Dunque la
tanto attesa (e temuta) “riapertura” è andata meglio del previsto. L’Italia si
è messa in movimento “con juicio”, senza assalti ai treni, code
agli sportelli e movide estemporanee. Cautamente si è avventurata fuori di
casa. Segno che la percezione del pericolo è forte e diffusa tanto da farsi
“costume”. E che il Paese, nella sua maggioranza, ha imparato la lezione del virus
rifiutando le pose da superuomini dei tanti negatori del rischio e fautori del
contagiatevi liberamente. Insomma, almeno per questo inizio di settimana,
abbiamo visto all’opera un’Italia tutto sommato responsabile.
Ma poi c’è un’altra Italia. Quella incarnata dai “guerriglieri di se stessi” (i “due Matteo”) che menano colpi su tutto pur di raccattare un briciolo di visibilità (anche se più strepitano più perdono): che occupano le aule parlamentari e vi bivaccano ostentatamente senza mascherina; o che evocano i morti di Bergamo per fargli invocare – estremo oltraggio – le condizioni che li hanno sterminati. O quella rappresentata dai promotori di quello sgangherato “Appello a Mattarella” (primo firmatario Vittorio Sgarbi, quello del delirante video sul “virus del buco del culo” sic) in cui si denuncia il carattere autoritario delle misure di prevenzione dal contagio come se si trattasse di brutali attentati alle libertà costituzionali, in nome della facoltà di ognuno di farsi i fatti propri indipendentemente dalle ricadute sugli altri. E come se la nostra Costituzione non tutelasse la salute (di tutti) come bene e diritto fondamentale. Manifesto di un iper-liberismo così radicale (così patologicamente egoistico) da coniugare il culto di Sé e delle proprie irrinunciabili prerogative sovrane con il disprezzo degli altri (delle vite di scarto): punto di vista non per nulla assai simile a quello di alcuni dittatori del nostro tempo, da Jair Bolsonaro a Viktor Orban, e di quelle leadership che interpretano la torsione populista in sovranismo di cui sia Trump che Johnson sono campioni, a dimostrazione del fatto che l’ultraliberismo militante, lungi dall’esserne l’antitesi, è in realtà sostanzialmente consustanziale alle espressioni fascistoidi post-novecentesche.
Ma poi c’è un’altra Italia. Quella incarnata dai “guerriglieri di se stessi” (i “due Matteo”) che menano colpi su tutto pur di raccattare un briciolo di visibilità (anche se più strepitano più perdono): che occupano le aule parlamentari e vi bivaccano ostentatamente senza mascherina; o che evocano i morti di Bergamo per fargli invocare – estremo oltraggio – le condizioni che li hanno sterminati. O quella rappresentata dai promotori di quello sgangherato “Appello a Mattarella” (primo firmatario Vittorio Sgarbi, quello del delirante video sul “virus del buco del culo” sic) in cui si denuncia il carattere autoritario delle misure di prevenzione dal contagio come se si trattasse di brutali attentati alle libertà costituzionali, in nome della facoltà di ognuno di farsi i fatti propri indipendentemente dalle ricadute sugli altri. E come se la nostra Costituzione non tutelasse la salute (di tutti) come bene e diritto fondamentale. Manifesto di un iper-liberismo così radicale (così patologicamente egoistico) da coniugare il culto di Sé e delle proprie irrinunciabili prerogative sovrane con il disprezzo degli altri (delle vite di scarto): punto di vista non per nulla assai simile a quello di alcuni dittatori del nostro tempo, da Jair Bolsonaro a Viktor Orban, e di quelle leadership che interpretano la torsione populista in sovranismo di cui sia Trump che Johnson sono campioni, a dimostrazione del fatto che l’ultraliberismo militante, lungi dall’esserne l’antitesi, è in realtà sostanzialmente consustanziale alle espressioni fascistoidi post-novecentesche.
Basterebbe
anche solo un’occhiata alla lista dei firmatari, per cogliere l’aspetto
grottesco – quasi ridicolo se non fossimo nel pieno di una tragedia – di
un patchwork che mette insieme Sgarbi, appunto, e Clint
Eastwood (in veste di “libertario trumpiano” o di gun nut?),
Bernard-Henry Levy (in veste di comico?) e Massimo Boldi (in veste di nuovo
filosofo?), e poi Edward Luttwak, Alain Elkan, Ornella Muti, Nicola Porro,
Bechis, Bagnai, Becchi (le tre B della destra pop-sovranista), il cuoco
Vissani, il post-fascista Marcello Veneziani (strano vederlo denunciare
l’autoritarismo di Giuseppe Conte dopo aver celebrato in un libro quello
di Mussolini, il politico), il performer televisivo Red Ronnie
(noto per il suo anti-vaccinismo e come diffusore di “altre supposizioni
scientificamente infondate sulla possibilità di eliminare virus e batteri
tramite la risonanza su loro presunte frequenze” – cito da Wikipedia) insieme a
figure per bene quali Tahar Ben Jalloun (come c’è finito lì dentro?) o Sergio
Castellitto (che come attore a me personalmente piace)…
Qualcuno ha
pensato a uno scherzo. E come tale lo si potrebbe archiviare, se non fosse per
il fatto che quel documento è stato pubblicato con onore sulla nuova Repubblica
versione Exor, il che la dice lunga su quale sia la deriva regressiva di quello
che nacque come quotidiano di un’Italia civile liberal-socialista. Ma ci dice
anche quale sia, oggi, la metamorfosi asociale che l’impatto con l’emergenza
Covid-19 ha innescato, o quantomeno accelerato e disvelato, all’interno del
blocco proprietario italiano e del cosiddetto “mondo dell’impresa”. Nelle file,
infatti, di quest’altra Italia c’è – non ci vuol molto a vederlo – anche
Confindustria. Basta rileggersi il discorso di investitura del suo neoeletto
Presidente Carlo Bonomi, tutto incentrato sulla parola d’ordine “riaprire tutto
e subito”. E poi guardarsi l’assalto al Palazzo che ha scatenato nel giorno
stesso dell’inizio della fase-due, all’insegna del motto “il Paese siamo noi” e
“tutte le risorse all’Impresa”. Una Confindustria così “antigovernativa” non la
si vedeva da tempo (forse bisogna risalire al periodo di gestazione del primo
centro-sinistra e al clima in cui maturò il “Piano Solo”; e prima ancora
all’ultimo governo Facta, quando Gramsci parlò di “sovversivismo delle classi
dirigenti”). Eppure non è che il Governo Conte II sia stato ostile nei
confronti dell’Impresa, o anche solo “poco rispettoso” delle sue prerogative,
al contrario: ne ha accolto buona parte delle richieste, si è piegato a
numerose pressioni (tra cui la sciagurata mancata chiusura delle prime aree
infette nel bergamasco da cui si è scatenata la catastrofe che conosciamo), ha
accettato la logica asimmetrica per cui quel che è nell’interesse degli
industriali è nell’interesse del Paese. Ma evidentemente non gli è bastato. Non
vogliono “il loro”. Vogliono tutto. Di fronte alla gelata che ci aspetta
all’allentarsi dell’emergenza sanitaria e all’esplodere dell’emergenza
economica, si battono fin d’ora per avere il monopolio di tutte le risorse
disponibili. Tutte! contendendole centesimo per centesimo agli altrettanto
necessari fondi per il sostegno alle famiglie e alle persone: “Tutto alla
crescita, nulla all’assistenza” grida già la Lega, e sa di avere mandanti
potenti. E lo vogliono cash, quel fiume di denaro, direttamente in cassa, senza
oneri di restituzione né intermediari, neppure da parte delle banche. Mentre se
qualcuno propone sia pur timidamente di rafforzare l’apparato degli ispettori
per esercitare una qualche forma di controllo levano
gli scudi, come di fronte a un sacrilegio.
In uno stimolante Microcosmo sul “Sole24Ore” di un paio di settimane fa Aldo Bonomi evocava – riprendendola da papa Francesco – “l’immagine di Enea che si prende sulle spalle Anchise per andare nel ‘non ancora’” auspicando una sorta di “eterotopia delle rappresentanze” in cui simmetricamente le istituzioni di Capitale e Lavoro (Imprese e Sindacati) si carichino “sulle spalle il vecchio modello di sviluppo per andare oltre”. E pensava al lavoro di riflessione e di cambiamento d’orizzonte necessario per “il quarto capitalismo delle medie imprese se vogliamo che ce ne sia un quinto, per il sindacato con sulle spalle il lavoro che si è fatto moltitudine dei lavori, per le filiere agroalimentari con gli invisibili migranti al lavoro diventati visibili e necessari, per la grande e piccola distribuzione che ci ha sfamato, per la ragnatela diffusa dell’artigianato del commercio dei turismi, tutte molecole in sofferenza nel loro essere al lavoro borderline sulla prossimità negata dalla distanza sociale”. Era lo scenario virtuoso dell’uscita dalla pandemia attraverso una presa in carico della necessità di cambiare. Se però la natura del nuovo giorno si vede dal mattino, se dobbiamo interpretare per quel che sono queste prime esternazioni padronali, temo che la scena a cui saremmo costretti ad assistere sia quella di un Enea per nulla pio che balza in groppa al vecchio padre (lavoratori e Stato) sfiancandolo a colpi di speroni, per guadagnare qualche metro.
In uno stimolante Microcosmo sul “Sole24Ore” di un paio di settimane fa Aldo Bonomi evocava – riprendendola da papa Francesco – “l’immagine di Enea che si prende sulle spalle Anchise per andare nel ‘non ancora’” auspicando una sorta di “eterotopia delle rappresentanze” in cui simmetricamente le istituzioni di Capitale e Lavoro (Imprese e Sindacati) si carichino “sulle spalle il vecchio modello di sviluppo per andare oltre”. E pensava al lavoro di riflessione e di cambiamento d’orizzonte necessario per “il quarto capitalismo delle medie imprese se vogliamo che ce ne sia un quinto, per il sindacato con sulle spalle il lavoro che si è fatto moltitudine dei lavori, per le filiere agroalimentari con gli invisibili migranti al lavoro diventati visibili e necessari, per la grande e piccola distribuzione che ci ha sfamato, per la ragnatela diffusa dell’artigianato del commercio dei turismi, tutte molecole in sofferenza nel loro essere al lavoro borderline sulla prossimità negata dalla distanza sociale”. Era lo scenario virtuoso dell’uscita dalla pandemia attraverso una presa in carico della necessità di cambiare. Se però la natura del nuovo giorno si vede dal mattino, se dobbiamo interpretare per quel che sono queste prime esternazioni padronali, temo che la scena a cui saremmo costretti ad assistere sia quella di un Enea per nulla pio che balza in groppa al vecchio padre (lavoratori e Stato) sfiancandolo a colpi di speroni, per guadagnare qualche metro.
Le parole
del neopresidente di Confindustria (che anche lui di cognome fa Bonomi, ma con
Aldo non c’entra nulla, anzi ne sta agli antipodi): “Bisogna avere ben
presente che quella che sta iniziando è la stagione dei doveri e dei sacrifici,
per tutti” (e noi sappiamo che quando un padrone parla così da quel “tutti”
esclude naturalmente se stesso e i suoi pari)-; quelle parole, appunto, ci
dicono che ci sarà da lottare, per strappare al nuovo un volto umano. Redditi
più giusti per quel mondo del lavoro che ha sostenuto il peso delle nostre vite
in queste settimane. Risorse adeguate a una sanità di territorio. Orari di
lavoro meno massacranti ed “esposti” al rischio. Sussidi alle imprese, certo,
ma escludendovi quelle che hanno trasferito i propri quartier generali nei
paradisi fiscali. E’ chiedere troppo? A un governo e a una politica che non
vogliano piegarsi totalmente a chi urla più forte.
Nessun commento:
Posta un commento