L’articolo 661 del codice penale condanna chi abusa della credulità
popolare. Credo che sia un articolo non applicato quanto dovrebbe. Gli stessi
che ora lanciano strali, parole scomposte ed aimè anche atteggiamenti
minacciosi, contro Silvia Romano, sono gli stessi che brandiscono rosari,
presepi, processioni, messe, nell’ intento di accattivarsi la simpatia di
persone fragili e senza un grande background culturale, abusando della loro
credulità perché possibili elettori. Ora usano l’islam, una delle religioni più
diffuse del pianeta per aizzare l’odio e guadagnare consensi, l’altro giorno
erano i migranti.
Sono per il superamento delle religioni. Sono uno strumento che tutti i
poteri politici usano per dividere anziché per unire. Un bel paradosso: quello che
dovrebbe affratellarci viene utilizzato per dividere. E d’altra parte le
religioni tutte si prestano a questo. Quale uomo che aderisce ad una religione
pensa che la sua non sia la migliore? Hanno in se un elemento divisivo dalla
nascita. Non si diventa fratelli con le religioni. Ci si deve sforzare di
diventare fratelli, come tutti gli incontri interconfessionali (più che
benvenuti) che si promuovono in questo senso dimostrano.
Capisco però che il trasporto che un individuo ha di aderire a questa o a quella
religione nasce, quando non è una adesione automatica come può accadere quando
si aderisce ad una religione egemonica nel tuo ambito culturale (la religione
cattolica in Italia, altre religioni in altri paesi) da una esigenza di
spiritualità. Questa è una componente che non credo sia dissociabile dalla
natura umana. La spiritualità si può vivere in tanti modi, non solo religiosi,
anzi direi che le religioni sono in questi ultimi decenni in fase di decadenza.
La spiritualità per la terra, per i suoi frutti, per l’uomo stesso, senza
intermediazioni religiose. Sia come sia, la scelta deliberata e non automatica
di una religione ha alla base la ricerca di spiritualità. Questo è un fatto
molto intimo e trovo pornografico che ci sia qualcuno che spogli questa
intimità. Tanti, troppi giornalisti non solo nelle testate di destra ma anche
nelle testate meno reazionarie (micromega per esempio) hanno sentito un
irrefrenabile impulso di cercare di interpretare (in genere sminuendolo) questo
delicato, imperscrutabile ed intimo passo fatto da Silvia.
Durante la prigionia di Silvia ogni tanto mi scendevano le lacrime a
pensarla. Forse perché al posto suo ci sarebbe potuta essere mia figlia che
lavora nel campo dei diritti umani e che ha lavorato in Africa. Mi succedeva la
stessa cosa pensando a Giulio Regeni. Forse perché un altro figlio faceva in
quegli anni un percorso simile al suo. E se penso a Patrick Zaky è lo stesso.
Da padre, e da cittadino del mondo, gioisco per il ritorno di Silvia anche
se mi angoscia la gogna mediatica a cui è costretta, e continuo a piangere
Giulio che non è ritornato.
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