martedì 12 maggio 2020

lettere di una professoressa e di un professore


LETTERA AI MIEI STUDENTI/ESSE - Daniela Pia
Carissimi ragazzi e ragazze
Questi due mesi e mezzo di didattica d'emergenza hanno cambiato il nostro modo di vivere la quotidianità: la scuola, luogo di incontro, scontro e confronto ha dovuto fare i conti con l'assenza.
Ci è stato sottratto il luogo in cui il dialogo educativo si svolgeva in presenza di voi, studenti/esse dei docenti e di tutto il personale scolastico; una sottrazione necessaria a tutela della salute di tutti ma tremenda per le implicazioni che ne sono derivate.
Già Isaac Asimov, nel 1951, in un racconto intitolato " chissà come si divertivano" aveva anticipato uno scenario in cui una scuola meccanizzata, una scuola in cui la tecnologia si prendeva il ruolo principale, lasciava due fanciulli alle prese con la loro solitudine : nell'anno 2157, Tommy e Margie, abituati ad usare solo il computer, ritrovano un libro il fatto costituisce un evento eccezionale. Per loro, infatti, un libro stampato è un oggetto antichissimo, sconosciuto e buffo che genera curiosità e perplessità, diventa però anche lo strumento che porta Margie a riflettere sulla sua scuola e a confrontarla con quella del passato e ne emerge il rimpianto di non poter avere il contatto con compagni e insegnanti.
Ebbene questa pandemia ha anticipato gli scenari, come vi siete sentiti me lo avete raccontato -almeno quelli di voi che hanno interagito in modo proficuo- perché diciamocelo sinceramente, tanti di voi sono scomparsi dal rapporto che abbiamo cercato di mantenere con quella che impropriamente viene chiamata DAD.
Alcuni ci stanno mettendo l'anima, altri lavorano ad intervalli e certi risultano non pervenuti. Questo mi addolora, lo sento come una sconfitta nostra, di tutti noi. Era il momento in cui assumersi la propria responsabilità era una scelta davvero indispensabile, non tanto per il voto ma per cercare di investire nella formazione, mettere cioè i mattoni per la costruzione del vostro/nostro essere futuro.
Ho letto lavori belli e toccanti che mi hanno dato speranza, ma anche quelli che non ho letto mi hanno raccontato molto, comunque: mi hanno raccontato che bisogna trovare la forza dentro di noi per cercare di fronteggiare l'emergenza senza farsi furbi, sperando in una sanatoria che promuoverà tutti/e.
Se il prossimo anno ci chiederà conto delle competenze che siamo stati in grado di costruire saremo anche chiamati ad aprire gli occhi per guardare in modo diverso a quello che sarà e questo non sarà possibile se abbiamo dedicato il nostro tempo al materasso o ai video games. Più dipendiamo dalla tecnologia più siamo fragili, esseri vulnerabili che hanno bisogno di strumenti critici per interpretare la realtà che stiamo vivendo. Ce lo siamo detti tante volte che uno degli obiettivi principali della scuola è formare cittadini consapevoli, sappiamo bene che è un obiettivo raggiungibile soltanto attraverso un paziente e capillare lavoro che continui in modo coerente anche in questa fase.
La DAD fa quel che può, i protagonisti però dovete essere voi con tutte le vostre forze con tutta vostra intelligenza, non siate indifferenti; Antonio Gramsci in " odio gli indifferenti" nella lettera del novembre 1917 intitolata "Occorre cambiare noi stessi" diceva: <Scontiamo la nostra leggerezza di ieri, la nostra superficialità di ieri. Disabituati al pensiero, contenti della vita giorno per giorno ci troviamo oggi disarmati contro la bufera, avevamo meccanizzato la vita, avevamo meccanizzato noi stessi[---] rifuggivamo dagli sforzi! ci sembrava inutile porre delle ipotesi lontane e risolverle! sia pure provvisoriamente [---] e non vedevamo che l'avvenire sprofonda le sue radici nel presente e nel passato».
Ecco siate consapevoli di questo carissimi ragazzi e ragazze queste parole, che sono distanti quasi un secolo, sono oggi estremamente attuali per iniziare a riflettere su cosa vogliamo essere.
Ho sentito il bisogno di scrivervi perché mi mancate tanto, mi mancano le domande, la vostra presenza allegra o problematica, mi mancate tanto nel vostro essere umani, nel vostro cammino di costruzione del sé e dei se.
Spero di potervi abbracciare presto e di leggere prestissimo i vostri lavori.
Vi voglio bene.



Lettera di un prof ai suoi studenti - Nicola Limonta

Ragazze e ragazzi,
come state? Questa domanda, che spesso in classe tralasciamo, troppo presi dalle scadenze e dalle tempistiche di lezioni, verifiche e interrogazioni, oggi mi sembra una forma di cura nei vostri e nei miei confronti.
Vi scrivo dopo numerosi giorni chiuso in casa, a parte qualche uscita per fare la spesa. Non so più quanti giorni siano passati.
Ci siamo salutati un sabato, presi dalla nostra quotidianità, convinti di rivederci il lunedì.
Invece tutto è cambiato, di colpo, come un fulmine a ciel sereno.
E’ come se quella domenica 23 febbraio, in cui tutto per noi è iniziato, avesse stabilito un prima e un dopo: nelle nostre abitudini, in come ci relazioniamo, in ciò di cui parliamo e nel modo in cui parliamo. Uno spartiacque delle nostre certezze e delle nostre paure.
Penso che valga per tutti noi.
Anche se è vero che non tutto è cambiato immediatamente. Ci è voluto tempo, forse troppo, per evitare uscite inutili. All’inizio non abbiamo compreso fino in fondo. Io per primo, nella settimana precedente, ho sottovalutatato a potenza di questo virus, non ne avevo capito la gravità.
Abbiamo visto tanti mettere davanti gli interessi personali a quelli della collettività: chi per una corsa, chi per rientrare nei paesi d’origine percorrendo l’Italia intera, chi – ancora più colpevole e ancora oggi – difende i profitti senza tutelare la salute dei propri lavoratori e quella pubblica.
Alla fine siamo arrivati alla condizione di oggi: chiusi in casa, le relazioni ridotte a zero, guardiamo fuori dalla finestra perché il futuro ci appare un po’ diverso da come lo pensavamo solo un mese fa.
I pensieri e le menti, le vostre ma, in tutta onestà anche la mia, ora sono occupati per la maggior parte del tempo dalla preoccupazione per quello che sta accadendo, dall’ignoto che ci è davanti, da quando torneremo a scuola o come concluderemo l’anno scolastico, come sarà la maturità, cosa potremo fare questa estate. E questo è uno shock, perché da un giorno all’altro cambia la quotidianità e la nostra capacità di immaginarsi nel futuro.
Non vedervi in questi giorni per me non è semplice. Lo capite da quanto tempo occupa questo discorso nelle mie lezioni online (e chi l’avrebbe mai detto che ci saremmo visti per mesi online).
Credo che in questa situazione non ci sia qualcuno che ha capito tutto, le cattedre dalle quali spesso noi insegnanti ci innalziamo, distanziandoci da voi, sono state distrutte.
È un’occasione da saper utilizzare, valorizzando questo desiderio di confrontarci che le contingenze fannno irrompere: un desoderio che vedo nei vostri sguardi dallo schermo, leggo nelle vostre parole sulle chat e si rispecchia, identico, nel mio sentire.
Le disequazioni e le parabole possono passare in secondo piano, le ritroveremo lì ad aspettarci fra i banchi di scuola.
Ragionare insieme serve a contaminarsi nel sapere, avere spirito critico su ciò che accade attorno a noi, ci aiuta ad avere meno paura per quello che abbiamo davanti. Probabilmente questa pandemia cambierà il mondo in molti aspetti, non so se in meglio o in peggio. E non so neanche se andrà tutto bene, non riesco a dirvelo.
Non riesco nemmeno a cantare dai balconi, perché in molte città, tra cui la mia, Bergamo, si soffre. Davanti a tutte queste incertezze che condivido con voi, posso promettervi che proveremo ad attraversare questo deserto insieme, ad affrontare insieme uno degli  esame di maturità più difficili che la storia ci mette di fronte, a guardare negli occhi ciò che non ci sta bene e a cambiarlo, se necessario.
Ci daremo una mano, perché questo ve lo devo. Non perché io sia un saggio, ma perché, come diceva sempre un amico che mi ha insegnato a guardare negli occhi le ingiustizie e le storture del mondo: “siamo vecchi arnesi, dobbiamo lasciar il meglio di noi a chi viene dopo”.
Che mondo volete domani? Come lo sognate?
Cosa significa anteporre la comunità all’io?
Immaginiamo un mondo ancora iper accelerato o vogliamo sentire un battito diverso del tempo?
Di questo voglio parlare con voi. Questo vi devo, perché così ne usciremo uomini e donne migliori.
Avanti!


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