domenica 6 marzo 2022

Biden scrive a Putin, una guerra tira l'altra e l'apartheid dei migranti


Iniziamo con uno scoop. La lettera (vera, falsa, verosimile?) che Biden ha scritto, scriverà, potrebbe scrivere a Putin. Noi ci fidiamo di Francesco Masala che l'ha "rubata" : se lui garantisce che nei "sentieri del possibile" gira questa lettera... la prendiamo per serissima; sapendo che spesso l'ironia è più attendibile della verità imbalsamata.



La lettera di Biden a Putin

 

Caro Vladimir Putin,

ti scrivo per ringraziarti di aver invaso l’Ucraina, è da tanto che ti mettevamo con le spalle al muro, ogni tua richiesta, anche solo di trattare con noi, l’abbiamo ignorata per anni, alla fine non ce l’hai fatta più fatta, ogni pazienza ha un limite, e ti abbiamo costretto all’invasione. Sei stato bravo, comunque, a resistere così a lungo senza invadere, noi non ce l’avremmo mai fatta.

A noi piacciono le guerre, è distruzione creativa (distruzione per le popolazioni, creazione di profitti o potere per noi).

Siamo stati bravi, non siamo intervenuti, non è intervenuta la Nato, ormai operiamo con i contractors (così chiamiamo i mercenari).

L’Ucraina è pieno di nazisti, di quelli tosti, mica come i nostri dell’Illinois.

Sappiamo che farai qualche sbaglio (lo sappiamo, noi siamo maestri di sbagli, veri o finti non importa, non sottilizziamo).

Tu speravi nell’Europa, ma non valgono niente, sono zerbini per i nostri stivali, ogni tanto qualche galletto canta, ma sono gente senza palle, questi europei; mi spiace per te, ma sapevamo che si sarebbero sacrificati per il padrone a stelle e strisce, contro i loro interessi, ma i servi sciocchi sono sciocchi proprio per questo.

Noi li teniamo per le palle, Italia e Germania, soprattutto, con la scusa che hanno perso la seconda guerra mondiale, le nostre basi militari sono soprattutto lì. Sono passati 75 anni dalla fine della guerra, ma ancora li teniamo in pugno, e non capiscono.

Adesso in quella che loro chiamano la fortezza Europa facciamo entrare 1, 2 o 3 milioni di ucraine e ucraini, tutti rigorosamente pallidi come loro, mica africani da restituire ai libici.

E si arrangino.

L’Europa non esiste, per fortuna. Tu scommettevi a favore dell’Europa, noi contro, li conosciamo bene, poveracci, la scommessa l’abbiamo vinto noi.

Negli Usa ormai circola questa battuta “ormai, nelle parole crociate facilitate, potrebbe esserci la seguente definizione: continente con un grande avvenire dietro le spalle, sei lettere (inizia per E)”.

C’era uno che aveva capito tutto, o quasi, si chiamava Giulietto Chiesa, diceva a tutti quello che succede, ma non lo ascolta(va) quasi nessuno, non c’è stato bisogno di trattarlo come Assange, meno male che è morto.

E ti ringrazio anche per le leggi liberticide sull’informazione, adesso non si parlerà più del caso Assange.

E alla fine ci metteremo d’accordo, se farai quello che diciamo noi, ma non lo diremo mai.

 

Cordialmente, Joe Biden

 

 

 

GUERRA RUSSIA-UCRAINA: UN’INVASIONE DIVERSA, DA PARTE DELL’OCCIDENTE LO STESSO COPIONE DEL “PAZZO” - Jonathan Cook

 

Che comodità per i leader occidentali il fatto che, ogni volta che un altro paese sfida la proiezione di potere dell’Occidente, i media occidentali possono essere d’accordo su una cosa: che il governo straniero in questione è guidato da un pazzo, uno psicopatico o un megalomane.

In un batter d’occhio, i leader occidentali sono assolti dalla colpa o anche dalla responsabilità per i terribili eventi che si verificano. L’Occidente rimane virtuoso, semplicemente una vittima dei pazzi del mondo. Nulla di ciò che l’Occidente ha fatto è stata una provocazione. Niente di quello che avrebbero potuto fare avrebbe evitato il disastro.

Gli Stati Uniti possono essere di gran lunga lo stato più potente del pianeta, ma le loro mani sono apparentemente sempre legate da un nemico squilibrato e implacabile, in questo caso il presidente russo Vladimir Putin.

Invadendo il suo vicino, l’Ucraina, Putin, ci viene detto, non sta avanzando alcun interesse geopolitico o strategico razionale – dalla sua angolazione. E così nessuna concessione poteva o doveva essere fatta perché nessuna gli avrebbe impedito di agire come ha fatto.

L’Occidente, cioè i falchi della politica estera a Washington, decide quando la linea temporale degli eventi è iniziata, quando è avvenuto il peccato originale. I media occidentali compiacenti danno la loro benedizione, e le nostre mani vengono lavate ancora una volta.

Il sottotesto – sempre il sottotesto – è che qualcosa deve essere fatto per fermare il “pazzo”. E poiché è irrazionale e megalomane, tale azione non deve mai essere inquadrata in termini di concessioni o compromessi – che sarebbe un appeasement, dopo tutto. Se ogni nemico è un nuovo Hitler, nessun leader occidentale rischierà un di essere paragonato a Neville Chamberlain.

Invece, ciò di cui c’è urgente bisogno, i politici e i media occidentali sono d’accordo, è la proiezione – apertamente o di nascosto – di ancora più potere e forza occidentale.

 

Catastrofe non mitigata

L’invasione statunitense e britannica dell’Iraq quasi due decenni fa è un contrappunto particolarmente pertinente e significativo per gli eventi in Ucraina.

Allora, come oggi, si supponeva che l’Occidente si trovasse di fronte a un governante pericoloso e irrazionale che non era possibile far ragionare e che non era disposto a scendere a compromessi. Saddam Hussein, insistevano i leader occidentali e i loro media, si era alleato con i suoi arcinemici di al-Qaeda, gli autori dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre. Aveva armi di distruzione di massa e poteva lanciarle verso l’Europa in 45 minuti.

Salvo il fatto che niente di tutto questo era vero – nemmeno la parte del pazzo. Saddam era un dittatore duro, freddo e calcolatore che, come la maggior parte dei dittatori, si manteneva al potere attraverso un regno di terrore sui suoi oppositori.

Ciononostante, i media occidentali hanno fedelmente amplificato il tessuto di affermazioni prive di prove – e bugie patentate come quella assurda dell’alleanza con al-Qaeda – inventate da Washington e Londra per dare il via all’illegale invasione dell’Iraq del 2003.

Gli ispettori delle Nazioni Unite non poterono trovare alcuna traccia delle scorte dell’ex arsenale di armi biologiche e chimiche dell’Iraq. Uno di loro, Scott Ritter, è rimasto inascoltato quando ha avvertito che qualsiasi cosa posseduta da Saddam, dopo tanti anni di sanzioni e ispezioni, si sarebbe trasformata in “gelatina innocua”.

 

L’improbabile affermazione dei 45 minuti, nel frattempo, non era basata su alcun tipo di intelligenza. È stata presa direttamente dalle speculazioni di uno studente in una tesi di dottorato. L’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna non era solo illegale, naturalmente. Ha avuto conseguenze orribili. Ha portato alla probabile morte di circa un milione di iracheni e ha generato un nuovo terrificante tipo di islamismo nichilista che ha destabilizzato gran parte della regione.

Questi interessi, naturalmente, sono stati in gran parte nascosti perché erano così ignobili, violando palesemente il cosiddetto “ordine basato sulle regole” che Washington afferma di sostenere. Ma nonostante sia stata una catastrofe senza conseguenze, l’invasione dell’Iraq guidata dagli Stati Uniti non era più “irrazionale” dell’attuale invasione dell’Ucraina da parte di Putin. I neoconservatori di Washington hanno portato avanti quelli che consideravano gli interessi geopolitici degli Stati Uniti e una visione strategica per il Medio Oriente.

Ciò che i neoconservatori volevano era in vario modo controllare il petrolio dell’Iraq, eliminare le sacche regionali di resistenza all’egemonia degli USA e del suo cliente Israele in Medio Oriente, ed espandere la regione come mercato economico per le merci e le armi statunitensi.

Saddam è caduto nella trappola preparata per lui perché era ugualmente motivato dal suo interesse personale “razionale” definito in modo ristretto. Si è rifiutato di ammettere che non aveva più alcun sistema di armamento significativo dopo le sanzioni e le ispezioni occidentali, perché non osava apparire debole, né alla sua stessa popolazione né ai vicini ostili come l’Iran.

Il rifiuto dei media occidentali di considerare le reali motivazioni di entrambe le parti – dei neoconservatori a Washington o di Saddam in Iraq – ha reso l’invasione del 2003 e la sofferenza che ne è seguita ancora più inevitabile.

 

Sfere di influenza

La stessa predilezione per la semplice narrazione del “pazzo” ci ha spinto ancora una volta in un’altra crisi internazionale. E ancora una volta, è servita come un modo per evitare di esaminare il vero contesto e le ragioni di ciò che sta accadendo in Ucraina e in tutta l’Europa orientale.

Le azioni di Putin – sebbene potenzialmente non meno disastrose dell’invasione dell’Iraq guidata dagli Stati Uniti, e certamente altrettanto illegali – sono anche radicate nella sua valutazione “razionale” degli interessi geopolitici russi.

Ma, a differenza delle ragioni di Washington per invadere l’Iraq, le ragioni di Putin per minacciare e ora invadere l’Ucraina non sono state nascoste. È stato abbastanza aperto e coerente sulle motivazioni per anni, anche se i leader occidentali hanno ignorato i suoi discorsi, e i media occidentali raramente hanno citato qualcosa di più dei suoi slogan più sciovinisti.

La Russia ha obiezioni realistiche al comportamento e alla malafede degli Stati Uniti e della Nato negli ultimi tre decenni. La NATO, dobbiamo ricordarcelo, è innanzitutto una creatura della guerra fredda, un veicolo dell’Occidente per proiettare una postura militare aggressiva verso l’ex Unione Sovietica sotto la copertura di un’organizzazione di “difesa”.

Ma dopo la dissoluzione dell’URSS nel 1991, l’alleanza militare occidentale non è stata sciolta. Al contrario. È cresciuta fino ad assorbire quasi tutti gli ex stati dell’Europa dell’est che avevano fatto parte del blocco sovietico e ha fatto della Russia un nuovo spauracchio. I bilanci militari occidentali sono aumentati di anno in anno.

La Russia si aspetta una cosiddetta “sfera d’influenza“, nello stesso modo in cui gli Stati Uniti ne pretendono una. Quello che è successo invece per la maggior parte degli ultimi 30 anni è che gli Stati Uniti, come unica superpotenza mondiale, hanno ampliato la propria sfera d’influenza fino alle porte della Russia. Come Washington, Putin ha l’arsenale nucleare per sostenere le sue richieste. Ignorare la sua richiesta di una sfera d’influenza o la capacità della Russia di imporla con la forza, se necessario, è ipocrisia o follia.

Anche questo ha spianato la strada all’attuale invasione.

 

Mentalità da guerra fredda

Ma Putin ha altre ragioni – dal suo punto di vista – per agire. Vuole anche mostrare agli Stati Uniti che c’è un prezzo da pagare per le ripetute promesse non mantenute di Washington sugli accordi di sicurezza in Europa. La Russia ha sciolto la propria alleanza militare, il Patto di Varsavia, dopo la caduta dell’Unione Sovietica, in segno sia della sua debolezza che della sua volontà di riordinare le relazioni con i suoi vicini.

Gli Stati Uniti e l’Unione Europea avevano la possibilità di accogliere la Russia nell’ovile, e renderla un partner nella sicurezza dell’Europa. Invece la mentalità da guerra fredda è rimasta ancora più nelle capitali occidentali che a Mosca. Le burocrazie militari dell’Occidente che hanno bisogno della guerra, o almeno della minaccia di essa per giustificare i loro posti di lavoro e i loro bilanci, hanno fatto pressione per tenere la Russia a distanza.

Nel frattempo, l’Europa orientale è diventata un nuovo grande e redditizio mercato per i produttori di armi occidentali. Questo ha spianato la strada anche a questa crisi.

E infine, Putin ha tutti gli incentivi per affrontare più decisamente la ferita di otto anni di guerra civile tra i nazionalisti ucraini anti-russi e i combattenti di etnia russa della regione del Donbas, nell’est dell’Ucraina. Anche prima dell’attuale invasione, molte migliaia di persone sono morte.

I nazionalisti ucraini vogliono l’ingresso nella NATO in modo che venga risucchiata nel bagno di sangue del Donbas dalla loro parte – alimentando una guerra che potrebbe andare fuori controllo in un confronto diretto tra NATO e Russia. Putin vuole mostrare alla NATO e agli ucraini militanti che non sarà una cosa semplice.

L’invasione è intesa come un “colpo a prua” per dissuadere la NATO dal muovere il suo atto di forza in Ucraina.

I leader occidentali sono stati avvertiti di tutto questo dai loro stessi funzionari già nel 2008, come rivela un telegramma diplomatico statunitense trapelato: “Considerazioni di politica strategica sono anche alla base della forte opposizione all’adesione di Ucraina e Georgia alla NATO. In Ucraina, queste includono il timore che la questione potrebbe potenzialmente dividere il paese in due, portando alla violenza o addirittura, alcuni sostengono, alla guerra civile, che costringerebbe la Russia a decidere se intervenire”.

Ma anche ora, l’Occidente è imperterrito. Non perde tempo ad inondare di altre armi l’Ucraina, alimentando ulteriormente il fuoco.

 

Caricature pericolose

Niente di tutto questo, naturalmente, significa che le azioni di Putin siano virtuose, o addirittura sagge. Ma per alcuni la sua invasione dell’Ucraina non sembra più irrazionale o pericolosa dei decenni di mosse provocatorie della NATO contro una Russia armata con il nucleare.

E qui arriviamo al nocciolo della questione. Solo l’Occidente definisce cosa significa “razionale” – e su questa base, i suoi nemici possono sempre essere liquidati come squilibrati e malvagi.

La propaganda dei media occidentali serve solo ad approfondire queste tendenze nell’umanizzare, o meno, coloro che sono coinvolti negli eventi.

Come l’Associazione dei giornalisti arabi e mediorientali ha osservato nel fine settimana, gran parte della copertura è stata palesemente razzista, con commentatori occidentali che notano con simpatia che coloro che fuggono dall’invasione russa dell’Ucraina, a differenza di quelli apparentemente sfollati dalle invasioni occidentali del Medio Oriente, sono “come noi”, “civilizzati” e non “sembrano rifugiati”.

Allo stesso modo, c’è un netto contrasto tra la cronaca celebrativa di una “resistenza” ucraina che costruisce bombe improvvisate contro l’esercito russo che avanza e la demonizzazione di routine dei media dei palestinesi come “terroristi” per aver resistito a decenni di occupazione di Israele.

E sempre allo stesso modo, il dominio globale degli Stati Uniti significa che essi impongono il quadro militare, politico e diplomatico delle relazioni internazionali. Gli altri paesi, compresi i potenziali rivali come la Russia e la Cina, devono operare all’interno di questo quadro.

Questo li costringe a reagire più spesso che ad agire. Ecco perché è così importante che i media occidentali riferiscano gli eventi in modo completo e onesto, senza ricorrere a facili tropi progettati per trasformare i leader stranieri in caricature e le loro popolazioni in eroi o malvagi.

Se Putin è un pazzo, come Saddam in Iraq, Muammar Gheddafi in Libia, Bashar al-Assad in Siria e i leader talebani in Afghanistan prima di lui, allora l’unica soluzione è l’uso della forza ad oltranza.

Nella politica di potere globale questo si traduce potenzialmente in una terza “guerra mondiale” europea, il rovesciamento del governo della Russia, e il processo di Putin all’Aia o la sua esecuzione. La strategia della “camicia di forza”. Che è precisamente la destinazione catastrofica verso la quale i leader occidentali, aiutati dai media, hanno spinto la regione negli ultimi tre decenni.

Ci sono modi molto meno pericolosi di questo per risolvere le crisi internazionali – ma non finché continuiamo a vendere il mito del nemico “pazzo”.

 

Link: https://www.middleeasteye.net/opinion/russia-ukraine-war-invasion-madman-script-same

 

(Scelto e tradotto da Arrigo de Angeli per ComeDonChisciotte)

https://comedonchisciotte.org/guerra-russia-ucraina-uninvasione-diversa-da-parte-delloccidente-lo-stesso-copione-del-pazzo/

 

 

 

"La pace non può concedere diritto di veto alla Cgil-Cisl-Uil"

di Norma Bertullacelli

La pace è una cosa troppo importante per concedere il diritto di veto al sindacato confederale": parafraserei in questo modo la frase di Mao Valpiana.

Sono per la massima collaborazione possibile con loro, ma nei lunghi anni in cui il pacifismo "non c'era" (una frase su cui vorrei poter discutere a lungo) troppe volte ci siamo sentiti dire dal mondo sindacale che l'industria d'armi "dà lavoro". Confondendo clamorosamente lavoro e profitto, due concetti che dovrebbero essere alla base del vocabolario sindacale.

Sono per la massima collaborazione con tutti e tutte, fino al massimo grado possibile. Sono per la ricerca di massima sintonia con chi rappresenta una grandissima parte del mondo del lavoro. Ma il movimento pacifista deve decidere in assoluta autonomia le caratteristiche delle proprie mobilitazioni.

E ai molti e molte che, in assoluta buonafede, scelgono di annacquare le proprie parole d'ordine per garantire la massima partecipazione, propongo di guardare i servizi televisivi e giornalistici sulla manifestazione di ieri (c'ero, naturalmente). Vi sembra che al pubblico sia arrivata notizia che a Roma c'è stata una manifestazione numerosissima, consapevole e partecipata; e che questa manifestazione rappresentasse il rifiuto di alimentare il conflitto in Ucraina con l'invio di armi?

Buon lavoro a tutti e tutte

Norma Bertullacelli, Genova

 

 

 

È la terza guerra mondiale? - Lorenzo Guadagnucci

 

Siamo tutti a chiederci dove porterà la scellerata e criminale aggressione russa all’Ucraina, ma fatichiamo – credo di non essere il solo – a pensare in modo ordinato e sistematico, perché ci troviamo sommersi da molta (forse troppa) informazione impressionistica ed emotiva e da poca (pochissima) voglia di ragionare su questa guerra con apertura mentale e profondità storica.

Le notizie di sabato 26 febbraio sono certamente quelle che arrivano da Kiev aggredita e sotto pressione e dagli altri fronti di conflitto armato, ma più ancora fa impressione – e dovrebbe far notizia – ciò che sta maturando, sia pure in modo poco chiaro, nelle cancellerie europee, al comando Nato, a Washington. Oggi la Germania e il Belgio hanno annunciato l’invio di aiuti militari (armi pesanti) a Kiev; l’Italia si sta preparando a fare altrettanto e una decisione analoga dell’Unione europea è data per imminente. Come noto, l’invio di armi a una delle parti in causa, può essere considerato un atto ostile, un atto di guerra. La domanda che abbiamo il diritto/dovere di fare è allora: Europa e Nato stanno dichiarando guerra alla Russia? Su quali basi? Chi ha deciso? Perché? Con quali obiettivi?

 

A Washington, intanto, il presidente Biden – pur debole politicamente all’interno del suo Paese e screditato, dopo la precipitosa e fallimentare fuga dal’Afghanistan, sul piano internazionale (o forse proprio per questo?) – è tornato a parlare di “terza guerra mondiale” con sconcertante leggerezza. Ha detto che questa è l’unica alternativa alla via delle sanzioni economiche… Sono parole che servono forse a preparare l’opinione pubblica all’eventualità? A indicare l’esito probabile della scelta di mandare armi in Ucraina?

Non lo sappiamo, perché non c’è vero dibattito su questi temi, solo allusioni. Nella marea di notizie che corre in Europa dalle redazioni di giornali, radio, siti e tv verso i cittadini mancano molte informazioni chiave, manca – soprattutto – un’analisi a tutto campo delle origini di questa guerra. Chi ha provato a ragionare attorno alle scelte fatte all’indomani dell’89, con l’espansione a est della Nato e il mancato avvio di un progetto comune di sicurezza in Europa (esteso alla Russia) e quindi del terreno favorevole così creato allo sviluppo dei nazionalismi in Europa e all’affermazione di un autocrate come Putin in Russia, è stato zittito, ignorato, deriso, a seconda dei casi. È successo per esempio all’ex ambasciatore Sergio Romano, che simili ragionamenti ha proposto in articoli relegati nelle pagine interne del suo giornale e in interviste ad altre testate; a Giulio Marcon, voce storica in Italia della cooperazione internazionale e del pacifismo, autore di un lucido e competente intervento sul manifesto (L’Ucraina e il bisogno di pacifismo); al presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo, autore di un’analisi storica e politica della vicenda ucraina ben diversa dalle superficiali, manichee e autoassolutorie “opinioni” dei maggiori editorialisti.

Quanto al mondo politico italiano – quasi inutile dirlo – siamo alla categoria del non pervenuto, con prese di posizione stereotipate e poca, pochissima argomentazione: ci si è fermati all’ovvia condanna dell’aggressione russa e del regime putiniano senza approfondire alcunché, senza prefigurare scenari, senza indicare limiti e obiettivi. E il governo Draghi, anche stavolta, ha brillato per opacità, se ci si consente il non casuale ossimoro.

Causa questa sommatoria di ipocrisia e di insipienza ci troviamo a coltivare un dubbio atroce: forse in qualche luogo del potere occidentale (certo non i parlamenti) si è già optato per un’escalation del conflitto in Ucraina e per una prossima estensione della guerra all’Unione europea e alla Nato, con tutti i rischi che ciò comporta? Si è già deciso senza nemmeno informare i cittadini, salvo agire in modo che si preparino un poco alla volta all’idea? Siamo già entrati in una nuova “guerra giusta”? È la terza guerra mondiale?

https://comune-info.net/e-la-terza-guerra-mondiale/

 

 

 

Perché gli Ucraini ci somigliano? - Alessandro Ghebreigziabiher

 

Assomigliano a noi, è tutta qui la nostra europea brama di pace?
Non voglio nemmeno pensarlo.
Poi però leggo e rifletto.
Tra gli altri leggo del giornalista della CBS il quale afferma che l’Ucraina “non è un luogo, con tutto il rispetto, come l'Iraq o l'Afghanistan, che ha visto infuriare conflitti per decenni. Questa è una terra relativamente civile, relativamente europea, un Paese in cui non te lo aspetteresti, o spereresti che accada.”
L’ex vice procuratore generale dell’Ucraina, parlando dell’invasione, dichiarare candidamente alla BBC: “È molto emozionante per me perché vedo persone europee con occhi azzurri e capelli biondi… che vengono uccise ogni giorno.”
Ma non solo, un giornalista francese sulla TV transalpina: “Non stiamo parlando di siriani in fuga dai bombardamenti del regime sostenuto da Putin. Stiamo parlando di europei che se ne vanno con auto che sembrano le nostre per salvarsi la vita.”
E il giornalista del Telegraph: “Sembrano così simili a noi. Questo è ciò che lo rende così scioccante. L'Ucraina è un paese europeo. La sua gente guarda Netflix e ha account Instagram, vota alle elezioni libere e legge giornali senza censure. La guerra non è più una cosa visitata da popolazioni povere e remote.”
È così quindi? Siamo tutti pronti, politica, media e cittadini sensibili, a mobilitarci per accogliere i rifugiati solo perché vicini somiglianti?
Mi rifiuto di crederlo.
Poi però leggo, che ci posso fare.
Leggo e ragiono.
Leggo che i cosiddetti cittadini non bianchi, tra africaniasiatici del Sud e mediorientali, i quali cercano di fuggire dall’Ucraina alla stregua dei nativi DOC, sono discriminati sia dalle guardie polacche che quelle ucraine, venendo spostati sistematicamente in fondo alla fila per dare precedenza agli aventi diritto per carnagione ed etnia, o addirittura aggrediti e derubati una volta passato il confine.

In altre parole, prima gli Ucraini, che in generale diventa prima i bianchi. Anche in una situazione come questa. O, forse, qualcuno potrebbe dire soprattutto in una situazione come questa.
Allora è proprio vero?
La nostra umanità a occasioni e modalità alterne si accende unicamente per merito dell’effetto specchio? Ovverosia, vedo me stesso, mi riconosco e allora, solo allora, simpatizzo? Ma quanto dev’essere preciso questo riflesso? Perché siamo tutti esseri umani, alla fine della guerra o della pace, più che della fiera.
Questo vuol dire forse che in realtà siamo diventati letteralmente capaci di provare empatia, sentimenti ed emozioni reali, soltanto per noi stessi?
No, non l’accetto.
Non si può.
Poi però leggo.
Leggo e mi faccio delle domande.
Leggo dei pericoli della russofobia e di quanti si stanno stracciando le vesti, come si suol dire, in reazione alla censura di Dostoevskij. Ma notando  da quale sponda parlamentare soprattutto si levano in questo momento le tonanti denunce non posso fare a meno di osservare quanto sia paradossale grottesca la narrazione delle cose di questi tempi.
Sì, perché coloro che ora si inalberano per la follia e l’ignoranza di chi sospende un evento pubblico intorno a uno dei più grandi scrittori della letteratura soltanto perché compatriota del leader canaglia del momento, sono gli stessi – e non solo loro, diciamo una larga parte dei miei concittadini – che sono dediti quotidianamente, perfino ora, a demonizzare le persone che fuggono da regimi dittatoriali e conflitti molto simili a quello dell’Ucraina.
Ma è perché non ci sono abbastanza familiari? Perché non riusciamo a vederci noi?
Non c’entra il colore della pelle, vero?
No, per favore, non posso neppure scriverne oltre.
Come vorrei non aver letto nulla, oggi...

https://www.storieenotizie.com/2022/03/perche-gli-ucraini-assomigliano-noi.html

 

 

 

Muchomacho. La guerra maschia - Sarah Babiker

 

So che questo sfogo, fuori dal quadro della geopolitica, privo della contestualizzazione di retroscena storici, interessi economici o equilibri internazionali, potrà sembrare superficiale e puerile, ma in questi giorni non riesco a liberarmi di un pensiero che si ripete dentro di me. Un pensiero che arriva senza nemmeno che io lo chiami, come una sorta di aglio concettuale che torna su e aggiunge amarezza a questi tempi pieni di paura. Quanto macho, sento, che eccesso di machura, intuisco, quanto sciovinismo maschile ci aspetta, tremo.

Per prima cosa abbiamo il “nessuno ce l’ha più grande di me” di Putin, un leader che sventola la bandiera della mascolinità più tossica: l’esercizio del potere come massima, la violenza come politica. È che la minaccia, ora latente, ora ostentatamente sfacciata, imprevedibile e arbitraria, è il modus operandi per eccellenza dell’uomo violento, di colui che domina attraverso la paura, che si nutre del timore, che instilla e fonda il proprio valore – come persona, come padre, come marito, come professionista, come mandatario – nel sentimento del prevalere sulla volontà, sulla vita e sulla libertà degli altri.

Ma non si tratta solo dell’ovvio Putin. C’è anche il presidente ucraino, vestito da militare, armato e fermo, che non mostra altra emozione che l’amore per la Patria, il solo amore che sembra essere sempre stato al primo posto tra la mascolinità egemonica, l’unico degno di sacrificio: un amore che si mostra impugnando un’arma. Il gesto di Zelenski è stato elogiato a livello internazionale, come il solo e più chiaro modo che chi governa un paese può intraprendere per proteggere il suo popolo. Tutto si dimentica, tutto viene messo a tacere, combattere per il proprio Paese è prendere un’arma, baciare tua moglie, abbracciare i tuoi figli e restare a combattere. È questo il racconto che vediamo ogni giorno nei media.

C’è il video dei tredici ucraini che difendono un isolotto nel Mar Nero, quegli uomini coraggiosi che rifiutano di arrendersi all’esercito russo, anche se ciò significa la loro morte immediata. “Nave da guerra russa, vaffanculo”, dicono, e tutto il mondo lì a celebrarli: “Ohé, gente con le palle!”. Li acclamano in rete e appare ovunque la parola patriota, quel significante così vuoto, in cui si agita la vertigine storica di tante guerre in cui tanta gente è stata uccisa senza sapere per quale ragione e a quale fine, in un macchinario lubrificato dagli interessi di altri.

Sarà perché è passato molto tempo dall’ultima volta che abbiamo visto una guerra così dal vivo, così tanto in prima serata – un privilegio che altre guerre meno bianche, meno europee non hanno avuto; guerre compiute da soldati meno muscolari, con quel mix tra armi di ultima tecnologia ed estetica secolo XX – che non ricordo una tale esibizione di mascolinità in uniforme: volontari che si arruolano, uomini con aria marziale e sopracciglia ben marcate che guardano dritti nella telecamera…

Dritto nella telecamera e con disinvoltura, ieri guardava anche il leader della Cecenia, Ramzan Kadyrov, in piedi davanti alle sue truppe, tra quelle riprese aeree degne di ogni buon videogioco, con ragione paragonato in rete a un blockbuster hollywoodiano, che irrompevano in una sequenza accelerata. File e file di soldati barbuti disposte in modo marziale, la mascolinità tossica “degli altri”, il fondamentalismo “degli altri”, gomito a gomito con il fondamentalismo “bianco”, che si nutre della stessa manna di violenza, minaccia e paura come modo di imporre il proprio dominio. Convocare Kadyrov – l’amico presidente, che Putin ha messo a capo della Cecenia con il ferro e con il fuoco – per farlo unire alla sua crociata imperialista con quell’esercito mercenario che odora di testosterone. Che esempio da manuale di quel patto maschile di cui parlava Rita Segato!

Tanto machunismo incrociato con il razzismo, con la Polonia che accoglie le famiglie ucraine in fuga dalla guerra, mentre costruisce un muro contro chi fugge da altre guerre più lontane, contro quelli che condanna e respinge come un esercito nemico. Una mascolinità che accusa gli uomini in fuga da guerre che non potranno mai vincere di non restare lì a resistere, che stabilisce il martirio come un mandato per il maschio, che codifica il suo razzismo con il filtro del patriarcato: le donne altre sono sempre vittime senza azione, gli uomini altri o sono una minaccia o sono codardi. Un razzismo che permea l’idea di chi merita di essere salvatocon cittadini ucraini e agenti di polizia che escludono i neri dal diritto alla fuga e al rifugio.

Cosa abbiamo come contrappunto? La caccia a quelli, uomini e donne, con lo spavento della guerra in faccia, a quelli che rischiano manifestando in Russia, uno Stato in guerra con i suoi cittadini. Bollati come traditori e disertori, è così che vengono trattati i pacifisti quando domina l’ideologia della guerra. Un’ideologia della guerra che si estende oltre i confini del conflitto: ridicolizzati in quanto ingenui e lontani dalla realtà, è così che vengono trattati, fuori dalla Russia, coloro che gridano No alla guerra! 

Dopo essersi tanto interrogati sul tema della femminilizzazione della politica, ripetendo che la soluzione non è (solo) che le donne governino, dopo aver messo in guardia contro il femminismo essenzialista, e dopo aver ripetuto che non c’è nulla di genetico, di puramente femminile, nello scommettere sul dialogo e nel negare la violenza, è necessario mettere sul tavolo che questo machunismo – che non è consustanziale agli uomini, né genetico, né irreparabile – è un vettore centrale delle guerre passate e di quelle a venire. 

Non bisogna essere donna per volere la pace, certo. Eppure, avendo vissuto una socialità lontana dalla spinta al potere come mandato, essendo estranee alla capacità di imporsi come privilegio, dopo essere state generalmente educate a prendersi cura della vita di altri, le donne sono fuori dalle logiche di queste compagnie di morte in cui sono coinvolti i Putin. È urgente sottolineare questo muchomachismo bellico di oligarchi ricchi sfondati che giocano alla guerra, così ebbri di potere che un giorno comprano con click mezza Londra, un altro organizzano un baccanale con centinaia di donne sulla costa mediterranea, e poi un altro giorno ancora vengono e ti bombardano un paese, minacciando perfino la Svezia, perché minacciare ricchi europei bianchi ti piazza molto in alto nelle Olimpiadi del machunismo di guerra. 

È contro questo muchomachismo oligarchico, razzista, autoritario e bellico che deve ergersi un femminismo militante pacifista, lucido e gravido di vie diverse, di alternative che ci allontanino dallo scenario di violenza e morte che contempliamo stordite e storditi. Non lasciamoci intimidire, non lasciamo che prevalgano. Se c’è una battaglia degna da intraprendere, attorno alla quale unirci, è quella opporsi alla guerra, a tutte le guerre.

 

Fonte originale: El Salto

Traduzione per Comune-info: marco calabria

 

https://comune-info.net/mucho-macho-la-guerra-maschia/

 

 

 

Virilità guerriera - Lea Melandri

 

La guerra coglie sempre di sorpresa, perché è ciò “a cui non si vuol credere” (Sigmunt Freud). Ma, superato l’iniziale effetto di annichilimento, si fanno immediatamente chiari i legami con la società che la prepara, si vedono le ragioni contingenti che la fanno apparire ogni volta “necessaria”, ma anche i tratti che la contraddistinguono al di là di ogni tempo e luogo, e che hanno indotto a pensarla come parte immutabile della “natura umana”. In questo connubio paradossale di “permanenza” e di modificazioni storiche, la guerra assomiglia, non casualmente, al dominio maschile.

Ciò che rende la guerra anche solo pensabile è l’eclissarsi, nel giudizio e nella percezione che abbiamo di noi stessi e degli altri, dell’individuo visto nella sua singolarità di corpo vivente e senziente. Uccidere in guerra grandi quantità di civili non ha più l’effetto sconcertante che ancora all’inizio del Novecento aveva per Freud (La delusione della guerra, 1915), nonostante che la potenza delle armi sia aumentata e così pure le crisi umanitarie e l’esodo dei profughi come inevitabili conseguenze.

 

L’indifferenza ai massacri sembra essere andata paradossalmente di pari passo con la promiscuità di “etnie”, lingue e religioni, effetto della globalizzazione economica e dei mezzi di comunicazione, una realtà che oggi interessa l’intero pianeta. Non potendo più affidare la propria unità, identità e appartenenza al confronto col “diverso”, né misurare la propria superiorità su “nature inferiori”, le nazioni umane conoscono per la prima volta l’insicurezza e i pericoli di una progressiva indistinzione. Se c’è un “nemico”, non può che annidarsi nelle maglie del sistema dominante da cui esce imprevedibile e subdolo, come è stato in tempi recenti il Covid, la pandemia.

 

È per questo che il riarmo dell’Europa, salutato con grande enfasi di applausi e standing ovation anche dal nostro parlamento, ha dovuto far ricorso, per ottenere il necessario compattamento tra Stati e partiti in perenne conflitto e competizione, a un accorpamento fondato sulla logica più arcaica del patriarcato dell’“amico/nemico”, “civiltà/barbarie”? Come mai si è passati con tanta rapidità da “Più Europa” – che avrebbe significato riconoscere che anche la Russia è parte dell’Europa, come l’Ucraina -, alla “russofobia” della guerra fredda, che oggi rischia di incendiare un mondo già segnato da crisi di vario genere? Imperitura, al di là dei mutevoli contesti storici e politici, sembra essere ancora una volta quell’ideale di “virilità guerriera” sulla cui costruzione mancano ancora consapevolezze e conoscenze adeguate, nonostante un secolo e oltre di femminismo. Rassicurante, al di là dei massacri di civili e delle devastazioni, sembra essere il fatto che la guerra riporta un ordine sempre più minacciato: quello dei ruoli, considerati ancora “naturali” del maschi e della femmina, l’uomo in armi, le donne alla cura dei figli e della quotidianità minacciata.

https://comune-info.net/virilita-guerriera/

 

 

 

La doppia morale delle politiche di accoglienza di fronte alle guerre -  Fulvio Vassallo Paleologo

 

1. Di fronte ad un afflusso massiccio di profughi dalla guerra in Ucraina gli Stati europei sembrano aprire consistenti canali di ingresso legale e di accoglienza per le centinaia di migliaia di persone provenienti da città ormai diventate teatro di guerra, casa per casa. Come al solito una guerra giocata sulla pelle della popolazione civile, ormai prossima al disastro umanitario. Una guerra con tanti responsabili, vicini e lontani, frutto delle politiche di armamento dei blocchi, anche in Africa, del liberismo vincente su scala globale, e degli accordi commerciali associati a politiche di respingimento dei migranti con paesi che non rispettano i diritti umani. La logica del più forte caratterizza ormai da anni la politica internazionale, a partire dal conflitto palestinese, che oggi tutti sembrano rimuovere. La stessa logica ha caratterizzato gli accordi contro la mobilità dei migranti ed ha legittimato la costruzione di muri di frontiera sempre più alti.

L’Unione Europea sembra avviarsi a varare un piano effettivo di redistribuzione dei profughi ucraini tra i 27 paesi UE e si discute addirittura di rilanciare il Patto europeo sulle migrazioni, bloccato dal 2020 proprio per la ostinata resistenza dei paesi più orientali dell’Unione, da sempre contrari ad accettare le regole della redistribuzione ed una profonda revisione della normativa in materia di asilo e protezione sussidiaria, ed anche del Regolamento Dublino III, che adesso invece sembrano dare come scontata. La normativa europea prevede del resto norme specifiche per l’afflusso massiccio di profughi, norme che però non sono state completamente attuate neppure dopo le guerre nei Balcani negli anni 90 del secolo scorso. Come riferisce Huffington Post, “La decisione ufficiale è attesa per giovedì 3 marzo, ma tra i Paesi membri dell’Unione europea c’è “un ampio sostegno all’applicazione della direttiva per la protezione temporanea degli sfollati” ucraini. Lo ha dichiarato la commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson, al termine del Consiglio straordinario Affari interni sull’Ucraina”.

Non possiamo prevedere ancora quali saranno gli sviluppi militari sul campo, e la effettiva quantità di persone che saranno costrette a fuggire. Secondo quanto dichiarato oggi dall’UNHCR almeno 368.000 persone hanno raggiunto i confini di Polonia, Ungheria, Romania e Moldavia dall’Ucraina. Ci sembra però doveroso ricordare come questo paese abbia attivamente contribuito alla realizzazione di un muro anti-migranti ai tempi della crisi migratoria innescata lo scorso anno dalla Bielorussia, e come in questi giorni siano intrappolati in Ucraina migliaia di migranti provenienti da vari paesi del mondo, in particolare dall’Africa, ai quali non si stanno garantendo effettive possibilità di evacuazione, né sembra che siano tra coloro ai quali gli Stati europei riserveranno forme agevolate di ingresso ed accoglienza.

Come scrive Cornelia I. Toelgyes dell’agenzia Africa ExPress, “Il 20 per cento degli studenti stranieri in Ucraina provengono dall’Africa, da molte nazioni del continente. Una tradizione che risale alla decolonizzazione degli anni Sessanta, quando, dietro ordini della Russia, le autorità di Kiev esportavano grano, zucchero, olio vegetale, prodotti metallurgici e quant’altro, finanziando anche la formazione in medicina, ingegneria o in ambito militare“. Oggi questi ragazzi sono bloccati in Ucraina, tra gli altri alcune centinaia di tunisini, e non riescono ad avvalersi delle vie di fuga ancora esistenti per i cittadini di questo paese, rischiando di non potere ottenere uno status legale di soggiorno ed una qualsiasi assistenza nei paesi del’Unione Europea in cui dovessero arrivare. Sembrerebbe intanto che un centinaio di cittadini libici presenti in Ucraina siano stati evacuati, riuscemdo a raggiungere la Slovacchia, mentre altri rimangono bloccati nel resto del paese.

2. L’ingresso dei russi in Ucraina non può essere considerato un evento isolato, in realtà una guerra su scala globale prosegue da anni in nome del mercato e della concorrenza tra Stati, ma anche tra gruppi economici multinazionali. Non si può escludere una stretta correlazione di questo conflitto globale con gli accordi con governi che non rispettano i diritti umani, come gli accordi con la Libia, con l’Egitto, accordi di esternalizzazione su cui si basano, con il commercio di armi e di risorse energetiche, le politiche di controllo della mobilità delle persone migranti e dei richiedenti asilo. Accordi che hanno anticipato i muri di frontiera ai confini esterni dell’Unione Europea, dalla Bielorussia fino alla Turchia, e che nell’indifferenza generale hanno fatto migliaia di vittime su cui hanno spento tutti i riflettori. Accordi che hanno alzato persino “muri sull’acqua” come le prassi di respingimento collettivo delegato ai paesi terzi ed a Frontex (Agenzia dell’Unione Europea) ai confini dell’Egeo, e nel Mediterraneo centrale ed occidentale.

In Africa si è fatto di tutto per trovare intese con regimi autoritari che opprimono i propri cittadini, limitando la libertà di lasciare il proprio paese riconosciuta dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo (art.13) approvata dalle Nazioni Unite nel 1948, regimi che di fatto permettono ai trafficanti di sfruttare i migranti in transito come una risorsa inesauribile di guadagno, assoggettando tutte le attività economiche, incluse le commesse militari ed i rifornimenti energetici, ad un diffuso sistema di corruzione. In Europa non si è mai creato un meccanismo di solidarietà sul fronte dell’accoglienza dei rifugiati e la priorità è stata sempre data alle politiche di ritorno (return) sulla base di accordi con i paesi terzi, anche quando queste si sono dimostrate del tutto inefficaci a contrastare l’immigrazione irregolare. Che si può battere solo aprendo canali legali di ingresso, sia per lavoro e ricongiungimento familiare, che per studio o protezione internazionale.

I responsabili sono sempre gli stessi, li conosciamo uno per uno, sono quei politici che hanno speculato sul populismo e sul nazionalismo, ieri persino in affari con Putin, e chi li ha chiamati a partecipare al governo. I complici sono tutti quei cittadini europei che con il loro consenso elettorale hanno legittimato un assetto di potere che nel tempo ha cancellato i diritti fondamentali ed i principi di solidarietà.
Se la pandemia ha messo in crisi il principio dell’assistenza sanitaria pubblica e gratuita per tutti, le conseguenze di una guerra , che si annuncia come permanente, ed il ritorno alla politica dei blocchi, restringeranno le possibilità di un lavoro equamente retribuito e la mobilità nella ricerca di una occupazione. In questo quadro che si va definendo giorno dopo giorno le ostilità nei confronti delle persone migranti e dei richiedenti asilo non potranno che aumentare. Per questa ragione occorre moltiplicare le reti sociali di protezione attorno agli immigrati, senza distinzione di nazionalità o di religione. Ma occorre intervenire anche sul fronte della lotta alle disuguaglianze e della riorganizzazione del mercato del lavoro. Altrimenti l’arrivo di nuovi immigrati, e persino degli sfollati di guerra, passata l’onda emotiva dei primi giorni, finirà per avvantaggiare ulteriormente i partiti populisti di destra.

3. Adesso non basta chiedere il cessate il fuoco tra Ucraina e Russia, o sostenere le ragioni dell’accoglienza dei (soli) profughi ucraini nei diversi paesi europei. Per alzare magari, domani, un muro contro l’arrivo dei profughi siriani, afghani o africani. O per selezionare tra bianchi e neri ai confini dell’Ucraina. Refugees in Libya, un gruppo di attivisti con sede in Libia ha affermato che la volontà dei governi dell’UE di accogliere i rifugiati ucraini, ma non persone come loro, ha rivelato il loro razzismo nascosto. E tra i tanti che denunciano le resposabilità della guerra in Ucraina, nessuno ricorda l’esigenza di una revisione sostanziale delle politiche migratorie e dei sistemi di controllo alle frontiere europee.

Ma non basta considerare separatamente le questioni dell’immigrazione e dell’asilo. Occorre ritornare ad una politica di vera alternativa che recuperi il multilateralismo ed una funzione effettiva di composizione dei conflitti alle Nazioni Unite, che si basi sulle ragioni fondative dell’Unione Europea, come uno spazio di solidarietà e di accoglienza, e ricostruisca un blocco sociale di opposizione ai governi fondati sullo scambio tra diritti e sopravvivenza economica. Nulla sara’ più come prima.
La guerra in Ucraina disintegra il tentativo di un ritorno allo stato dell’economia anteriore alla pandemia. Le disuguaglianze aumenteranno ancora, e in un clima politico caratterizzato in tutti i paesi europei dal populismo e dal richiamo alle istanze nazionali, se non del tutto individualistiche, la stessa Unione Europea rischia di frantumarsi sotto le spinte nazionali. Sara’ necessario aggregare consenso e ricostituire formazioni politiche in nome della giustizia sociale, in difesa dello Stato di diritto e della riconversione della politica estera, ponendo fine a qualsiasi forma di collaborazione con chi specula sul populismo e calpesta quotidianamente diritti umani e vite degli “altri”, ritenute come scarti necessari.

Vanno creati nell’immediato sistemi di evacuazione protetta e di accoglienza immediata per tutte le persone costrette a fuggire dall’Ucraina, senza alcuna distinzione di nazionalità come vanno individuati strumenti di protezione per quei cittadini russi che non possano fare rientro nel loro paese, ed ai quali il loro stesso paese arriva a negare persino il rinnovo del passaporto. Ma la crisi migratoria derivante dalla guerra in Ucraina non potrà essere risolta ignorando le tragedie umanitarie già in corso ai confini esterni dell’Unione Europea, in Polonia, sulla rotta balcanica, alla frontiera tra Grecia e Turchia, nel Mediterraneo, un mare sempre più al centro delle dinamiche di guerra, oltre che delle rotte migratorie. Anche le persone migranti trattenute nei centri di detenzione in Libia hanno diritto ad una evacuazione immediata e ad un ingresso legale in un paese che garantisca i loro diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita ed alla integrità fisica.

Con specifico riferimento al Mediterraneo occorre attivare immediatamente il sistema degli ingressi in base a visti umanitari da rilasciare presso gli uffici consolari dei paesi UE negli Stati di transito dove si trovano bloccate le persone migranti in fuga verso l’Europa. Che si lasciano alle spalle conflitti, abusi e devastazioni , basti pensare alla Siria o all’Afghanistan, al Congo o al Sudan, paesi già dimenticati da tutti, crisi non meno gravi di quelle oggi al centro dell’attenzione in Ucraina.

Occorre soprattutto sospendere tutti gli accordi di cooperazione militare ed economica con i paesi terzi, a partire dal patto infame del 2016 con la Turchia di Erdogan, accordi finalizzati sulla carta al contrasto dell’immigrazione illegale, alla lotta ai trafficanti, ma che di fatto, grazie anche alla corruzione diffusa in quei paesi, ed allo scontro tra milizie ed autorità centrali, finiscono per penalizzare soltanto le persone migranti e chi è già portatore del diritto alla protezione, un diritto che in molti paesi non viene mai riconosciuto, anche se si tratta di paesi firmatari della Convenzione di Ginevra.

Non basta quindi limitarsi agli appelli o alle manifestazioni genericamente pacifiste, ma occorre individuare richieste concrete e controparti reali per contrastare ovunque i sostenitori della guerra e del riarmo globale, che sono gli stessi che da anni si scontrano, in Europa ma anche nel continente africano, per fare prevalere le ragioni del mercato, del liberismo globale e della concorrenza sul riconoscimento effettivo dei principi di solidarietà ed uguaglianza, sui diritti dei popoli. Un impegno che dovremo assumere senza limitarci al contesto internazionale, più distante dalla nostra area di intervento, ma che va riproposto anche a livello nazionale, denunciando gli accordi bilaterali, ampliando i casi di riconoscimento della protezione internazionale, ricostruendo un vero sistema di accoglienza, e aprendo tutti i possibili canali legali di ingresso.

Contro tutti coloro che di fatto negano i diritti di autodeterminazione e di mobilità delle persone, ma si schierano ipocritamente da una o dall’altra delle parti in guerra e praticano un finto umanitarismo, nella convinzione di potere trarre vantaggio, personale o di partito, dal loro schieramento. Perché questa guerra, che prosegue da anni su scala globale, basti pensare all’Iraq, all’Afghanistan ed alla Siria, per non parlare dell’Africa sub-sahariana e della Libia, e che adesso rischia di assumere una dimensione enorme nel cuore dell’Europa, sottoponendola ad un duro ricatto energetico, se non a imprevedibili rischi militari, mette a rischio i diritti umani e la democrazia, ovunque, non solo in Ucraina, ed è anche su questo terreno, da parte dei cittadini europei, che si dovrà combattere.

https://www.a-dif.org/2022/02/27/la-doppia-morale-delle-politiche-di-accoglienza-di-fronte-alle-guerre/

 

 

 

A che servono le armi: uno sguardo dal Sahel - Mauro Armanino

Le armi servono per essere usate. Danno effimero potere e arricchiscono relativamente poche persone rispetto a quelle che ne soffrono le conseguenze. Avendo scelto il servizio civile volontario internazionale sostitutivo al servizio militare, non ho mai creduto che la pace fosse un frutto delle armi. Le ho riviste durante l’ultima porzione della guerra civile in Liberia negli anni duemila. Erano, tra l’altro, in mano a bambini che, con tutta la serietà del mondo, controllavano i ‘check-points’ sulle strade alla fine del regime di Charles Taylor. Con armi più grandi e pesanti di loro, avevano il potere di fermare e far tremare gli incauti autisti e passeggeri umanitari delle ONG venute a ‘salvare’ la Liberia. Questi bambini erano un perfetto nessuno, invisibili come la maggior parte dei figli dei poveri. Con in mano un kalashnikov AK-47 erano in grado di tornare ad esistere e di contare e di essere diventati, d’improvviso, grandi e temuti.

Le armi si vendono per essere usate. Lo vediamo nel Sahel, a tutt’oggi una delle zone più pericolose del pianeta. I gruppi armati usano prevalentemente armi ‘leggere’ che, in guerre asimmetriche come quelle a cui assistiamo da anni, sono le più dannose. Le armi circolano, passano di guerra in guerra, hanno circuiti di vendita, commercianti e acquirenti, si moltiplicano a dismisura e continuano ad essere rubate e vendute. Armi in cambio di vite umane e di sofferenze e di profughi che fuggono lontano e, spesso, passano da una guerra all’altra, da un campo profughi a richiedenti asilo, per decenni. Armi regolari, irregolari, informali, clandestine, illegali o perfettamente registrate con tanto di matricola onde essere seguite e identificate fin dall’origine. A poco serve, in fondo, quando tutto ciò porta ad uccidere o incutere il timore di farlo. Le armi sono l’espressione della più grande menzogna che pretende di creare la pace con la guerra!

Le armi si fabbricano per essere usate. Nel Sahel abbiamo avuto e (per alcuni) celebrato vari colpi di stato da parte di militari armati. Dopo il Mali è stata la volta del Burkina Faso e ci si domanda chi sarà il prossimo stato, eletto per tale scopo. Parte della gente ha applaudito. Pensa che i militari al potere, con le armi della persuasione (e le armi in mano), metteranno un punto finale alla corruzione, al nepotismo, alle nefaste influenze straniere e poi ridaranno il potere ai civili fino alla prossima occasione. Si sono costruite nel Niger varie basi militari, l’Italia, ultima arrivata per ora, dovrebbe avere finalmente il suo ‘pied-à-terre’ nei pressi dell’aeroporto internazionale di Niamey. E ora, che la guerra si riaffaccia in Europa, si potranno rinnovare gli armamenti, attestarne la validità e la rinnovata e sofisticata efficacia. Una splendida occasione che perfezionerà ulteriormente l’arte della guerra che, nelle generazioni, non abbiamo mai perduto.

A morire e soffrire saranno i soliti poveri ignoti. Gli altri, i superstiti, morranno di vergogna per non aver osato cambiare ‘le spade in vomeri e le lance in falci’, nel sogno del profeta. L’Italia avrebbe ancora la possibilità di trasformare la base militare in una scuola di pace, prima che sia tardi.

Niamey, 28 febbraio 2022

https://www.missioniafricane.it/a-che-servono-le-armi-uno-sguardo-dal-sahel/

 

 

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