Capitale
umano
Insieme di capacità, competenze, conoscenze, abilità professionali e relazionali possedute in genere dall’individuo, acquisite non solo mediante l’istruzione scolastica, ma anche attraverso un lungo apprendimento o esperienza sul posto di lavoro e quindi non facilmente sostituibili in quanto intrinsecamente elaborate dal soggetto che le ha acquisite. Pur non potendo essere misurate univocamente, le componenti del c.u. determinano tuttavia la qualità della prestazione erogata dal detentore, concorrendo ad aumentare la produttività di un’impresa e a qualificarla, influenzandone i risultati.
Dizionario di Economia e Finanza, Enciclopedia Treccani (2012)
Di fronte alla chiusura delle scuole, da più parti si è rivendicata la loro
importanza per la formazione del capitale umano; si è invocata la necessità di
un loro rilancio in modi nuovi, che rendano possibile una più proficua
disponibilità di capitale umano. Questo comporta una messa in opera di
competenze orientate verso un know how, attitudini collaborative,
capacità di lavoro in gruppo, tutto ciò che è essenziale per ogni genere di
attività economica, per sviluppare produttività, innovazione, competitività. Il
futuro del paese e della sua economia dovrà far leva su nuove generazioni
dotate di adeguate competenze da mettere in opera nell’universo della
competizione universale: l’educazione dei giovani, la prospettiva su cui deve
proiettarsi la loro esistenza, dovrà condurli ad essere componenti interne
dello sviluppo economico, pedine funzionali della produttività e dell’accumulo
del capitale. Non so quando la formula di capitale umano,
sviluppatasi negli studi di economia a partire dagli anni Sessanta del secolo
scorso, sia entrata nell’uso pedagogico e scolastico. Posso ipotizzare che in
riferimento alla scuola essa abbia cominciato ad affacciarsi negli anni
Novanta, quando è diventata sempre più insistente (anche da parte di certi
politici della sinistra) la richiesta a ogni ordine di scuola di garantire
adeguati sbocchi lavorativi, di produrre competenze «spendibili sul mercato del
Iavoro». Ma certo l’espressione sembra risultare da una sorta di distorsione
linguistica: mette insieme un sostantivo e un aggettivo che a un semplice buon
senso possono apparire semanticamente opposti, addirittura contraddittori, costituendo
quasi un ossimoro, o comunque collegando intimamente lo spazio semantico del
denaro e della ricchezza a quello dell’umanità.
Giulio Ferroni, Una scuola per il futuro
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