Nato da appena cento giorni in una lontana città
sconosciuta, un nuovo virus ha già percorso tutto il pianeta, e ha obbligato a
chiudersi in casa miliardi di persone. Qualcosa immaginabile solo nei film
post-apocalittici… L’umanità sta vivendo una esperienza del tutto nuova.
Verificando che la teoria della “fine della storia” è una menzogna, scoprendo
che la storia, in realtà, è imprevedibile.
Ci troviamo di fronte a una situazione
enigmatica. Senza precedenti. Nessuno sa interpretare e chiarire questo
strano momento di profonda opacità, quando le nostre società continuano a
vacillare sui loro pilastri come scosse da un cataclisma cosmico. E non esistono
segnali che ci aiutino a orientarci. Un mondo crolla. Quando tutto sarà
terminato, la vita non sarà più la stessa.
Solo qualche settimana fa, decine di proteste si erano
diffuse a scala planetaria, da Hong Kong a Santiago del Cile. Il nuovo
coronavirus le ha spente una a una estendendosi, rapido e furioso, nel mondo.
Alle scene di masse in festa che occupavano strade, si sostituiscono le
immagini di viali vuoti, muti, spettrali. Emblemi silenziosi che segneranno per
sempre il ricordo di questo strano momento.
Stiamo subendo nella nostra stessa esistenza il famoso
“effetto farfalla”: qualcuno, dall’altro lato del pianeta, mangia uno strano
animale, e tre mesi dopo metà dell’umanità è in quarantena. Afflitti, i
cittadini voltano gli occhi verso la scienza e gli scienziati – come un tempo
verso la religione – implorando la scoperta di un vaccino salvatore, la cui
scoperta richiederà lunghi mesi.
La gente cerca anche rifugio e protezione dello Stato
che, dopo la pandemia, potrebbe tornare con forza a sfavore del Mercato. La
paura collettiva quanto più è traumatica tanto più rinforza il desiderio di
Stato, di Autorità, di Orientamento. In cambio, le organizzazioni
internazionali e multilaterali di ogni tipo (Onu, Croce Rossa Internazionale,
Fmi, Banca mondiale, ecc.) non si sono mostrate all’altezza.
Il pianeta scopre, stupefatto, che non c’è un
comandante, a bordo. Screditata per la propria complicità con le multinazionali
farmaceutiche, la stessa Organizzazione mondiale della sanità (Oms) non ha
avuto l’autorità necessaria per assumere, come le sarebbe toccato, la
conduzione della lotta globale contro la nuova piaga.
Intanto, i governi assistono impotenti alla
disseminazione in tutti i continenti di questa nuova peste. Contro la quale non
esiste vaccino, né farmaco, né cura, né trattamento che elimini il virus
dall’organismo… E questo durerà. Quel che sembrava distopico e tipico delle
dittature della fantascienza è divenuto “normale”: la gente viene multata
perché esce di casa per sgranchirsi le gambe, o per far passeggiare il cane. E
si sta proponendo che chi circola in strada senza il suo telefono sia punito
con la prigione.
Il lungo periodo neoliberista è ampiamente criticato,
in particolare a causa delle politiche devastatrici di privatizzazione a
oltranza dei sistemi pubblici di sanità che sono risultate criminali e si
rivelano assurde. Le grida di agonia delle migliaia di malati morti perché non
disponevano di terapie intensive condannano per un lungo tempo i fanatici delle
privatizzazioni, dei tagli e delle politiche di austerità.
Si parla ora di nazionalizzare, di rilocalizzare, di
re-industrializzare, di sovranità farmaceutica e sanitaria. Si torna a usare
una parola che i neoliberisti avevano stigmatizzato: solidarietà. L’economia
mondiale è paralizzata a causa della prima quarantena globale della storia. Nel
mondo intero c’è crisi, allo stesso tempo, di domanda e di offerta. Circa
centosettanta paesi avranno una crescita negativa nel 2020. Ovvero, una
tragedia economica peggiore della Grande Depressione del 1929. Milioni di
imprenditori e di lavoratori si chiedono se moriranno di virus o di fallimento
e disoccupazione. Nessuno sa chi si occuperà della campagna, se si perderanno i
raccolti, se mancheranno gli alimentari, se si tornerà al razionamento…
L’apocalisse bussa alla nostra porta. La sola piccola
luce di speranza è che, con il pianeta in pausa, l’ambiente ha potuto
respirare. L’aria è più trasparente, la vegetazione più fiorente, la vita
animale più libera. È diminuita la contaminazione atmosferica che ogni anno
ammazza milioni di persone. Rapidamente, lavata via la sporcizia
dell’inquinamento, la natura è tornata a splendere così bella… Come se
l’ultimatum alla Terra che il coronavirus ci lancia fosse anche un disperato
allarme finale nella nostra corsa suicida verso il cambiamento climatico:
«Occhio! Prossima fermata: collasso».
Nella scena geopolitica, la spettacolare irruzione di
un virus sconosciuto ha sconvolto completamente la scacchiera del
sistema-mondo. In tutti i fronti di guerra – Libia, Siria, Yemen, Afghanistan,
Sahel, Gaza ecc. – i combattimenti sono stati sospesi. La peste ha imposto di
fatto, con maggiore autorità dello stesso Consiglio di sicurezza dell’Onu, una
effettiva “Pax coronavirica”.
Nella politica internazionale, la terrorizzata
gestione di questa crisi da parte del presidente Donald Trump ha assestato un
colpo molto duro alla leadership mondiale degli Stati uniti, che non hanno
saputo aiutare se stessi né nessun altro. In cambio la Cina, dopo un inizio
incerto nella lotta alla nuova piaga, è riuscita a recuperare, a mandare aiuti
a un centinaio di paesi e sembra poter andare oltre al maggiore trauma sofferto
dall’umanità in secoli. La costruzione di un nuovo ordine mondiale potrebbe
essere in gioco in questi giorni…
In ogni modo, la dura realtà è che le potenze più
forti e le tecnologie più sofisticate sono apparse incapaci di frenare
l’espansione del Covid-19, malattia causata dal coronavirus Sars-CoV-2, il
nuovo grande assassino planetario.
Ignoriamo ancora molte cose su questo agente di
infezione: non sappiamo, per esempio, se avrà mutazioni… Tanto meno sappiamo
perché infetta più gli uomini che le donne. Né quali sono le cause per cui due
persone con caratteristiche simili – giovani, sane, senza patologie associate –
sviluppano forme opposte della malattia, lieve una, grave o mortale l’altra. Né
perché i bambini quasi mai soffrono di forme gravi dell’infezione. Né se i
malati curati continuano a trasmettere l’infezione, né se sono realmente
immunizzati… Però esiste un ampio accordo nel riconoscere che questo nuovo
virus è nato nello stesso modo di altri prima di lui: saltando da un animale
agli esseri umani.
Sappiamo anche che dal momento in cui il coronavirus
penetra – attraverso gli occhi, il naso o la bocca – nel corpo della sua
vittima comincia subito a replicarsi in modo esponenziale… Secondo la
ricercatrice Isabel Sola, del Centro Nacional de Biotecnología de España: «Una
volta dentro la prima cellula umana, ogni coronavirus genera fino a 100 mila
copie di se stesso in meno di 24 ore… (El País, 14 marzo 2020).
Ma anche, altro aspetto singolare e astuto di questo
patogeno, nell’invadere un corpo umano concentra il suo primo attacco, mentre è
ancora invisibile, nell’apparato respiratorio superiore della persona
infettata, dal naso alla gola, dove si moltiplica con frenetica intensità. Da
quel momento, quella persona – che non sente nulla – si trasforma in una
potente bomba batteriologica e comincia a disseminare massicciamente intorno a
sé – semplicemente parlando o respirando – il virus letale… Solo una minoranza
di contagiati subisce il secondo attacco del germe, concentrato questa volta
nei polmoni, ciò che provoca polmoniti che possono essere letali,
soprattutto in persone con più di 65 anni e con malattie croniche.
Dato che il numero di contagiati è massiccio e
simultaneo, questa “minoranza” – che rappresenta il 15 per cento di tutti gli
infettati e che è quella che andrà in ospedale – può raggiungere rapidamente
cifre molto alte. Lo abbiamo visto in Cina, Italia, Spagna, Regno Unito o negli
Stati uniti, e basta che varie migliaia di persone vengano ricoverate nello
stesso momento nelle unità d’urgenza per far collassare tutto il sistema
sanitario di qualunque paese, per sviluppato che sia… Quasi ovunque, le
autorità hanno confessato che non avevano previsto una simile valanga di
malati, «un continuo tsunami di pazienti in stato grave» (El Periódico,
26 marzo 2020).
Di fronte all’ondata di critiche per quella che è
stata percepita come una “cattiva gestione” della pandemia, diversi governanti
hanno argomentato che la rapidità dell’attacco pandemico li ha presi di
sorpresa. Donald Trump, per esempio, non ha avuto dubbi nell’affermare che
«nessuno sapeva che ci sarebbe stata una pandemia o epidemia di queste
proporzioni», e che si trattava di «un problema imprevedibile», «qualcosa che
nessuno si aspettava», «venuto dal nulla» (CNN en español, 3 aprile
2020).
Si possono dire molte cose per spiegare la scarsa
preparazione delle autorità di fronte a questo brutale flagello, però quello
della sorpresa non è ammissibile. Perché decine di previsioni e varie
informative recenti avevano lanciato avvisi molto seri sulla imminenza
dell’arrivo di un nuovo virus che avrebbe potuto causare qualcosa come la madre
di tutte le epidemia. Sarebbe bastato che Trump e altri dirigenti mondiali
ascoltassero i ripetuti avvertimenti diffusi dalla stessa Oms.
In particolare il grido d’allarme che essa ha lanciato
nel settembre del 2019, alla vigilia del primo attacco del coronavirus a Wuhan:
«Ci troviamo di fronte alla minaccia molto reale di una pandemia fulminante,
sommamente letale, provocata da un patogeno respiratorio che potrebbe uccidere
da 50 a 80 milioni di persone e liquidare quasi il 5 per cento dell’economia
mondiale. Una pandemia globale di queste proporzioni sarebbe una catastrofe e
scatenerebbe caos, instabilità e insicurezza generalizzati. Il mondo non è
preparato» (Gro Harlem-Brundtland y Elhadj As Sy, «Un Mundo en
peligro: informe anual sobre la preparación mundial para las emergencias
sanitarias»: il pdf qui).
Ovvero, questa pandemia è la catastrofe più prevedibile nella storia degli
Stati uniti. Molto più di Pearl Harbor, dell’assassinio di Kennedy o dell’11
settembre. Si sapeva… Lo sapevano… Il disastro poteva essere evitato.
Per affrontare il Covid-19, molti paesi stanno
utilizzando le nuove tecnologia della cyber-vigilanza. È la prima malattia
globale contro la quale si fa una lotta digitale. E questo provoca un dibattito
sul rischio per la privacy individuale. Non c’è dubbio che il controllo dei
telefoni mobili, benché per una buona causa, apre la via alla possibilità di un
controllo digitale di massa. Tanto più quanto le applicazioni che individuano
in ogni istante dove sei possono raccontare tutto allo Stato. E le
misure “eccezionali” che i poteri pubblici stanno adottando, potrebbero
restare nel futuro, soprattutto quelle relative alla cyber-vigilanza e al
bio-controllo. Lo Stato vuole accedere anche ai dispositivi medici dei
cittadini e a altre informazioni finora protette. I governi – inclusi i più
democratici – potranno trasformarsi nei Grandi Fratelli di oggi, non avendo
dubbi nel violare le loro proprie leggi per controllarci meglio (Ignacio
Ramonet, El Imperio de la Vigilancia, Clave intelectual, Madrid,
2016.). Anche Google, Facebook e Apple potrebbero approfittarne per farci
rinunciare a una parte dei nostri segreti. Dopo tutto, possono dirci, durante
la pandemia abbiamo accettato che altre libertà fossero ristrette.
Non vi è dubbio che la geolocalizzazione e il
controllo dei telefoni mobili, sommati all’uso dei algoritmi di previsione
hanno aiutato nel controllo dei contagi. Ma è anche certo che questo spreco di
tecnologie non è risultato sufficiente per combattere l’espansione del
Covid-19. Nemmeno in Corea del Sud, in Cina, A Taiwan, Hong Kong o Singapore.
Il relativo successo di questi paesi contro la pandemia si spiega soprattutto
con l’esperienza acquisita nella loro lunga lotta, tra il 2003 e il 2018,
contro la Sars e la Mers-Cov, le due precedenti epidemie anch’esse causate da
coronavirus.
Nessuna di queste piaghe è arrivata in Europa o negli
Usa. La qual cosa spiega anche, in parte, perché i governi europei e
statunitense abbiano reagito tardi e male. Contro questi due nuovi coronavirus,
in situazione di urgenza, e senza che nessuna potenza occidentale accorresse in
aiuto, le nazioni asiatiche non hanno perso tempo nella sperimentazione di
tecnologie digitali. Hanno messo mano a disposizioni di salute pubblica del
passato che gli epidemiologi conoscevano bene: la quarantena, l’isolamento
sociale, le zone ristrette, la chiusura delle frontiere, i blocchi stradali, la
distanza di sicurezza e la ricerca sui contatti di ciascun contagiato… Le
autorità si sono basate su una convinzione molto semplice: se per magia tutti
gli abitanti restassero immobili dove sono per quattordici giorni, a un metro e
mezzo di distanza tra loro, tutta la pandemia si fermerebbe all’istante.
La spettacolare supremazia tecnologica della quale
tanto ci vantavamo è servita a poco, al momento di contenere il primo impatto
della marea pandemica. Per applicare tre obiettivi urgentissimi – disinfettarci
le mani, confezionare mascherine e frenare l’avanzata del virus – l’umanità ha
dovuto ricorrere a prodotti e tecniche vecchi di secoli. Rispettivamente: il
sapone, scoperto dai romani prima della nostra era; la macchina per cucire,
inventata da Thomas Saint circa nel 1790; e, soprattutto, la scienza del
confinamento e dell’isolamento sociale, affinata in Europa contro le decine di
ondate di peste successive al quinto secolo…
Adesso si intravede la prospettiva di un disastro
economico senza paragoni. Non si era mai vista l’economia di tutto il pianeta
frenare di colpo.
I territori più colpiti sono Cina e Asia orientale,
Europa e Stati Uniti, ovvero il triangolo centrale dello sviluppo mondiale.
Milioni di imprese, grandi e piccole, si trovano in crisi, chiuse, sull’orlo
del fallimento. Diverse centinaia di milioni di lavoratori hanno perso il loro
lavoro, totalmente o parzialmente… Come in molte occasioni precedenti, i
salariati peggio remunerati e le piccole imprese pagheranno il prezzo più alto.
Cinquecento milioni di persone potrebbero essere
trascinate di nuovo nella povertà. Questa recessione supererà in
profondità e durata quella del 1929. La pandemia produce un rifiuto generale
dell’ipercapitalismo anarchico, che ha permesso oscene disuguaglianze, cioè che
l’1 per cento dei ricchi possedesse più del 99 per cento rimanente.
Le borse, con bassi e alti, sono affondate: «È un
autentico bagno di sangue!», ha gridato il broker di una impresa di gestione
dei patrimoni (The Wall Street Journal, 27 febbraio 2020). I prezzi del
petrolio sono caduti in abissi mai visti. Eccellente notizia per i paesi
importatori: Cina, Giappone, Germania, Spagna, Corea del Sud… Ma nefasta per
gli Stati esportatori più popolati: Russia, Nigeria, Messico, Venezuela… Per di
più, un petrolio così a basso prezzo può ritardare le necessaria transizione
ecologica perché aumenta il prezzo delle energie alternative.
L’economia mondiale si addentra in un territorio
ignoto. Nessuno ha un’idea precisa delle dimensioni del cataclisma. Si stima
che il Pil dei paesi sviluppati potrebbe cadere del 10 per cento… Uno choc
brutale. Febbrili, i governi dei paesi ricchi praticano una sorta di
“keynesismo di guerra”. Devono aiutare i salariati, i contadini, le famiglie e
le imprese, con lo scopo di evitare l’implosione del sistema. E anche per
impedire che il coronavirus causi più poveri che morti. E che questo provochi
una grande esplosione popolare. Il deficit sarà galattico. Nel caso del Regno
Unito, la Banca d’Inghilterra risolverà il problema fabbricando moneta… Quel
che non possono fare né l’Italia né la Spagna, gli stati che avranno più
bisogno di liquidità. E sono già super-indebitati… In queste due nazioni,
l’uscita dalla zona euro si porrà con forza. Perché la Germania ha negato la
possibilità di ottenere crediti senza alcuna condizione (i celebri
“coronabond”). Quando, in parte, i problemi dei sistemi sanitari in Italia e
Spagna sono la conseguenza diretta delle politiche di austerità imposte da
Berlino. Bisogna ricordare che il sud d’Europa, prima di essere l’epicentro
della attuale pandemia, è stato l’epicentro delle politiche più sadiche (Ignacio
Ramonet, Sadismo económico, Le Monde diplomatique en
español, luglio 2012) di austerità dopo la crisi finanziaria del 2008. Una
cosa ha portato all’altra. L’Europa, come unione di protezione reciproca, è
stata incapace di rispondere in maniera solidale al dramma umano e sociale che
si abbatte sul Vecchio Continente. La gente – in particolare i familiari e gli
amici dei defunti – non lo dimenticherà.
Il commercio internazionale si è ridotto al livello di
un secolo fa. I prezzi delle materie prime è precipitato. Non solo quello del
petrolio, ma anche il rame, il nichel, il cacao, l’olio di palma ecc. Per le
economie dei paesi esportatori del sud – dove vivono i due terzi degli abitanti
del pianeta – è una situazione di devastazione. Perché, al crollo delle
esportazioni, si sommano la fine degli introiti del turismo e la drastica
diminuzione delle rimesse degli emigranti. Ovvero, le tre principali risorse
dei paesi del sud cadono. Milioni di persone che negli ultimi decenni erano
riuscite a creare una classe media planetaria in formazione corrono ora il
pericolo di ricadere nella povertà.
In un contesto così oscuro, la cosa più prevedibile è
che, quando la pandemia passerà, vari Stati, resi più fragili, conoscano forti
terremoti sociali, e lì potrebbero esserci bagni di sangue. E d’altra parte, è
probabile che assisteremo a una disperata fuga di emigrazione selvaggia verso
il Nord, i cui paesi staranno lottando con le conseguenze della peggiore crisi
della loro storia. Inutile dire che i nuovi emigranti non saranno ben accolti…
La storia avverte che i disastri alimentano gli sciovinismi e i razzismi.
Per evitare simili scenari da incubo, si stanno
levando voci che reclamano l’adozione di vari provvedimenti d’urgenza. Tra
essi, la cancellazione del debito dei paesi del Sud.
Da quarant’anni, la globalizzazione neoliberista
stimola gli intercambi e sviluppa catene di rifornimento transnazionali. La
crisi sanitaria ha dimostrato che le linee logistiche di approvvigionamento
sono troppo lunghe e fragili. E che, in caso di emergenza, come adesso, i
fornitori remoti sono incapaci di rispondere all’urgenza.
Per via dell’estremismo ideologico neoliberista, il
mondo è andato troppo lontano nella delocalizzazione della produzione, nella
deindustrializzazione e nella dottrina dello “zero stock”. Ora, in una
situazione di vita o morte, molti popoli hanno scoperto, attoniti, che per
alcuni rifornimenti indispensabili – antibiotici, tamponi, mascherine, guanti,
respiratori ecc. – dipendiamo da fabbricanti localizzati agli antipodi. E che,
nei nostri paesi, si fabbrica assai poco. La “guerra delle mascherine” ha
creato una assai penosa impressione di impotenza. Cresce la percezione del
fatto che, con la mondializzazione, molti governi hanno rinunciato a dimensioni
fondamentali della sovranità, la nostra indipendenza e la nostra sicurezza.
In molte capitali si critica il principio di una
economia basata sulle importazioni. Diversi settori industriali saranno senza
dubbio rimpatriati, rilocalizzati. Ritorna anche l’idea di pianificare. Di
instaurare una qualche forma di socialismo. Ormai non scandalizza il ricorso a
qualche dose di protezionismo. Le pressioni anti-globalizzazione diventeranno
molto forti.
Dal 1979, la potenza che ha tratto più beneficio dalla
globalizzazione economica è la Cina. Trasformato in “fabbrica del mondo”,
questo paese è oggi la sola super-potenza in grado di fare da contrappeso,
sullo scacchiere mondiale, agli Stati Uniti. Insieme a Unione europea, Giappone
e Corea del Sud, Pechino continua ad essere uno dei maggiori difensori della
globalizzazione. Le autorità cinesi stimano che l’anti-mondializzazione non
risolverà nulla e che il protezionismo è un vicolo chiuso.
In ogni caso, l’iper-globalizzazione neoliberista
sembra gravemente ferita e non è inverosimile prevedere un suo indebolimento.
Perfino si discute la continuità, nella sua forma ultraliberista, dello stesso
capitalismo. E si evoca anche la necessità di una sorta di colossale Piano
Marshall mondiale. L’attuale tragedia deve spingere i popoli a reclamare un
nuovo ordine economico mondiale. La maggioranza dei governi ha fallito. Scossi
come mai in tempo di pace non hanno saputo essere all’altezza della sfida. Né
assumersi una delle loro competenze maggiori: proteggere le loro popolazioni.
Quando fosse sconfitto il coronavirus, alcuni responsabili dovranno
probabilmente renderne conto davanti a una giustizia somigliante almeno al
Tribunale Russell, se non al Tribunale di Norimberga.
Molti leader si sono concentrati nel dare risposte
locali, nazionali, gestendo la pandemia senza un vero coordinamento
internazionale. Le grandi potenze si sono mostrate incapaci di coordinarsi a
livello globale (che disastro, il Consiglio di sicurezza dell’Onu!) e
costituire un fronte comune planetario. Quando è ovvio che nessun paese, per
potente che sia, può vincere questa sfida con un impegno esclusivamente locale.
Nessuna voce – nemmeno quella del Segretario generale delle Nazioni unite
o quella dello stesso Papa – è riuscita a farsi sentire nel frastuono
generale della paura e del furore di questo inaudito scuotimento.
Se è certo che è in tempi difficili che nascono i
grandi leader storici, questa vicenda della pandemia si è caratterizzata per
l’assenza di grandi leadership alla testa delle principali potenze occidentali.
La violenta crisi ha messo particolarmente alla prova
la tempra di Donald Trump, che si è guadagnato, grazie alla sua gestione
delirante, il giudizio di «peggior presidente statunitense di tutti i tempi»
(Max Boot, The worst President. Ever, The Washington Post,
9 aprile 2020). Per lui e per un certo numero di altri il nuovo coronavirus ha
agito come una specie di Principio di Peter (o principio di incompetenza, per
cui a far carriera sono i peggiori, ndt), denudando le sue menzogne
e il suo strepitoso livello di incompetenza…
L’incubo che stiamo vivendo ha già cambiato le nostre
società. Perturbazioni di ogni tipo di stanno producendo in molti aspetti della
vita sociale… Decine di Stati – anche all’interno dell’Unione europea – hanno
chiuso sine die le loro frontiere o le hanno militarizzate.
Molti paesi e centinaia di città hanno decretato il coprifuoco per la prima
volta in tempo di pace. Milioni di persone hanno rinunciato alla loro libertà
di movimento.
La vita democratica è stata completamente sconvolta.
Decine di processi elettorali sono stati rinviati. Le forze armate più potenti
non sono sfuggite al contagio, stanno ritirando combattenti, facendo tornare
indietro navi e confessando la loro impotenza di fronte a questo strano nemico
invisibile. Le principali linee aeree hanno chiuso i loro voli. Le competizioni
sportive più importanti – inclusi i Giochi olimpici, la Champion’s League di
calcio, il Tour de France – sono state sospese e rinviate.
Metà dell’umanità cammina ora indossando una
mascherina di protezione, mentre l’altra metà desidera mettersela, ma non la
trova. Come sarà il pianeta quando la pandemia dovesse finire?
Il mondo avrà bisogno di voci che abbiano carisma e
forza simbolica e che indichino un cammino collettivo per iniziare una tappa nuova,
come accadde dopo la Seconda guerra mondiale. L’Onu dovrà essere
riformata.
Con il fallimento della leadership degli Stati uniti
si apre un pericoloso vuoto di potere. Il gioco dei troni si rilancia
pericolosamente. L’Unione europea è anch’essa uscita malconcia, a causa della
sua deludente mancanza di coesione. Cina e Russia hanno in cambio consolidato
il loro ruolo internazionale prestando aiuti – come ha fatto anche Cuba –
a molti paesi travolti dal collasso dei sistemi sanitari. Hanno aiutato anche
gli Stati uniti! L’influenza internazionale di Pechino è cresciuta.
La pandemia è lunga. È possibile che il virus,
mutando, si ritiri. Magari il prossimo inverno… Le cose non potranno continuare
com’erano.
Come dice uno dei meme che più hanno
circolato durante la quarantena: «Non vogliamo tornare alla normalità, perché
la normalità è il problema». La normalità ci ha procurato la pandemia. E la
maggior parte dell’umanità non desidera continuare a vivere in un mondo tanto
ingiusto, tango ineguale, tanto omicida dell’ambiente. Sapremo trarre un
vantaggio da questo terremoto globale per costruire finalmente un mondo
migliore?
(Traduzione
di Pierluigi Sullo)
L’articolo è tratto da “il manifesto” del 3 maggio
Grazie per aver postato questa disamina ineccepibile del prof. Ramonet.
RispondiEliminaè una delle cose più chiare e profiìonde scritte in questi mesi, mi sembra
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