giovedì 31 marzo 2022

“Non siamo il gatto di Schrödinger” - Chiara e Francesco

 

 

Chi siamo noi studenti? Persone che vogliono capire, formarsi per poi contribuire con competenza al mondo produttivo oppure eterni stagisti, o meglio garzoni a basso costo al servizio delle imprese e destinati a condividere la sorte amara di tanti, troppi lavoratori? Nel nostro Paese, anno 2021, secondo l’Osservatorio nazionale morti sul lavoro, sono ben 1.404 le lavoratrici e i lavoratori che hanno perso la vita mentre svolgevano il loro mestiere. Un numero sconcertante, da capogiro. Il 2022 non sembra andare molto diversamente, anzi, la situazione appare peggiorare vertiginosamente poiché ora non solo gli adulti muoiono sul lavoro, ma anche gli studenti. Nel giro di pochi giorni, qualche settimana fa, ne sono deceduti due durante l’attività lavorativa che faceva parte del percorso scolastico. Lorenzo e Giuseppe, due studenti morti dunque non sul lavoro, ma a scuola, durante le attività scolastiche. E che scuola può essere quella che lascia morire i suoi studenti nel conseguimento del diploma?

È una scuola impoverita, dalla riforma Berlinguer in poi piegata a una politica aziendalistica, non di formazione della persona. Il preside è diventato dirigente, le attività di approfondimento culturale sono diventate alternanza scuola-lavoro (ora Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, in sigla Pcto) e l’insegnante non ha un ruolo educativo, trasformandosi sempre di più in un baby-sitter costretto ad accalappiare 25 o 30 marmocchi o adolescenti ai quali trasmettere una serie di nozioni e null’altro.

Queste due morti, due assassinii, sono solo il più cupo epilogo delle politiche di liberalizzazione della scuola.

La scuola italiana ha sempre avuto radici profondamente classiste: la riforma Gentile del 1923, che all’inizio dell’epoca fascista gettò le basi della moderna istruzione pubblica, prevede infatti la divisione della scuola in classi – ci riferiamo non a un insieme di studenti ma a veri e propri gruppi suddivisi per scala sociale – associando a ciascuna di esse una scuola di riferimento. Ancora oggi basta farsi un giro in un liceo e a un alberghiero per rendersi conto quel modello persiste ancora oggi. Chi ha frequentato un qualsiasi liceo ha sentito almeno una volta l’abominevole affermazione “qui formiamo la classe dirigente del futuro”, e accade pure che qualche docente di un professionale declami ai propri studenti: “se al liceo formano la futura classe dirigente, qui formiamo i loro servi!”.

Quale educazione può dare una scuola del genere se non l’abitudine alla subalternità e allo sfruttamento? Sarebbe bello poter dire che chi fa queste affermazioni o chi compie azioni classiste sono solo delle mele marce, eppure il problema è strutturale ed endemico nel sistema scolastico.

Se si prende a esempio la Buona Scuola varata dal governo guidato da Matteo Renzi nel 2015, si noterà che l’alternanza scuola-lavoro lascia un margine di azione ampio al singolo istituto e non specifica mai quali siano nel dettaglio le possibili attività ascrivibili a questo tipo di percorso. L’alternanza scuola-lavoro non prevede infatti esplicitamente l’avviamento a un percorso lavorativo presso un’azienda e di conseguenza sarebbe possibile (e anche auspicabile) intraprendere percorsi formativi diversi, che non mandino obbligatoriamente gli studenti presso privati, troppo spesso neppure preparati a sostenere un’iniziativa del genere. Dover assistere una persona che sta apprendendo un mestiere è per un’azienda (specie per una Pmi) solo un costo, sia in termini economici sia di tempo. Come poter sopperire a tutta la domanda delle aziende garantendo gli obiettivi preposti dalle scuole?

Semplicemente non si può. Nella maggior parte dei casi, gli studenti rimangono in un’azienda per qualche settimana a svolgere mansioni che non sono in grado di portare a termine oppure a fotocopiare documenti di vario genere, rendendo l’esperienza del Pcto inutile nel migliore dei casi, se non pericolosa.

In Italia ci saranno sicuramente dei percorsi virtuosi, ma restano in minoranza rispetto alla totalità.

Spesso si paragona in modo erroneo la Buona Scuola (o almeno il suo intento) alla situazione in Germania. Ci sono differenze strutturali anche nella stesura della legge: infatti le aziende tedesche sono tenute a seguire una serie di regole più stringenti e ferree rispetto a quelle italiane, i controlli inoltre avvengono con maggiore frequenza mentre nel nostro Paese è estremamente raro sottoporre un privato ospite degli studenti in Pcto a un controllo di qualsiasi genere. La formazione poi è estremamente diversa, dato che una parte teorica sul come lavorare in un’azienda e sulle norme di sicurezza è obbligatoria nelle scuole tedesche. In Italia, anche se viene praticata la formazione di base sulla sicurezza, ovvero un corso di quattro ore con un test a risposta multipla alla fine, la scuola sembra voler essere in funzione del mondo del lavoro ma contemporaneamente volersene sbrigliare. Insomma, una specie di “scuola di Schrödinger”, dove noi siamo il gatto dell’esperimento mentale del fisico austriaco, il micio destinato a morire o rimanere vivo con uguale probabilità, una scuola in cui allo stesso tempo c’è un fine lavorativo, ma che in realtà come obiettivo ha il mero raggiungimento di un diploma, senza veramente curarsi delle conoscenze acquisite dagli studenti e della loro capacità di giudizio.

Sicuramente questo modello si sta rivelando ogni giorno di più fallimentare: la nostra scuola ha bisogno di un ripensamento in toto, che la veda slegata dalla smania aziendalistica delle riforme degli ultimi decenni e la veda come luogo di educazione in senso lato. Pretendere di ridurre la scuola alla banale formazione professionale (depotenziando per esempio lo studio delle materie umanistiche o togliendo quasi del tutto la geografia come nella riforma Gelmini) in cui i docenti sono semplicemente dei trasfusori di nozioni è frutto di una volontà politica ben precisa, ovvero quella di dividere sempre di più gli studenti in classi, di renderli pedine di un sistema produttivo cannibale, piuttosto che persone complete e pensanti. Si spinge verso l’educazione privata, finanziandola in aperto contrasto con la Costituzione (art. 33 “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”), per raggiungere sempre di più le scuole “di eccellenza” in cui gli studenti, nella miglior performatività in salsa capitalista, possono raggiungere risultati fuori dal comune a costo di sacrificare tutto, perfino la salute o la vita.

La competitività è un valore positivo, premiata dagli insegnanti stessi, perché “mettersi in gioco” è sintomo di “forza” e di “volontà”, mentre dall’altra parte chiedere un ritmo diverso, più umano, lontano dalla modalità fordista che la scuola sta assumendo sempre di più, significa “lagnarsi ed essere ingrati”: d’altro canto cosa aspettarsi in un Paese in cui “sfruttamento lavorativo” è sinonimo di “gavetta”? Noi studenti dobbiamo ribellarci: scendere in piazza, dalle scuole e dalle università, per urlare “basta” a questo modello di sfruttamento scolastico. Chiediamo agli adulti, ai lavoratori, ai sindacati e alle imprese di supportarci in questa battaglia e di non lasciarci soli. Ve lo chiediamo per Giuseppe e Lorenzo, e anche per Luana e Adil e per ogni persona che è morta sul lavoro o per difendere i propri diritti.

https://www.patriaindipendente.it/primo-piano/morire-a-scuola-non-siamo-il-gatto-di-schrodinger/

Economia non è avidità e affarismo - Vandana Shiva


Aristotele usava il termine oikonomia, economia, per intendere l’arte di vivere. La parola economia deriva infatti da due parole greche: òikos, che significa casa, e nómos, che significa ordine, sistema, legge, schema, gestione, contabilità.

IN QUANTO ARTE di vivere, l’economia è continuità con i processi e i flussi vitali della natura e della società. L’economia si fonda sul riconoscimento e il rispetto dei limiti ecologici della natura e dei diritti di tutti gli esseri umani. Le economie vive supportano l’infrastruttura della vita a favore della natura e della società. Aristotele distingueva oikonomia da crematistica, l’arte di far soldi e accumulare denaro basata sull’estrazione illimitata di risorse dalla natura e sulla sottrazione della ricchezza creata da contadini, lavoratori e donne.

PER ARISTOTELE, DUNQUE, l’accumulazione del denaro è in sé un’attività innaturale che disumanizza coloro che la praticano. Le economie reali, che supportano i mezzi di sussistenza delle persone, implicano lo scambio diretto tra produttori e utenti a condizioni eque all’interno di una comunità. Ma quando il commercio diventa fine a sé stesso e motore dei sistemi produttivi, porta all’estrazione di valore e allo sfruttamento e della Terra e della società.

QUANDO LA CREMATISTICA sostituisce l’oikonomia, l’avidità sostituisce la cura, l’abilità di sottrarre e persino di rubare sostituisce l’arte del dare. La natura si impoverisce. Le persone si impoveriscono. La crematistica guidata dall’avidità ha reso l’umanità cieca alle economie della vita e alle economie che creano, sostengono e rigenerano l’infrastruttura della vita stessa. La natura possiede una propria economia di crescita e rinnovamento della vita. Nel corso dei millenni le persone si sono mantenute attraverso diverse economie di sostentamento a favore del bene comune. Tuttavia, negli ultimi secoli, il colonialismo ha ridotto l’economia all’avidità e al guadagno. L’economia della natura e delle persone è diventata invisibile ed è stata distrutta.

RIVENDICARE L’ECONOMIA COME ARTE di vivere è un imperativo non solo per il futuro dell’umanità ma per tutta la vita sulla Terra. L’economia dominante gestita da e per l’1% è stata ridotta a crematistica, al guadagno per mezzo di una macchina per far soldi. Peggio ancora, questa costruzione ristretta di economia intesa come estrattivismo, commercio, mercificazione, che ignora l’economia della natura e le economie di sostentamento delle persone, e distrugge la vera ricchezza della natura e della società, è stata elevata al rango di nuova religione.

IL MONDO CHE L’1% STA CREANDO è un mondo senza vita, basato sull’estinzione e lo sterminio dell’oikonomia, l’arte di vivere. Al tempo stesso dissipa il significato autentico di ricchezza, che è benessere e felicità, non denaro. E anche il denaro sta perdendo la propria matrice di scambio: esso, infatti, non è finanza, sicuramente non è finanza digitale che consente ai miliardari di fare soldi con i soldi, colonizzando le economie locali auto-organizzate.

IL COVID-19 STA FACENDO CRESCERE la sete di denaro tra i seguaci della crematistica. Tra gli esseri umani comuni si avverte invece sempre più urgente il bisogno di riscoprire l’oikonomia come arte perduta del vivere. Un’economia che sia arte dell’accudimento, della condivisione e del creare abbondanza per soddisfare i bisogni fondamentali di tutti proteggendo la nostra casa comune. Non a caso tanto ecologia, quanto economia derivano da òikos.

… L’ECONOMIA, CHE E’ SEMPRE PARTE della società, è stata posta al di fuori e al di sopra di essa. I valori etici, culturali, spirituali di cura e cooperazione sono stati soppiantati dalla logica estrattiva del mercato globale che ricerca il solo profitto. Tutti i valori che nascono dal nostro essere interdipendenti, diversi e complessi – a partire dalla cooperazione – sono stati scalzati o distrutti.

QUANDO LA REALTA’ E’ SOSTITUITA da costruzioni astratte create dai poteri dominanti, la manipolazione della natura e della società a fine del profitto e del potere ha vita facile. Il benessere delle persone reali e delle società reali è sostituito dal benessere delle multinazionali. La produzione reale delle economie della natura e della società è sostituita dalla costruzione astratta del capitale. Il reale, il concreto, il vivificante lascia il posto alle valute costruite a tavolino, ai fertilizzanti artificiali, al cibo artificiale, all’intelligenza artificiale… La macchina per far soldi a cui è stata ridotta la nostra economia è indifferente al valore vitale della natura e della società, perché si basa su una visione meccanica del mondo, cieca alla creatività della natura e delle persone. È una macchina lineare e violenta: estrae risorse, minerali, fertilità dal suolo, dall’acqua, dalla terra. Ruba i geni dalle sementi e dalle forme di vita.

OGGI SI PARLA DI «ESTRARRE DATI» dalle nostre fattorie, dalle nostre relazioni, dai nostri cervelli, dai nostri corpi, dalle nostre vite. Trasforma ogni bene comune in merce, da vendere a scopo di lucro. Ed è attraverso la continua recinzione dei beni comuni che si dà vita a una «crescita» misurata sul guadagno, non sul benessere e sulla felicità.

LA MACCHINA PER FAR SOLDI DIVORA risorse reali e le trasforma in merci per il commercio o in rifiuti da buttare: natura immondizia, persone immondizia. La macchina per far soldi si sostiene sulla recinzione delle terre comuni e sulla loro conversione in proprietà privata a fini commerciali. Per questa macchina da soldi il commercio e il profitto vengono prima di ogni altra cosa: la natura e le persone sono un ostacolo che deve essere rimosso. La macchina soppianta e distrugge la creatività, la produzione e le economie locali, sottomettendo tutte le economie al commercio globale controllato dall’1%. La macchina per far soldi ha bisogno della globalizzazione sotto forma di regole commerciali da imporre al mondo…

PER QUANTO DATATI, I MODELLI di colonizzazione ci aiutano a vedere come i multimiliardari di oggi usino nuovi strumenti per colonizzare la natura e la società, estrarre e appropriarsi della ricchezza di entrambe e rivendicarla come una loro creazione e innovazione.

L’ECONOMIA LINEARE SI BASA sull’estrazione illimitata, sulla mercificazione, sui profitti e sulla creazione di rifiuti e inquinamento tramite la rottura dei cicli naturali di rinnovamento. Non c’è spazio per prendersi cura della natura e della comunità. Non esiste l’etica del dare. La natura e la società si impoveriscono per l’estrazione di minerali, o l’estrazione di sapere tramite la biopirateria, o l’estrazione di geni con il genetic mining, o l’estrazione di dati personali con il data mining, o l’estrazione di rendite e royalties sulle sementi, l’acqua, la comunicazione, l’istruzione e la sanità privata. Si creano povertà, debito e sradicamento. Si creano rifiuti – rifiuti come inquinamento, risorse buttate, persone scartate, vite eliminate. Si crea un mondo senza lavoro, ma si immagina che le persone senza lavoro saranno tutte «consumatrici» di cibo spazzatura, vestiti spazzatura e comunicazione spazzatura. È questa la macchina dei soldi estrattiva che ha portato all’avvento dell’1% e all’usa e getta del 99%.

 

(Brano estratto dal libro di Vandana Shiva «Dall’avidità alla cura. La rivoluzione)

 

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mercoledì 30 marzo 2022

Fuori dal pantano della geopolitica - Raúl Zibechi

  

La geopolitica riguarda i pensieri e i modi imperiali di vedere il mondo, è al servizio degli Stati più potenti. È nata in questo modo e continua a essere tale, anche se alcuni intellettuali insistono su una sorta di geopolitica delle sinistre, o addirittura rivoluzionaria.

La geopolitica fa la sua comparsa all’inizio del XX secolo tra geografi e strateghi militari del nord, che collegano le realtà geografiche con le relazioni internazionali. Il termine è apparso per la prima volta in un libro del geografo svedese Rudolf Kjellén, intitolato The State as a Way of Life (Lo Stato come una Forma di Vita). L’ammiraglio statunitense Alfred Mahan sviluppò la strategia del dominio navale, mentre Nicholas Spykman delimitò le regioni dell’America Latina dove gli Stati Uniti devono mantenere un controllo assoluto per garantire il loro dominio globale.

La geopolitica ha avuto un grande sviluppo in Germania all’inizio del XX secolo, per raggiungere poi una grande diffusione durante il nazismo. In America Latina, i militari della dittatura brasiliana (1964-85), come Golbery do Couto e Silva, si basarono sulla geopolitica per difendere l’espansione del Brasile, per finire di occupare l’Amazzonia e diventare la potenza egemone regionale.

Non mi interessa approfondire questa disciplina, ma le sue conseguenze per i popoliSe la geopolitica riguarda i rapporti tra gli Stati, e in particolare il ruolo di coloro che cercano di dominare il mondo, il grande assente in questo pensiero sono i popoli, le moltitudini oppresse che non sono nemmeno menzionate nelle analisi geopolitiche.

Molti di coloro che giustificano l’invasione russa dell’Ucraina riempiono pagine denunciando le atrocità degli Stati Uniti. Uno di loro ci ricorda: gli Stati Uniti hanno condotto 48 interventi militari negli anni Novanta e si sono impegnati in diverse guerre senza fine, durante i primi due decenni del ventunesimo secolo. Aggiunge che in quel periodo, gli statunitensi hanno effettuato 24 interventi militari in tutto il mondo e 100mila bombardamenti aerei. Solo nel 2016, durante l’amministrazione di Barack Obama, hanno sganciato 16.171 bombe su sette paesi.

La logica di queste analisi è più o meno questa: l’Impero A è terribilmente crudele e criminale; l’Impero B è molto meno dannoso perché, evidentemente, i suoi crimini sono molto più piccoli. Dal momento che gli Stati Uniti sono una macchina imperiale che uccide centinaia o decine di migliaia di persone ogni anno, perché alzare la voce contro chi ne uccide solo poche migliaia, come la Russia?

È un modo mascalzone e calcolatore di fare politica che non tiene conto del dolore umano, che considera i popoli solo numeri nelle statistiche della morte, o li considera appena carne da cannone, numeri di un bilancio che misura solo i profitti aziendali e statali.

Al contrario, noi, los de abajo, quelli che stanno in basso, mettiamo al primo posto proprio i popoli, le classi, i colori della pelle e le sessualità oppressi. Il nostro punto di partenza non sono gli Stati, né le forze armate, né il capitale. Non ignoriamo che esiste uno scenario globale (dove si muovono) nazioni espansionistiche e imperialiste. Però analizziamo quello scenario per decidere come agire in quanto movimenti e organizzazioni de abajo, che stanno in basso.

In L’Imperialismo, fase suprema del capitalismo, scritto nel 1916 durante la Prima Guerra Mondiale, Lenin analizzò il capitalismo monopolistico come causa della guerra. Non si schierò con alcuna parte e si sforzò di trasformare la carneficina in rivoluzione.

È così che ha lavorato Immanuel Wallerstein. La sua teoria sul sistema-mondo mira a comprendere e spiegare come funzionano le relazioni politiche ed economiche su un pianeta globalizzato, con l’obiettivo di dare impulso alla trasformazione sociale.

Questi sono strumenti utili per i popoli in movimento. Perché la comprensione di come funziona il sistema, lungi dal portarci a giustificare una delle potenze in lotta, ci porta a prevedere le conseguenze per quelli che stanno in basso.

 

Lo zapatismo chiama tormenta il caos sistemico che stiamo vivendo e sostiene che sia necessario comprendere i cambiamenti nel funzionamento del capitalismo. Per quanto riguarda il caos, la conclusione è che dobbiamo prepararci ad affrontare situazioni estreme, mai vissute in precedenza. Abbiamo pensato davvero che le armi atomiche potrebbero essere utilizzate nei prossimi anni?

Per quanto riguarda il funzionamento del capitalismo, sebbene gli zapatisti non lo menzionino esplicitamente – a quanto ricordo -, è evidente che l’uno per cento più ricco della popolazione ha sequestrato gli Stati-nazione; che non esistono mezzi di comunicazione ma di intossicazione, e che le democrazie elettorali sono favole, quando non scuse per perpetrare genocidi. Di conseguenza, gli zapatisti non si lasciano irretire nella logica statale.

Siamo di fronte a momenti drammatici per la sopravvivenza dell’umanità. Dobbiamo alzare lo sguardo e non lasciarci trascinare nel pantano geopolitico. Quando la foschia è così densa da impedirci di distinguere la luce dall’ombra, dobbiamo affidarci ai principi etici per continuare ad andare avanti.


Fonte: La Jornada

Traduzione a cura di Camminar Domandando


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La guerra continua

 



Quello che è successo, secondo me (2) – Francesco Masala

Continuiamo con l’analogia con il pugilato, la noble art.

Se questa guerra fosse un incontro di pugilato secondo le regole, dall’angolo, l’allenatore ucraino avrebbe gettato la spugna, e comunque l’arbitro avrebbe dichiarato la fine dell’incontro dopo il primo round, per manifesta inferiorità del combattente ucraino.

Che bello se fosse un incontro di pugilato pulito!

Nella guerra guerreggiata non ci si arrende mai, tanto chi decide di non arrendersi non muore mai perchè tocca al soldati e alla povera gente crepare. Magari potrebbe succedere fra qualche settimana che ci lasci la pelle chi è in alto: alla fine della guerra – è solo un’ipotesi remota, naturalmente – un sicario di qualche servizio segreto occidentale, travestito da russo, potrebbe ammazzare qualcuno per chiudergli la bocca, se per caso gli venisse in mente di raccontare l’indicibile.

Analizziamo adesso cosa accade in quel capannone abbandonato dove si svolge l’incontro/scontro fra i due pugili, organizzato dal boss dei boss.

Sono stati invitati ad assistere di persona all’evento solo gli amici/alleati del boss, tutti gli altri potranno comunque seguire l’evento da remoto, informati dai giornalisti embedded, gente di fiducia.

Si aprono le scommesse fra i presenti, il boss che organizza avvisa che non tollererà scommesse a favore del pugile russo, si scommette quindi solo a favore del combattente ucraino.

Gli scommettitori (per coincidenza aderenti a un club esclusivo chiamato Nato, sapendo di essere, utili o inutili, idioti) si guardano in faccia un minuto, stupiti: ma come, scommettere sul più debole, siamo pazzi?, ma basta meno di un minuto e lo sguardo del boss per iniziare a scommettere sul combattente ucraino…

intanto, nella povera Italia, dopo il successo della infiltazione del PD nel gioco d’azzardo,  qui e qui, e nelle multinazionali di armi, qui (o sono quelle imprese a essersi infiltati nel PD e quindi nel governo e adesso sono loro il governo, dicono i “complottisti”) qualcuno comincia a pensare alle spese militari del 2% da mettere in Costituzione?

“La politica é il ramo dell’industria dedicato all’intrattenimento” diceva Frank Zappa; da  Reagan a Zelensky solo conferme.

scrive Carl Von Clausewitz: “la guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”, sempre attuale

Intanto è morta anche Madeleine Albright, che riposi in guerra, qualcuno pensa che tutte le donne siano per la pace, forse non conoscono Victoria Nuland e Hillary Clinton ...

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articoli, video, musica e disegni di Massimo Troisi, Gian Luigi Deiana, Franco Fracassi, Ennio Caruccio, Frank Zappa, Julian Assange, Yvan Colonna, Madeleine Albright, Tonio Dell’Olio, Moni Ovadia, Fabio Armao, Rocco Artifoni, Danilo Tosarelli, Massimo Mazzucco, Joe Lauria, Paolo Nori, Dario Fabbri, Francesco Masala, Enrico Euli, Vincenzo Costa, Fausto Amodei, Piero Brombin, Benigno Moi, John Mearshmeier, Alessandro Visalli, Pepe Escobar, Marco Travaglio, Giulietto Chiesa, Andrea Zhok, Paolo Maddalena, Paolo Desogus, Giuseppe Masala, Thomas Fazi, Daniele Lanza, Yo Yo Mundi, Wu Ming, Fabio Vighi, Maurizio Vezzosi, Carl Von Clausewitz

martedì 29 marzo 2022

Omicidio del rugbista Aramburu, si indaga su un fascista francese - Marine Turchi

 

Aramburu è stato colpito più volte. Il principale sospettato è l’attivista di estrema destra Loïk Le Priol, 27 anni

 

Nelle prime ore di sabato 19 marzo, il rugbista argentino Federico Martin Aramburu è stato colpito più volte dopo un alterco in un bar a Saint-Germain-des-Prés, nel sesto arrondissement di Parigi.
I sospetti, identificati grazie ai testimoni e ai filmati delle telecamere a circuito chiuso, sono due attivisti di estrema destra e una donna attivista, ha appreso Mediapart, confermando le informazioni di Le Point e Sud-Ouest.
Gli eventi hanno avuto luogo il venerdì sera. Il rugbista 42enne – residente a Biarritz ma che era in visita a Parigi per vedere la partita Francia-Inghilterra – aveva passato la serata al bar Le Mabillon. Era accompagnato dal suo amico e socio neozelandese Shaun Hegarty, un ex giocatore del Biarritz Olympique come lui.
Una fonte vicina al caso ha detto a Mediapart che un giovane ha chiesto al gruppo di estrema destra una sigaretta ed è stato scortesemente respinto. I giocatori di rugby, che erano seduti accanto a lui, sono intervenuti. Si dice che i toni si siano alzati tra i due gruppi. Uno dei sospetti brandiva una fascia della polizia, secondo Le Point.
È iniziata una rissa e Federico Martin Aramburu ha presumibilmente buttato a terra uno degli attivisti di estrema destra, afferrandolo per il colletto. Il personale del bar ha cercato di separare i due gruppi. I due giocatori di rugby hanno lasciato la scena e sono tornati a piedi al loro hotel vicino.

 

Pochi minuti dopo, sarebbero stati superati dagli attivisti di estrema destra in una jeep militare su Boulevard Saint-Germain. Si dice che abbiano sparato più volte dal veicolo senza essere colpiti. Poi un colpo a distanza ravvicinata da uno degli individui, sul marciapiede, che è stato fatale. L’ex giocatore del Biarritz è morto sul posto alle 6.45 circa, colpito da quattro proiettili, secondo Le Parisien.
In una dichiarazione, la famiglia Aramburu, difesa dall’avvocato Yann Le Bras, ha denunciato un “crimine odioso”. «Per la sua famiglia e i suoi molti amici, questo 19 marzo si è trasformato in un incubo assoluto. La sua morte ha lasciato ognuno di loro e tutto il mondo del rugby stordito da un dolore indicibile».
Shaun Hegarty ha presentato una denuncia per tentato omicidio premeditato. La procura di Parigi ha aperto un’inchiesta flagrante per “omicidio”, affidata alla Brigata Criminale.
Secondo Le Parisien, due uomini hanno sparato i colpi, mentre una donna di 24 anni guidava il veicolo. Sabato, la giovane donna è stata arrestata e presa in custodia. I due uomini sono ricercati.
Il principale sospettato è Loïk Le Priol, 27 anni, che era un attivista del GUD (Groupe Union Défense), un gruppo di studenti con metodi molto violenti. Contattato da Mediapart, il suo avvocato, Xavier Nogueras, ha detto che non voleva parlare «per il momento».
Ex militare dei commandos della marina – si è formato alla scuola di Mousses, a Brest, nel 2010 – Loïk Le Priol si è convertito partecipando negli ultimi anni al lancio di una linea di abbigliamento “identitario”, Babtou Solide, che ha avuto successo nell’estrema destra. È apparso anche nelle pubblicità del nuovo marchio Face Mask, un negozio online di scaldacollo e protezioni per il viso per militari e sportivi.
Le Priol proviene da una famiglia di estrema destra. Una delle sue sorelle era a capo di Renouveau français. nell’Ile-de-France. Suo padre, Denis Le Priol, che ha servito in un reggimento di paracadutisti, è accusato di aver frequentato in passato militanti neonazisti della FANE (Federazione di Azione Nazionale ed Europea). Era un leader dell’Unione Nazionale dei Paracadutisti (UNP), il cui tesoriere era il padre di Axel Loustau, uno stretto collaboratore di Marine Le Pen (è tesoriere del micropartito di Marine Le Pen ed è stato consigliere regionale del Rassemblement National).

 

Denis Le Priol ha creato una società, Jeep Village, che detiene un quasi-monopolio nel rinnovamento delle vecchie Jeep americane. Loïk Le Priol è solito prendere in prestito queste Jeep per andare in giro per Parigi con i suoi amici. Negli ultimi anni, è stato visto in questo tipo di veicolo con diversi attivisti vicini al Fronte Nazionale: Logan Djian (ex capo del GUD di Parigi apparso nella galassia del FN); Julien Rochedy, ex direttore del Fronte Nazionale della Gioventù (FNJ); Paul-Alexandre Martin (anche lui membro della direzione del FNJ e fornitore di servizi, con la sua agenzia di comunicazione e-Politic, della campagna di Marine Le Pen).

Conosciuto come un attaccabrighe, Loïk Le Priol aveva causato la chiusura di un bar nel 15° arrondissement di Parigi, a Motte-Picquet, alcuni anni fa, dopo un alterco. Ma è stato un altro caso, di tutt’altra portata, a spingerlo nella colonna delle “cronache” alla fine del 2015: il pestaggio di un ex leader del GUD – E.K. – di cui Mediapart aveva rivelato le prove video. Nell’ottobre 2015, cinque attivisti del GUD sono andati a casa di E.K. Nei nove video che abbiamo ottenuto, Logan Djian è stato visto aggredire e violentare E.K., Loïk Le Priol ha filmato la scena e poi ha minacciato il giovane con un coltello. Questi video duravano in totale otto minuti e mostravano atti di grande violenza, di cui abbiamo scelto di trasmettere solo brevissimi estratti, eliminando tutte le immagini che erano degradanti per la vittima. Quella sera, Logan Djian diede al giovane il suo primo schiaffo. «Siamo in cinque» lo avverte. «Hai parlato, lo devi ammettere» accusa, poi gli propone di alzarsi per una lotta «uno contro uno». E.K. si rifiuta e viene colpito da un violento colpo che lo spinge a terra. La stessa accusa viene ripetuta più volte nei video: la vittima avrebbe «parlato troppo».

«Pagherai per tutto quello che hai detto» gli dice Loïk Le Priol. «Non ti linceremo. Uno contro uno, io e te» lo sfida Logan Djian in uno dei video. «Ma si vede che sei dieci volte più forte di me» risponde il giovane, spaventato. «Sei un pezzo di merda…» Loïk Le Priol lo insulta durante le riprese. […] «Sei l’idolo del fascismo? Sei il capo del GUD? Ma tu non sei nessuno, guardati» ha continuato Le Priol. «Dai, alzati, prenditi le tue responsabilità per una volta! Indossare le palle! […] Sei un francese del cazzo, dai […] Non hai nemmeno il coraggio di alzarti. […] Quel poco di francese che avevi in te, non portavi nemmeno le palle. […] Ultima possibilità di alzarsi o ti spogliamo» avverte Logan Djian. «Se vuoi comportati come una papera davanti a noi, come gli Hammerskin [organizzazione neonazista skinhead – NDR]» aggiunge Le Priol. Le immagini seguenti mostrano E.K. a terra e Djian che lo costringe a spogliarsi. «Ti prego» implora E.K.

 

In un altro video, questa volta nel buio della stanza, si sente il rumore dei colpi. «Ti spogli e ti sbrighi» ordina Logan Djian. Si toglie la camicia, si toglie la sciarpa. «Sbrigati o ti impiccheremo con questo, figlio di puttana, ti impiccheremo con questo» aggiunge Le Priol, sovraeccitato. Nel video seguente, la vittima appare nel soggiorno, inginocchiata, completamente nuda, con la faccia insanguinata. Logan Djian minaccia di far circolare il video se parla di questo caso: «Ascoltami, questa storia, rimane tra noi, non circolerà, non come le altre […]. Ora, se c’è un’informazione che non sia la nostra che circola, il video circolerà, e ovviamente sapete cosa succederà». «Ora, se questo non ti ha insegnato una lezione, torneremo» avverte l’ex leader del GUD, dandogli un calcio in faccia e chiamandolo «puttanella». «Sai che ho ucciso più di uno dei ragazzi lì, lo sai?» dice Le Priol, riferendosi alle sue ex attività di soldato. «Il taglio va molto veloce, lo sai? […] Butta il mio coltello, o ti piego la mano» ha gridato, colpendo il giovane e minacciandolo con un coltello posto sulla sua gola. «Basta» supplica ancora la vittima, in preda al terrore. Nell’ultimo video, il giovane è completamente sdraiato sulla schiena, poi costretto ad alzarsi e a ballare nudo per diverse decine di secondi al ritmo della Macarena. «Le manine lì, spostale» ordina Logan Djian. «Lasciate che ogni secondo di questo video sia messo su YouTube, solo per il gusto di farlo, il giorno in cui parlate» dice Le Priol. «Altrimenti, rimane tra noi. Rimane solo per me». È Loïk Le Priol che ha questo video.

«Anche tu ti muovi bene, come una puttanella, come sei in effetti». Il video finisce con queste parole. Dopo l’aggressione, E.K. andò in ospedale e presentò una denuncia il giorno dopo. La procura di Parigi ha aperto un’inchiesta giudiziaria per “violenza aggravata”, con premeditazione, uso di un’arma (in gruppo) che ha portato a un’inabilità totale al lavoro per più di otto giorni.
I video rivelati da Mediapart erano stati requisiti dalla giustizia. Logan Djian e Loïk Le Priol sono stati messi in detenzione preventiva e poi accusati di “violenza aggravata”. Il processo, che doveva svolgersi nell’ottobre 2021 è stato rinviato al 1° giugno 2022 a causa del Covid contratto da uno di loro.
Contattati da Mediapart su questa aggressione e su questi video nel 2016 e nel 2020, Loïk Le Priol e Logan Djian non hanno mai voluto parlare.
Loïk Le Priol aveva spiegato, durante la sua audizione, che aveva voluto vendicarsi del comportamento violento che E.K. avrebbe inflitto a due giovani donne del movimento. Fra loro la figlia di Frédéric Chatillon, ex leader del GUD, vecchio amico di Marine Le Pen e uno dei principali fornitori di servizi alle campagne del Fronte.
Le vecchie e nuove generazioni del GUD rimangono unite. Così Frédéric Chatillon e Axel Loustau hanno fatto lavorare Logan Djian nella loro società Riwals e nel gruppo Vendôme Sécurité, fornitori di servizi del Front National.
Poi Logan Djian è stato liberato dalla detenzione preventiva nel caso E.K. grazie al pagamento di una cauzione di 25.000 euro, attraverso i fondi di una società creata da Axel Loustau e una società di proprietà di persone vicine a Djian, che si occupava della propaganda elettorale dei candidati del Front National durante le elezioni regionali del 2015.
Il circuito finanziario aveva incuriosito la giustizia, che aveva aperto un’inchiesta preliminare per “abuso di beni sociali”, “riciclaggio di denaro” e “lavoro occulto”, come aveva rivelato Mediapart.
Axel Loustau ha assicurato all’epoca a Mediapart di non avere «nulla a che fare con questo» e di non aver «mai avuto alcun flusso finanziario con il signor Djian». Tuttavia Wallerand de Saint-Just, allora tesoriere del Front National, ha spiegato su RFI che aveva «parlato con Axel Loustau» e che quest’ultimo gli aveva «spiegato che aveva prestato per otto giorni, credo, la somma necessaria alla cauzione di questo signore, al compare di questo signore, un compare che lavora per lui. Loustau l’ha prestata [la somma – NDR] e otto giorni dopo gli è stato rimborsata».
Mentre Axel Loustau non è stato perseguito in questo caso, Logan Djian è stato condannato nel febbraio 2019 per “abuso di beni sociali”.

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lunedì 28 marzo 2022

Una marcia per la pace e il disarmo

 

Pubblichiamo la nota del coordinamento provinciale di Cagliari Prepariamo la Pace e del movimento A Foras  – Contra a s’ocupatzione militare de sa Sardigna che hanno lanciato una marcia popolare contro la guerra, per la pace e il disarmo che si svolgerà il 9 aprile 2022 ore 15.00 dalla stazione di Decimomannu fino all’ingresso dell’aeroporto militare.

 

Di fronte al perdurare della guerra e all’attuale clima di grave tensione internazionale esprimiamo la nostra contrarietà assoluta alle operazioni belliche e all’uso delle armi fra i popoli. Chiediamo l’immediata cessazione dei bombardamenti.

La guerra è il metodo più inefficace di risoluzione dei conflitti: provoca vittime civili, massacri, distruzione, disperazione e profughi, alimentando odi e rancori fra i popoli: il nostro ripudio è totale, in linea con le principali carte e trattati internazionali.

L’Unione Europea non deve farsi trascinare dalla Nato in una insensata corsa all’incremento delle minacce sul campo e ad un rilancio delle spese militari. L’Italia deve dissociarsi da questa politica e deve mandare un segnale chiaro a favore della distensione e della pace.

L’Ucraina deve assumere una posizione di neutralità, non avamposto militare della Nato, ma terra d’incontro tra la civiltà russa e quella occidentale.

Per questo esprimiamo il nostro no all’invio di armi sul teatro bellico, perché possono solo incrementare le vittime e prolungare i combattimenti.

Incrementiamo gli sforzi diplomatici per evitare il terribile rischio di una guerra nucleare: chiediamo l’adesione dell’Italia al Trattato per la Proibizione delle Armi Nucleari (TPAN)

Chiediamo a gran voce che la Sardegna non sia base per la preparazione della guerra: vengano interrotti i test su nuovi sistemi d’arma e cessino le esercitazioni militari. Non vogliamo che sul suolo sardo vengano prodotti micidiali ordigni che vengono poi usati per massacrare le popolazioni civili qua e là nel mondo.

Accogliamo i profughi e le profughe che vengono dall’Ucraina come fratelli e sorelle e allo stesso modo accogliamo chi fugge da ogni guerra, senza distinzioni. Esprimiamo solidarietà e aiuto a chi in Russia e in Ucraina lotta per la pace e si rifiuta di partecipare a questo massacro e per questo subisce la repressione dei rispettivi regimi. Come loro anche noi rifiutiamo qualunque arruolamento e partecipazione alla guerra.

Appoggiamo le iniziative della società civile, dei movimenti laici e religiosi e di tutte le persone di buona volontà tese a far cessare la guerra e a ristabilire le condizioni per il dialogo e facciamo nostro l’insegnamento autorevole di Bergoglio che individua nella cura dell’ambiente e di ogni persona la strada per una piena umanità.


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domenica 27 marzo 2022

Dio è dalla nostra parte



articoli, video e canzoni di Carlo Rovelli, Donatella Di Cesare, Bob Dylan, Francesco Masala, Barbara Spinelli, Lucio Caracciolo, Matteo Saudino, Simone Siliani, Alessandro Ghebreigziabiher, Alessandro Orsini, Benedetta Piola Caselli, Peter Bloom, Andrea Zhok, Enrico Galavotti, Sergio Cararo, Enrico Euli, Domenico Gallo, Luciana Castellina, Alessandro Dal Lago, Marinella Correggia, Maria Chiara Franceschelli, Vincenzo Costa, Giulio Marcon, Alessandro Messina, Antonio Mazzeo, Andrea Staid, Guido Viale, Bernie Sanders

 

Quello che è successo, secondo me – Francesco Masala

 

Proviamo a immaginare un incontro di pugilato, la noble art, la chiama qualcuno, una guerra in quindici battaglie nella quale esistono delle regole (Muhammad Alì, splendido disertore, è stato un pugile immenso).

Le guerre guerreggiate non sono un arte così nobile (e agli assassini in divisa, e senza, gli arbitri, se non si possono comprare, non sono mai piaciuti, Dag Hammarskjold lo potrebbe testimoniare).

La guerra Russia-Ucraina è come un incontro di boxe clandestina, preparato per anni da chi organizza queste schifezze, fra un pugile-paese peso massimo e un pugile-paesecon una categoria di peso inferiore. La Russia da anni avvisava, nel deserto, che non avrebbe voluto combattere la guerra, che aveva delle richieste, più o meno legittime, che andavano discusse nelle sedi competenti.

Ma i boss degli incontri clandestini, senza regole, se non quelle, tenute nascoste, degli organizzatori stessi, avevano deciso da anni questa guerra, facendo sparire, o comprando, gli arbitri possibili, che per tempo avrebbero potuto risolvere ed evitare i problemi alla base della possibile guerra.

E quando i boss decidono qualcosa quello si fa, la guerra era stata decisa, addirittura gli organizzatori avevano stabiliti la data d’inizio.

Si capisce che quando l’incontro di boxe clandestina inizia quasi tutti danno la colpa a chi tira il primo colpo, soprattutto se è più grosso, e se poi la stampa (embedded) si concentra sulla povere vittime (il sangue fa crescere l’audience, si sa) è fatta, la colpa è di chi tira il primo colpo, gli organizzatori hanno raggiunto il loro obiettivo.

Nessuno si chiede più il perché e il come, chi lo fa è un nemico, viene sbeffeggiato ed emarginato, in tanti sensi, il tempo (sempre troppo tardi) dirà se chi fa domande è nemico della verità o della menzogna.

Vista da vicinissimo, foto, filmati, testimonianze e lunghe file della povera gente che scappa, sembra che la guerra sia tutta qui, tutto quello che è nascosto è invisibile e indicibile.

Gli organizzatori si sfregano le mani, morte e distruzione non li disturbano, anzi, è il loro pane quotidiano, Dio è dalla nostra parte, dicono, Bob Dylan* ce l’aveva detto e cantato...

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sabato 26 marzo 2022

Afghanistan: scuole chiuse per le ragazze - Matteo Saudino

 

Il "compleanno" di Pasolini. Ricordi di un lettore - Enzo Rega

  

   Il 5 marzo 1922 nasceva Pier Paolo Pasolini. E io non posso dimenticare quel 2 novembre 1975 che poneva fine alla straordinaria esistenza di un poeta - uno di quelli, disse Moravia nella sua orazione al funerale, che nascono una volta in un secolo. Io ho diciassette anni, sono davanti al televisore acceso, inizia il Tg con una foto di Pasolini. E' chiaro che è successo qualcosa. Nel ricordo successivo a lungo collocavo la visione di quel Tg al rientro da scuola. ma non era possibile per due motivi: il 2 novembre era vacanza, e quell'anno cadeva di domenica.

   Conoscevo già Pasolini: ero un pasoliniano della prima ora, della mia prima ora, quando non era scontato esserlo. Un insegnante di lettere, al liceo, una mattina aveva detto che uno come lui sarebbe stato meglio non fosse mai nato; e io avevo avuto, tra i banchi, un istantaneo ed esplicito moto di stizza. Un'altra insegnante, pur amata e apprezzata, aveva commentato la scelta di un collega di introdurre al quarto ginnasio gli Scritti corsari al posto dell'Eneide (che allora si leggeva nella cinquecentesca e indigesta traduzione di Annibal Caro - "traduttor dei traduttor di Omero"); il libro di un "degenerato". Era stato invece un professore di religione - un giovane sacerdote - ad aprirci altri spiragli su Pasolini, e a dirci che in quegli anni il poeta di Casarsa era il solo a proclamare pubblicamente la propria omosessualità. 

   Conoscevo già Pasolini in vita, anche se non avevo ancora letto nessun suo libro. Com'è che lo conoscevo? Mi capitava di leggere qualche suo articolo su quotidiani e riviste. Ricordo quando Piero Ottone lo volle al "Corriere della sera" all'inizio del 1973 - e allora di anni non ne avevo ancora quindici, e frequentavo il quarto ginnasio al Liceo "Rosmini" di Palma Campania, il liceo dove sono tornato a insegnare e dove con Pasquale Gerardo Santella, nel 2005, dedicammo un progetto scolastico allo scrittore corsaro. Lo seguivo, Pasolini, nelle interviste di Enzo Biagi in televisione, o in una puntata di "Controcampo" nel 1974 nella quale ribadiva il suo concetto di "omologazione". E sentirlo parlare, con quella precisione, era come leggerlo. E in quella trasmissione, o in un'altra, lo sento dire che considera buona letteratura la propria: e questa (auto)affermazione mi colpisce per la consapevolezza senza false ipocrisie che un intellettuale ha del proprio lavoro. 

   E poi avevo visto già alcuni film in televisione. E, probabilmente, le prime volte senza sapere chi fosse Pasolini: i film più popolari come Il vangelo secondo Matteo del 1964, che allora veniva spesso trasmesso a Natale o a Pasqua, e Uccellacci e uccellini del 1966 con Totò, E quindi visto quella prima volta per Totò. Film guardati con tutta la famiglia: e ricordo ancora la sera che costrinsi mio padre a vedere il per lui incomprensibile Medea con la stupenda Maria Callas.  Mentre solo con mia sorella - in quegli anni giovani, una delle persone con cui condividevo le scoperte culturali - devo aver visto, al televisore piccolo - un Brionvega rosso - Accattone. E solo pochi mesi fa sono stato al Pigneto, dove sono state girate alcune scene del film, tra cui quella della morte del protagonista. Che anno era? Pasolini era già stato trucidato oppure no? Come ricordarlo, adesso? Il confronto con i libri - per dire che non si trattava di una mera trasposizione dai due romanzi borgatari dei quali rimaneva piuttosto l'ambientazione - l'ho potuto fare allora, e quindi Pasolini era già morto, perché i libri li ho letti solo in seguito -, o questo confronto è avvenuto soltanto a posteriori: il film visto con Pasolini vivo e i romanzi letti dopo? Non posso dirlo.

   Posso dire solo che il film mi sembrò poesia, anche nel senso che le riprese e il montaggio mi sembrarono scanditi metricamente. Per cui con fastidio sentii l'affermazione fatta molti anni più tardi da Franco Zeffirelli, secondo il quale con il passaggio di Pasolini al cinema la poesia aveva perso un poeta e il cinema non aveva guadagnato un regista. Per me, il poeta rimaneva poeta ed era un regista dallo sguardo particolare, che sapeva isolare in un suo spazio ogni inquadratura.

   I libri. Ecco, i libri sono arrivati dopo, poco dopo quel '75 che stava andando a finire con la morte novembrina di Pasolini. Dal 5 al 16 giugno 1976 ho letto Una vita violenta, in una copia prestatami da Pino Ionta (oggi psichiatra) che credo avesse a sua volta presa in prestito in biblioteca (forse a Sarno, dove facevamo periodiche incursioni), Dal 5 al 26 novembre 1977 ho letto invece Ragazzi di vita. Perché così tanto tempo tra l'uno e l'altro? Letti cronologicamente a ritroso, e pur a distanza, i libri, con il film, furono un'agnizione su un mondo sconosciuto e una finestra su quella realtà sottoproletaria che - ingannandosi - Pasolini considerava potenzialmente rivoluzionaria rispetto a tutti gli altri ceti - compresa la classe operaia - ormai irrimediabilmente imborghesiti. Al di là di questo - ma a questo collegato - fu la scoperta del dialetto come lingua popolare-e-letteraria, a fare il paio, il romanesco, con il siciliano dei Malavoglia di Verga (copia prestatami  nel novembre 1975 - sì, poco dopo la morte di Pasolini, da Giovanni D'Onofrio, allora mio compagno di banco e oggi neurochirurgo). Su quelle letterature, e sul napoletano di Eduardo De Filippo, improvvisai una lezione per alcune alunne di una 5 classe ACI, ovvero assistenti di comunità d'infanzia, a Breno in Valcamonica: doveva essere la primavera del 1988, e lì insegnavo psicologia, non lettere, ma tant'è.

Poi venne la lettura delle poesie (alcune anticipate dalle antologie scolastiche, e poi in volume): Le ceneri di GrasmciLa religione del mio tempo (nei Grandi libri Garzanti, dal riquadro verde), L'usignolo della Chiesa Cattolica (nell'edizione Einaudi). Ormai ai tempi dell'università.

E in Valcamonica l'acquisto, nel 1987 o 1988, della copia degli Scritti corsari uscita con una rivista, a recuperare articoli letti a suo tempo o dibattiti sentiti aleggiare. Letto, quel libro, nel soggiorno assolato quasi in riva all'Oglio in una lontana stagione. Nel frattempo, con i miei anni, scorrevano gli altri suoi film (stupendo l'episodio de La ricota), fino al fermo-immagine all'idroscalo di Ostia (quel monumento dimenticato restituitoci da Nanni Moretti con il sottofondo struggente del Concerto di Colonia di Keith Jarrett). 

In quegli anni ancora giovani (metà Novanta) dovevo registrare la passione pasoliniana di una giovanissima fidanzata bergamasca. E in questi anni adulti condividere passione e ideologia con la moglie siciliana, qui, fronte Vesuvio, dove da tempo ho fatto ritorno. Ah: una moglie conosciuta andando a Messina per presentare all'Horcynus Festival, diretto da Franco Jannuzzi a cui debbo la conoscenza della futura consorte, un numero della rivista "Quaderni di Cinemasud" a Pasolini dedicato. Tutto torna... Futura consorte che precedentemente aveva vissuto per quasi dieci anni in Friuli, a Spilimmbergo e a Fanna, che dista dieci chilometri da Casarsa della Delizia, il paese della madre di Pasolini, dove Pier Paolo è vissuto diverso tempo imparando e scrivendo il friulano (il friulano che per lui, giovane poeta sotto l'influenza dei simbolisti francesi, è la lingua pura"). Ecco, tutto torna, di nuovo...
      E vorrei ritrovare quella foto di Pasolini al tavolo di lavoro che a lungo mi ha seguito negli spostamenti, qui facendo ritorno, e qui - temporaneamente - scomparendo tra carte. 

   E vorrei ritrovare, tra quelle carte, anche il racconto che scrissi, Trascendente immaginario,  quando un noto settimanale pubblicò le foto del corpo martoriato di Pier Paolo. Scritto al e al quale tengo, come ai lungi articoli per "L'Indice" nel 2005 e nel 2015, in due ricorrenze. Trascendente perché immaginavo che Pasolini e Gramsci se ne stessero ora insieme, in un qualche aldilà, a parlare di popolo e rivoluzione, mentre in un angolo se ne stava, a guardarli, sant'Agostino. Agostino d'Ippona c'era entrato perché dovevo dare - o avevo appena dato - un esame all'università in cui si portavano le Confessioni. E mi pareva non ci stesse male, anche lui, in quella compagnia, un "usignolo della chiesa cattolica", di quel mondo contadino che Pier Paolo rimpiangeva. Con-e-contro Gramsci. Altro mio punto fermo, Gramsci. Ma è un altro discorso. O forse no.

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venerdì 25 marzo 2022

Guerra senza fine?

 Finché c’è guerra c’è speranza? e per chi? – Francesco Masala

cosa possiamo sperare, in Italia, se i padri (ig)nobili di un partito al governo  – partito che ha lo stesso nome di quello della guerrafondaia Hillary Clinton – sono a libro paga di una delle più grandi imprese europee che fa i soldi con le guerre?

ultimo arrivo: leggi qui

possiamo pensare che siano impegnati a promuovere la pace?

possiamo pensare che siano interessati alla vita dei poveri ucraini, se finché c’é guerra c’é speranza di fare ancora più soldi?

canta un premio Nobel (*):

Lasciate che vi faccia una domanda
il vostro denaro è così potente
che pensate potrà comprarvi il perdono?

Io penso che scoprirete
quando la morte chiederà il suo pedaggio
che tutto il denaro che avete fatto
non riscatterà la vostra anima

E spero che voi moriate
spero che la vostra morte arriverà presto
seguirò la vostra bara
nel pomeriggio opaco
veglierò mentre siete sepolti
sotto il vostro letto di morte
e resterò sulla vostra tomba
finché sarò sicuro che siete morti.


 

Intervista a Noam Chomsky: i colloqui di pace in Ucraina “non andranno da nessuna parte” se gli Stati Uniti continuano a rifiutarsi di aderire

Mentre la Russia intensifica il suo assalto all’Ucraina e le sue forze avanzano su Kiev, i colloqui di pace tra le due parti dovevano riprendere il 14 marzo, poi sono stati rinviati un’altra volta al 15 marzo. Sfortunatamente, alcune opportunità per un accordo di pace sono già state sprecate, quindi è difficile essere ottimisti su quando la guerra finirà. Indipendentemente da quando o come finirà la guerra, tuttavia, il suo impatto si fa già sentire in tutto il sistema di sicurezza internazionale, come mostra il riarmo dell’Europa. L’invasione russa dell’Ucraina complica anche la lotta urgente contro la crisi climatica. La guerra sta avendo un pesante tributo sull’Ucraina e sull’ambiente, ma offre anche all’industria dei combustibili fossili una leva in più tra i governi.

Nell’intervista che segue, l’accademico e dissidente di fama mondiale Noam Chomsky condivide le sue opinioni sulle prospettive di pace in Ucraina e su come questa guerra possa influire sui nostri sforzi per combattere il riscaldamento globale.

Noam Chomsky, riconosciuto a livello internazionale come uno dei più importanti intellettuali viventi, è autore di circa 150 libri e destinatario di decine di premi prestigiosi, tra cui il Sydney Peace Prize e il Kyoto Prize (l’equivalente giapponese del Premio Nobel), e di decine di dottorati honoris causa dalle università più rinomate del mondo. Chomsky è Professore Emerito al MIT e attualmente Professore Emerito presso l’Università dell’Arizona.

C.J. Polychroniou: Noam, mentre un quarto round di negoziati doveva svolgersi oggi (14 marzo u.s., ndr) tra i rappresentanti russi e ucraini, ora è rinviato a domani (15 marzo u.s., ndr) e sembra ancora improbabile che la pace in Ucraina possa essere raggiunta presto. Gli ucraini non sembrano volersi arrendere e Putin pare determinato a continuare la sua invasione. In tale contesto, cosa pensa della risposta del presidente ucraino Volodymyr Zelensky alle quattro richieste fondamentali di Vladimir Putin, che erano (a) cessare l’azione militare, (b) riconoscere la Crimea come territorio russo, (c) modificare la Costituzione ucraina per sancire la neutralità, e (d) riconoscere le repubbliche separatiste nell’Ucraina orientale?

Noam Chomsky: Prima di rispondere, vorrei sottolineare la questione cruciale che deve essere in prima linea in tutte le discussioni su questa terribile tragedia: dobbiamo trovare un modo per porre fine a questa guerra prima che si intensifichi, possibilmente fino alla totale devastazione dell’Ucraina e fino ad inimmaginabili e ulteriori catastrofi. L’unico modo è un accordo negoziato. Piaccia o no, questo deve fornire una sorta di via di fuga per Putin, o accadrà il peggio. Non la vittoria, ma una via di fuga. Queste preoccupazioni devono essere al primo posto nelle nostre menti.

Non credo che Zelensky avrebbe dovuto semplicemente accettare le richieste di Putin. Penso che la sua risposta pubblica il 7 marzo sia stata giudiziosa e appropriata.

In queste osservazioni, Zelensky ha riconosciuto che l’adesione alla NATO non è un’opzione per l’Ucraina. Ha anche insistito, giustamente, sul fatto che le opinioni delle persone nella regione del Donbass, ora occupata dalla Russia, dovrebbero essere un fattore cruciale nel determinare una qualche forma di accordo. In breve, sta ribadendo quello che molto probabilmente sarebbe stato un percorso per prevenire questa tragedia, anche se non possiamo saperlo, perché gli Stati Uniti si sono rifiutati di provarci.

Come si è capito da molto tempo, decenni in effetti, per l’Ucraina entrare a far parte della NATO sarebbe un po’ come se il Messico si unisse a un’alleanza militare guidata dalla Cina, ospitando manovre congiunte con l’esercito cinese e mantenendo armi puntate su Washington. Insistere sul diritto sovrano del Messico a farlo sarebbe oltremodo stolto (e, fortunatamente, nessuno solleva una tale istanza). L’insistenza di Washington sul diritto sovrano dell’Ucraina di aderire alla NATO è ancora peggiore, poiché pone una barriera insormontabile alla risoluzione pacifica di una crisi che è già un crimine sconvolgente e che presto diventerà molto peggiore se non risolta mediante negoziati a cui Washington si rifiuta di aderire.

Questo atteggiamento riguardo alla sovranità appare del tutto incoerente rispetto allo spettacolo caricaturale che dà di sé il leader mondiale del disprezzo sfacciato per questa dottrina, dileggiata in tutto il Sud del mondo, sebbene gli Stati Uniti e l’Occidente in generale, millantino la loro impressionante disciplina e si atteggino a difensori della sovranità, o almeno fingano di farlo.

Le proposte di Zelensky riducono notevolmente il divario rispetto alle richieste di Putin e offrono l’opportunità di portare avanti le iniziative diplomatiche intraprese da Francia e Germania, con un limitato sostegno cinese. I negoziati potrebbero avere successo o potrebbero fallire. L’unico modo per scoprirlo è provare. Naturalmente, i negoziati non andranno da nessuna parte se gli Stati Uniti persisteranno nel loro ostinato rifiuto di aderire, sostenuti dal commissariato virtualmente unito, e se la stampa continuerà a insistere affinché il pubblico rimanga all’oscuro rifiutandosi persino di riportare le proposte di Zelensky…

(Traduzione dall’inglese di Veronica Tarozzi. Revisione di Thomas Schmid.)

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articoli di Noam Chomsky, Luciano Canfora, Alessandro Robecchi, Disarmisti esigentiSandro Curatolo, Salvatore PaliddaBenedetta Piola Caselli, Avvocato di strada, Maurizio AcerboAntonio Tricarico, Stefano Galieni, Manifesta, Gianni Lixi, Vittorio Di Giuseppe, Pino Cabras, F. William Engdahl, Michele Bollino, Roberto Lovattini, Benito d’Ippolito, Stefano Fassina, Peace Brigades International, Comidad, Francesco Masala, Bob Dylan, Andrea Masala, Edoardo Sanguineti, Aldo Zanchetta, Riccardo Gianola, Mauro Biglino, Branko Marcetic, Vincenzo Costa, Edoardo Bennato e Franco Cardini



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