1. Alcune premesse
metodologiche
Molti
contributi, analisi e proposte, attorno alla pandemia e alla crisi in atto si
sono prodotti nel mondo. Il pensiero nella
sinistra mondiale è stato ed è ricco, fecondo di proposte. Ha delineato
scenari, prospettive e alternative. La presente svolta storica avrà conseguenze di enorme portata.
La dialettica
è materia scolastica, filosofica propriamente. L’attuale preoccupante passaggio
storico mostra in modo perfetto cos’è questa cosa. Così ostica per l’intelletto
comune, per il normale pensiero della vita quotidiana.
La
deforestazione, la manomissione e la manipolazione di ecosistemi delicati e gli
enormi allevamenti intensivi di animali per l’alimentazione umana (suini,
polli, bovini ecc.) sono all’origine del sorgere e del mutare di virus patogeni
nuovi per gli esseri umani. Come è avvenuto nel recente passato per lo Hiv,
Ebola, l’influenza suina, l’influenza aviaria, la Sars e la Mers. La recente
pandemia Covid-19 da Sars-CoV-2 rientra in questa fenomenologia.
Fenomeni
della ecopredazione ai fini dell’accumulazione e del profitto sfociano
processualmente in un fenomeno sanitario esplosivo. La pandemia non è destino
cinico e baro. Era annunciata. È il risultato della logica perversa del
sistema.
La
sua enorme diffusione su scala mondiale, la mortalità indotta, l’enorme impatto
sui vari sistemi sanitari, esistenti o non esistenti, come in molte aree del
Sud del mondo, le gravi conseguenze economiche e sociali in corso, la messa in
discussione degli assetti democratici e politici e della convivenza umana
costituiscono un fenomeno inedito rispetto alle precedenti crisi sanitarie e
alle precedenti crisi economiche.
Dimostrano
in modo inequivocabile come oggi, nella nuova globalizzazione-mondializzazione
in atto, siano ancor più vertiginose l’interazione, l’interdipendenza, i
reciproci influssi dei vari momenti dell’intero storico-sociale, del
sistema-mondo capitalistico, come insieme multidimensionale e multifattoriale.
L’economico, il politico, il
sociale, il culturale, l’antropologico, l’etico, il religioso-spirituale ecc. interagiscono localmente
e nel
rapporto Nord-Sud del mondo. Ma interagiscono con
l’altro fattore fondamentale, il fondamento di tutto, tenuto spesso
colpevolmente fuori dalla considerazione. È la costituzione materiale del
pianeta. La natura e l’ambiente.
David Harvey parlava di
violenta “compressione spazio-temporale” del pianeta con il dispiegarsi del
capitalismo. La vertiginosa integrazione e interazione delle aree del pianeta,
l’accelerazione vertiginosa di tutte le transazioni umane ed economiche hanno
compresso tempo e spazio dell’esperienza umana. Il capitalismo ha messo la
febbre al pianeta, agli ecosistemi e agli esseri umani che lo abitano. Oggi su
scala sempre più impressionante.
Il capitalismo è “smisurato”
proprio perché non si pone limiti, nell’accumulazione, nella produzione, nella
valorizzazione come fine in sé. I limiti debbono essere posti o si impongono in
modo “naturale” (il limite fisico-materiale del pianeta) o in modo
“artificiale”, per mezzo del limite posto dai gruppi umani che a questo stato
di cose si oppongono.
Oggi più che mai si palesano i nefasti effetti del
neoliberismo e della retorica del mercato autoregolatore, della retorica del
“privato”, sempre contrapposto al “pubblico” e al ruolo dello Stato, della retorica dello
“individuo”, sempre contrapposto al “collettivo”, alla “comunità”, al sociale.
Il
Covid-19 ha svolto e svolge la funzione di catalizzatore-rivelatore del
sistema-mondo contemporaneo.
Ha
svelato impietosamente il malsviluppo, la diseguaglianza, le discriminazioni
sociali, di classe, di razza, di genere, il rapporto di predazione nei
confronti della natura, il prometeismo insito nella concezione della natura
come fondo da cui attingere smisuratamente, illimitatamente.
Ha
svelato i nefasti effetti, ma anche la bancarotta totale del neoliberismo, del
privato, dell’individuo, del narcisismo consumistico nel Nord del mondo. Solo
che questo, che è nella realtà, e che è nella coscienza delle forze antisistema
o semplicemente nella testa di chi in questa società possiede un minimo di
spirito critico, per farlo valere nella coscienza diffusa della società e della
storia, abbisogna del movimento reale, del conflitto, della lotta. Non è
autoevidente. Le classi dominanti, i dominanti, chi ha potere continuerebbero
tranquillamente come per l’innanzi, se non ci fossero i senzapotere a imporre
loro l’evidenza dello stato del mondo e della necessità che occorre cambiare.
Che così non va.
Sono ormai 40 anni di
dominio del capitalismo neoliberista, a partire dal 1980, i “quaranta gloriosi”
per i dominanti, per le oligarchie finanziarie e industriali, per le
multinazionali, per la redistribuzione della ricchezza all’inverso, dal basso
verso l’alto, dopo i “trenta gloriosi”, 1945-1975 circa, del “compromesso
socialdemocratico”, grazie alla vittoria sul nazifascismo. Il quale, tra alterne
vicende, ha garantito stato sociale, welfare e democrazia in Europa e decolonizzazione
ed emancipazione nel Sud del mondo.
L’attuale
stato delle cose dimostra come si sia in presenza di una svolta storica e che
occorra un ripensamento globale del sistema-mondo nel suo svolgersi e nel suo
modello di sviluppo.
Ricordiamo
la triade. Capitalismo, colonialismo-imperialismo, patriarcato. Ricordiamo che
il capitalismo è processo organico, che tutto ingloba, che tutto metabolizza.
Polarizzante, gerarchizzante, asimmetrico. Che ha orrore del vuoto.
Abbiamo
sempre detto che nel capitalismo “tutto si tiene”. Così è nel compito
dell’analisi e nella presa di coscienza e così dovrà essere nelle proposte,
nelle alternative che riteniamo necessarie. Come movimenti antisistemici e come
eredi della tradizione delle ragioni storiche del movimento operaio, socialista
e comunista, del movimento ambientalista, del movimento delle donne, del
movimento contadino, delle classi e dei soggetti subalterni in generale.
In
tutto ciò risaltano le ragioni dei Forum Sociali Mondiali e del coevo movimento
altermondialista tra fine Novecento e inizi del nuovo millennio. Oltre la
retorica e la metafisica che spesso hanno accompagnato questi importanti
fenomeni del nostro tempo, purtroppo oggi in crisi, nella parabola discendente
dopo una esaltante prima fase di sviluppo.
In
questa premessa metodologica è il luogo per richiamare studiosi e attivisti,
molto presenti nei Fsm e nel movimento altermondialista. Essi ci hanno aiutato
a comprendere il mondo e a ispirarci nel movimento reale per cambiare le cose.
Due sono viventi, e hanno scritto cose importanti sull’attuale pandemia, il
sociologo portoghese Boaventura de Sousa Santos, la scrittrice e attivista
indiana Arundhati Roy. Gli altri recentemente scomparsi. Samir Amin, François
Houtart, Immanuel Wallerstein, Eduardo Galeano, José Saramago. Altri e altre,
come David Harvey, Vandana Shiva e Leonardo Boff, si possono naturalmente
aggiungere a queste figure.
Infine
una menzione particolare. Si tratta di Gaël Giraud, gesuita francese, valente
economista, autore di uno scritto importante sulla pandemia e sulle alternative
necessarie per l’uscita dalla crisi.
2. La crisi e le crisi
La crisi
attuale, con le sue peculiarità, si può considerare come uno stadio particolare nella lunga
crisi iniziata nel 2007-2008. Crisi economica in primo luogo, ma è in realtà
una crisi sistemica, una crisi complessiva. La Teologia della Liberazione parla
da molto tempo di “crisi di civiltà”.
È
al contempo crisi economica, con in gioco la giustizia sociale, e crisi
ecologica, con in gioco la giustizia climatica, come manifestazione più ampia
della crisi ecologica, coinvolgendo popoli, classi, soggetti delle periferie
del mondo alle prese con gli effetti nefasti del riscaldamento globale, causato
soprattutto dalle emissioni di gas serra nei centri capitalistici. È anche
crisi culturale, con il disorientamento e la perdita di valori di riferimento
nella cosiddetta “fine delle ideologie”. In realtà con l’imperio dell’ideologia
e della filosofia complessiva del capitalismo maturo. Con i valori dominanti
del consumo, dell’individualismo, della competizione ecc.
Nella
storia del capitalismo le crisi hanno svolto il ruolo di impulso alla trasformazione
e a cambiamenti profondi nella sua logica di funzionamento. Nella accezione
medica, greca, del termine, punto di svolta di un organismo malato. Si parla di
transizione intrasistemica, perché sempre di sistema capitalistico si tratta.
Ma le precedenti crisi, soprattutto la “grande depressione” del 1873-1896 e il
“grande crollo” del 1929, non comportavano una transizione ecologica, una
trasformazione nel paradigma ambientale. Il tutto si risolveva, come esito, in
nuova organizzazione nella produzione, in nuove tecnologie e macchine e nuovo
paradigma energetico, nei nuovi assetti proprietari, in nuova regolazione
sociale ecc.
Oggi
la possibile riorganizzazione del sistema comporta una profonda, decisiva
mutazione nella logica di sviluppo, nel prendere in seria considerazione una
trasformazione nel rapporto uomo-natura, nel rapporto produzione-ambiente.
La
crisi globale contemporanea è proprio crisi globale, sistemica, non solo
spazialmente. Ma proprio come crisi che investe tutte le dimensioni, tutti i
fattori di cui sopra.
Anche
qui il Covid-19 svolge il ruolo di rivelatore-messa a nudo di questo complesso
problematico.
La possibile uscita dalla
crisi non è univoca. Una biforcazione si palesa, come sempre. Una uscita
autoritaria, di destra, nel segno del malsviluppo, o una uscita con maggiore
democrazia, sviluppo riproducibile ed equilibrato, un nuovo “compromesso
socialdemocratico”, non solo nel Nord del mondo, ma anche per i popoli delle
periferie. Il Green New Deal o il più radicale ecosocialismo, di cui trattiamo
nella parte dedicata alle alternative, rientrano in questa possibilità.
3. La pandemia
Molti
scienziati concordano nel considerare l’attuale pandemia come una prima
manifestazione di epidemie globali ricorrenti a misura della vertiginosa
interdipendenza nella realtà contemporanea. La famosa peste del 1347-1348 in
Europa impiegò vari anni, almeno dal 1343, per diffondersi dal luogo di origine
nell’Asia centrale mongolica.
La cosiddetta influenza
“spagnola” del 1918-1920, fu la vera prima pandemia. Fu micidiale negli
effetti. 500 milioni contagiati e circa 50 milioni di morti. E anche per venire
a noi, e per richiamare il multidimensionale e il multifattoriale di cui sopra,
fu l’evidente dimostrazione che il virus, forse partito da un allevamento di
bestiame del Kansas, ebbe facilissimo terreno di propagazione nei corpi
debilitati, stressati, malnutriti della prima guerra mondiale ancora in corso e
nei corpi di soldati sfibrati e accalcati nelle trincee. Il virus da solo,
anche l’attuale Coronavirus, non basta. Altre cause concorrono.
Oggi
tutto è in divenire e gli studi seri, non quelli interessati delle lobby
farmaceutiche, della sanità privata ecc., sono in corso. Ma intorno al mondo,
molti ricercatori e molte ricercatrici individuano alcune concause. In primo
luogo, l’inquinamento atmosferico. A causa del particolato fine, le particelle
PM 2,5 e PM 10, e del biossido di azoto. In secondo luogo il pervasivo, molto
sottaciuto per evidenti interessi di potenti lobby, inquinamento
elettromagnetico (il cosiddetto elettrosmog). Molti studi rilevano la enorme
diffusione dell’epidemia in luoghi del mondo molto inquinati. La Pianura Padana
è una di queste aree.
Il
discorso della cattiva alimentazione, delle condizioni di vita di molti strati
sociali, si farà alla fine di questo contributo. Ma la concausa delle
deficienze del sistema immunitario è da tenere in molta considerazione.
4. I sistemi sanitari. In particolare il sistema sanitario italiano
L’epidemia
ha messo a nudo lo stato del mondo dal lato di esistenza o meno di sistemi
sanitari efficienti, adeguati alla bisogna. In Occidente le politiche neoliberiste
di fine dello stato sociale e di tagli alla spesa pubblica, in primo luogo
sanità e istruzione, hanno reso molte sanità pubbliche non all’altezza della
situazione.
Nel
Sud del mondo, a causa del debito, le politiche imposte dalle agenzie del
neoliberismo mondiale, in primo luogo Fondo Monetario Internazionale e Banca
Mondiale, complici le oligarchie compradore locali,
hanno tagliato servizi essenziali minimi e a povertà si è aggiunta altra
povertà. In questo Sud del mondo, la sanità di Cuba è per i dominanti mondiali
uno scandalo e un cattivissimo esempio e non se ne deve parlare. E i media mainstream ligiamente
eseguono.
Il caso dell’Italia è
emblematico. Come è noto, il sistema sanitario nazionale (Ssn), universale e
gratuito, nasce nel dicembre 1978, ministra Tina Anselmi, sul modello del
National Health Service inglese del secondo dopoguerra. La riforma fu avviata
nel 1980, ministro Aniasi. Anselmi e Aniasi, entrambi belle figure della
Resistenza italiana. I loro partiti, Dc e Psi, furono in seguito molto attivi
nello scempio di questo strumento di civiltà e di progresso.
Nelle intenzioni c’era la
fondamentale premessa della “prevenzione” (meglio prevenire che curare,
elementare verità) e della medicina territoriale, con la figura centrale del
medico di base. Tutto progressivamente vanificato nei decenni successivi. Sotto
l’azione delle potenti lobby farmaceutiche e mediche. Meglio curare e
ospedalizzare, e quindi lucrare, che prevenire.
Il Ssn si articolava in 695 Usl
(Unità Sanitarie Locali). La cattivissima e corrotta amministrazione statale e
pubblica, alla mercé dei partiti politici di governo, male storico italiano,
almeno dall’Unità in avanti, lottizzò immediatamente queste strutture.
Giustamente concepite in origine per conciliare centralismo e bisogni delle
comunità locali. Si procedette ad assunzioni clientelari, dai presidenti allo
sproporzionato numero di dirigenti, al personale sanitario, agli
amministrativi, all’usciere. Il classico voto di scambio, tipicamente italiano,
bacino enorme di consenso elettorale. La parte del leone la fece la Dc,
lasciando qualcosa nella spartizione al Psi, e poi scalando a Psdi, Pri ecc.
La spesa di dette unità si
risolse inevitabilmente in sprechi scandalosi diffusi. Come avveniva in molta
parte dell’amministrazione pubblica. Ma qui, nella sanità, la torta era ed è
maggiore, rispetto ad altri settori.
Nel 1992 le Usl diventano Asl
(Aziende, e l’aziendalizzazione per ottemperare al dogma neoliberista del
“modello impresa”, in seguito colpevolmente esteso anche alla scuola e alla
università). Con il governo di centrosinistra di Giuliano Amato, sempre nel
1992, oltre alle pensioni, si procede ai primi tagli alla spesa sanitaria.
Tagli proseguiti, con governi di destra e di sinistra, fino a oggi.
Nel 1993, Duilio Poggiolini,
l’allora direttore generale della sezione farmaceutica del Ssn, che decideva
sui farmaci ammessi o meno nei prontuari, sui prezzi ecc., venne indagato per
corruzione. Il suo patrimonio ammontava a decine di miliardi di lire, con conti
correnti all’estero e con lingotti d’oro e oggetti di lusso nascosti in vari
luoghi della sua casa.
Con l’altro scandalo, sempre
del 1993, di tangenti al ministro della sanità Francesco De Lorenzo, tutto ciò
costituì il facile terreno per una ulteriore, gigantesca offensiva a favore
della privatizzazione dei servizi pubblici. Lobby e stampa interessati e il
favore popolare a causa del cattivissimo “pubblico”, così corrotto e
inefficiente. Naturalmente la spesa è pubblica, la sanità viene spartita tra
strutture pubbliche e strutture private convenzionate, pagate dalla spesa
sanitaria pubblica.
La prevenzione cancellata, la
medicina del lavoro e la medicina territoriale quasi inesistenti, i medici di
base ridotti a meri burocrati della compilazione di ricette e di prescrizioni,
con le lodevoli eccezioni di medici di base attivi nel loro compito di primo
livello della prevenzione e della cura.
Il risultato dei tagli è 72.000
posti-letto in meno, medici, infermieri, ausiliari in continua diminuzione,
cancellazione di molte strutture locali di primo soccorso e cura. Il risultato
è quello impietosamente esibito nella pandemia.
Lo “spagnolismo” e la retorica
barocca italiana e italiota in azione. “Eroi”, applausi, cartelli ecc. Meglio
sicuramente di due dita negli occhi. Ma giustamente le infermiere e gli
infermieri, i medici, gli ausiliari, le lavoratrici e i lavoratori, ricordano
che hanno fatto e fanno semplicemente il loro lavoro e che piuttosto occorre
più personale sanitario, meglio retribuito. Che occorre una riconsiderazione
complessiva. Prevenzione, medicina di base, medicina del lavoro, medicina
sociale, medicina pubblica e il privato molto ridimensionato.
5. Le conseguenze. Il Sud della pandemia
Gli effetti economici sono
drammatici. Su scala mondiale e nelle singole economie nazionali. Alcuni punti,
solo come esempi.
1. Il lavoro è la prima
vittima. Sicuramente il lavoro dipendente del settore formale. Ma soprattutto
il lavoro del vasto settore informale, il lavoro nero, il lavoro precario, in
tutte le sue forme. Poche e inaffidabili sono le statistiche.
Qui in Italia. Ma pensiamo ad
altre aree del mondo. Un solo esempio. In India circa il 70% della manodopera è
lavoro informale. Ma anche qui le statistiche sono poco affidabili.
2. L’impoverimento colpisce
soprattutto le classi subalterne. Ma anche tra i subalterni esiste “il Sud
della pandemia”. Migranti, rifugiati, donne, anziani, handicappati, senzatetto
ecc. La discriminazione è sempre di classe, razziale, di genere.
Negli Usa, a fronte di alcuni
miliardari, in dollari, che in queste settimane si sono ulteriormente
arricchiti, quasi 40 milioni di persone hanno perso il lavoro. E gli
afroamericani e i migranti sono i primi a cadere. Così come sono la maggioranza
i neri a essere colpiti dall’epidemia. In sovrammercato, con il cibo spazzatura
a buon mercato, l’obesità, il diabete, le malattie cardiovascolari ecc.,
terreno privilegiato per le infiammazioni e quindi per l’infezione da Covid-19.
Ricordiamo sempre che 27 milioni
di statunitensi non hanno alcuna assicurazione medica. A questi occorre
aggiungere 11 milioni di migranti non assicurati. Tutti non hanno alcuna
possibilità di avere cure mediche.
3. La vicenda delle case di
cura per anziani in Italia è un altro Sud terribile e criminale. Il retroterra
da darwinismo sociale e da considerazione della popolazione “sacrificabile”,
“inutile”, è perfettamente in linea con la filosofia complessiva del
neoliberismo.
4. La distanza fisica tra le
persone, detta distanziamento sociale, è stata una delle prime misure imposte.
Ma questo, qualora fosse veramente rispettato, è possibile solo in Occidente.
Con l’eccezione dei luoghi dove sono ammassati i migranti, braccianti agricoli
senza diritti e senza protezione. Come avviene in Italia, da Nord a Sud, alla
mercé del caporalato e delle tante mafie. Caporalato e mafie impunite perché
così è in Italia, malgrado i tanti proclami delle istituzioni che quelle
vergogne dovrebbero debellare.
Nel
mondo, nel Sud del pianeta, circa il 25% delle persone vive nei cosiddetti
“quartieri informali”, soprattutto periferie delle grandi città. Con molta
parte vivente in slums, favelas, bidonvilles ecc. Un solo esempio. A Mathare,
sobborgo di Nairobi, la densità è di 68.941 abitanti per km2. Solo come riferimento,
la densità a Milano e provincia è di 2.063 per km2.
5. Acqua e sapone per lavare le
mani, come prima misura preventiva per evitare il contagio. Nel campo profughi
a Moria, nell’isola di Lesbo, fatto per ospitare 3.000 persone, ci vivono circa
13.000 persone. Un rubinetto d’acqua serve circa 1.300 persone e non c’è sapone.
6.
Il cosiddetto lockdown, la chiusura di luoghi pubblici, di esercizi commerciali e di
fabbriche, non ha fermato totalmente il lavoro, pubblico e privato. Alcuni
settori hanno usufruito del cosiddetto smart working. La possibilità per una parte del lavoro, soprattutto impiegatizio,
manageriale e professionistico, di compiere il lavoro da casa, attraverso rete
e computer.
La retorica anche qui in
azione. Presentata come la soluzione, in realtà ne usufruisce solo un esiguo
strato di classe media mondiale.
6. Conseguenze politiche e sociali. Stato d’eccezione
Le restrizioni del movimento,
dell’agibilità sociale, politica e culturale, la regolamentazione nella vita,
anche privata, dei cittadini, rientrano tra le misure imposte per evitare il
contagio. Tuttavia molti paventano il pericolo del controllo sociale e dello
stato d’eccezione che può convertirsi rapidamente in stato permanente.
Il pericolo è il restringimento
della democrazia e dei diritti. È l’occasione non solo di cancellare ciò che è
rimasto dello stato sociale, malgrado il ricorso massiccio all’intervento dello
Stato nella bancarotta evidente del “privato” e del neoliberismo nella
fattispecie, ma anche di imporre misure autoritarie.
Paolo Bonomi, attuale
presidente eletto della Confindustria italiana, ha subito detto che gli
italiani debbono preparasi a nuovi sacrifici e a nuovi doveri. Questo è già
avvenuto e avviene nella realtà effettuale e non occorre il supplemento retorico
della Confindustria per ricordarlo. Tradotto. Sacrifici e doveri ulteriori per
lavoratrici e lavoratori (pensioni, salari, diritti, condizioni di lavoro ecc.).
La questione non riguarda solo
la pandemia. La crisi generale del sistema, a partire dalla severa crisi
economica, con al centro la sua riproducibilità, dal lato della giustizia
sociale e della giustizia ambientale, con la soverchiante e ultimativa
questione del cambiamento climatico, pone anche la possibilità di un’altra
svolta. Auspicabile per le classi subalterne e per i soggetti sociali
maggiormente colpiti su scala planetaria.
Le alternative sono possibili e
praticabili e questo è fattore di civiltà di contro alla barbarie possibile del
caos generalizzato, negli ecosistemi e negli assetti sociali e politici.
7. Le alternative
Il campo delle alternative è
molto vasto. Molte si sono delineate nella lunga esperienza dei movimenti
antisistemici novecenteschi e nell’esperienza dei Forum Sociali Mondiali. In
questo passaggio altre debbono essere considerate a misura della peculiarità
della crisi attuale. La ricerca è in corso e qui si indicano solo alcune.
Evidentemente esistono varie
opzioni. Un tempo si diceva “programma massimo” e “programma minimo”. Tra “One
solution, Revolution!” e modeste proposte riformistiche, tuttavia importanti
negli effetti, esiste una vasta gamma di possibilità di azione per chi vuole
essere protagonista di un cambiamento. Anche solo per garantire dignità umana
alle vittime del sistema e per garantire dignità alla natura e agli ecosistemi
in cui gli umani si trovano a vivere.
1. In primo luogo. Una premessa
metodologica. Un conto è l’intervento umano nell’autonomo corso dei processi
naturali. Come l’agricoltura e l’allevamento (la cosiddetta rivoluzione
neolitica) all’origine dello sviluppo della civiltà. Nella quale, solo per
esempio, gli umani interagirono assiduamente con gli animali selvatici per
addomesticarne alcuni. E da qui il passaggio di molti agenti patogeni da
animali selvatici ad animali domestici e infine all’uomo. Agenti patogeni di
Tbc e vaiolo, passati attraverso i bovini, sono gli esempi storici classici.
Ma la febbrile manomissione dei
delicati equilibri degli ecosistemi, almeno dal Novecento in avanti, è foriera
di sempre più gravi epidemie. Ricordando che molti virus, come il presente
Coronavirus, mutano velocemente. E l’inseguimento con vaccini e con medicine
appropriate per curare le malattie si rivela una corsa senza fine.
Veramente. La figura che si
impone è quella dell’apprendista stregone che non è più in grado di dominare
gli spiriti che ha evocato. In questo contesto, come nel contesto più vasto
della scommessa faustiana del capitalismo smisurato e illimitato.
Prevenire è meglio che curare.
2. La biodiversità è garanzia
di sopravvivenza per tutte le forme di vita, compresa quella umana, nel
pianeta. Ogni giorno circa 200 specie del vivente vegetale e animale sono
costantemente minacciate di estinzione. Tra queste specie, le api, vero baricentro
vitale nel pianeta.
3. Nella transizione ecologica
e sociale, in campo ci sono le proposte praticabili del “Green New Deal”,
avanzate nel febbraio 2019 dai candidati democratici statunitensi Bernie
Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez. Il fine è quello di affrontare al contempo
il cambiamento climatico e le sue conseguenze e l’ineguaglianza economica e il
disagio sociale.
L’altra
proposta, più radicale, viene dalle riflessioni dell’ecosocialismo. Un filone
molto importante in cui sono impegnati molti marxisti da Michael Löwy a John Bellamy Foster,
direttore della rivista Usa Monthly Review.
4.
La piccola agricoltura contadina
di sussistenza sostiene e sfama più di metà della popolazione mondiale.
L’agrobusiness della agricoltura altamente meccanizzata e altamente tossica,
per lo smisurato uso di prodotti chimici, impoverente campi e qualità dei
prodotti agricoli, è comunque dominante. I contadini intorno al mondo non hanno
il potere di influenzare i governi come le potenti lobby della agricoltura
industriale, della chimica (Monsanto-Bayer e il glisofato sono gli emblemi
sinistri di questa agricoltura), della distribuzione e commercializzazione dei
alimenti ecc.
Nella transizione ecologica su
scala planetaria questa visione dell’agricoltura deve essere fermamente tenuta
in considerazione.
Nei Forum Sociali Mondiali i
movimenti contadini costituivano la maggioranza dei movimenti sociali su scala
mondiale.
5.
Gaël Giraud, nel suo importante contributo, ha ripreso la
questione dei “beni comuni”. Giustamente egli dice che il tema dei beni comuni
può rappresentare un salutare tertium tra Stato e mercato. E adesso è l’occasione, proprio a misura
della bancarotta del mercato e del neoliberismo, di porre all’ordine del giorno
la questione.
La questione dei beni comuni è
stata centrale nella rivendicazione del movimento altermondialista. Acqua,
terra, sementi, energia, saperi ancestrali delle comunità e delle culture
umane, istruzione, scuola ecc. Contro la privatizzazione, contro brevetti e
proprietà intellettuale indebiti, contro la mercificazione generalizzata ecc.
6. I beni comuni pongono
immediatamente la questione del controllo democratico di questi beni e quindi
quale sistema politico e istituzionale costruire. “Stato” può anche significare
istituzioni democratiche che le comunità locali si danno per soddisfare i
propri bisogni. Sempre nel contesto più vasto, e in sintonia, con le istanze
statali.
La democrazia liberale
rappresentativa che conosciamo non basta più. Esposta al logoramento e alla
manipolazione continua dei dominanti, in Italia per mezzo del clientelismo, del
voto di scambio, della corruzione ecc.
È una delle fonti del distacco,
della crescente separatezza tra élite e popolo, tra governanti e governati, tra
classi dirigenti e gli strati sociali (i cittadini e le cittadine). L’abitudine
alla delega e alla correlata passivizzazione, molto presenti in Italia, dovrebbe
essere contrastata dall’abitudine al protagonismo, alla partecipazione diretta,
all’acquisizione di capacità culturali e politiche per diventare fattori attivi
nella società civile e nell’arena politica.
Il cammino intrapreso dal
movimento altermondialista è stata quella della “democrazia partecipativa”. A
mezzo tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta. È l’occasione per
riprendere questo cammino.
7. Il “lavoro” è un’astrazione.
È importante per designare un grande mondo fatto di donne e uomini che si
impegnano, faticano, costruiscono società, cultura, politica, solidarietà.
Negli anni del neoliberismo, è stato umiliato, svalorizzato, frantumato.
Nella concretezza storica e
sociale tuttavia al suo interno esistono articolazioni, differenziazioni,
scissioni, contraddizioni.
Un esempio. Il lavoro
dipendente pubblico è altra cosa dal lavoro dipendente privato. E in questi
giorni la differenza si fa sentire. È un problema storico. La solidarietà tra
questi mondi è stata molto difficile. Sindacati, partiti, organizzazioni della
sinistra hanno sempre cercato di tenere solidali questi mondi.
Dalla concreta realtà del
lavoro occorre partire per proporre soluzioni a favore delle lavoratrici e dei
lavoratori.
8. Si ripresenta ed è veramente
il momento per rilanciare la vecchia parola d’ordine “lavorare tutti, lavorare
meno”. Riprendere la questione della riduzione per legge della giornata
lavorativa. Riprendere la parola d’ordine delle 35 ore settimanali.
Fattore storico di civiltà per
le classi subalterne, dalla rivendicazione delle 10 ore dei Cartisti inglese a
metà Ottocento, alle 8 ore del movimento operaio, socialista e comunista, dalla
Seconda Internazionale in avanti.
Nel nostro tempo la questione
era comunque matura a misura dell’enorme aumento della produttività, delle
“forze produttive”. Grazie all’automazione, a macchine e a processi di lavoro
sempre più perfezionati. Robots, informatica avanzata ecc. rendono possibile
ottenere merci e prodotti con minor dispendio di lavoro rispetto al passato.
L’unica citazione che mi
permetto qui. Ma è potente il pensiero e il retroterra morale e intellettuale
che hanno ispirato queste righe
“Presupposta la produzione
sociale, rimane naturalmente essenziale la determinazione del tempo. Meno è il
tempo di cui la società ha bisogno per produrre frumento, bestiame, ecc. tanto
più tempo essa guadagna per altre produzioni materiali o spirituali. Come per
il singolo individuo, così per la società la totalità del suo sviluppo, delle
sue fruizioni o della sua attività dipende dal risparmio di tempo. Economia di
tempo – in questo si risolve infine ogni economia”. È Marx, nei famosi Grundrisse.
La ricchezza sociale è
assicurata, anzi aumenta. Occorre redistribuire bene questa ricchezza. Niente
di rivoluzionario. È la classica mossa riformistica. La riduzione della
giornata lavorativa a parità di salario è quindi sacrosanta rivendicazione. E
adesso è proprio il momento. Quando occorre ovviare alla enorme disoccupazione
che si sta creando a causa della pandemia e della crisi.
Solo che tutto ciò investe solo
una parte del lavoro dipendente. Rimane fuori il vasto mondo del lavoro del
settore informale, del lavoro in nero, del lavoro autonomo di seconda e terza
generazione (le partite Iva fasulle, in realtà lavoro dipendente, precarizzato,
gerarchizzato, svalutato). Rimangono fuori migranti, badanti e tutte le varie
figure miste, molte le donne, non collocabili precisamente.
Da tenere presente tutto ciò.
Per trovare soluzioni per questo vasto mondo. Partendo comunque proprio dalla
grande parola d’ordine “lavorare tutti, lavorare meno”.
9. Gli stili di vita e come si
consuma rientrano nel campo delle alternative. François Houtart, nell’ultima
parte della sua vita, lavorava a perfezionare un “Manifesto del bene comune
dell’umanità”. Nella visione di cui sopra.
Insisteva molto sulla
divaricazione-contraddizione tra “valore d’uso” e “valore di scambio”. La
sfrenata tendenza al consumismo, almeno nel Nord del mondo, molto da
considerarsi “consumismo compensativo”, di altre mancanze, di altro “senso
della vita”, di altra gratificazione, morale e intellettuale, anche nei luoghi
di lavoro, è nella logica del sistema.
Il mirare al “valore d’uso”
delle merci e degli oggetti contrasta la “obsolescenza programmata” dei
prodotti, evita sprechi e risparmia lavoro sociale. Che potrebbe andare a
beneficio di altri settori, della cura, della cura del territorio, della
cultura, della ricerca ecc.
Infine, Houtart rifletteva
sulla possibile conciliazione di antropocentrismo e di biocentrismo, di uomo e
natura.
10. Le famose 3R (Ridurre
Riutilizzare Riciclare) costituiscono le parole d’ordine che cercano di frenare
lo spreco e il consumismo di cui sopra. Sempre per liberare tempo e lavoro
sociale da dedicare ad altre sfere, anche della produzione, per uno sviluppo
riproducibile del sistema e per contrastare il malsviluppo.
11. Il capitalismo italiano e
le sue famiglie di riferimento hanno storicamente teso a incamerare i profitti,
come ricchezza personale, lasciando poco per investimenti, per allargare la
produzione e per innovare.
Un solo esempio. La famiglia
Riva ha rilevato l’Ilva di Taranto. Negli anni invece di procedere alla riconversione
energetica e ambientale, all’innovazione, come avveniva nelle acciaierie di
mezzo mondo, e come richiedeva la nuova consapevolezza dei danni ambientali e
dei danni alla popolazione coinvolta, ha tesaurizzato portando la propria
ricchezza all’estero. Si parla di circa 1,5 miliardi di euro. La stessa cifra
che occorreva per riconvertire gli impianti e per bonificare le aree
profondamente inquinate. Per cancellare la terribile alternativa per i
lavoratori Ilva e per gli abitanti di Taranto tra salvare i posti di lavoro e
avere vita e salute, oltre le molte morti e le molte malattie che la presenza
dell’Ilva comportava.
12. Il risparmio privato
italiano, famiglie e imprese, è enorme. Si parla di circa 4.200 miliardi di
euro. Molta parte investita in titoli e obbligazioni. Ma molto di questo
risparmio è inoperoso. Lo si potrebbe “mobilizzare” in questa fase storica. Con
titoli di stato a interesse contenuto.
Nel patrimonio della sola Cassa
Depositi e Prestiti si trovano inoperosi miliardi di euro. È controllata in
grande parte dallo Stato, dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e in
minima parte da alcune fondazioni bancarie. È la terza istituzione bancaria
dopo Unicredit e Intesa Sanpaolo.
Oltre a soccorrere le imprese
in difficoltà, molti fondi potrebbero essere utilizzati per creare nuovi posti
di lavoro. Per avviare un nuovo “piano del lavoro”, nella logica del New Deal
di cui più avanti. Per opere di bonifica territoriale, di creazione di
infrastrutture, di rifacimento e manutenzione di strade, ponti, ferrovie ecc. a
distanza di 60-50 anni di usura (Ponte Morandi). Ma anche per creare
infrastrutture digitali, così carenti in Italia.
Il presupposto è, come dicono
molti, un nuovo “patto sociale”, a misura dell’emergenza in corso. I
“sacrifici” non debbono farli i soliti, le classi subalterne, i più deboli.
Questa ricchezza accumulata
dovrebbe entrare in circuito per risolvere problemi contingenti, ma anche per
creare i presupposti per una “ripartenza” migliore, foriera di sviluppi
promettenti, socialmente e ambientalmente.
13. Infine la medicina e la
sanità. È l’occasione per riordinare e riorientare la sanità italiana. Con i
relativi finanziamenti e le relative risorse.
Contro la visione
ospedalocentrica e farmacocentrica. Orientata al profitto per i soliti noti.
Porre la centralità nella medicina di base, nella medicina del lavoro, nella
medicina sociale, nei presidi territoriali di primo livello. Porre la
centralità nella programmazione e nella pianificazione, parole spiacevoli per i
neoliberisti. Totalmente disattese recentemente, malgrado che l’Organizzazione
Mondiale della Sanità avesse avvertito negli anni scorsi che una pandemia era
prevedibile e invitasse a predisporre le misure per non trovarsi impreparati.
14. La sacrosanta Legge 180,
voluta da Franco Basaglia, considerata nel resto del mondo come una legge
pionieristica e da imitare, è stata nel tempo vanificata. Mai totalmente
applicata nella sua interezza. Invece di creare solide strutture territoriali
per i malati di mente e per le loro famiglie, invece di ampliare i Centri
Psico-Sociali (Cps), gli stessi Cps sono progressivamente smantellati. Con
paurosa mancanza di psichiatri, infermieri e assistenti sociali. Spesso non
adeguatamente formate queste figure per assolvere al difficile compito.
I malati di mente, il disagio
psichico e psichiatrico, sono sempre più in aumento in una società
contemporanea difficile, ineguale, poco votata alla solidarietà e al legame
sociale e al legame comunitario.
15. Nel trionfo della medicina
cosiddetta “convenzionale”, improntata a uno scientismo positivistico, più
curativa che preventiva, specialistica ad oltranza, occorre ridare dignità ad
altre medicine. Al netto di tanti ciarlatani, di maghi e maghe curatori e
curatrici, di stregoni “alternativi” ecc., un mondo di saperi e di sapienza
curativa viene da queste medicine, molte con radici in storie e culture
millenarie.
Miranti a una visione olistica
dell’essere umano, come unità biopsichica, tutte miranti a prevenire più che a
curare. Miranti al benessere psicofisico, in armonia con la natura e con
l’ambiente. Miranti a rafforzare le difese immunitarie. Sistema immunitario
così minacciato dai vari inquinamenti di cui sopra e da una alimentazione
scorretta, foriera di ulteriori malattie.
16. In questo quadro,
l’alimentazione sana è fondamentale e un’agricoltura orientata a produrre cibo
buono, in qualità, e non solo unicamente in quantità, è il fondamento di una
prevenzione che inizia dalla tavola e dalla vita quotidiana. Il consumismo e la
manipolazione pubblicitaria la fanno da padrone.
Si potrebbero prevenire
malattie oncologiche e cardiovascolari, il diabete, l’obesità, l’enorme
diffusione delle allergie ecc. Tante risorse, finanziarie e non, si potrebbero
risparmiare se il sistema sanitario mirasse a una seria educazione alimentare.
A scuola e nel resto della società.
17. Un solo esempio a proposito
del cibo come arma da controllare e su cui trarre enormi profitti. Ciò
interessa molto le popolazioni delle periferie del mondo. Soprattutto in questa
fase di crisi acuta. Ma teniamo presente che questo è il “normale” corso dei
rapporti mondiali.
Ogni anno, a causa
dell’agrobusiness, il 25% circa dei prodotti agricoli viene sprecato. Il
sistema perverso determina il fatto che venga sprecato circa un terzo del cibo,
dai campi alla pattumiera delle case dei paesi ricchi. Il riso, il frumento, il
mais, i cereali fondamentali per l’alimentazione umana nel mondo, soprattutto
per le popolazioni povere, sono soggetti alle speculazioni di grandi gruppi
finanziari presso la Borsa di Chicago. Qui si creano enormi profitti con la
sola contrattazione dei cosiddetti “certificati”, dei “futures” ecc. Tutto ciò
senza il minimo riferimento alla materialità dei cereali stessi.
La follia speculativa,
astratta, “alienata”, com’è “alienato” questo mondo. Contrattazioni finanziarie
speculative e prezzo a Chicago e la realtà terribile se un bambino o una
bambina in una favela in Perù o in uno slum in India riesce a mangiare o meno.
Conclusione
1. Le alternative delineate
implicano un nuovo patto sociale. Un New Deal, come semplice evocazione. Con
caratteri peculiari nel nuovo contesto contemporaneo. Come nuovo “compromesso
socialdemocratico” unito a una necessaria transizione ecologica. Questo pertanto
diventa un “Green New Deal”. Sacrosanto, ultimativo.
Tuttavia, malgrado la
ragionevolezza moderata di tale programma, è probabile che la gran parte delle
oligarchie finanziarie e industriali che oggi dominano il mondo, attraverso
organismi sovranazionali, Unione Europea inclusa, e governi nazionali, non si
rassegnino a riconsiderare tutto. Al di là delle lodevoli eccezioni di alcuni
ambienti intelligenti del capitalismo o dei vari capitalismi su scala mondiale.
Ricordando sempre che non esiste il “grande fratello”, ma esistono piuttosto
differenti capitalismi e vari dominanti, anche in conflitto tra loro. Esiste
invece la logica perversa e impersonale dell’accumulazione e della
massimizzazione dei profitti. Costi quel che costi. Anche se sono persona in
carne e ossa a diventare miliardari, come gli 8 super ricchi che possiedono
tanta ricchezza come 3,6 miliardi di persone del resto del mondo.
C’è il pericolo reale che “dopo
di noi il diluvio”. Il disagio sociale e la fame in alcune aree del mondo, anche
dalle nostre parti, nel nostro Sud, per esempio, possono sfociare in rivolte
caotiche e pericolose. I settori dominanti intelligenti darebbero risposte
intelligenti a questo stato di cose. Il riflesso condizionato di molti altri
settori dominanti è lo stato di polizia, se non peggio.
È responsabilità delle forze
antisistema, anche semplicemente democratiche, di dare senso e orizzonte a
questi movimenti spontanei, qualora sorgessero. E la soluzione è sempre la
sintesi di organizzazione, lotta quotidiana, politica, cultura, scelta etica.
2. Cultura e scelta etica. La
consapevolezza che il sistema è mondiale, immediatamente e non per astrazione.
Che occorre il “pensiero planetario”, invocato a suo tempo da padre Ernesto
Balducci, come grado minimo, come primissima base, per un discorso serio e
sensato sul mondo.
Che tutto cambia a misura della
prospettiva con cui si guarda il mondo. E così si cerca di sfuggire
all’eurocentrismo, al colonizzatore e all’imperialista che era ed è in noi. E
molta sinistra questo non lo faceva e tuttora non lo fa e si cercava e si cerca
di guardare il mondo “dal rovescio della storia” (Teologia della Liberazione).
Di guardare con gli occhi dei popoli vessati, depredati, umiliati dal
colonialismo prima e dall’imperialismo poi. Tutto cambia, ripetiamo, se si
guarda dal “rovescio della storia”.
3. In gioco è sempre
“l’orizzonte delle alternative”. Al neoliberismo, al capitalismo,
all’imperialismo, al razzismo, al sessismo. Dalle lotte operaie dell’Ottocento
ai movimenti antisistemici del Novecento, ai Forum Sociali Mondiali, alle
organizzazioni sociali e politiche della sinistra mondiale del nostro tempo.
Nessun commento:
Posta un commento