Non solo Ucraina. Tutte le guerre del
mondo - Gianluca Cicinelli
Quando il fisico Carlo
Rovelli ci rimprovera giustamente - perchè, come scrive partendo dal
conflitto in Ucraina, "Condanniamo l’aggressione, condanniamo la guerra.
Una condanna sincera della guerra è una condanna di tutte le guerre. Non
possiamo essere pacifisti solo per le guerre che non iniziamo noi" -
non si rivolge a quelli che le guerre le denunciano tutti i giorni e con esse
la vendita di armi. Si rivolge alle anime belle che finchè il conflitto non
esplode alle porte di casa se ne fregano allegramente, politica compresa, del
resto del mondo. Ecco allora un elenco quasi completo dei conflitti in corso, a
cui potete unire questi due link come consultazione.
Qui trovate una cartina
geografica interattiva che descrive i conflitti, aggiornata al 18 febbraio
2022.
Qui
invece la ricerca dell'osservatorio tedesco Heidelberg Institute, aggiornato al
2019.
NB Il post di
Revelli viene usato da qualcuno per dire che Rovelli intendeva offrire sostegno
a Putin il che è una cretinata colossale, visto
l'impegno da sempre di Rovelli per la pace.
ACEH
Aceh è una provincia autonoma dell'Indonesia, situata nell'estremità
settentrionale dell'isola di Sumatra. Dal 1976 è teatro di una guerra tra i
ribelli del Movimento Aceh Libero (GAM) e l'esercito indonesiano. I morti,
secondo le fonti più accreditate, sono almeno 12mila, ma altre fonti parlano di
50mila, o addirittura 90mila.
AFGHANISTAN
Osama Bin Laden è stato giudicato il responsabile degli attentati dell'11
settembre 2001 contro le Twin Towers e il Pentagono. La reazione degli USA i
dei loro alleati è sata di abbattere il regime del Mullah Omar e dei Talebani,
accusati di nascondere Bin Laden. Nonostante la morte del leader talebano, il
conflitto procede da 20 anni, e i morti sono più di 186mila, la maggior parte
dei quali civili. Solo nel 2020-21 le vittime sono state più di 50mila. Il 15
agosto 2021 i talebani sono rientrati in forze a Kabul.
ALGERIA
Intorno alla seconda metà degli anni '90 sanguinose stragi commesse dagli
estremisti islamici si contrapponevano a violente controffensive da parte
dell'esercito governativo. Dopo 100.000 morti (150.000 secondo bilanci
indipendenti) la guerra non è ancora conclusa, sebbene attualmente stia
attraversando una fase di relativa tranquillità.
BURUNDI
L'ultimo decennio di guerra tra le due maggiori componenti etniche del Burundi,
i Tutsi e gli Hutu, iniziato nel 1993, ha provocato almeno 300.000 morti e un
milione di sfollati. Dopo un'interruzione nel 2004, sono ricominciate le guerre
civili etniche.
BRASILE
È attualmente in corso una vera e propria guerra tra i cartelli della droga e
il governo. Nell'ultimo anno le vittime del conflitto sono state più di 5mila.
COLOMBIA
Da quasi quarant'anni la Colombia è sconvolta da una sanguinosa guerra civile
tra governo, paramilitari e gruppi ribelli di estrema sinistra. All'origine di
questo conflitto (300.000 morti) vi è una enorme disparità sociale tra classi
dirigenti e popolazione. Un'altra parte in gioco, in una situazione già
complessa, sono i potenti cartelli della droga. Gli scontri di quest'anno hanno
prodotto quasi 700 vittime.
CONGO R. D.
Una "Guerra Mondiale Africana", come è stata definita, che vede
combattersi sul territorio congolese gli eserciti regolari di ben sei Paesi per
una ragione molto semplice: il controllo dei ricchi giacimenti di diamanti, oro
e coltan del Congo orientale. Almeno 350mila le vittime dirette di questo
conflitto, 2 milioni e mezzo contando anche i morti per carestie e malattie
causate dal conflitto. Gli eventi violenti sono stati quasi duemila quest'anno
e hanno causato la morte di circa 4.500 persone.
COSTA D'AVORIO
La Costa d'Avorio, ex colonia francese, conquistò l'indipendenza il 7 agosto
1960 e il 27 novembre dello stesso anno venne eletto presidente Felix
Huophouet-Boigny, che governò lo Stato africano per sette mandati consecutivi
rimanendo in carica sino alla sua morte nel dicembre 1993. Dopo un decennio di
guerra civile nel 2003 sono stati firmati accordi di pace, ma la situazione è
rimasta instabile, nonostante le prime elezioni libere del 2010.
EGITTO
Nella penisola del Sinai, da alcuni anni a questa parte il governo egiziano si
è spesso scontrato con gruppi di fondamentalisti islamici armati.
ERITREA-ETIOPIA
Dopo una guerra trentennale (1962-1991), l’Eritrea ottiene finalmente la
propria indipendenza dall’Etiopia nel 1993. Senza però stabilire confini chiari
e definitivi. Dopo un rapido deterioramento dei rapporti tra i due Paesi, nel
1998 le truppe di Asmara decidono di varcare il confine, dando inizio a una
guerra a tutto campo (1998-2000). Dopo 2 anni di conflitto e decine di migliaia
di vittime (più di 70.000), Etiopia ed Eritrea cessano le ostilità e si affidano
all’Onu ma i due Paesi sono ancora ben lontani dall’aver trovato un accordo.
FILIPPINE
Dal 1971 i musulmani di Mindanao hanno iniziato una lotta armata per
l'indipendenza dell'isola. La guerra tra l'esercito di Manila e i militanti del
Fronte di Liberazione Islamico dei Moro (MILF) ha causato fino ad oggi 150mila
morti. Nell'ultimo anno sono stati più di 1.500.
KASHMIR
La rivolta del Kashmir, ancora in pieno svolgimento nonostante le incoraggianti
iniziative di pace, è iniziata nel 1989 e ha sempre rappresentato una guerra
per procura tra i due colossi asiatici Pakistan e India (che dispongono anche
di testate atomiche).
KURDISTAN
È più di mezzo secolo che i kurdi distribuiti tfra Turchia, Siria, Iraq e Iran
auspicano la nascita di uno Stato kurdo. Nemmeno l’arresto di Ocalan - il
leader del PKK Partito dei lavoratori curdi fondato nel 1973 su forte
ispirazione marxista - ha interrotto i conflitti ulteriormente aggravati dal
conflitto in Iraq.
NEPAL
I guerriglieri maoisti del Nepal sono in lotta contro la monarchia
costituzionale del re Gyanendra (creduto l’incarnazione del dio Visnhu) dal
1996. 8000 le vittime in tutto l’arco del conflitto. Scontri a fuoco,
rapimenti, attentati ed estorsioni avvengono quotidianamente.
NIGERIA
La Nigeria è divisa in oltre 250 gruppi etnici-linguistici diversi. Le
religioni principali sono il Cattolicesimo e l'Islam, ma anche molte religioni
tradizionali dell'Africa: queste differerenze sono alla base dei
conflitti sviluppatisi. Negli ultimi anni le violenze più grandi provengono dal
gruppo terroristico Boko Haram; più di 5mila le vittime nell'ultimo anno.
REPUBBLICA CENTRAFRICANA
Dal 25 ottobre 2002 la Repubblica
Centrafricana è stata dilaniata da una guerra civile che oppone i ribelli di
François Bozizé, ex-capo delle forze armate, al presidente Félix Patassé, morto
nel 2011. La guerra civile continua anche dopo la morte del leader. Gli scontri
hanno causato circa 500 vittime tra il 2019 e il 2020.
SIRIA
Dal 2011 la Siria è dilaniata da una guerra civile, iniziata con l'obiettivo di
ottenere le dimissioni del presidente Bashar al-Assad. A questo conflitto si è
aggiunta la presenza e l'attività dello Stato Islamico. Secondo alcune stime, i
morti finora sarebbero più di 300.000. Nell'ultimo anno in questa regione sono
morte più di 13.500 persone.
SOMALIA
Dopo l'uscita di scena del presidente Siad Barre nel 1991, è iniziata una
violentissima guerra di potere tra i vari clan del Paese, guidati dai
cosiddetti "signori della guerra”. Una spirale di violenze che, fino ad
oggi, ha provocato quasi mezzo milione di morti. Dal 2006 le forze governative
di Somalia e Kenya combattono contro il gruppo di militanti islamisti
Al-Shabaab. Tra il 2019 e il 2020 sono morte più di 3.700 persone.
SUDAN
La guerra civile in Sudan è in corso ormai da 20 anni. Nel Darfur, un'area
grande quasi due volte l'Italia, è in corso un violentissimo conflitto fra
gruppi armati locali e milizie filo-governative. Secondo l'Organizzazione
Mondiale della Sanità dal marzo 2003 sono morte circa 70.000 persone. Attualmente
nel Darfur muoiono circa 10.000 persone al mese.
UGANDA
Una guerra civile che prosegue da più di 20 anni e che ha provocato una grave
crisi economica. L'LRA è la forza ribelle che terrorizza le province del nord
dell'Uganda fin dal 1987, abitate dagli Acholi, ai confini con il Sudan. Ed è
proprio in Sudan che gli Olum ("erba" così vengono chiamati in lingua
Acholi) hanno le loro basi e da lì partono molti dei loro attacchi.
YEMEN
La situazione politica dello Yemen, attualmente il Paese più povero del mondo,
è molto complessa. Da una parte, vi è un conflitto tra i ribelli sciiti Houthi
e il governo di Abed Rabbo Mansour Hadi, appoggiato dall’Occidente. Ciò ha
prodotto l'intervento nel Paese dell'Arabia Saudita (sunnita) che teme una
vittoria dei ribelli possa portare a un rafforzamento della minoranza sciita
nel territorio saudita. Vi è poi un secondo conflitto: quello fra i terroristi
di al-Quaeda, che nello Yemen hanno la cellula più potente (AQAP), e il governo
sostenuto dagli Stati Uniti. I numeri delle vittime sono altissimi: solo
nell'ultimo anno 21.768.
IRAQ
La crisi riguardo l'orientamento politico del Paese è degenerato in una guerra
tra l'opposizione e il governo.
ISRAELE-PALESTINA
Un lungo conflitto, che affonda le sue radici nel dopoguerra,cioè il 14 maggio
del 1948, quando Ben Gurion dichiarò l'indipendenza di Israele, dopo la
decisione delle Nazioni Unite di dividere la Palestina in uno Stato arabo e in
uno ebraico. Dopo oltre mezzo secolo di guerre e di patti storici, di atti
terroristici e di speranze di pace andate in fumo, il sogno di "due popoli
due Stati" resta purtroppo ancora un'utopia.
LIBIA
Nel 2014 è scoppiata una seconda guerra civile tra due coalizioni. Poco dopo è
intervenuto anche lo Stato Islamico. Il Paese è diviso in sei aree
controllate dai diversi gruppi locali
Sei parole per riportare
subito la pace - Patrick Boylan
…Nel 1962,
quando l'allora URSS cercò di installare i suoi missili a Cuba, proprio accanto
agli Stati Uniti, l'allora Presidente Kennedy minacciò la terza guerra
mondiale. Fece alzare in volo i suoi bombardieri nucleari come avvertimento. E
ciò è bastato, insieme allo smantellamento di una base missilistica USA in
Turchia, per convincere l'URSS a non costruire le sue basi a Cuba.
Come mai un
uomo come Kennedy, agli antipodi di un Putin, ha voluto mostrare i muscoli in
quella maniera così prevaricatrice e pericolosa? L’ha fatto perché nessun paese
vuole missili nucleari sulla propria frontiera, dove possono colpire qualsiasi
sua città in pochi minuti.
E’
verosimile che gli strateghi di Washington sapessero benissimo che nemmeno
Putin avrebbe tollerato l’installazione di missili nucleari sotto il suo naso.
Ma circa un anno fa, hanno annunciato comunque il loro progetto di espansione
all’Est. Un annuncio, dunque, chiaramente provocatorio.
Come prima
risposta, Putin ordinò “esercizi militari” lungo la frontiera russa con
l’Ucraina, per mostrare i muscoli e per far capire ciò che la Russia sarebbe
pronta a fare qualora la NATO dovesse cercare di inglobare l'Ucraina.
Avvertimento che fu totalmente ignorato da Washington e dalla NATO.
Nei mesi
successivi, Putin aumentò vistosamente il numero delle sue truppe. Ma
Washington continuava a fare orecchie da mercante fino a lanciare lo scorso
dicembre, nei media internazionali, la sua versione
dei fatti con un articolo apparso sul Washington Post.
Secondo il
Pentagono, la NATO non stava affatto provocando Putin; i missili che intende
installare lungo la frontiera ucraina-russa sarebbero semmai puntati sull’Iran
[sic], non su Mosca. Che problema c’è, allora? Di conseguenza, l’incremento
delle truppe russe lungo la frontiera ucraino-russa risulta senza
giustificazione e semmai la prova che la Russia sta progettando di invadere e
di conquistare l’Ucraina, per ricostituire il vecchio URSS. Fine articolo.
L’affermazione del Pentagono su una presunto piano russo di
invasione, allora gratuita, risultò poi una profezia che è autoavverata.
A lungo
andare, Putin, esasperato, effettivamente perse le staffe e, alla fine, fece il
passo falso che conosciamo. Ordinò alle sue truppe, schierate inizialmente al
solo scopo intimidatorio, di invadere l’Ucraina – ma non per conquistare e
inglobare l’Ucraina secondo la narrativa statunitense, bensì per portare al
potere a Kiev un “Presidente amico” e poi andar via. Un Presidente amico che
avrebbe escluso la NATO dall’Ucraina e che avrebbe fatto cessare i
bombardamenti dei russofoni del Donbass.
Portare al
potere un “Presidente amico” è esattamente ciò che la NATO ha fatto tantissime
volte negli ultimi trent’anni: in Jugoslava, in Afghanistan, in Iraq, in Libia,
in Siria (dove non è ancora riuscito, però). Il problema è che ciò che
l’Occidente considera legittimo, quando a farlo è la NATO, viene impietosamente
condannato quando a farlo è la Russia.
Per
esempio, quando la NATO ha invaso l’Iraq per garantire la propria sicurezza
contro le (fantomatiche) armi di distruzione di massa irachene, l’ha fatto come
“peacekeeper”, non come aggressore. Quando la NATO ha rovesciato il Capo di
Stato della Libia perché egli sparava sui propri cittadini, l’ha fatto a titolo
di “regime change” umanitario, non di ingerenza in un paese sovrano. (Notate
come, nei comunicati stampa in lingua italiana, le nefandezze vengono sempre
mascherate con parole inglesi, incomprensibili ai più.)
Mentre
quando Putin ha invaso l’Ucraina per garantire la propria sicurezza (contro i
missili nucleari NATO) e per impedire che il governo ucraino continuasse a
sparare sui propri cittadini russofoni, il suo gesto è stato chiamato
“flagrante violazione del diritto internazionale” (notate il perfetto italiano)
e meritevole delle più severe sanzioni.
Non c’è
dubbio: invadere un paese terzo, come ha fatto Putin, costituisce senz’altro
una flagrante violazione del diritto internazionale e un attentato alla
sovranità di uno Stato, da punire sì con severità. Solo che è del tutto
surreale – e nauseante – sentire evocare questi bei principi da parte dei
politici e dei generali dei paesi della NATO che li hanno calpestati senza
scrupolo per decenni nei cinque paesi appena elencati e che continuano a
calpestarli tranquillamente, oggi come oggi, nel Sahel e in altre parti
dell’Africa. Senza che la stampa mainstream compiacente denunci le violazioni.
Sono questi
stessi politici e generali che oggi mandano armi e forze speciali in Ucraina, a
loro dire per “fermare il conflitto”. Mentre – come sappiamo dall’Iraq, dalla
Siria e dall’Afghanistan – gli “aiuti” militari non faranno altro che prolungare
un conflitto, facendo soffrire ancora di più la popolazione civile…
Contro la
guerra, sempre. Contro l’egemonia Usa e Nato. Per un mondo multipolare -
Giorgio Riolo
La
guerra è un tragico catalizzatore. È la più grande politica di destra. Spegne
il pensiero, la ragione, lo spirito critico. Alimenta istinti primordiali di
sopraffazione, il tribalismo, lo sciovinismo. Arruola, inquadra, schiera, arma.
“Noi” contro “loro”.
Dall’altra
parte, induce donne e uomini di buona volontà a combattere con le armi
spirituali della scelta etica, della cultura e della politica i soliti malvagi
poteri che traggono profitto dalla guerra. Contro chi vuole sempre dominare,
egemonizzare, contro i mercanti d’armi, il sempre attivo e feroce complesso
militare-industriale.
Donne
e uomini, la migliore umanità. La pace è sempre “pane, pace, lavoro”. È sempre
a difesa dei deboli, di chi subisce morti, patimenti, distruzioni, stupri.
1.
È in corso l’immane ipocrisia e la ributtante retorica dei sempiterni “valori
occidentali”, della libertà e della democrazia, delle guerre umanitarie, della
missione civilizzatrice dell’Europa, degli Usa e della Nato contro i barbari di
sempre. Nell’Est e nel Sud del mondo. Prima contro i “comunisti” e poi
semplicemente contro i “russi”.
La
mente colonizzatrice agisce sempre, dalle Crociate alle nefandezze
dell’olocausto IndoAfroAmericano, al colonialismo e all’imperialismo dell’epoca
moderna.
I
mass media si sono scatenati qui in Europa, in Occidente, con i giornalisti
“democratici” in prima fila. A incitare, a disinformare, a reclutare.
Un’impressionante manipolazione è dispiegata. L’impero del bene contro l’impero
del male. Il baraccone massmediatico costituisce un braccio armato
indispensabile.
Il
barbaro, folle, ultracorrotto, despota, Hitler contemporaneo, Putin è il
bersaglio. È la Russia che minaccia l’Occidente e non il contrario. La Nato
essendo un pacifico consorzio di pacifici signori i quali, per esempio, ogni
anno tengono manovre chiamate “Defender Europe”. Nell’ultima, maggio 2021, per
due mesi, attorno alla Russia, 28.000 soldati e migliaia di mezzi, blindati,
aerei, navi. La motivazione delle manovre
“contro una possibile aggressione in Europa da parte della Russia”.
2.
Un poco di storia come retroterra. La Nato e l'atlantismo non hanno alcuna
ragione d'essere. Allora. Ancor più dopo la fine dell'Urss e del cosiddetto
socialismo reale nel 1991. È organismo sovranazionale di offesa. Contro l'Est,
allora e oggi, e contro il Sud del mondo oggi. A guida e controllo totale Usa.
Ed è lo strumento degli Usa per tenere l'Europa sotto scacco e ben schierata
dietro di essa.
Con
la fine dell’Urss, gli Usa e l’Occidente hanno voluto stravincere. Con lo
smembramento dell’Unione Sovietica e con l’incitamento nazionalistico (come
avverrà poi in Jugoslavia). Con il corrotto Boris Eltsin, a loro asservito, e
con le bande oligarchico-mafiose imperversanti nei tragici dieci anni
1991-2000. A causa del capitalismo selvaggio e della rovina di molta parte
della popolazione russa. Umiliando letteralmente quella parte del mondo. Ha
detto recentemente l'ammiraglio tedesco Kay-Achim Schönbach "Putin e la
Russia chiedono rispetto". Semplice. Lo stesso ammiraglio subito fatto
dimettere.
Il
nostro Draghi, l’Unione Europea e il baraccone massmediatico all’unisono “la
prima guerra in Europa dopo la seconda guerra mondiale”. Totalmente falso.
Nel
1999 la Nato a guida Usa, compresa l’Italia dell’allora governo D’Alema,
aggredirono la Jugoslavia di Milosevič, ormai ridotta alla sola Serbia. La
giustificazione fu la “guerra umanitaria” contro i serbi a difesa del Kosovo.
78 giorni di bombardamenti con 1.100 aerei, Usa e italiani in primo luogo.
Bombardata Belgrado e nessuna immagine della popolazione terrorizzata nelle
cantine. Come si fa oggi abbondantemente con gli ucraini. Ma i serbi erano
“cattivi”, gli ucraini sono “europei” e buoni.
Nel
tempo, la Nato si è allargata ai paesi ex Patto di Varsavia. Accerchiamento
della Russia e grandi commesse militari da parte di questi paesi a vantaggio
Usa. Mancava l’Ucraina.
Nel
2014 si inscena l’ennesimo “colpo di stato democratico” contro il presidente
democraticamente eletto Janukovyč in Piazza Majdan a Kiev. Filorusso e quindi
da eliminare. Con regia della Cia e con protagonisti i nazisti di Settore
Destro e di Svoboda (dal nome di Stepan Svoboda, capo dei feroci
collaborazionisti ucraini dei nazisti tedeschi nel 1941. Ogni anno nella
innocente Ucraina si tengono sfilate per onorarlo).
Henry
Kissinger dall’alto del suo sinistro realismo politico, in un articolo dello
stesso 2014, metteva in guardia dal non portare la Nato sotto casa della Russia
e di lasciare l’Ucraina come stato cuscinetto. Nel Donbass, la popolazione
russofona nello stesso 2014 si ribella. La guerra nel Donbass ha fatto
14/15.000 morti e con protagonisti i nazisti del Battaglione Azov inquadrati
nella Guardia Nazionale ucraina. Costoro hanno ammazzato vecchi inermi e hanno
compiuto la strage di Odessa, dando fuoco alla sede del sindacato nella quale
erano rinchiuse senza scampo 41 persone.
3.
Putin e la Russia agiscono da puro realismo politico. Da stato-nazione e da
richiamo nazionale e nazionalistico del ruolo storico svolto nel passato,
dall'impero zarista e dalla potenza dell'Urss, o da svolgersi oggi e domani.
Molto revanscismo dell’umiliazione subita. Nessuna giustificazione della
guerra. Ma almeno la comprensione dei processi storici che determinano questi
esiti nefasti.
4.
Occidente contro Oriente e contro Sud. Prima la Russia, poi verrà la Cina. Armi
all’Ucraina. La Germania si riarma, l’Italia sempre obbediente manda armi.
Non
arruoliamoci e adoperiamoci per un mondo multipolare antiegemonico. Dove ogni
popolo e ogni stato-nazione possano contare.
In
piazza contro chi fa la guerra, chi la prepara, chi la desidera - Marco Bersani
Sabato 5 marzo la Rete Italiana Pace e Disarmo chiama tutte e
tutti a una manifestazione nazionale a Roma contro la guerra. Dobbiamo
esserci tutte e tutti, dobbiamo riempire le piazze della città con i nostri
corpi, i nostri cuori e le voci di chi è da sempre contro la guerra senza se e
senza ma.
“Le guerre sono fatte da persone che si uccidono senza
conoscersi…per gli interessi di persone che si conoscono ma che non si
uccidono” diceva Pablo Neruda. E’ ciò a cui assistiamo anche oggi in
Ucraina, con l’ennesimo carico di morti, feriti, terrore e distruzione e le
centinaia di migliaia di persone che fuggono disperatamente dal loro Paese.
Dobbiamo esserci contro chi fa la guerra. L’invasione
dell’Ucraina da parte dell’esercito russo e del governo di Putin è totalmente
inaccettabile. Va fermata subito, le truppe russe devono rientrare
immediatamente nei propri confini. Su questo non ci possono essere ambiguità e
chi pensa ancora che “il nemico del mio nemico è mio amico”,
arrampicandosi sugli specchi per giustificare l’ingiustificabile, continua a
non capire nulla della storia e del presente.
Dobbiamo esserci contro chi ha preparato la guerra. Nonostante
ripetute dichiarazioni pubbliche e documenti ufficiali desecretati che
dichiaravano l’impegno dei leader dei paesi occidentali a non estendere la NATO
verso est “nemmeno di un pollice” (dichiarazione nel 1990
del Segretario di Stato Usa, Joseph Baker, all’allora Presidente sovietico
Gorbaciov), tra il 2004 e il 2020 l’alleanza militare atlantica è passata da 16
a 30 Paesi membri, schierando armamenti offensivi in Romania, Polonia e nei
Paesi Baltici, ai confini con la Russia. Anche su questo, non possono esserci
ambiguità e i governi che oggi parlano di pace e democrazia contrapposte
all’autoritarismo e all’oligarchia dovrebbero avere il coraggio di guardarsi
allo specchio.
Dobbiamo esserci contro chi la guerra la desidera. Come
leggere altrimenti il decreto approvato ieri dal governo Draghi, che stabilisce
un nuovo stato di emergenza sino al 31 dicembre 2022, si appresta ad inviare
armi e mezzi militari all’Ucraina, spazza via qualsiasi transizione ecologica
riaprendo centrali a carbone e a olio combustibile? Sarebbe questo il
fondamentale apporto del nostro Paese al ripristino della pace e della
diplomazia?
Dobbiamo esserci per stare a fianco dei popoli
ucraino e russo che non vogliono nessuna guerra, ma solo una vita dignitosa, e
avendo nel cuore le pacifiste e i pacifisti russi, arrestati a migliaia, che
continuano a scendere in piazza contro il loro governo.
Dobbiamo esserci per disertare
la cultura della guerra, trasversale all’arco parlamentare, che ci vorrebbe
arruolare per poterci silenziare, per abituarci a vivere nel pensiero unico del
mercato e del dominio, per farci considerare normale che esistano vite degne e
vite da scarto.
Dobbiamo esserci per dire a gran voce che un
modello sociale capace solo di generare crisi eco-climatica, diseguaglianza
sociale, pandemia e guerra va dichiarato insostenibile e radicalmente
trasformato per garantire vita, dignità e futuro agli abitanti del pianeta.
É tempo di cura, non di profitti e di guerra.
Ciac sui profughi dall’Ucraina: “Frontiere aperte,
abbandonare sistema emergenziale e puntare su accoglienza pubblica, integrata e
diffusa”
In questi giorni la guerra è tornata a scoppiare nel cuore dell’Europa con
il conflitto in Ucraina. Una situazione che ci lascia sgomenti e ci spinge,
ancora di più, a chiedere che le armi tacciano immediatamente, insieme a tutti
i pacifisti d’Italia e di Europa. Questa tragedia umanitaria ne provoca una
seconda: stando alle prime stime delle Nazioni Unite sono già oltre
cinquecentomila le persone che hanno abbandonato il paese e, se
l'escalation militare non si fermerà subito come chiediamo, si prevede l’arrivo
in Europa di milioni di profughi ucraini o di migranti già presenti nel paese.
In questo drammatico momento, come ente di tutela di cittadini migranti,
chiediamo con forza che l’Europa e l’Italia abbandonino immediatamente la
politica dei respingimenti alle frontiere e che si organizzi in tempi
rapidi l’accoglienza di queste persone.
Prima di tutto, è necessario cambiare
radicalmente strada rispetto a quanto avvenuto con l’emergenza Afghanistan: a 7
mesi di distanza la grande maggioranza delle persone evacuate sono ancora in
strutture emergenziali perché il sistema ordinario pubblico Sai (Sistema di
accoglienza e integrazione) non è stato messo nelle condizioni di rispondere
tempestivamente: i posti dedicati sono tutt’ora pochissimi (solo tremila per
cinquemila persone evacuate) e i tempi per affidare i servizi sono lunghissimi.
Il Ministero dell’Interno e il governo non possono attuare lo stesso schema,
facendo precipitare l’emergenza sui territori senza metterli in condizione di
gestirla. Per questo, dal nostro punto di vista, è necessario ampliare
immediatamente e in modo consistente la capienza del sistema dell’accoglienza integrata
e diffusa e prevedere procedure che permettano a Comuni ed enti di tutela di
accogliere da subito.
Ora più che mai risulta insensato continuare a
passare da un’emergenza all’altra (Siria, Libia, Afghanistan, ora Ucraina)
senza una vera risposta strutturale. Non sono bastate, ci chiediamo, le crisi
degli ultimi anni a far capire che risposte inadeguate e politiche emergenziali
non risolvono il problema? Appare sempre più chiaro che, a fronte del possibile
arrivo di decine di migliaia di profughi, il sistema Cas è saturo
e il sistema Sai è bloccato dalle indecisioni dei nostri governanti.
Serve immediatamente, quindi, una politica di accoglienza vera e duratura, con
impegni coerenti e tempestivi.
Registriamo che in questa occasione anche i
Sindaci di ogni parte politica, Lega compresa, hanno dichiarato la loro
disponibilità ad accogliere i migranti. Ci auguriamo, quindi, che ogni
Comune del nostro territorio dia seguito a queste parole con un impegno
concreto. Allo stesso tempo istituzioni, enti locali e terzo settore
devono reclamare a gran voce un sistema pubblico, semplificato nella burocrazia,
che permetta di attivarsi in tempi rapidi, non tra sei mesi.
A livello internazionale auspichiamo che le
frontiere siano aperte per permettere sia agli ucraini sia ai tanti
migranti presenti in quel paese, di poter accedere in sicurezza al territorio
europeo. Inoltre, è fondamentale che l’Italia elimini l’Ucraina
dall’elenco dei cosiddetti “paesi sicuri”, che rende oggi quasi
impossibile ai cittadini ucraini – come a tutti coloro che provengono da stati
presenti su questa lista - di ottenere protezione, poiché si suppone che il
rimpatrio non li metterebbe in una condizione di pericolo.
Infine, chiediamo all’Unione Europea di attivare
immediatamente la direttiva 55/2001 che consente di destinare
risorse specifiche per l’accoglienza e introduce un permesso di soggiorno
temporaneo europeo. Sarebbe un passo avanti fondamentale per permettere una
vera accoglienza dei profughi che lasciano un paese dilaniato dalla guerra.
Come Ciac
siamo pronti a fare la nostra parte per accogliere chi deciderà di lasciare
l’Ucraina ma chiediamo a tutti i parmigiani di aiutarci: per mettere in pratica
i progetti sono fondamentali gli appartamenti. Per questo invitiamo chiunque
voglia mettere a disposizione una struttura a contattare il nostro centralino0521522080 o scriverci una mail a associazione@ciaconlus.org.
Un altro mondo è possibile, necessario, urgente - Olivier Turquet
Sono anni che lo diciamo.
E cosa diciamo?
Diciamo che con la violenza in ogni sua forma non si risolve nulla; men che
mai con la forma più stupida della violenza, che è quella fisica delle armi.
Diciamo che non c’è nulla al di sopra dell’Essere Umano e questo vuol dire,
tra l’altro, che i popoli hanno diritto all’autodeterminazione ma anche che è
il profitto che domina le azioni umane e che questo genera violenza; che la violenza
genera violenza in una spirale senza fine e che non c’è altro modo che rompere
la catena della violenza.
Diciamo che non crediamo alle contrapposizioni, ai blocchi, alla divisione
geopolitica; diciamo di più: aspiriamo a una Nazione Umana Universale,
convergenza della meravigliosa diversità dei popoli, un posto dove le persone
possano circolare liberamente, andare a vivere e lavorare dove gli pare. Un
luogo di convivenza, di scambio, di dialogo, di ascolto, di comprensione.
Diciamo che condividiamo questi principi e queste idee con tutti e che la
situazione attuale è così tragica e senza senso per aver perseguito, da parte
dei potenti, altri valori ed altre intenzioni. E che la crisi è un buon momento
per cambiare, per cominciare a trattarsi come si vorrebbe essere trattati.
Invitiamo noi stessi, ed ognuno a meditare profondamente quanto abbiamo
appoggiato questi antivalori, il profitto, la guerra, la dis-umanità, la
discriminazione, la violenza; e invitiamo a riconoscere la violenza dentro di
noi e intorno a noi al fine di riconciliarci e trasformarla nella forza della
nonviolenza, della ragionevolezza, della comprensione, della costruzione.
Ci sentiamo solidali con tutte le vittime delle guerre, famose o
dimenticate, con chi soffre per la violenza in tutte le sue forme, per chi,
nell’indifferenza dei potenti, sta morendo di fame, la più grande guerra contro
la Vita.
Alziamo in alto, con orgoglio, non le bandiere nazionaliste ma la bandiera
della nonviolenza, cantiamo l’inno di tutti i popoli, camminiamo tutte le marce
per la pace e la nonviolenza.
Un altro mondo è possibile, necessario e urgente e i fatti di questi giorni
lo rendono solo un po’ più evidente e debbono muovere i popoli e le persone
nella direzione della costruzione di questo nuovo mondo.
E di fronte al nonsenso attuale che sorga in ognuno di noi e nei popoli non
lo scoramento o la vendetta ma la luce profonda che dimora nel cuore di ogni
Essere Umano.
Il
totalitarismo di casa nostra - Vincenzo Costa
Al maestro Valery Gergiev è stato intimato dal sindaco
Sala (PD) di condannare pubblicamente la politica di Putin. Adesso è stato
estromesso dal concerto del 5 marzo.
Il giornalista Rai Marc Innaro – reo di avere pronunciato
la frase “basta guardare la cartina geografica per rendersi conto che chi si è
allargato negli ultimi trent’anni non è stata la Russia, è stata la Nato“ –
ha fatto indignare il segretario del PD Letta, che ha chiesto la
convocazione della commissione di vigilanza.
Lo stesso per Sara Reginella, rea di avere detto che dal
2014 la popolazione russa del Donbass è stata duramente repressa.
Questi giornalisti rischiano il posto di lavoro.
Ma non è questo il punto: il punto è che tutti stiamo
accettando il fatto che siamo sotto osservazione, che se si devia dal pensiero
liberal-progressista si è a rischio, si è criminalizzati, esclusi.
Abbiamo accettato la criminalizzazione del dissenso:
dissentire è diventato immorale.
Non viene punito con il carcere: semplicemente il potere
agisce attraverso la moralizzazione del discorso
Abbiamo accettato il totalitarismo come fosse normalità.
E' cambiata l'idea di sovranità. Sovrano non è neanche
chi decide nello stato d'emergenza: Sovrano è chi decide che cosa è reale e
definisce le condizioni del discorso.
Le conseguenze dell'umiliazione della Russia - Michael Brenner
Ieri, John Pilger uno dei più grandi giornalisti e
documentaristi viventi ha scritto, riguardo all'articolo di Brenenr, sul
suo profilo Twitter:
Per coloro che sono interessati al "perché" dell'invasione illegale
dell'Ucraina da parte della Russia, questo pezzo raro è consigliato.
La mafia non è nota per il suo uso creativo del linguaggio al di là di termini come "sicario", "vai a prendere i materassi"( frase tratta dal film 'Il Padrino', significa l'inizio di una guerra tra famiglie NDT,) "vivere con i pesci" e simili. Ci sono, tuttavia, alcuni detti concisi che portano una saggezza duratura. Uno riguarda l'onore e la vendetta: "Se hai intenzione di umiliare qualcuno pubblicamente in modo davvero grossolano, assicurati che non sopravviva per prendersi la sua inevitabile vendetta". Umilialo a tuo rischio e pericolo.
Questa duratura verità è stata dimostrata dalle azioni
della Russia in Ucraina che, in larga misura, sono il culmine delle numerose
umiliazioni che l'Occidente, su istigazione americana, ha inflitto ai
governanti russi e al Paese nel suo insieme negli ultimi 30 anni .
È stato trattato come un peccatore condannato ad
accettare il ruolo di un penitente che, vestito di sacco, segnato dalla cenere,
dovrebbe apparire tra le nazioni a capo chino per sempre. Nessun diritto
ad avere i propri interessi, i propri problemi di sicurezza o anche le proprie
opinioni.
Pochi in Occidente hanno messo in dubbio la fattibilità
di una tale prescrizione per un paese di 160 milioni, territorialmente il più
grande del mondo, che possiede vaste risorse di valore critico per altre
nazioni industriali, tecnologicamente sofisticato e custode di oltre 3.000 armi
nucleari.
Nessun mafioso sarebbe stato così ottuso. Ma i
nostri governanti sono fatti di un tessuto diverso anche se il loro
pavoneggiamento e la loro presunzione spesso corrispondono a quelli dei
capotasti.
Questo non vuol dire che la classe politica russa sia
stata incline alla vendetta per un decennio o due – come la Francia dopo
l'umiliazione da parte della Prussia nel 1871, come la Germania dopo la sua
umiliazione nel 1918-1919, o come "Bennie dal Bronx" picchiato
davanti alla fidanzata di Al Pacino in Carlito's Way.
Al contrario, da quasi un decennio Boris Eltsin si
accontentava di interpretare Falstaff per qualsiasi presidente americano che si
presentasse solo per il bene di essere accettato nella sua compagnia (e
lasciarsi derubare alla cieca nel processo, economicamente e diplomaticamente).
"Età d'oro della democrazia russa"
L'Occidente celebra con nostalgia gli anni di Eltsin come
l'età d'oro della democrazia russa, un'età in cui l'aspettativa di vita è
diminuita drasticamente, quando l'alcolismo è aumentato, quando l'economia in
forte espansione ha gettato milioni di persone nella povertà, quando gli
oligarchi si pavoneggiavano, quando il presidente l'autista era l'uomo più
influente del paese, e quando tutti erano liberi di sparare a bocca aperta
poiché nessun altro lo sentiva nel frastuono delle proprie voci. Non puoi
fare una frittata senza rompere qualche uovo, per coniare una frase.
Vladimir Putin, ovviamente, era fatto di roba
rigida. Ha posto fine alla buffoneria, ha assunto con successo l'erculeo
compito di ricostituire la Russia come stato vitale e si è presentato come il
sovrano pronto a coltivare relazioni con i suoi vicini. Inoltre, ha
insistito sul rispetto dei diritti civili e della cultura dei russi bloccati
nel Near Abroad.
Tuttavia, non ha dato alcun segno con le parole o con i
fatti che intendesse utilizzare mezzi coercitivi per ripristinare l'integrazione
tra Russia e Ucraina che esisteva da più di 300 anni. È vero, si è opposto
ai tentativi occidentali di recidere i legami tra i due incorporando l'Ucraina
nelle loro istituzioni collettive – in particolare la dichiarazione della NATO
del 2008 in cui si affermava che l'Ucraina (insieme alla Georgia) era
nell'anticamera dell'alleanza per prepararsi all'ingresso.
La moderazione di Putin contrastava con l'audacia di
Washington e dei suoi subordinati europei che istigarono il colpo di stato di
Maidan, rovesciando il presidente democraticamente eletto e promuovendo un
burattino americano al suo posto. In effetti, da allora gli Stati Uniti
sono stati il supervisore dell'Ucraina, una sorta di padrone di casa assente…
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