mercoledì 2 marzo 2022

non solo Ucraina

 



Non solo Ucraina. Tutte le guerre del mondo - Gianluca Cicinelli


Quando il fisico Carlo Rovelli ci rimprovera giustamente - perchè, come scrive partendo dal conflitto in Ucraina, "Condanniamo l’aggressione, condanniamo la guerra. Una condanna sincera della guerra è una condanna di tutte le guerre. Non possiamo essere pacifisti solo per le guerre che non iniziamo noi"  - non si rivolge a quelli che le guerre le denunciano tutti i giorni e con esse la vendita di armi. Si rivolge alle anime belle che finchè il conflitto non esplode alle porte di casa se ne fregano allegramente, politica compresa, del resto del mondo. Ecco allora un elenco quasi completo dei conflitti in corso, a cui potete unire questi due link come consultazione.
Qui trovate una cartina geografica interattiva che descrive i conflitti, aggiornata al 18 febbraio 2022.
Qui invece la ricerca dell'osservatorio tedesco Heidelberg Institute, aggiornato al 2019.

NB Il post di Revelli viene usato da qualcuno per dire che Rovelli intendeva offrire sostegno a Putin il che è una cretinata colossale, visto l'impegno da sempre di Rovelli per la pace.

ACEH
Aceh è una provincia autonoma dell'Indonesia, situata nell'estremità settentrionale dell'isola di Sumatra. Dal 1976 è teatro di una guerra tra i ribelli del Movimento Aceh Libero (GAM) e l'esercito indonesiano. I morti, secondo le fonti più accreditate, sono almeno 12mila, ma altre fonti parlano di 50mila, o addirittura 90mila.

AFGHANISTAN
Osama Bin Laden è stato giudicato il responsabile degli attentati dell'11 settembre 2001 contro le Twin Towers e il Pentagono. La reazione degli USA i dei loro alleati è sata di abbattere il regime del Mullah Omar e dei Talebani, accusati di nascondere Bin Laden. Nonostante la morte del leader talebano, il conflitto procede da 20 anni, e i morti sono più di 186mila, la maggior parte dei quali civili. Solo nel 2020-21 le vittime sono state più di 50mila. Il 15 agosto 2021 i talebani sono rientrati in forze a Kabul.

ALGERIA
Intorno alla seconda metà degli anni '90 sanguinose stragi commesse dagli estremisti islamici si contrapponevano a violente controffensive da parte dell'esercito governativo. Dopo 100.000 morti (150.000 secondo bilanci indipendenti) la guerra non è ancora conclusa, sebbene attualmente stia attraversando una fase di relativa tranquillità.

BURUNDI
L'ultimo decennio di guerra tra le due maggiori componenti etniche del Burundi, i Tutsi e gli Hutu, iniziato nel 1993, ha provocato almeno 300.000 morti e un milione di sfollati. Dopo un'interruzione nel 2004, sono ricominciate le guerre civili etniche.

BRASILE
È attualmente in corso una vera e propria guerra tra i cartelli della droga e il governo. Nell'ultimo anno le vittime del conflitto sono state più di 5mila.

COLOMBIA
Da quasi quarant'anni la Colombia è sconvolta da una sanguinosa guerra civile tra governo, paramilitari e gruppi ribelli di estrema sinistra. All'origine di questo conflitto (300.000 morti) vi è una enorme disparità sociale tra classi dirigenti e popolazione. Un'altra parte in gioco, in una situazione già complessa, sono i potenti cartelli della droga. Gli scontri di quest'anno hanno prodotto quasi 700 vittime.

CONGO R. D.
Una "Guerra Mondiale Africana", come è stata definita, che vede combattersi sul territorio congolese gli eserciti regolari di ben sei Paesi per una ragione molto semplice: il controllo dei ricchi giacimenti di diamanti, oro e coltan del Congo orientale. Almeno 350mila le vittime dirette di questo conflitto, 2 milioni e mezzo contando anche i morti per carestie e malattie causate dal conflitto. Gli eventi violenti sono stati quasi duemila quest'anno e hanno causato la morte di circa 4.500 persone.

COSTA D'AVORIO
La Costa d'Avorio, ex colonia francese, conquistò l'indipendenza il 7 agosto 1960 e il 27 novembre dello stesso anno venne eletto presidente Felix Huophouet-Boigny, che governò lo Stato africano per sette mandati consecutivi rimanendo in carica sino alla sua morte nel dicembre 1993. Dopo un decennio di guerra civile nel 2003 sono stati firmati accordi di pace, ma la situazione è rimasta instabile, nonostante le prime elezioni libere del 2010.

EGITTO
Nella penisola del Sinai, da alcuni anni a questa parte il governo egiziano si è spesso scontrato con gruppi di fondamentalisti islamici armati.

ERITREA-ETIOPIA
Dopo una guerra trentennale (1962-1991), l’Eritrea ottiene finalmente la propria indipendenza dall’Etiopia nel 1993. Senza però stabilire confini chiari e definitivi. Dopo un rapido deterioramento dei rapporti tra i due Paesi, nel 1998 le truppe di Asmara decidono di varcare il confine, dando inizio a una guerra a tutto campo (1998-2000). Dopo 2 anni di conflitto e decine di migliaia di vittime (più di 70.000), Etiopia ed Eritrea cessano le ostilità e si affidano all’Onu ma i due Paesi sono ancora ben lontani dall’aver trovato un accordo.

FILIPPINE
Dal 1971 i musulmani di Mindanao hanno iniziato una lotta armata per l'indipendenza dell'isola. La guerra tra l'esercito di Manila e i militanti del Fronte di Liberazione Islamico dei Moro (MILF) ha causato fino ad oggi 150mila morti. Nell'ultimo anno sono stati più di 1.500.

KASHMIR
La rivolta del Kashmir, ancora in pieno svolgimento nonostante le incoraggianti iniziative di pace, è iniziata nel 1989 e ha sempre rappresentato una guerra per procura tra i due colossi asiatici Pakistan e India (che dispongono anche di testate atomiche).

KURDISTAN
È più di mezzo secolo che i kurdi distribuiti tfra Turchia, Siria, Iraq e Iran auspicano la nascita di uno Stato kurdo. Nemmeno l’arresto di Ocalan - il leader del PKK Partito dei lavoratori curdi fondato nel 1973 su forte ispirazione marxista - ha interrotto i conflitti ulteriormente aggravati dal conflitto in Iraq.

NEPAL
I guerriglieri maoisti del Nepal sono in lotta contro la monarchia costituzionale del re Gyanendra (creduto l’incarnazione del dio Visnhu) dal 1996. 8000 le vittime in tutto l’arco del conflitto. Scontri a fuoco, rapimenti, attentati ed estorsioni avvengono quotidianamente.

NIGERIA
La Nigeria è divisa in oltre 250 gruppi etnici-linguistici diversi. Le religioni principali sono il Cattolicesimo e l'Islam, ma anche molte religioni tradizionali dell'Africa: queste differerenze  sono alla base dei conflitti sviluppatisi. Negli ultimi anni le violenze più grandi provengono dal gruppo terroristico Boko Haram; più di 5mila le vittime nell'ultimo anno.

REPUBBLICA CENTRAFRICANA

Dal 25 ottobre 2002 la Repubblica Centrafricana è stata dilaniata da una guerra civile che oppone i ribelli di François Bozizé, ex-capo delle forze armate, al presidente Félix Patassé, morto nel 2011. La guerra civile continua anche dopo la morte del leader. Gli scontri hanno causato circa 500 vittime tra il 2019 e il 2020.

SIRIA
Dal 2011 la Siria è dilaniata da una guerra civile, iniziata con l'obiettivo di ottenere le dimissioni del presidente Bashar al-Assad. A questo conflitto si è aggiunta la presenza e l'attività dello Stato Islamico. Secondo alcune stime, i morti finora sarebbero più di 300.000. Nell'ultimo anno in questa regione sono morte più di 13.500 persone.

SOMALIA
Dopo l'uscita di scena del presidente Siad Barre nel 1991, è iniziata una violentissima guerra di potere tra i vari clan del Paese, guidati dai cosiddetti "signori della guerra”. Una spirale di violenze che, fino ad oggi, ha provocato quasi mezzo milione di morti. Dal 2006 le forze governative di Somalia e Kenya combattono contro il gruppo di militanti islamisti Al-Shabaab. Tra il 2019 e il 2020 sono morte più di 3.700 persone.

SUDAN
La guerra civile in Sudan è in corso ormai da 20 anni. Nel Darfur, un'area grande quasi due volte l'Italia, è in corso un violentissimo conflitto fra gruppi armati locali e milizie filo-governative. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità dal marzo 2003 sono morte circa 70.000 persone. Attualmente nel Darfur muoiono circa 10.000 persone al mese.

UGANDA
Una guerra civile che prosegue da più di 20 anni e che ha provocato una grave crisi economica. L'LRA è la forza ribelle che terrorizza le province del nord dell'Uganda fin dal 1987, abitate dagli Acholi, ai confini con il Sudan. Ed è proprio in Sudan che gli Olum ("erba" così vengono chiamati in lingua Acholi) hanno le loro basi e da lì partono molti dei loro attacchi.

YEMEN
La situazione politica dello Yemen, attualmente il Paese più povero del mondo, è molto complessa. Da una parte, vi è un conflitto tra i ribelli sciiti Houthi e il governo di Abed Rabbo Mansour Hadi, appoggiato dall’Occidente. Ciò ha prodotto l'intervento nel Paese dell'Arabia Saudita (sunnita) che teme una vittoria dei ribelli possa portare a un rafforzamento della minoranza sciita nel territorio saudita. Vi è poi un secondo conflitto: quello fra i terroristi di al-Quaeda, che nello Yemen hanno la cellula più potente (AQAP), e il governo sostenuto dagli Stati Uniti. I numeri delle vittime sono altissimi: solo nell'ultimo anno  21.768.

IRAQ
La crisi riguardo l'orientamento politico del Paese è degenerato in una guerra tra l'opposizione e il governo.

ISRAELE-PALESTINA
Un lungo conflitto, che affonda le sue radici nel dopoguerra,cioè il 14 maggio del 1948, quando Ben Gurion dichiarò l'indipendenza di Israele, dopo la decisione delle Nazioni Unite di dividere la Palestina in uno Stato arabo e in uno ebraico. Dopo oltre mezzo secolo di guerre e di patti storici, di atti terroristici e di speranze di pace andate in fumo, il sogno di "due popoli due Stati" resta purtroppo ancora un'utopia.

LIBIA
Nel 2014 è scoppiata una seconda guerra civile tra due coalizioni. Poco dopo è intervenuto anche lo Stato Islamico.  Il Paese è diviso in sei aree controllate dai diversi gruppi locali

 

 

Sei parole per riportare subito la pace - Patrick Boylan

 

…Nel 1962, quando l'allora URSS cercò di installare i suoi missili a Cuba, proprio accanto agli Stati Uniti, l'allora Presidente Kennedy minacciò la terza guerra mondiale. Fece alzare in volo i suoi bombardieri nucleari come avvertimento. E ciò è bastato, insieme allo smantellamento di una base missilistica USA in Turchia, per convincere l'URSS a non costruire le sue basi a Cuba.

Come mai un uomo come Kennedy, agli antipodi di un Putin, ha voluto mostrare i muscoli in quella maniera così prevaricatrice e pericolosa? L’ha fatto perché nessun paese vuole missili nucleari sulla propria frontiera, dove possono colpire qualsiasi sua città in pochi minuti.

E’ verosimile che gli strateghi di Washington sapessero benissimo che nemmeno Putin avrebbe tollerato l’installazione di missili nucleari sotto il suo naso. Ma circa un anno fa, hanno annunciato comunque il loro progetto di espansione all’Est. Un annuncio, dunque, chiaramente provocatorio.

Come prima risposta, Putin ordinò “esercizi militari” lungo la frontiera russa con l’Ucraina, per mostrare i muscoli e per far capire ciò che la Russia sarebbe pronta a fare qualora la NATO dovesse cercare di inglobare l'Ucraina. Avvertimento che fu totalmente ignorato da Washington e dalla NATO.

Nei mesi successivi, Putin aumentò vistosamente il numero delle sue truppe. Ma Washington continuava a fare orecchie da mercante fino a lanciare lo scorso dicembre, nei media internazionali, la sua versione dei fatti con un articolo apparso sul Washington Post.

Secondo il Pentagono, la NATO non stava affatto provocando Putin; i missili che intende installare lungo la frontiera ucraina-russa sarebbero semmai puntati sull’Iran [sic], non su Mosca. Che problema c’è, allora? Di conseguenza, l’incremento delle truppe russe lungo la frontiera ucraino-russa risulta senza giustificazione e semmai la prova che la Russia sta progettando di invadere e di conquistare l’Ucraina, per ricostituire il vecchio URSS. Fine articolo.

L’affermazione del Pentagono su una presunto piano russo di invasione, allora gratuita, risultò poi una profezia che è autoavverata.

A lungo andare, Putin, esasperato, effettivamente perse le staffe e, alla fine, fece il passo falso che conosciamo. Ordinò alle sue truppe, schierate inizialmente al solo scopo intimidatorio, di invadere l’Ucraina – ma non per conquistare e inglobare l’Ucraina secondo la narrativa statunitense, bensì per portare al potere a Kiev un “Presidente amico” e poi andar via. Un Presidente amico che avrebbe escluso la NATO dall’Ucraina e che avrebbe fatto cessare i bombardamenti dei russofoni del Donbass.

Portare al potere un “Presidente amico” è esattamente ciò che la NATO ha fatto tantissime volte negli ultimi trent’anni: in Jugoslava, in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria (dove non è ancora riuscito, però). Il problema è che ciò che l’Occidente considera legittimo, quando a farlo è la NATO, viene impietosamente condannato quando a farlo è la Russia.

Per esempio, quando la NATO ha invaso l’Iraq per garantire la propria sicurezza contro le (fantomatiche) armi di distruzione di massa irachene, l’ha fatto come “peacekeeper”, non come aggressore. Quando la NATO ha rovesciato il Capo di Stato della Libia perché egli sparava sui propri cittadini, l’ha fatto a titolo di “regime change” umanitario, non di ingerenza in un paese sovrano. (Notate come, nei comunicati stampa in lingua italiana, le nefandezze vengono sempre mascherate con parole inglesi, incomprensibili ai più.)

Mentre quando Putin ha invaso l’Ucraina per garantire la propria sicurezza (contro i missili nucleari NATO) e per impedire che il governo ucraino continuasse a sparare sui propri cittadini russofoni, il suo gesto è stato chiamato “flagrante violazione del diritto internazionale” (notate il perfetto italiano) e meritevole delle più severe sanzioni.

Non c’è dubbio: invadere un paese terzo, come ha fatto Putin, costituisce senz’altro una flagrante violazione del diritto internazionale e un attentato alla sovranità di uno Stato, da punire sì con severità. Solo che è del tutto surreale – e nauseante – sentire evocare questi bei principi da parte dei politici e dei generali dei paesi della NATO che li hanno calpestati senza scrupolo per decenni nei cinque paesi appena elencati e che continuano a calpestarli tranquillamente, oggi come oggi, nel Sahel e in altre parti dell’Africa. Senza che la stampa mainstream compiacente denunci le violazioni.

Sono questi stessi politici e generali che oggi mandano armi e forze speciali in Ucraina, a loro dire per “fermare il conflitto”. Mentre – come sappiamo dall’Iraq, dalla Siria e dall’Afghanistan – gli “aiuti” militari non faranno altro che prolungare un conflitto, facendo soffrire ancora di più la popolazione civile…

da qui

 

 

 

Contro la guerra, sempre. Contro l’egemonia Usa e Nato. Per un mondo multipolare - Giorgio Riolo

 

La guerra è un tragico catalizzatore. È la più grande politica di destra. Spegne il pensiero, la ragione, lo spirito critico. Alimenta istinti primordiali di sopraffazione, il tribalismo, lo sciovinismo. Arruola, inquadra, schiera, arma. “Noi” contro “loro”.

Dall’altra parte, induce donne e uomini di buona volontà a combattere con le armi spirituali della scelta etica, della cultura e della politica i soliti malvagi poteri che traggono profitto dalla guerra. Contro chi vuole sempre dominare, egemonizzare, contro i mercanti d’armi, il sempre attivo e feroce complesso militare-industriale.

Donne e uomini, la migliore umanità. La pace è sempre “pane, pace, lavoro”. È sempre a difesa dei deboli, di chi subisce morti, patimenti, distruzioni, stupri.

 

1. È in corso l’immane ipocrisia e la ributtante retorica dei sempiterni “valori occidentali”, della libertà e della democrazia, delle guerre umanitarie, della missione civilizzatrice dell’Europa, degli Usa e della Nato contro i barbari di sempre. Nell’Est e nel Sud del mondo. Prima contro i “comunisti” e poi semplicemente contro i “russi”.

La mente colonizzatrice agisce sempre, dalle Crociate alle nefandezze dell’olocausto IndoAfroAmericano, al colonialismo e all’imperialismo dell’epoca moderna.

I mass media si sono scatenati qui in Europa, in Occidente, con i giornalisti “democratici” in prima fila. A incitare, a disinformare, a reclutare. Un’impressionante manipolazione è dispiegata. L’impero del bene contro l’impero del male. Il baraccone massmediatico costituisce un braccio armato indispensabile.

Il barbaro, folle, ultracorrotto, despota, Hitler contemporaneo, Putin è il bersaglio. È la Russia che minaccia l’Occidente e non il contrario. La Nato essendo un pacifico consorzio di pacifici signori i quali, per esempio, ogni anno tengono manovre chiamate “Defender Europe”. Nell’ultima, maggio 2021, per due mesi, attorno alla Russia, 28.000 soldati e migliaia di mezzi, blindati, aerei, navi. La motivazione delle manovre  “contro una possibile aggressione in Europa da parte della Russia”.

 

2. Un poco di storia come retroterra. La Nato e l'atlantismo non hanno alcuna ragione d'essere. Allora. Ancor più dopo la fine dell'Urss e del cosiddetto socialismo reale nel 1991. È organismo sovranazionale di offesa. Contro l'Est, allora e oggi, e contro il Sud del mondo oggi. A guida e controllo totale Usa. Ed è lo strumento degli Usa per tenere l'Europa sotto scacco e ben schierata dietro di essa.

Con la fine dell’Urss, gli Usa e l’Occidente hanno voluto stravincere. Con lo smembramento dell’Unione Sovietica e con l’incitamento nazionalistico (come avverrà poi in Jugoslavia). Con il corrotto Boris Eltsin, a loro asservito, e con le bande oligarchico-mafiose imperversanti nei tragici dieci anni 1991-2000. A causa del capitalismo selvaggio e della rovina di molta parte della popolazione russa. Umiliando letteralmente quella parte del mondo. Ha detto recentemente l'ammiraglio tedesco Kay-Achim Schönbach "Putin e la Russia chiedono rispetto". Semplice. Lo stesso ammiraglio subito fatto dimettere.

Il nostro Draghi, l’Unione Europea e il baraccone massmediatico all’unisono “la prima guerra in Europa dopo la seconda guerra mondiale”. Totalmente falso.

Nel 1999 la Nato a guida Usa, compresa l’Italia dell’allora governo D’Alema, aggredirono la Jugoslavia di Milosevič, ormai ridotta alla sola Serbia. La giustificazione fu la “guerra umanitaria” contro i serbi a difesa del Kosovo. 78 giorni di bombardamenti con 1.100 aerei, Usa e italiani in primo luogo. Bombardata Belgrado e nessuna immagine della popolazione terrorizzata nelle cantine. Come si fa oggi abbondantemente con gli ucraini. Ma i serbi erano “cattivi”, gli ucraini sono “europei” e buoni.

Nel tempo, la Nato si è allargata ai paesi ex Patto di Varsavia. Accerchiamento della Russia e grandi commesse militari da parte di questi paesi a vantaggio Usa. Mancava l’Ucraina.

Nel 2014 si inscena l’ennesimo “colpo di stato democratico” contro il presidente democraticamente eletto Janukovyč in Piazza Majdan a Kiev. Filorusso e quindi da eliminare. Con regia della Cia e con protagonisti i nazisti di Settore Destro e di Svoboda (dal nome di Stepan Svoboda, capo dei feroci collaborazionisti ucraini dei nazisti tedeschi nel 1941. Ogni anno nella innocente Ucraina si tengono sfilate per onorarlo).

Henry Kissinger dall’alto del suo sinistro realismo politico, in un articolo dello stesso 2014, metteva in guardia dal non portare la Nato sotto casa della Russia e di lasciare l’Ucraina come stato cuscinetto. Nel Donbass, la popolazione russofona nello stesso 2014 si ribella. La guerra nel Donbass ha fatto 14/15.000 morti e con protagonisti i nazisti del Battaglione Azov inquadrati nella Guardia Nazionale ucraina. Costoro hanno ammazzato vecchi inermi e hanno compiuto la strage di Odessa, dando fuoco alla sede del sindacato nella quale erano rinchiuse senza scampo 41 persone.

 

3. Putin e la Russia agiscono da puro realismo politico. Da stato-nazione e da richiamo nazionale e nazionalistico del ruolo storico svolto nel passato, dall'impero zarista e dalla potenza dell'Urss, o da svolgersi oggi e domani. Molto revanscismo dell’umiliazione subita. Nessuna giustificazione della guerra. Ma almeno la comprensione dei processi storici che determinano questi esiti nefasti.

 

4. Occidente contro Oriente e contro Sud. Prima la Russia, poi verrà la Cina. Armi all’Ucraina. La Germania si riarma, l’Italia sempre obbediente manda armi.

Non arruoliamoci e adoperiamoci per un mondo multipolare antiegemonico. Dove ogni popolo e ogni stato-nazione possano contare.

 

 

 

In piazza contro chi fa la guerra, chi la prepara, chi la desidera - Marco Bersani

Sabato 5 marzo la Rete Italiana Pace e Disarmo chiama tutte e tutti a una manifestazione nazionale a Roma contro la guerra. Dobbiamo esserci tutte e tutti, dobbiamo riempire le piazze della città con i nostri corpi, i nostri cuori e le voci di chi è da sempre contro la guerra senza se e senza ma.

“Le guerre sono fatte da persone che si uccidono senza conoscersi…per gli interessi di persone che si conoscono ma che non si uccidono” diceva Pablo Neruda. E’ ciò a cui assistiamo anche oggi in Ucraina, con l’ennesimo carico di morti, feriti, terrore e distruzione e le centinaia di migliaia di persone che fuggono disperatamente dal loro Paese.

Dobbiamo esserci contro chi fa la guerra. L’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo e del governo di Putin è totalmente inaccettabile. Va fermata subito, le truppe russe devono rientrare immediatamente nei propri confini. Su questo non ci possono essere ambiguità e chi pensa ancora che “il nemico del mio nemico è mio amico”, arrampicandosi sugli specchi per giustificare l’ingiustificabile, continua a non capire nulla della storia e del presente.

Dobbiamo esserci contro chi ha preparato la guerra. Nonostante ripetute dichiarazioni pubbliche e documenti ufficiali desecretati che dichiaravano l’impegno dei leader dei paesi occidentali a non estendere la NATO verso est “nemmeno di un pollice” (dichiarazione nel 1990 del Segretario di Stato Usa, Joseph Baker, all’allora Presidente sovietico Gorbaciov), tra il 2004 e il 2020 l’alleanza militare atlantica è passata da 16 a 30 Paesi membri, schierando armamenti offensivi in Romania, Polonia e nei Paesi Baltici, ai confini con la Russia. Anche su questo, non possono esserci ambiguità e i governi che oggi parlano di pace e democrazia contrapposte all’autoritarismo e all’oligarchia dovrebbero avere il coraggio di guardarsi allo specchio.

Dobbiamo esserci contro chi la guerra la desidera. Come leggere altrimenti il decreto approvato ieri dal governo Draghi, che stabilisce un nuovo stato di emergenza sino al 31 dicembre 2022, si appresta ad inviare armi e mezzi militari all’Ucraina, spazza via qualsiasi transizione ecologica riaprendo centrali a carbone e a olio combustibile? Sarebbe questo il fondamentale apporto del nostro Paese al ripristino della pace e della diplomazia?

Dobbiamo esserci per stare a fianco dei popoli ucraino e russo che non vogliono nessuna guerra, ma solo una vita dignitosa, e avendo nel cuore le pacifiste e i pacifisti russi, arrestati a migliaia, che continuano a scendere in piazza contro il loro governo.

Dobbiamo esserci per disertare la cultura della guerra, trasversale all’arco parlamentare, che ci vorrebbe arruolare per poterci silenziare, per abituarci a vivere nel pensiero unico del mercato e del dominio, per farci considerare normale che esistano vite degne e vite da scarto.

Dobbiamo esserci per dire a gran voce che un modello sociale capace solo di generare crisi eco-climatica, diseguaglianza sociale, pandemia e guerra va dichiarato insostenibile e radicalmente trasformato per garantire vita, dignità e futuro agli abitanti del pianeta.

É tempo di cura, non di profitti e di guerra.

da qui

 

 

Ciac sui profughi dall’Ucraina: “Frontiere aperte, abbandonare sistema emergenziale e puntare su accoglienza pubblica, integrata e diffusa”

In questi giorni la guerra è tornata a scoppiare nel cuore dell’Europa con il conflitto in Ucraina. Una situazione che ci lascia sgomenti e ci spinge, ancora di più, a chiedere che le armi tacciano immediatamente, insieme a tutti i pacifisti d’Italia e di Europa. Questa tragedia umanitaria ne provoca una seconda: stando alle prime stime delle Nazioni Unite sono già oltre  cinquecentomila le persone che hanno abbandonato il paese e, se l'escalation militare non si fermerà subito come chiediamo, si prevede l’arrivo in Europa di milioni di profughi ucraini o di migranti già presenti nel paese. In questo drammatico momento, come ente di tutela di cittadini migranti, chiediamo con forza che l’Europa e l’Italia abbandonino immediatamente la politica dei respingimenti alle frontiere e che si organizzi in tempi rapidi l’accoglienza di queste persone.


Prima di tutto, è necessario cambiare radicalmente strada rispetto a quanto avvenuto con l’emergenza Afghanistan: a 7 mesi di distanza la grande maggioranza delle persone evacuate sono ancora in strutture emergenziali perché il sistema ordinario pubblico Sai (Sistema di accoglienza e integrazione) non è stato messo nelle condizioni di rispondere tempestivamente: i posti dedicati sono tutt’ora pochissimi (solo tremila per cinquemila persone evacuate) e i tempi per affidare i servizi sono lunghissimi. Il Ministero dell’Interno e il governo non possono attuare lo stesso schema, facendo precipitare l’emergenza sui territori senza metterli in condizione di gestirla. Per questo, dal nostro punto di vista, è necessario ampliare immediatamente e in modo consistente la capienza del sistema dell’accoglienza integrata e diffusa e prevedere procedure che permettano a Comuni ed enti di tutela di accogliere da subito. 

Ora più che mai risulta insensato continuare a passare da un’emergenza all’altra (Siria, Libia, Afghanistan, ora Ucraina) senza una vera risposta strutturale. Non sono bastate, ci chiediamo, le crisi degli ultimi anni a far capire che risposte inadeguate e politiche emergenziali non risolvono il problema? Appare sempre più chiaro che, a fronte del possibile arrivo di decine di migliaia di profughi,  il sistema Cas è saturo e il sistema Sai è bloccato dalle indecisioni dei nostri governanti. Serve immediatamente, quindi, una politica di accoglienza vera e duratura, con impegni coerenti e tempestivi. 

Registriamo che in questa occasione anche i Sindaci di ogni parte politica, Lega compresa, hanno dichiarato la loro disponibilità ad accogliere i migranti. Ci auguriamo, quindi, che ogni Comune del nostro territorio dia seguito a queste parole con un impegno concreto. Allo stesso tempo istituzioni, enti locali e terzo settore devono reclamare a gran voce un sistema pubblico, semplificato nella burocrazia, che permetta di attivarsi in tempi rapidi, non tra sei mesi. 

A livello internazionale auspichiamo che le frontiere siano aperte per permettere sia agli ucraini sia ai tanti migranti presenti in quel paese, di poter accedere in sicurezza al territorio europeo. Inoltre, è fondamentale che l’Italia elimini l’Ucraina dall’elenco dei cosiddetti “paesi sicuri”, che rende oggi quasi impossibile ai cittadini ucraini – come a tutti coloro che provengono da stati presenti su questa lista - di ottenere protezione, poiché si suppone che il rimpatrio non li metterebbe in una condizione di pericolo.

Infine, chiediamo all’Unione Europea di attivare immediatamente la direttiva 55/2001 che consente di destinare risorse specifiche per l’accoglienza e introduce un permesso di soggiorno temporaneo europeo. Sarebbe un passo avanti fondamentale per permettere una vera accoglienza dei profughi che lasciano un paese dilaniato dalla guerra.


Come Ciac siamo pronti a fare la nostra parte per accogliere chi deciderà di lasciare l’Ucraina ma chiediamo a tutti i parmigiani di aiutarci: per mettere in pratica i progetti sono fondamentali gli appartamenti. Per questo invitiamo chiunque voglia mettere a disposizione una struttura a contattare il nostro centralino0521522080 o scriverci una mail a associazione@ciaconlus.org.

da qui

 


Un altro mondo è possibile, necessario, urgente - Olivier Turquet

 

Sono anni che lo diciamo.

E cosa diciamo?

Diciamo che con la violenza in ogni sua forma non si risolve nulla; men che mai con la forma più stupida della violenza, che è quella fisica delle armi.

Diciamo che non c’è nulla al di sopra dell’Essere Umano e questo vuol dire, tra l’altro, che i popoli hanno diritto all’autodeterminazione ma anche che è il profitto che domina le azioni umane e che questo genera violenza; che la violenza genera violenza in una spirale senza fine e che non c’è altro modo che rompere la catena della violenza.

Diciamo che non crediamo alle contrapposizioni, ai blocchi, alla divisione geopolitica; diciamo di più: aspiriamo a una Nazione Umana Universale, convergenza della meravigliosa diversità dei popoli, un posto dove le persone possano circolare liberamente, andare a vivere e lavorare dove gli pare. Un luogo di convivenza, di scambio, di dialogo, di ascolto, di comprensione.

Diciamo che condividiamo questi principi e queste idee con tutti e che la situazione attuale è così tragica e senza senso per aver perseguito, da parte dei potenti, altri valori ed altre intenzioni. E che la crisi è un buon momento per cambiare, per cominciare a trattarsi come si vorrebbe essere trattati.

Invitiamo noi stessi, ed ognuno a meditare profondamente quanto abbiamo appoggiato questi antivalori, il profitto, la guerra, la dis-umanità, la discriminazione, la violenza; e invitiamo a riconoscere la violenza dentro di noi e intorno a noi al fine di riconciliarci e trasformarla nella forza della nonviolenza, della ragionevolezza, della comprensione, della costruzione.

Ci sentiamo solidali con tutte le vittime delle guerre, famose o dimenticate, con chi soffre per la violenza in tutte le sue forme, per chi, nell’indifferenza dei potenti, sta morendo di fame, la più grande guerra contro la Vita.

Alziamo in alto, con orgoglio, non le bandiere nazionaliste ma la bandiera della nonviolenza, cantiamo l’inno di tutti i popoli, camminiamo tutte le marce per la pace e la nonviolenza.

Un altro mondo è possibile, necessario e urgente e i fatti di questi giorni lo rendono solo un po’ più evidente e debbono muovere i popoli e le persone nella direzione della costruzione di questo nuovo mondo.

E di fronte al nonsenso attuale che sorga in ognuno di noi e nei popoli non lo scoramento o la vendetta ma la luce profonda che dimora nel cuore di ogni Essere Umano.

da qui

 

 

 

Il totalitarismo di casa nostra - Vincenzo Costa

 

Al maestro Valery Gergiev è stato intimato dal sindaco Sala (PD) di condannare pubblicamente la politica di Putin. Adesso è stato estromesso dal concerto del 5 marzo. 

Il giornalista Rai Marc Innaro – reo di avere pronunciato la frase “basta guardare la cartina geografica per rendersi conto che chi si è allargato negli ultimi trent’anni non è stata la Russia, è stata la Nato“ –  ha fatto indignare il segretario del PD Letta, che ha chiesto la convocazione della commissione di vigilanza. 

Lo stesso per Sara Reginella, rea di avere detto che dal 2014 la popolazione russa del Donbass è stata duramente repressa. 

Questi giornalisti rischiano il posto di lavoro.

Ma non è questo il punto: il punto è che tutti stiamo accettando il fatto che siamo sotto osservazione, che se si devia dal pensiero liberal-progressista si è a rischio, si è criminalizzati, esclusi. 

Abbiamo accettato la criminalizzazione del dissenso: dissentire è diventato immorale. 

Non viene punito con il carcere: semplicemente il potere agisce attraverso la moralizzazione del discorso

Abbiamo accettato il totalitarismo come fosse normalità.

E' cambiata l'idea di sovranità. Sovrano non è neanche chi decide nello stato d'emergenza: Sovrano è chi decide che cosa è reale e definisce le condizioni del discorso.

da qui

 

 

Le conseguenze dell'umiliazione della Russia - Michael Brenner

 

Ieri, John Pilger uno dei più grandi giornalisti e documentaristi viventi ha scritto, riguardo all'articolo di Brenenr, sul suo profilo Twitter: Per coloro che sono interessati al "perché" dell'invasione illegale dell'Ucraina da parte della Russia, questo pezzo raro è consigliato.


La mafia non è nota per il suo uso creativo del linguaggio al di là di termini come "sicario", "vai a prendere i materassi"( frase tratta dal film 'Il Padrino', significa l'inizio di una guerra tra famiglie NDT,) "vivere con i pesci" e simili. Ci sono, tuttavia, alcuni detti concisi che portano una saggezza duratura. Uno riguarda l'onore e la vendetta: "Se hai intenzione di umiliare qualcuno pubblicamente in modo davvero grossolano, assicurati che non sopravviva per prendersi la sua inevitabile vendetta". Umilialo a tuo rischio e pericolo.  

Questa duratura verità è stata dimostrata dalle azioni della Russia in Ucraina che, in larga misura, sono il culmine delle numerose umiliazioni che l'Occidente, su istigazione americana, ha inflitto ai governanti russi e al Paese nel suo insieme negli ultimi 30 anni . 

È stato trattato come un peccatore condannato ad accettare il ruolo di un penitente che, vestito di sacco, segnato dalla cenere, dovrebbe apparire tra le nazioni a capo chino per sempre. Nessun diritto ad avere i propri interessi, i propri problemi di sicurezza o anche le proprie opinioni.

Pochi in Occidente hanno messo in dubbio la fattibilità di una tale prescrizione per un paese di 160 milioni, territorialmente il più grande del mondo, che possiede vaste risorse di valore critico per altre nazioni industriali, tecnologicamente sofisticato e custode di oltre 3.000 armi nucleari. 

Nessun mafioso sarebbe stato così ottuso. Ma i nostri governanti sono fatti di un tessuto diverso anche se il loro pavoneggiamento e la loro presunzione spesso corrispondono a quelli dei capotasti. 

Questo non vuol dire che la classe politica russa sia stata incline alla vendetta per un decennio o due – come la Francia dopo l'umiliazione da parte della Prussia nel 1871, come la Germania dopo la sua umiliazione nel 1918-1919, o come "Bennie dal Bronx" picchiato davanti alla fidanzata di Al Pacino in Carlito's Way.  

Al contrario, da quasi un decennio Boris Eltsin si accontentava di interpretare Falstaff per qualsiasi presidente americano che si presentasse solo per il bene di essere accettato nella sua compagnia (e lasciarsi derubare alla cieca nel processo, economicamente e diplomaticamente).


"Età d'oro della democrazia russa"

 

L'Occidente celebra con nostalgia gli anni di Eltsin come l'età d'oro della democrazia russa, un'età in cui l'aspettativa di vita è diminuita drasticamente, quando l'alcolismo è aumentato, quando l'economia in forte espansione ha gettato milioni di persone nella povertà, quando gli oligarchi si pavoneggiavano, quando il presidente l'autista era l'uomo più influente del paese, e quando tutti erano liberi di sparare a bocca aperta poiché nessun altro lo sentiva nel frastuono delle proprie voci. Non puoi fare una frittata senza rompere qualche uovo, per coniare una frase. 

Vladimir Putin, ovviamente, era fatto di roba rigida. Ha posto fine alla buffoneria, ha assunto con successo l'erculeo compito di ricostituire la Russia come stato vitale e si è presentato come il sovrano pronto a coltivare relazioni con i suoi vicini. Inoltre, ha insistito sul rispetto dei diritti civili e della cultura dei russi bloccati nel Near Abroad. 

Tuttavia, non ha dato alcun segno con le parole o con i fatti che intendesse utilizzare mezzi coercitivi per ripristinare l'integrazione tra Russia e Ucraina che esisteva da più di 300 anni. È vero, si è opposto ai tentativi occidentali di recidere i legami tra i due incorporando l'Ucraina nelle loro istituzioni collettive – in particolare la dichiarazione della NATO del 2008 in cui si affermava che l'Ucraina (insieme alla Georgia) era nell'anticamera dell'alleanza per prepararsi all'ingresso.

La moderazione di Putin contrastava con l'audacia di Washington e dei suoi subordinati europei che istigarono il colpo di stato di Maidan, rovesciando il presidente democraticamente eletto e promuovendo un burattino americano al suo posto. In effetti, da allora gli Stati Uniti sono stati il supervisore dell'Ucraina, una sorta di padrone di casa assente…

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