Quando alla fine l’ho ritrovato e rimesso in carica, il mio telefono era spento già da diversi giorni. La batteria, completamente a secco, ci ha messo diversi, lunghissimi minuti per assorbire la quantità di energia necessaria a resuscitare. Quando lo schermo si è risvegliato ho avuto la tentazione di imitare Colin Clive nella scena iconica del film Frankenstein del 1931, quando il mostro comincia a muoversi dopo essere stato elettrificato nel mezzo di una tempesta di tuoni: “Guarda! Si muove. È vivo. È vivo… è vivo”. In attesa c’era il solito numero di messaggi non letti e la solita mancanza dei messaggi che speravo di ricevere. Qualcuno minacciava di rovinarmi la vita per ragioni sconosciute e altri mi invitavano a parlare. Qualcuno mi chiedeva perché non scrivessi e altri perché continuassi a farlo. Poi, finalmente, ecco il messaggio da cui questo articolo ha tratto ispirazione. Me lo mandava un uomo che chiamerò Salim per proteggere la sua identità.
Vi racconterò qualcosa su di lui. Salim appartiene a una tribù tuareg della
Libia, e la sua è la prima generazione della famiglia a essere nata nella
capitale Tripoli con documenti che ne attestino la cittadinanza. Quando nel
1983 si è deciso di regolarizzare lo status dai tuareg, quella di Salim è stata
una delle tante famiglie a essere registrate e a ottenere documenti temporanei.
In seguito, nel 2005, è stata approvata la risoluzione 11, che consentiva a
queste tribù tuareg di ottenere carte di identità, stati di famiglia e
certificati di nascita. Salim racconta che l’esperienza dei tuareg in Libia è
stata caratterizzata da “ineguaglianze, assenza di opportunità e negazione dei
diritti umani. Parliamo di un’intera generazione nata in Libia senza
possibilità di scelta. Avevano ricevuto documenti che non servivano a niente
tranne che a entrare nelle brigate di sicurezza”. E aggiunge: “Lo stato libico
considerava e considera ancora questo gruppo un contenitore che può essere
utilizzato come carburante per conflitti senza che in cambio venga concesso
loro alcun diritto”.
Ancora oggi in Libia molti tuareg sono privi di diritti legali. Non sono né
cittadini né vengono considerati stranieri, ed esistono legalmente solo nel
registro temporaneo dei rimpatriati. I tuareg non sono l’unico gruppo privato
della nazionalità per discriminazioni su base etnica e sfruttamento politico,
ma sono tra i più vulnerabili. Come potrà evolvere questa situazione, in cui
persone che da una vita risiedono in Libia vengono trattate come un popolo
senza cittadinanza?
Dopo l’indipendenza, la Libia ha effettuato un primo censimento nel 1954 e
un secondo nel 1964. In entrambi i casi i comitati per il censimento sono
riusciti ad arrivare solo nelle località principali della Libia meridionale,
tagliando fuori le aree meridionali più interne e isolate. Gli abitanti delle
aree escluse non hanno avuto la possibilità di registrarsi.
I tuareg sono un popolo indigeno che da centinaia di anni abita nella vasta
area del Sahara che va dalla Libia sudoccidentale all’Algeria meridionale.
Molti tuareg non sono riusciti a fare richiesta di cittadinanza a causa dei
loro frequenti spostamenti tra i
confini di Libia, Algeria, Niger e Ciad. Molti altri non sono
stati in grado di presentare documenti che dimostrassero che loro o i loro
genitori erano nati in Libia, come richiesto dalla legge sulla cittadinanza del
1954. Erano nati nel deserto, dove non ci sono ospedali né anagrafi. Nel corso
degli anni e dopo l’ascesa al potere di Gheddafi nel 1969 le leggi libiche
sulla cittadinanza sono cambiate più volte. Con la sovrapposizione di decreti e
leggi si sono create ampie lacune legali che hanno prodotto molte altre persone
senza stato che hanno trasmesso la loro condizione alle successive generazioni.
Nel 1971 Gheddafi ha istituito con la risoluzione 193 il registro
temporaneo per i rimpatriati, per monitorare i libici che rientravano dalla
diaspora e verificare e garantire la cittadinanza a chiunque ne avesse il
diritto legale. Come suggerito dal nome, quel registro doveva essere
temporaneo. È tuttavia diventato permanente e si è ulteriormente ampliato nel
corso degli anni, includendo molte altre persone. Alla fine è sopravvissuto al
suo creatore ed è stato lasciato in eredità ai nuovi governi che si sono susseguiti
fino a oggi.
Negli anni settanta migliaia di tuareg sono arrivati in Libia dal Niger e
dal Mali a causa di una gravissima siccità. La loro immigrazione è stata
incoraggiata da Gheddafi, che il 16 ottobre 1980 ha addirittura lanciato
il cosiddetto “appello di Gheddafi”. I tuareg provenienti da Mali e Niger non
dovevano tornare nei loro paesi, ma dovevano restare in Libia, la madrepatria
da cui erano emigrati in passato. Naturalmente Gheddafi aveva molti progetti
per loro. Dal 1981 sono stati obbligati a prestare servizio nell’esercito
nazionale libico per ottenere la cittadinanza e avere accesso ai servizi dello
stato. Questo provvedimento ha naturalmente determinato la marginalizzazione di
molte donne e bambini.
Al fronte
Gheddafi in sostanza ha usato le reclute tuareg per combattere le sue guerre. I
tuareg sono stati mandati a combattere nella guerra in Libano durante
l’invasione israeliana ed erano tra i militari assediati a Beirut. Tra il
gennaio del 1987 e il settembre del 1991 sono stati poi mandati a combattere in
Ciad. Nel 2004 3.200 soldati e 105 ufficiali sono stati inclusi in una
brigata militare (la brigata Commando) e incaricati di mantenere in sicurezza i
confini sudoccidentali. Altri 625 soldati e 10 ufficiali sono stati arruolati nella
trentaduesima Brigata rafforzata. Alcuni hanno completato le procedure per
ottenere la cittadinanza durante il servizio nella brigata e hanno continuato
fino all’esplosione della rivoluzione nel 2011, durante la quale i tuareg sono
stati inviati su diversi fronti per combattere contro i ribelli. Circa 300 tra
soldati e ufficiali sono morti durante il conflitto.
Nella Libia post 2011 i tuareg sono stati ulteriormente marginalizzati
perché ritenuti leali a Gheddafi, sebbene in molti si siano opposti a lui sia prima
che durante la rivoluzione. Un comitato di revisione ha raccomandato la
sospensione dei precedenti decreti del 2009 e del 2011, che garantivano la
cittadinanza alle famiglie tuareg registrate, e ha revocato ad alcuni i
documenti di identità. Oltre che per un rifiuto culturale della
naturalizzazione in Libia e in ricordo dell’inclusione dei tuareg nelle brigate
di Gheddafi, il comitato ha fatto questa proposta per far sì che, in assenza di
reali alternative, queste persone continuino a poter essere considerati
coscritti forzati a basso costo.
Sono stati in seguito reclutati individualmente da entrambi gli
schieramenti per combattere nella seconda guerra civile del 2014, con un numero
imprecisato di vittime. Molti tuareg sono stati mandati a combattere con il
consiglio della Shura di Bengasi a bordo di pescherecci. Nemmeno in questo caso
si conosce il numero di vittime. Nell’ultima guerra scatenata contro la
capitale da Haftar nel 2019, i tuareg sono stati reclutati ancora una volta per
combattere su entrambi i fronti. Al momento militano in diversi importanti
battaglioni a Tripoli e in altre città.
Ho chiesto a Salim perché secondo lui continua a esserci un così forte
timore di riconoscere i diritti dei tuareg. Salim ha suggerito diverse
motivazioni, tra cui cinquant’anni di nazionalismo arabo, la mobilitazione
culturale e religiosa della regione del Golfo e del Medio Oriente, la mancata
cristallizzazione di un’identità nazionale che vada oltre il pensiero etnocentrico.
Salim ha affermato:
“Il movimento pan-arabo ha promosso il concetto di grande mondo arabo e
l’idea che l’arabismo sia un elemento di unità. Di conseguenza, qualunque cosa
contraddica l’arabismo è considerato eversivo o divisivo. Non esiste alcuna
consapevolezza dell’identità nordafricana e mediterranea, né dal punto di vista
culturale né dal punto di vista storico”.
Ho lasciato che il mio cellulare morisse lentamente fino a quando non l’ho
ritrovato e ricaricato di nuovo la settimana successiva. I messaggi non letti
possono attendere una o due settimane, visto che provengono soprattutto da
persone che minacciano misteriosamente di rovinarmi la vita o da altre che si
chiedono quando finirò di rovinarmi la vita da solo. Le brutte notizie riescono
a trovarti anche senza telefono e le buone notizie sembrano non arrivare mai
quando le aspetti con ansia. Dopotutto i libici inclusi nel registro temporaneo
per i rimpatriati aspettano buone notizie dal 1971.
(Traduzione di Giusy Muzzopappa)
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