream
Unpaid actors of the mystery
The mad director knows that freedom will not make you free
And what's this got to do with me
I declare the war is over
It's over, it's over

Drums are drizzling on a grain of sand
Fading rhythms of a fading land
Prove your courage in the proud parade
Trust your leaders where mistakes are almost never made
And they're afraid that I'm afraid

I'm afraid the war is over
It's over, it's over

Angry artists painting angry signs
Use their vision just to blind the blind
Poisoned players of a grizzly game
One is guilty and the other gets the point to blame
Pardon me if I refrain

I declare the war is over
It's over, it's over

So do your duty, boys, and join with pride
Serve your country in her suicide
Find the flags so you can wave goodbye
But just before the end even treason might be worth a try
This country is too young to die

I declare the war is over
It's over, it's over

One-legged veterans will greet the dawn
And they're whistling marches as they mow the lawn
And the gargoyles only sit and grieve
The gypsy fortune teller told me that we'd been deceived
You only are what you believe

I believe the war is over
It's over, it's over

Versione italiana di Riccardo Venturi

LA GUERRA È FINITA
Soldati in silenzio su uno schermo grigio
persi in fantasie e trascinati nel sogno
attori a gratis del mistero
il regista pazzo sa che la libertà non ti renderà libero
e la guerra, cosa ha a che fare con me
Io dichiaro che la guerra è finita
è finita, è finita

Tamburi piovigginano su un chicco di sabbia
ritmi appassenti di una terra appassita
prova il tuo coraggio nella fiera parada
fìdati dei tuoi capi se non si fanno quasi mai errori
e loro hanno paura che io abbia paura

Che abbia paura che la guerra è finita
è finita, è finita

Artisti arrabbiati dipingono segni arrabbiati
usa la loro visione per acciecare i ciechi
giocatori avvelenati ad un gioco grigio
uno è colpevole, e l’altro ne approfitta per biasimare
e perdonatemi se insisto

a dichiarare che la guerra è finita
è finita, è finita

Quindi fate il vostro dovere, ragazzi, e arruolatevi con orgoglio
servite il vostro paese nel suo suicidio
trovate le bandiere, così potete sventolare un addio
ma giusto prima della fine, non sarebbe male provare anche il tradimento
questo paese è troppo giovane per morire

Io dichiaro che la guerra è finita
è finita, è finita

Reduci mutilati di una gamba saluteranno l’alba
fischiettando marce mentre rasano il prato
e i gargoyles altro non fanno che star lì a lamentarsi
l’indovino zingaro mi aveva detto che saremmo stati imbrogliati
tu sei soltanto ciò che credi

E io credo che la guerra è finita,
è finita, è finita.


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