Iniziamo con uno scoop. La lettera (vera, falsa, verosimile?) che Biden ha scritto, scriverà, potrebbe scrivere a Putin. Noi ci fidiamo di Francesco Masala che l'ha "rubata" : se lui garantisce che nei "sentieri del possibile" gira questa lettera... la prendiamo per serissima; sapendo che spesso l'ironia è più attendibile della verità imbalsamata.
La lettera di Biden a Putin
Caro
Vladimir Putin,
ti
scrivo per ringraziarti di aver invaso l’Ucraina, è da tanto che ti mettevamo
con le spalle al muro, ogni tua richiesta, anche solo di trattare con noi,
l’abbiamo ignorata per anni, alla fine non ce l’hai fatta più fatta, ogni
pazienza ha un limite, e ti abbiamo costretto all’invasione. Sei stato bravo,
comunque, a resistere così a lungo senza invadere, noi non ce l’avremmo mai
fatta.
A
noi piacciono le guerre, è distruzione creativa (distruzione per le
popolazioni, creazione di profitti o potere per noi).
Siamo
stati bravi, non siamo intervenuti, non è intervenuta la Nato, ormai operiamo
con i contractors (così chiamiamo i mercenari).
L’Ucraina
è pieno di nazisti, di quelli tosti, mica come i nostri dell’Illinois.
Sappiamo
che farai qualche sbaglio (lo sappiamo, noi siamo maestri di sbagli, veri o
finti non importa, non sottilizziamo).
Tu
speravi nell’Europa, ma non valgono niente, sono zerbini per i nostri stivali, ogni
tanto qualche galletto canta, ma sono gente senza palle, questi europei; mi
spiace per te, ma sapevamo che si sarebbero sacrificati per il padrone a stelle
e strisce, contro i loro interessi, ma i servi sciocchi sono sciocchi proprio
per questo.
Noi
li teniamo per le palle, Italia e Germania, soprattutto, con la scusa che hanno
perso la seconda guerra mondiale, le nostre basi militari sono soprattutto lì.
Sono passati 75 anni dalla fine della guerra, ma ancora li teniamo in pugno, e
non capiscono.
Adesso
in quella che loro chiamano la fortezza Europa facciamo entrare 1, 2 o 3
milioni di ucraine e ucraini, tutti rigorosamente pallidi come loro, mica
africani da restituire ai libici.
E
si arrangino.
L’Europa
non esiste, per fortuna. Tu scommettevi a favore dell’Europa, noi contro, li
conosciamo bene, poveracci, la scommessa l’abbiamo vinto noi.
Negli
Usa ormai circola questa battuta “ormai, nelle parole crociate facilitate, potrebbe
esserci la seguente definizione: continente con un grande avvenire dietro le
spalle, sei lettere (inizia per E)”.
C’era
uno che aveva capito tutto, o quasi, si chiamava Giulietto Chiesa, diceva a tutti
quello che succede, ma non lo ascolta(va) quasi nessuno, non c’è stato bisogno
di trattarlo come Assange, meno male che è morto.
E
ti ringrazio anche per le leggi liberticide sull’informazione, adesso non si
parlerà più del caso Assange.
E
alla fine ci metteremo d’accordo, se farai quello che diciamo noi, ma non lo
diremo mai.
Cordialmente,
Joe Biden
GUERRA RUSSIA-UCRAINA: UN’INVASIONE DIVERSA, DA PARTE DELL’OCCIDENTE LO
STESSO COPIONE DEL “PAZZO” - Jonathan Cook
Che comodità
per i leader occidentali il fatto che, ogni volta che un altro paese sfida la
proiezione di potere dell’Occidente, i media occidentali possono essere
d’accordo su una cosa: che il governo straniero in questione è guidato da un
pazzo, uno psicopatico o un megalomane.
In un batter
d’occhio, i leader occidentali sono assolti dalla colpa o anche dalla
responsabilità per i terribili eventi che si verificano. L’Occidente rimane
virtuoso, semplicemente una vittima dei pazzi del mondo. Nulla di ciò che
l’Occidente ha fatto è stata una provocazione. Niente di quello che avrebbero
potuto fare avrebbe evitato il disastro.
Gli Stati
Uniti possono essere di gran lunga lo stato più potente del pianeta, ma le loro
mani sono apparentemente sempre legate da un nemico squilibrato e implacabile,
in questo caso il presidente russo Vladimir Putin.
Invadendo il
suo vicino, l’Ucraina, Putin, ci viene detto, non sta avanzando alcun interesse
geopolitico o strategico razionale – dalla sua angolazione. E così nessuna concessione
poteva o doveva essere fatta perché nessuna gli avrebbe impedito di agire come
ha fatto.
L’Occidente,
cioè i falchi della politica estera a Washington, decide quando la linea
temporale degli eventi è iniziata, quando è avvenuto il peccato originale. I
media occidentali compiacenti danno la loro benedizione, e le nostre mani
vengono lavate ancora una volta.
Il
sottotesto – sempre il sottotesto – è che qualcosa deve essere fatto per
fermare il “pazzo”. E poiché è irrazionale e megalomane, tale azione non deve
mai essere inquadrata in termini di concessioni o compromessi – che sarebbe un
appeasement, dopo tutto. Se ogni nemico è un nuovo Hitler, nessun leader
occidentale rischierà un di essere paragonato a Neville Chamberlain.
Invece, ciò
di cui c’è urgente bisogno, i politici e i media occidentali sono d’accordo, è
la proiezione – apertamente o di nascosto – di ancora più potere e forza
occidentale.
Catastrofe
non mitigata
L’invasione
statunitense e britannica dell’Iraq quasi due decenni fa è un contrappunto
particolarmente pertinente e significativo per gli eventi in Ucraina.
Allora, come
oggi, si supponeva che l’Occidente si trovasse di fronte a un governante
pericoloso e irrazionale che non era possibile far ragionare e che non era
disposto a scendere a compromessi. Saddam Hussein, insistevano i leader
occidentali e i loro media, si era alleato con i suoi arcinemici di al-Qaeda,
gli autori dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre. Aveva armi di
distruzione di massa e poteva lanciarle verso l’Europa in 45 minuti.
Salvo il
fatto che niente di tutto questo era vero – nemmeno la parte del pazzo. Saddam
era un dittatore duro, freddo e calcolatore che, come la maggior parte dei
dittatori, si manteneva al potere attraverso un regno di terrore sui suoi
oppositori.
Ciononostante,
i media occidentali hanno fedelmente amplificato il tessuto di affermazioni
prive di prove – e bugie patentate come quella assurda dell’alleanza con
al-Qaeda – inventate da Washington e Londra per dare il via all’illegale invasione
dell’Iraq del 2003.
Gli
ispettori delle Nazioni Unite non poterono trovare alcuna traccia delle
scorte dell’ex arsenale di armi biologiche e chimiche dell’Iraq. Uno di loro,
Scott Ritter, è rimasto inascoltato quando ha avvertito che qualsiasi cosa
posseduta da Saddam, dopo tanti anni di sanzioni e ispezioni, si sarebbe
trasformata in “gelatina innocua”.
L’improbabile affermazione dei 45
minuti, nel
frattempo, non era basata su alcun tipo di intelligenza. È stata presa
direttamente dalle speculazioni di uno studente in una tesi di dottorato.
L’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna non era
solo illegale, naturalmente. Ha avuto conseguenze orribili. Ha portato alla
probabile morte di circa un milione di iracheni e ha generato un nuovo
terrificante tipo di islamismo nichilista che ha destabilizzato gran parte
della regione.
Questi
interessi, naturalmente, sono stati in gran parte nascosti perché erano così
ignobili, violando palesemente il cosiddetto “ordine basato sulle regole” che
Washington afferma di sostenere. Ma nonostante sia stata una catastrofe senza
conseguenze, l’invasione dell’Iraq guidata dagli Stati Uniti non era più
“irrazionale” dell’attuale invasione dell’Ucraina da parte di Putin. I
neoconservatori di Washington hanno portato avanti quelli che consideravano gli
interessi geopolitici degli Stati Uniti e una visione strategica per il Medio
Oriente.
Ciò che i
neoconservatori volevano era in vario modo controllare il petrolio dell’Iraq, eliminare le sacche regionali di resistenza
all’egemonia degli USA e del suo cliente Israele in Medio Oriente, ed espandere
la regione come mercato economico per le merci e le armi statunitensi.
Saddam è
caduto nella trappola preparata per lui perché era ugualmente motivato dal suo
interesse personale “razionale” definito in modo ristretto. Si è rifiutato di ammettere che non aveva più alcun sistema di armamento
significativo dopo le sanzioni e le ispezioni occidentali, perché non osava
apparire debole, né alla sua stessa popolazione né ai vicini ostili come
l’Iran.
Il rifiuto
dei media occidentali di considerare le reali motivazioni di entrambe le parti
– dei neoconservatori a Washington o di Saddam in Iraq – ha reso l’invasione
del 2003 e la sofferenza che ne è seguita ancora più inevitabile.
Sfere di
influenza
La stessa
predilezione per la semplice narrazione del “pazzo” ci ha spinto ancora una
volta in un’altra crisi internazionale. E ancora una volta, è servita come un
modo per evitare di esaminare il vero contesto e le ragioni di ciò che sta
accadendo in Ucraina e in tutta l’Europa orientale.
Le azioni di
Putin – sebbene potenzialmente non meno disastrose dell’invasione dell’Iraq
guidata dagli Stati Uniti, e certamente altrettanto illegali – sono anche
radicate nella sua valutazione “razionale” degli interessi geopolitici russi.
Ma, a
differenza delle ragioni di Washington per invadere l’Iraq, le ragioni di Putin
per minacciare e ora invadere l’Ucraina non sono state nascoste. È stato
abbastanza aperto e coerente sulle motivazioni per anni, anche se i leader
occidentali hanno ignorato i suoi discorsi, e i media occidentali raramente
hanno citato qualcosa di più dei suoi slogan più sciovinisti.
La Russia ha
obiezioni realistiche al comportamento e alla malafede degli Stati Uniti e della Nato negli ultimi tre decenni. La
NATO, dobbiamo ricordarcelo, è innanzitutto una creatura della guerra fredda,
un veicolo dell’Occidente per proiettare una postura militare aggressiva verso
l’ex Unione Sovietica sotto la copertura di un’organizzazione di “difesa”.
Ma dopo la
dissoluzione dell’URSS nel 1991, l’alleanza militare occidentale non è stata
sciolta. Al contrario. È cresciuta fino ad assorbire quasi tutti gli ex stati
dell’Europa dell’est che avevano fatto parte del blocco sovietico e ha fatto
della Russia un nuovo spauracchio. I bilanci militari occidentali sono aumentati di anno in anno.
La Russia si
aspetta una cosiddetta “sfera d’influenza“, nello
stesso modo in cui gli Stati Uniti ne pretendono una. Quello che è successo
invece per la maggior parte degli ultimi 30 anni è che gli Stati Uniti, come
unica superpotenza mondiale, hanno ampliato la
propria sfera d’influenza fino alle porte della Russia. Come Washington, Putin
ha l’arsenale nucleare per sostenere le sue richieste. Ignorare la sua
richiesta di una sfera d’influenza o la capacità della Russia di imporla con la
forza, se necessario, è ipocrisia o follia.
Anche questo
ha spianato la strada all’attuale invasione.
Mentalità da
guerra fredda
Ma Putin ha
altre ragioni – dal suo punto di vista – per agire. Vuole anche mostrare agli
Stati Uniti che c’è un prezzo da pagare per le ripetute promesse non mantenute di Washington sugli accordi di sicurezza in Europa. La Russia ha
sciolto la propria alleanza militare, il Patto di Varsavia, dopo la caduta
dell’Unione Sovietica, in segno sia della sua debolezza che della sua volontà
di riordinare le relazioni con i suoi vicini.
Gli Stati
Uniti e l’Unione Europea avevano la possibilità di accogliere la Russia
nell’ovile, e renderla un partner nella sicurezza dell’Europa. Invece la
mentalità da guerra fredda è rimasta ancora più nelle capitali occidentali che
a Mosca. Le burocrazie militari dell’Occidente che hanno bisogno della guerra,
o almeno della minaccia di essa per giustificare i loro posti di lavoro e i
loro bilanci, hanno fatto pressione per tenere la Russia a distanza.
Nel
frattempo, l’Europa orientale è diventata un nuovo grande e redditizio mercato per i produttori di armi occidentali. Questo ha spianato la strada anche
a questa crisi.
E infine,
Putin ha tutti gli incentivi per affrontare più decisamente la ferita di otto
anni di guerra civile tra i nazionalisti ucraini anti-russi e i combattenti di
etnia russa della regione del Donbas, nell’est dell’Ucraina. Anche prima dell’attuale
invasione, molte migliaia di persone sono morte.
I
nazionalisti ucraini vogliono l’ingresso nella NATO in modo che venga
risucchiata nel bagno di sangue del Donbas dalla loro parte – alimentando una
guerra che potrebbe andare fuori controllo in un confronto diretto tra NATO e
Russia. Putin vuole mostrare alla NATO e agli ucraini militanti che non sarà
una cosa semplice.
L’invasione
è intesa come un “colpo a prua” per dissuadere la NATO dal muovere il suo atto
di forza in Ucraina.
I leader
occidentali sono stati avvertiti di tutto questo dai loro stessi funzionari già
nel 2008, come rivela un
telegramma diplomatico statunitense trapelato: “Considerazioni di politica strategica sono anche
alla base della forte opposizione all’adesione di Ucraina e Georgia alla NATO.
In Ucraina, queste includono il timore che la questione potrebbe potenzialmente
dividere il paese in due, portando alla violenza o addirittura, alcuni sostengono,
alla guerra civile, che costringerebbe la Russia a decidere se intervenire”.
Ma anche
ora, l’Occidente è imperterrito. Non perde tempo ad inondare di altre armi l’Ucraina, alimentando ulteriormente il fuoco.
Caricature
pericolose
Niente di
tutto questo, naturalmente, significa che le azioni di Putin siano virtuose, o
addirittura sagge. Ma per alcuni la sua invasione dell’Ucraina non sembra più
irrazionale o pericolosa dei decenni di mosse provocatorie della NATO contro
una Russia armata con il nucleare.
E qui
arriviamo al nocciolo della questione. Solo l’Occidente definisce cosa
significa “razionale” – e su questa base, i suoi nemici possono sempre essere
liquidati come squilibrati e malvagi.
La
propaganda dei media occidentali serve solo ad approfondire queste tendenze
nell’umanizzare, o meno, coloro che sono coinvolti negli eventi.
Come
l’Associazione dei giornalisti arabi e mediorientali ha osservato nel fine settimana, gran parte
della copertura è stata palesemente razzista, con commentatori occidentali che
notano con simpatia che coloro che fuggono dall’invasione russa dell’Ucraina, a
differenza di quelli apparentemente sfollati dalle invasioni occidentali del
Medio Oriente, sono “come noi”, “civilizzati” e non “sembrano rifugiati”.
Allo stesso
modo, c’è un netto contrasto tra la cronaca celebrativa di una “resistenza” ucraina che costruisce bombe improvvisate contro
l’esercito russo che avanza e la demonizzazione di routine dei media dei
palestinesi come “terroristi” per aver resistito a decenni di occupazione di
Israele.
E sempre
allo stesso modo, il dominio globale degli Stati Uniti significa che essi
impongono il quadro militare, politico e diplomatico delle relazioni
internazionali. Gli altri paesi, compresi i potenziali rivali come la Russia e
la Cina, devono operare all’interno di questo quadro.
Questo li
costringe a reagire più spesso che ad agire. Ecco perché è così importante che
i media occidentali riferiscano gli eventi in modo completo e onesto, senza
ricorrere a facili tropi progettati per trasformare i leader stranieri in
caricature e le loro popolazioni in eroi o malvagi.
Se Putin è
un pazzo, come Saddam in Iraq, Muammar Gheddafi in Libia, Bashar al-Assad in
Siria e i leader talebani in Afghanistan prima di lui, allora l’unica soluzione
è l’uso della forza ad oltranza.
Nella
politica di potere globale questo si traduce potenzialmente in una terza
“guerra mondiale” europea, il rovesciamento del governo della Russia, e il
processo di Putin all’Aia o la sua esecuzione. La strategia della “camicia di
forza”. Che è precisamente la destinazione catastrofica verso la quale i leader
occidentali, aiutati dai media, hanno spinto la regione negli ultimi tre
decenni.
Ci sono modi
molto meno pericolosi di questo per risolvere le crisi internazionali – ma non
finché continuiamo a vendere il mito del nemico “pazzo”.
Link: https://www.middleeasteye.net/opinion/russia-ukraine-war-invasion-madman-script-same
(Scelto e
tradotto da Arrigo de Angeli per ComeDonChisciotte)
"La pace non può concedere diritto di veto alla
Cgil-Cisl-Uil"
di Norma Bertullacelli
La pace è una cosa troppo importante per concedere il diritto di veto al
sindacato confederale": parafraserei in questo modo la frase di Mao
Valpiana.
Sono per la massima collaborazione possibile con loro, ma nei lunghi anni in
cui il pacifismo "non c'era" (una frase su cui vorrei poter discutere
a lungo) troppe volte ci siamo sentiti dire dal mondo sindacale che l'industria
d'armi "dà lavoro". Confondendo clamorosamente lavoro e profitto, due
concetti che dovrebbero essere alla base del vocabolario sindacale.
Sono per la massima collaborazione con tutti e tutte, fino al massimo grado
possibile. Sono per la ricerca di massima sintonia con chi rappresenta una
grandissima parte del mondo del lavoro. Ma il movimento pacifista deve decidere
in assoluta autonomia le caratteristiche delle proprie mobilitazioni.
E ai molti e molte che, in assoluta buonafede, scelgono di annacquare le
proprie parole d'ordine per garantire la massima partecipazione, propongo di
guardare i servizi televisivi e giornalistici sulla manifestazione di ieri
(c'ero, naturalmente). Vi sembra che al pubblico sia arrivata notizia che a
Roma c'è stata una manifestazione numerosissima, consapevole e partecipata; e
che questa manifestazione rappresentasse il rifiuto di alimentare il conflitto
in Ucraina con l'invio di armi?
Buon lavoro a tutti e tutte
Norma Bertullacelli, Genova
È la terza guerra mondiale? - Lorenzo
Guadagnucci
Siamo tutti a chiederci dove porterà la scellerata e criminale aggressione
russa all’Ucraina, ma fatichiamo – credo di non essere il solo
– a pensare in modo ordinato e sistematico, perché ci troviamo sommersi
da molta (forse troppa) informazione impressionistica ed emotiva e da poca
(pochissima) voglia di ragionare su questa guerra con apertura mentale e
profondità storica.
Le notizie di sabato 26 febbraio sono certamente quelle che arrivano da
Kiev aggredita e sotto pressione e dagli altri fronti di conflitto armato, ma
più ancora fa impressione – e dovrebbe far notizia – ciò che sta maturando, sia
pure in modo poco chiaro, nelle cancellerie europee, al comando Nato, a
Washington. Oggi la Germania e il Belgio hanno annunciato l’invio di aiuti
militari (armi pesanti) a Kiev; l’Italia si sta preparando a fare altrettanto e
una decisione analoga dell’Unione europea è data per imminente. Come noto,
l’invio di armi a una delle parti in causa, può essere considerato un atto
ostile, un atto di guerra. La domanda che abbiamo il diritto/dovere di fare è
allora: Europa e Nato stanno dichiarando guerra alla Russia? Su quali
basi? Chi ha deciso? Perché? Con quali obiettivi?
A Washington, intanto, il presidente Biden – pur debole
politicamente all’interno del suo Paese e screditato, dopo la precipitosa e
fallimentare fuga dal’Afghanistan, sul piano internazionale (o forse proprio
per questo?) – è tornato a parlare di “terza guerra mondiale” con
sconcertante leggerezza. Ha detto che questa è l’unica alternativa
alla via delle sanzioni economiche… Sono parole che servono forse a preparare
l’opinione pubblica all’eventualità? A indicare l’esito probabile
della scelta di mandare armi in Ucraina?
Non lo sappiamo, perché non c’è vero dibattito su questi temi, solo
allusioni. Nella marea di notizie che corre in Europa dalle redazioni di giornali,
radio, siti e tv verso i cittadini mancano molte informazioni chiave, manca –
soprattutto – un’analisi a tutto campo delle origini di questa guerra.
Chi ha provato a ragionare attorno alle scelte fatte all’indomani dell’89, con
l’espansione a est della Nato e il mancato avvio di un progetto comune di
sicurezza in Europa (esteso alla Russia) e quindi del terreno favorevole così
creato allo sviluppo dei nazionalismi in Europa e all’affermazione di un
autocrate come Putin in Russia, è stato zittito, ignorato, deriso, a seconda
dei casi. È successo per esempio all’ex ambasciatore Sergio Romano, che simili
ragionamenti ha proposto in articoli relegati nelle pagine interne del suo
giornale e in interviste ad altre testate; a Giulio Marcon, voce
storica in Italia della cooperazione internazionale e del pacifismo, autore di
un lucido e competente intervento sul manifesto (L’Ucraina e il bisogno
di pacifismo); al presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo, autore di
un’analisi storica e politica della vicenda ucraina ben diversa dalle
superficiali, manichee e autoassolutorie “opinioni” dei maggiori editorialisti.
Quanto al mondo politico italiano – quasi inutile dirlo – siamo alla
categoria del non pervenuto, con prese di posizione stereotipate e poca,
pochissima argomentazione: ci si è fermati all’ovvia condanna dell’aggressione
russa e del regime putiniano senza approfondire alcunché, senza prefigurare
scenari, senza indicare limiti e obiettivi. E il governo Draghi, anche
stavolta, ha brillato per opacità, se ci si consente il non
casuale ossimoro.
Causa questa sommatoria di ipocrisia e di insipienza ci troviamo a
coltivare un dubbio atroce: forse in qualche luogo del potere occidentale
(certo non i parlamenti) si è già optato per un’escalation del conflitto in
Ucraina e per una prossima estensione della guerra all’Unione europea e alla
Nato, con tutti i rischi che ciò comporta? Si è già deciso senza nemmeno
informare i cittadini, salvo agire in modo che si preparino un poco alla volta
all’idea? Siamo già entrati in una nuova “guerra giusta”? È la terza
guerra mondiale?
https://comune-info.net/e-la-terza-guerra-mondiale/
Perché gli
Ucraini ci somigliano? - Alessandro Ghebreigziabiher
Assomigliano
a noi, è tutta qui la nostra europea brama di pace?
Non voglio nemmeno pensarlo.
Poi però leggo e rifletto.
Tra gli altri leggo del
giornalista della CBS il
quale afferma che l’Ucraina “non è un luogo, con tutto il rispetto, come
l'Iraq o l'Afghanistan, che ha visto infuriare conflitti per decenni. Questa è
una terra relativamente civile, relativamente europea, un Paese in cui non te
lo aspetteresti, o spereresti che accada.”
L’ex vice procuratore generale dell’Ucraina, parlando dell’invasione,
dichiarare candidamente alla BBC: “È molto emozionante per me
perché vedo persone europee con occhi azzurri e capelli biondi… che vengono
uccise ogni giorno.”
Ma non solo, un giornalista francese sulla TV transalpina: “Non stiamo
parlando di siriani in fuga dai bombardamenti del regime sostenuto da Putin.
Stiamo parlando di europei che se ne vanno con auto che sembrano le nostre per
salvarsi la vita.”
E il giornalista del Telegraph: “Sembrano così simili a
noi. Questo è ciò che lo rende così scioccante. L'Ucraina è un paese europeo.
La sua gente guarda Netflix e ha account Instagram, vota alle elezioni libere e
legge giornali senza censure. La guerra non è più una cosa visitata da
popolazioni povere e remote.”
È così quindi? Siamo tutti pronti, politica, media e cittadini sensibili, a
mobilitarci per accogliere i rifugiati solo perché vicini e somiglianti?
Mi rifiuto di crederlo.
Poi però leggo, che ci posso fare.
Leggo e ragiono.
Leggo che i
cosiddetti cittadini non bianchi, tra africani, asiatici
del Sud e mediorientali, i quali cercano di fuggire
dall’Ucraina alla stregua dei nativi DOC, sono discriminati sia
dalle guardie polacche che quelle ucraine, venendo spostati sistematicamente in
fondo alla fila per dare precedenza agli aventi diritto per carnagione
ed etnia, o addirittura aggrediti e derubati una volta passato il confine.
In altre
parole, prima gli Ucraini, che in generale diventa prima i
bianchi. Anche in una situazione come questa. O, forse, qualcuno potrebbe
dire soprattutto in una situazione come questa.
Allora è proprio vero?
La nostra umanità a occasioni e modalità alterne si accende
unicamente per merito dell’effetto specchio? Ovverosia, vedo me
stesso, mi riconosco e allora, solo allora, simpatizzo? Ma
quanto dev’essere preciso questo riflesso? Perché
siamo tutti esseri umani, alla fine della guerra o della pace, più
che della fiera.
Questo vuol dire forse che in realtà siamo diventati letteralmente capaci di
provare empatia, sentimenti ed emozioni reali, soltanto per
noi stessi?
No, non l’accetto.
Non si può.
Poi però leggo.
Leggo e mi faccio delle domande.
Leggo dei
pericoli della russofobia e di quanti si stanno stracciando le
vesti, come si suol dire, in reazione alla censura di Dostoevskij. Ma notando da quale sponda
parlamentare soprattutto si levano in questo momento le tonanti
denunce non posso fare a meno di osservare quanto sia paradossale e grottesca la narrazione delle
cose di questi tempi.
Sì, perché coloro che ora si inalberano per la follia e l’ignoranza di
chi sospende un evento pubblico intorno a uno dei più grandi scrittori della
letteratura soltanto perché compatriota del leader canaglia del momento, sono
gli stessi – e non solo loro, diciamo una larga parte dei miei concittadini –
che sono dediti quotidianamente, perfino ora, a demonizzare le
persone che fuggono da regimi dittatoriali e conflitti molto
simili a quello dell’Ucraina.
Ma è perché non ci sono abbastanza familiari? Perché non riusciamo a
vederci noi?
Non c’entra il colore della pelle, vero?
No, per favore, non posso neppure scriverne oltre.
Come vorrei non aver letto nulla, oggi...
https://www.storieenotizie.com/2022/03/perche-gli-ucraini-assomigliano-noi.html
Muchomacho. La guerra maschia - Sarah
Babiker
So che
questo sfogo, fuori dal quadro della geopolitica, privo della
contestualizzazione di retroscena storici, interessi economici o equilibri
internazionali, potrà sembrare superficiale e puerile, ma in questi giorni non
riesco a liberarmi di un pensiero che si ripete dentro di me. Un pensiero che
arriva senza nemmeno che io lo chiami, come una sorta di aglio concettuale che
torna su e aggiunge amarezza a questi tempi pieni di paura. Quanto macho,
sento, che eccesso di machura, intuisco, quanto sciovinismo
maschile ci aspetta, tremo.
Per prima
cosa abbiamo il “nessuno ce l’ha più grande di me” di Putin, un leader che
sventola la bandiera della mascolinità più tossica: l’esercizio del potere come
massima, la violenza come politica. È che la minaccia, ora latente, ora
ostentatamente sfacciata, imprevedibile e arbitraria, è il modus
operandi per eccellenza dell’uomo violento, di colui che domina
attraverso la paura, che si nutre del timore, che instilla e fonda il proprio
valore – come persona, come padre, come marito, come professionista, come
mandatario – nel sentimento del prevalere sulla volontà, sulla vita e sulla
libertà degli altri.
Ma non
si tratta solo dell’ovvio Putin. C’è anche il presidente ucraino,
vestito da militare, armato e fermo, che non mostra altra emozione che l’amore
per la Patria, il solo amore che sembra essere sempre stato al primo posto tra
la mascolinità egemonica, l’unico degno di sacrificio: un amore che si
mostra impugnando un’arma. Il gesto di Zelenski è stato elogiato a livello
internazionale, come il solo e più chiaro modo che chi governa un paese può
intraprendere per proteggere il suo popolo. Tutto si dimentica, tutto viene
messo a tacere, combattere per il proprio Paese è prendere un’arma, baciare tua
moglie, abbracciare i tuoi figli e restare a combattere. È questo il
racconto che vediamo ogni giorno nei media.
C’è il video dei
tredici ucraini che difendono un isolotto nel Mar Nero, quegli uomini coraggiosi che
rifiutano di arrendersi all’esercito russo, anche se ciò significa la loro
morte immediata. “Nave da guerra russa, vaffanculo”, dicono, e tutto il mondo
lì a celebrarli: “Ohé, gente con le palle!”. Li acclamano in rete e
appare ovunque la parola patriota, quel significante così vuoto, in cui
si agita la vertigine storica di tante guerre in cui tanta gente è stata uccisa
senza sapere per quale ragione e a quale fine, in un macchinario
lubrificato dagli interessi di altri.
Sarà perché
è passato molto tempo dall’ultima volta che abbiamo visto una guerra così dal
vivo, così tanto in prima serata – un
privilegio che altre guerre meno bianche, meno europee non hanno avuto;
guerre compiute da soldati meno muscolari, con quel mix tra armi di ultima
tecnologia ed estetica secolo XX – che non ricordo una tale esibizione di
mascolinità in uniforme: volontari che si arruolano, uomini con aria marziale e
sopracciglia ben marcate che guardano dritti nella telecamera…
Dritto nella
telecamera e con disinvoltura, ieri guardava anche il leader della
Cecenia, Ramzan Kadyrov, in piedi davanti alle
sue truppe, tra quelle riprese aeree degne di ogni buon videogioco, con ragione
paragonato in rete a un blockbuster hollywoodiano, che irrompevano in una
sequenza accelerata. File e file di soldati barbuti disposte in modo marziale,
la mascolinità tossica “degli altri”, il fondamentalismo “degli altri”, gomito
a gomito con il fondamentalismo “bianco”, che si nutre della stessa manna di
violenza, minaccia e paura come modo di imporre il proprio dominio. Convocare
Kadyrov – l’amico presidente, che Putin ha messo a capo della Cecenia con il
ferro e con il fuoco – per farlo unire alla sua crociata imperialista con
quell’esercito mercenario che odora di testosterone. Che esempio da manuale di
quel patto maschile di
cui parlava Rita Segato!
Tanto machunismo incrociato
con il razzismo, con la Polonia che accoglie le famiglie ucraine in fuga dalla
guerra, mentre costruisce un muro contro chi fugge da altre guerre più lontane,
contro quelli che condanna e respinge come un esercito nemico. Una mascolinità che accusa gli
uomini in fuga da guerre che non potranno mai vincere di non restare lì a resistere,
che stabilisce il martirio come un mandato per il maschio, che codifica il suo
razzismo con il filtro del patriarcato: le donne altre sono sempre vittime
senza azione, gli uomini altri o sono una minaccia o sono codardi. Un
razzismo che permea l’idea di chi merita di essere salvato, con cittadini ucraini e agenti di polizia che escludono i neri dal diritto alla fuga e al
rifugio.
Cosa abbiamo
come contrappunto? La caccia a quelli, uomini e donne, con lo spavento della
guerra in faccia, a quelli che rischiano manifestando in Russia, uno Stato in
guerra con i suoi cittadini. Bollati come traditori e disertori, è così che
vengono trattati i pacifisti quando domina l’ideologia della guerra.
Un’ideologia della guerra che si estende oltre i confini del conflitto:
ridicolizzati in quanto ingenui e lontani dalla realtà, è così che vengono
trattati, fuori dalla Russia, coloro che gridano No alla guerra!
Dopo essersi
tanto interrogati sul tema della femminilizzazione della politica, ripetendo
che la soluzione non è (solo) che le donne governino, dopo aver messo in
guardia contro il femminismo essenzialista, e dopo aver ripetuto che non c’è
nulla di genetico, di puramente femminile, nello scommettere sul dialogo e nel
negare la violenza, è necessario mettere sul tavolo che questo machunismo –
che non è consustanziale agli uomini, né genetico, né irreparabile – è un
vettore centrale delle guerre passate e di quelle a venire.
Non bisogna
essere donna per volere la pace, certo. Eppure, avendo vissuto una socialità
lontana dalla spinta al potere come mandato, essendo estranee alla capacità di
imporsi come privilegio, dopo essere state generalmente educate a prendersi
cura della vita di altri, le donne sono fuori dalle logiche di queste compagnie
di morte in cui sono coinvolti i Putin. È urgente sottolineare questo muchomachismo bellico
di oligarchi ricchi sfondati che giocano alla guerra, così ebbri di potere che
un giorno comprano con click mezza Londra, un altro organizzano un baccanale
con centinaia di donne sulla costa mediterranea, e poi un altro giorno ancora
vengono e ti bombardano un paese, minacciando perfino la Svezia, perché
minacciare ricchi europei bianchi ti piazza molto in alto nelle Olimpiadi
del machunismo di guerra.
È contro
questo muchomachismo oligarchico, razzista, autoritario e
bellico che deve ergersi un femminismo militante pacifista, lucido e gravido di
vie diverse, di alternative che ci allontanino dallo scenario di violenza e
morte che contempliamo stordite e storditi. Non lasciamoci intimidire, non lasciamo che
prevalgano. Se c’è una battaglia degna da intraprendere, attorno alla quale
unirci, è quella opporsi alla guerra, a tutte le guerre.
Fonte
originale: El Salto
Traduzione
per Comune-info: marco calabria
https://comune-info.net/mucho-macho-la-guerra-maschia/
Virilità guerriera - Lea Melandri
La guerra coglie sempre di sorpresa, perché è ciò “a cui non si vuol
credere” (Sigmunt Freud). Ma, superato l’iniziale effetto di annichilimento, si
fanno immediatamente chiari i legami con la società che la prepara, si vedono
le ragioni contingenti che la fanno apparire ogni volta “necessaria”, ma anche
i tratti che la contraddistinguono al di là di ogni tempo e luogo, e che hanno
indotto a pensarla come parte immutabile della “natura umana”. In questo
connubio paradossale di “permanenza” e di modificazioni storiche, la
guerra assomiglia, non casualmente, al dominio maschile.
Ciò che rende la guerra anche solo pensabile è l’eclissarsi, nel giudizio e
nella percezione che abbiamo di noi stessi e degli altri, dell’individuo visto
nella sua singolarità di corpo vivente e senziente. Uccidere in guerra
grandi quantità di civili non ha più l’effetto sconcertante che ancora
all’inizio del Novecento aveva per Freud (La delusione della guerra,
1915), nonostante che la potenza delle armi sia aumentata e così pure le crisi
umanitarie e l’esodo dei profughi come inevitabili conseguenze.
L’indifferenza ai massacri sembra essere andata paradossalmente di pari
passo con la promiscuità di “etnie”, lingue e religioni, effetto della
globalizzazione economica e dei mezzi di comunicazione, una realtà che oggi
interessa l’intero pianeta. Non potendo più affidare la propria unità, identità
e appartenenza al confronto col “diverso”, né misurare la propria superiorità
su “nature inferiori”, le nazioni umane conoscono per la prima volta
l’insicurezza e i pericoli di una progressiva indistinzione. Se c’è un
“nemico”, non può che annidarsi nelle maglie del sistema dominante da cui esce
imprevedibile e subdolo, come è stato in tempi recenti il Covid, la pandemia.
È per questo che il riarmo dell’Europa, salutato con grande enfasi di
applausi e standing ovation anche dal nostro parlamento, ha
dovuto far ricorso, per ottenere il necessario compattamento tra Stati e
partiti in perenne conflitto e competizione, a un accorpamento fondato sulla
logica più arcaica del patriarcato dell’“amico/nemico”, “civiltà/barbarie”? Come mai si è
passati con tanta rapidità da “Più Europa” – che avrebbe significato
riconoscere che anche la Russia è parte dell’Europa, come l’Ucraina -, alla
“russofobia” della guerra fredda, che oggi rischia di incendiare un mondo già
segnato da crisi di vario genere? Imperitura, al di là dei mutevoli
contesti storici e politici, sembra essere ancora una volta quell’ideale di
“virilità guerriera” sulla cui costruzione mancano ancora consapevolezze e
conoscenze adeguate, nonostante un secolo e oltre di femminismo.
Rassicurante, al di là dei massacri di civili e delle devastazioni, sembra
essere il fatto che la guerra riporta un ordine sempre più minacciato: quello
dei ruoli, considerati ancora “naturali” del maschi e della femmina, l’uomo in
armi, le donne alla cura dei figli e della quotidianità minacciata.
https://comune-info.net/virilita-guerriera/
La doppia morale delle politiche di accoglienza di fronte alle guerre - Fulvio Vassallo Paleologo
1. Di fronte
ad un afflusso massiccio di profughi dalla guerra in Ucraina gli Stati europei
sembrano aprire consistenti canali di ingresso legale e di accoglienza per le
centinaia di migliaia di persone provenienti da città ormai diventate teatro di
guerra, casa per casa. Come al solito una guerra giocata sulla pelle della
popolazione civile, ormai prossima al disastro umanitario. Una guerra con tanti
responsabili, vicini e lontani, frutto delle politiche di armamento dei
blocchi, anche in Africa, del liberismo vincente su
scala globale, e degli accordi commerciali associati a politiche di
respingimento dei migranti con paesi che non rispettano i diritti umani. La
logica del più forte caratterizza ormai da anni la politica internazionale, a
partire dal conflitto palestinese, che oggi tutti sembrano rimuovere. La stessa
logica ha caratterizzato gli accordi contro la mobilità dei migranti ed ha
legittimato la costruzione di muri di frontiera sempre più alti.
L’Unione Europea
sembra avviarsi a varare un piano effettivo di redistribuzione dei profughi
ucraini tra i 27 paesi UE e si discute addirittura di rilanciare il Patto europeo sulle
migrazioni, bloccato
dal 2020 proprio per la ostinata resistenza dei paesi più orientali
dell’Unione, da sempre contrari ad accettare le regole della redistribuzione ed
una profonda revisione
della normativa in materia di asilo e protezione sussidiaria, ed anche del
Regolamento Dublino III, che adesso invece sembrano dare come scontata. La normativa
europea prevede del resto norme specifiche per l’afflusso massiccio di
profughi, norme che
però non sono state completamente attuate neppure dopo le guerre nei Balcani
negli anni 90 del secolo scorso. Come riferisce
Huffington Post, “La
decisione ufficiale è attesa per giovedì 3 marzo, ma tra i Paesi membri
dell’Unione europea c’è “un ampio sostegno all’applicazione della direttiva per
la protezione temporanea degli sfollati” ucraini. Lo ha dichiarato la
commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson, al termine del
Consiglio straordinario Affari interni sull’Ucraina”.
Non possiamo
prevedere ancora quali saranno gli sviluppi militari sul campo, e la effettiva
quantità di persone che saranno costrette a fuggire. Secondo quanto dichiarato
oggi dall’UNHCR almeno 368.000 persone hanno raggiunto i confini di Polonia,
Ungheria, Romania e Moldavia dall’Ucraina. Ci sembra però doveroso ricordare come
questo paese abbia attivamente contribuito alla realizzazione di un muro
anti-migranti ai tempi della crisi migratoria innescata lo scorso anno dalla Bielorussia,
e come in questi giorni siano intrappolati in
Ucraina migliaia di migranti provenienti da vari paesi del mondo, in
particolare dall’Africa, ai quali non si stanno garantendo effettive
possibilità di evacuazione, né sembra che siano tra coloro ai quali gli Stati
europei riserveranno forme agevolate di ingresso ed accoglienza.
Come scrive
Cornelia I. Toelgyes dell’agenzia Africa
ExPress, “Il
20 per cento degli studenti stranieri in Ucraina provengono
dall’Africa, da molte nazioni del continente. Una tradizione che risale alla
decolonizzazione degli anni Sessanta, quando, dietro ordini della Russia, le
autorità di Kiev esportavano grano, zucchero, olio vegetale, prodotti
metallurgici e quant’altro, finanziando anche la formazione in medicina,
ingegneria o in ambito militare“. Oggi questi
ragazzi sono bloccati in Ucraina, tra gli altri alcune centinaia di tunisini, e
non riescono ad avvalersi delle vie di fuga ancora esistenti per i cittadini di
questo paese, rischiando di non potere ottenere uno status legale di soggiorno
ed una qualsiasi assistenza nei paesi del’Unione Europea in cui dovessero
arrivare. Sembrerebbe intanto
che un centinaio di cittadini libici presenti in Ucraina siano stati evacuati, riuscemdo a raggiungere la
Slovacchia, mentre altri rimangono bloccati nel resto del paese.
2.
L’ingresso dei russi in Ucraina non può essere considerato un evento isolato,
in realtà una guerra su scala
globale prosegue da anni in nome del mercato e della concorrenza tra Stati, ma
anche tra gruppi economici multinazionali. Non si può escludere una stretta correlazione di
questo conflitto globale con gli accordi con governi che non rispettano i
diritti umani, come gli accordi con la Libia, con l’Egitto, accordi di
esternalizzazione su cui si basano, con il commercio di armi e di risorse energetiche, le
politiche di controllo della mobilità delle persone migranti e dei richiedenti
asilo. Accordi che hanno anticipato i muri di frontiera ai confini esterni
dell’Unione Europea, dalla Bielorussia fino alla Turchia, e che
nell’indifferenza generale hanno fatto migliaia di vittime su cui hanno spento
tutti i riflettori. Accordi che hanno alzato persino “muri sull’acqua” come le
prassi di respingimento collettivo delegato ai paesi terzi ed a Frontex
(Agenzia dell’Unione Europea) ai confini dell’Egeo, e nel Mediterraneo
centrale ed occidentale.
In Africa si
è fatto di tutto per trovare intese con regimi autoritari che
opprimono i propri cittadini, limitando la libertà di lasciare il proprio paese
riconosciuta dalla Dichiarazione
universale dei Diritti dell’Uomo (art.13) approvata dalle Nazioni Unite nel 1948, regimi
che di fatto permettono ai trafficanti di sfruttare i migranti in transito come
una risorsa inesauribile di guadagno, assoggettando tutte le attività
economiche, incluse le commesse militari ed i rifornimenti energetici, ad un
diffuso sistema di corruzione. In Europa non si è mai creato un meccanismo di
solidarietà sul fronte dell’accoglienza dei rifugiati e la priorità è stata
sempre data alle politiche di ritorno (return) sulla base di
accordi con i paesi terzi, anche quando queste si sono dimostrate del tutto
inefficaci a contrastare l’immigrazione irregolare. Che si può battere solo
aprendo canali legali di ingresso, sia per lavoro e ricongiungimento familiare,
che per studio o protezione internazionale.
I
responsabili sono sempre gli stessi, li conosciamo uno per uno, sono quei politici
che hanno speculato sul populismo e sul nazionalismo, ieri persino in affari con Putin,
e chi li ha chiamati
a partecipare al
governo. I complici sono tutti quei cittadini europei che con il loro consenso
elettorale hanno legittimato un assetto di potere che nel tempo ha cancellato i
diritti fondamentali ed i principi di solidarietà.
Se la pandemia ha messo in crisi il principio dell’assistenza sanitaria
pubblica e gratuita per tutti, le conseguenze di una guerra , che si annuncia
come permanente, ed il ritorno alla politica dei blocchi, restringeranno le
possibilità di un lavoro equamente retribuito e la mobilità nella ricerca di
una occupazione. In questo quadro che si va definendo giorno dopo giorno le
ostilità nei confronti delle persone migranti e dei richiedenti asilo non
potranno che aumentare. Per questa ragione occorre moltiplicare le reti sociali
di protezione attorno agli immigrati, senza distinzione di nazionalità o di
religione. Ma occorre intervenire anche sul fronte della lotta alle
disuguaglianze e della riorganizzazione del mercato del lavoro. Altrimenti
l’arrivo di nuovi immigrati, e persino degli sfollati di guerra, passata l’onda
emotiva dei primi giorni, finirà per avvantaggiare ulteriormente i partiti
populisti di destra.
3. Adesso
non basta chiedere il cessate il fuoco tra Ucraina e Russia, o sostenere le
ragioni dell’accoglienza dei (soli) profughi ucraini nei diversi paesi
europei. Per alzare magari,
domani, un muro contro l’arrivo dei profughi siriani, afghani o africani. O per selezionare tra bianchi e neri
ai confini dell’Ucraina. Refugees in Libya, un
gruppo di attivisti con sede in Libia ha affermato che la volontà dei governi
dell’UE di accogliere i rifugiati ucraini, ma non persone come loro, ha
rivelato il loro razzismo nascosto. E tra i tanti che denunciano le
resposabilità della guerra in Ucraina, nessuno ricorda l’esigenza di una
revisione sostanziale delle politiche migratorie e dei sistemi di controllo
alle frontiere europee.
Ma non basta
considerare separatamente le questioni dell’immigrazione e dell’asilo. Occorre
ritornare ad una politica di vera alternativa che recuperi il multilateralismo
ed una funzione effettiva di composizione dei conflitti alle Nazioni Unite, che
si basi sulle ragioni fondative dell’Unione Europea, come uno spazio di
solidarietà e di accoglienza, e ricostruisca un blocco sociale di opposizione
ai governi fondati sullo scambio tra diritti e sopravvivenza economica. Nulla sara’ più
come prima.
La guerra in Ucraina disintegra il tentativo di un ritorno allo stato
dell’economia anteriore alla pandemia. Le disuguaglianze aumenteranno ancora, e
in un clima politico caratterizzato in tutti i paesi europei dal populismo e dal
richiamo alle istanze nazionali, se non del tutto individualistiche, la stessa
Unione Europea rischia di frantumarsi sotto le spinte nazionali. Sara’
necessario aggregare consenso e ricostituire formazioni politiche in nome della
giustizia sociale, in difesa dello Stato di diritto e della riconversione della
politica estera, ponendo fine a qualsiasi forma di collaborazione con chi
specula sul populismo e calpesta quotidianamente diritti umani e vite degli
“altri”, ritenute come scarti necessari.
Vanno creati
nell’immediato sistemi di evacuazione protetta e di accoglienza immediata per
tutte le persone costrette a fuggire dall’Ucraina, senza alcuna distinzione di
nazionalità come vanno individuati strumenti di protezione per quei cittadini
russi che non possano fare rientro nel loro paese, ed ai quali il loro stesso
paese arriva a negare persino il rinnovo del passaporto. Ma la crisi migratoria
derivante dalla guerra in Ucraina non potrà essere risolta ignorando le
tragedie umanitarie già in corso ai confini esterni dell’Unione Europea, in
Polonia, sulla rotta balcanica, alla frontiera tra Grecia e Turchia, nel
Mediterraneo, un mare sempre più al centro delle dinamiche di guerra, oltre che
delle rotte migratorie. Anche le persone migranti trattenute nei centri di
detenzione in Libia hanno diritto ad una evacuazione immediata e ad un ingresso
legale in un paese che garantisca i loro diritti fondamentali, a partire dal
diritto alla vita ed alla integrità fisica.
Con specifico
riferimento al Mediterraneo occorre attivare immediatamente il sistema degli
ingressi in base a visti umanitari da rilasciare presso gli uffici consolari
dei paesi UE negli Stati di transito dove si trovano bloccate le persone
migranti in fuga verso l’Europa. Che si lasciano alle spalle conflitti, abusi e
devastazioni , basti pensare alla Siria o all’Afghanistan, al Congo o al Sudan,
paesi già dimenticati da tutti, crisi non meno gravi di quelle oggi al centro
dell’attenzione in Ucraina.
Occorre
soprattutto sospendere tutti gli accordi di cooperazione militare ed economica
con i paesi terzi, a partire dal patto infame del
2016 con la Turchia di Erdogan, accordi finalizzati sulla carta al contrasto
dell’immigrazione illegale, alla lotta ai trafficanti, ma che di fatto, grazie
anche alla corruzione diffusa in quei paesi, ed allo scontro tra milizie ed
autorità centrali, finiscono per penalizzare soltanto le persone migranti e chi
è già portatore del diritto alla protezione, un diritto che in molti paesi non
viene mai riconosciuto, anche se si tratta di paesi firmatari della Convenzione
di Ginevra.
Non basta
quindi limitarsi agli appelli o alle manifestazioni genericamente pacifiste, ma
occorre individuare richieste concrete e controparti reali per contrastare
ovunque i sostenitori della guerra e del riarmo globale, che sono gli stessi
che da anni si scontrano, in Europa ma anche nel continente africano, per fare
prevalere le ragioni del mercato, del liberismo globale e della concorrenza sul
riconoscimento effettivo dei principi di solidarietà ed uguaglianza, sui
diritti dei popoli. Un impegno che dovremo assumere senza limitarci al contesto
internazionale, più distante dalla nostra area di intervento, ma che va
riproposto anche a livello nazionale, denunciando gli accordi bilaterali,
ampliando i casi di riconoscimento della protezione internazionale,
ricostruendo un vero sistema di accoglienza, e aprendo tutti i possibili canali
legali di ingresso.
Contro tutti
coloro che di fatto negano i diritti di autodeterminazione e di mobilità delle
persone, ma si schierano ipocritamente da una o dall’altra delle parti in
guerra e praticano un finto umanitarismo, nella convinzione di potere trarre
vantaggio, personale o di partito, dal loro schieramento. Perché questa guerra, che
prosegue da anni su scala globale, basti pensare all’Iraq, all’Afghanistan ed alla
Siria, per non parlare dell’Africa sub-sahariana e della Libia, e che adesso
rischia di assumere una dimensione enorme
nel cuore dell’Europa, sottoponendola ad un duro ricatto energetico, se non a imprevedibili
rischi militari, mette a rischio i diritti umani e la democrazia, ovunque, non
solo in Ucraina, ed è anche su questo terreno, da parte dei cittadini europei,
che si dovrà combattere.
A che servono le armi: uno sguardo dal Sahel - Mauro Armanino
Le armi servono per essere usate. Danno effimero potere e arricchiscono
relativamente poche persone rispetto a quelle che ne soffrono le conseguenze.
Avendo scelto il servizio civile volontario internazionale sostitutivo al
servizio militare, non ho mai creduto che la pace fosse un frutto delle armi.
Le ho riviste durante l’ultima porzione della guerra civile in Liberia negli
anni duemila. Erano, tra l’altro, in mano a bambini che, con tutta la serietà
del mondo, controllavano i ‘check-points’ sulle strade alla fine del regime di
Charles Taylor. Con armi più grandi e pesanti di loro, avevano il potere di
fermare e far tremare gli incauti autisti e passeggeri umanitari delle ONG
venute a ‘salvare’ la Liberia. Questi bambini erano un perfetto nessuno,
invisibili come la maggior parte dei figli dei poveri. Con in mano un
kalashnikov AK-47 erano in grado di tornare ad esistere e di contare e di
essere diventati, d’improvviso, grandi e temuti.
Le armi si vendono per essere usate. Lo vediamo nel Sahel, a tutt’oggi una delle
zone più pericolose del pianeta. I gruppi armati usano prevalentemente armi
‘leggere’ che, in guerre asimmetriche come quelle a cui assistiamo da anni,
sono le più dannose. Le armi circolano, passano di guerra in guerra, hanno
circuiti di vendita, commercianti e acquirenti, si moltiplicano a dismisura e
continuano ad essere rubate e vendute. Armi in cambio di vite umane e di
sofferenze e di profughi che fuggono lontano e, spesso, passano da una guerra
all’altra, da un campo profughi a richiedenti asilo, per decenni. Armi
regolari, irregolari, informali, clandestine, illegali o perfettamente
registrate con tanto di matricola onde essere seguite e identificate fin
dall’origine. A poco serve, in fondo, quando tutto ciò porta ad uccidere o
incutere il timore di farlo. Le armi sono l’espressione della più grande
menzogna che pretende di creare la pace con la guerra!
Le armi si fabbricano per essere usate. Nel Sahel abbiamo avuto e (per
alcuni) celebrato vari colpi di stato da parte di militari armati. Dopo il Mali
è stata la volta del Burkina Faso e ci si domanda chi sarà il prossimo stato,
eletto per tale scopo. Parte della gente ha applaudito. Pensa che i militari al
potere, con le armi della persuasione (e le armi in mano), metteranno un punto
finale alla corruzione, al nepotismo, alle nefaste influenze straniere e poi
ridaranno il potere ai civili fino alla prossima occasione. Si sono costruite
nel Niger varie basi militari, l’Italia, ultima arrivata per ora, dovrebbe
avere finalmente il suo ‘pied-à-terre’ nei pressi dell’aeroporto internazionale
di Niamey. E ora, che la guerra si riaffaccia in Europa, si potranno rinnovare
gli armamenti, attestarne la validità e la rinnovata e sofisticata efficacia.
Una splendida occasione che perfezionerà ulteriormente l’arte della guerra che,
nelle generazioni, non abbiamo mai perduto.
A morire e soffrire saranno i soliti poveri ignoti.
Gli altri, i superstiti, morranno di vergogna per non aver osato cambiare ‘le
spade in vomeri e le lance in falci’, nel sogno del profeta. L’Italia avrebbe
ancora la possibilità di trasformare la base militare in una scuola di pace,
prima che sia tardi.
Niamey, 28 febbraio 2022
https://www.missioniafricane.it/a-che-servono-le-armi-uno-sguardo-dal-sahel/
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