Non credete a
nulla di quello che vi stanno raccontando sulla guerra. Quello che i vostri
occhi vedono è quello che i media narrano, non è la realtà. L’essenziale è
invisibile agli occhi. La verità non la conosceremo mai, se non fra qualche
anno quando tutto, uomini inclusi, sarà già stato sepolto dagli eventi.
Peraltro, ne sapremo sempre meno di quello che sarebbe necessario. Vi ho però
preparato un riassunto di tutte le bugie USA e Nato sui loro conflitti giusti.
È tratto dal libro le Sette menzogne capitali, di M. Zezima.
Capirete che gli Usa non sono il regno del male, sono l’impero della menzogna.
Gli altri Paesi non mentono? Mentono tutti ma chi ha più forza mente di più e
viene creduto di più. Guardate quello che sta succedendo in Ucraina, dove
“senza motivo” sarebbe scoppiato un conflitto contro i russi “malvagi”. Dedico
questa ricostruzione a quegli amici che si sono allontanati dalla razionalità
pur essendo molto in gamba.
Tranne rare
eccezioni, nessuno di noi vuole realmente trucidare il prossimo.Ma la storia
mette in evidenza che virtualmente ognuno di noi può essere manipolato non solo
per sostenere un tale massacro, ma forse anche per parteciparvi.
Durante la prima Guerra del Golfo, una rifugiata quindicenne kuwaitiana di nome
Nayirah ha descritto tra le lacrime di essere stata presente mentre le truppe
irachene trafugavano le incubatrici dall’ospedale, lasciando 312 neonati “a
morire sul pavimento gelido”. La falsa testimonianza di Nayirah faceva parte di
una campagna di propaganda da 10 milioni di dollari gestita dalla società di
Relazioni Pubbliche Hill & Knowlton per il governo del Kuwait. Invece di
lavorare come volontaria in un ospedale, Nayirah era in realtà la figlia
dell’ambasciatore kuwaitiano a Washington.“Noi non sapevano all’epoca che non
fosse vero”, dice Brent Scowcroft, consigliere per la sicurezza nazionale del
Presidente George W. Bush. Ma, egli ammette, “fu utile per mobilitare
l’opinione pubblica”.
Per motivi di propaganda la guerra è stata ridefinita utilizzando una nuova
terminologia come “azione di polizia ”o “scontro limitato”. Le morti sono
diventate “vittime”,“dispersi”, o il risultato di un danno collaterale o del
fuoco amico”.
Le guerre degli Stati Uniti e gli interventi sono abilmente confezionati e
venduti ad una popolazione attenta e divisa.
– La storia ufficiale di quei conflitti è inoltre soggetta a bugie, distorsioni
e mascheramenti.
Queste realtà esistono allo scopo di…
– Raffigurare i leader statunitensi come persone morali.
– Ottenere il
consenso verso quei leader a prescindere dalle azioni che possano
intraprendere.
– Porre le basi per futuri conflitti o interventi militari. …e sette tecniche
(o varianti di esse) sono impiegate regolarmente per raggiungere questi tre
obiettivi.
Io chiamo queste tattiche le Sette Menzogne Capitali: un’astuta forma di
oppressione psicologica usata internamente per occultare una più palese
oppressione presente da un’altra parte. Servono inoltre a scoraggiare il
dissenso collettivo.
Il 16 febbraio 1898, il giorno seguente all’esplosione della corazzata USS
Maine nella baia de La Havana, che provocò la morte di 268 marinai americani,
il New York Journal di proprietà di William Randolph Hearst, così strombazzava:
LA NAVE DA GUERRA MAINE SPEZZATA IN DUE DA UN’INFERNALE MACCHINA SEGRETA DEL
NEMICO.
Il “nemico” era la Spagna, invasore di Cuba, Puerto Rico, Guam, e delle
Filippine. “Il giornale (di Hearst) illustrava la storia con uno schizzo grande
mezza pagina, interamente frutto dell’immaginazione dell’artista, che
pretendeva di mostrare il punto in cui la mina aveva aperto lo squarcio
attraverso la nave, ed i cavi metallici che la tenevano legata alla sala
macchine del Maine”, dice il giornalista George Black. Hearst offrì subito
50.000 dollari di taglia “per chi avesse scoperto chi aveva perpetrato
l’oltraggio del Maine”. Verso la fine di aprile, malgrado la volontà della
Spagna di negoziare la pace, il conflitto ispano-americano era cominciato… I
giornali americani, specialmente quelli diffusi da Hearst (New York Journal) e
Joseph Pulitzer (New York World), furono pienamente d’accordo che l’esplosione
del Maine fosse una giustificazione ideale per ottenere il supporto pubblico
per una guerra imperialista. “I titoli dei tabloid che riportavano le atrocità
della Spagna contro i cubani furono all’ordine del giorno, e le testate
influenti di entrambi gli editori si superavano l’un l’altra in un sensazionale
incitamento alla guerra”, dice Davis. Quando Hearst spedì a Cuba l’artista
Frederick Remington per procurarsi delle fotografie, lui riferì che non
riusciva a trovare una guerra. “Tu dammi le fotografie”, fu la replica famosa
di Hearst, “e io ti darò la guerra”.
Quando nel 1844 James Polk fu eletto presidente degli Stati Uniti, aveva ogni
intenzione di creare un pretesto per indurre gli americani ad un’azione contro
il Messico. Una delle questioni da risolvere nelle elezioni del 1844 era
l’annessione del Texas o meglio “riannessione”, come Polk la chiamava. Quando
il Messico ottenne l’indipendenza dalla Spagna nel 1821, il territorio del
Texas (insieme a ciò che oggi sono New Mexico, Arizona, Nevada, Utah,
California e parte del Colorado) era territorio messicano.Quindici anni dopo,
il Texas pretese la sua indipendenza come Lone Star Republic. A Washington era
considerato come proprietà degli Stati Uniti.
“Prima ancora dell’insediamento di Polk, il Congresso aveva adottato una
risoluzione congiunta sulla sua proposta di annessione del Texas” spiega lo
storico Kenneth C.Davis. “Quando il Messico venne a sapere di questa azione nel
marzo del 1845, interruppe le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti”.
Imperterrito, Polk spedì un ambasciatore, James Slidell, per negoziare
l’acquisto del Texas e della California. Slidell fu respinto sdegnosamente.
Polk allora tentò una nuova strategia e ordinò al generale Zachary Taylor di
portarsi con le sue truppe lungo tutto il Rio Grande, per verificare in questo
modo i confini stabiliti. “Il Messico dichiarò che il confine era il Nueces
River, a nordest del Rio Grande, e considerò l’avanzata delle truppe di Taylor
come un atto di aggressione”, dice Davis.
Il colonnello Ethan Allen Hitchcock, comandante del Terzo Reggimento di
Fanteria, così commenta questo gesto: “Sembra quasi che il governo abbia
spedito una forza esigua allo scopo di generare un conflitto, così da avere il
pretesto per prendersi la California”.
“Tutto ciò, nella primavera del 1846, fu necessario per creare quell’incidente
militare che Polk voleva per dare il via al conflitto”, concorda lo storico
Howard Zinn. “Mandare le truppe al Rio Grande, nel territorio abitato dai
messicani, era chiaramente una provocazione”. L’incidente militare arrivò al
momento giusto quando Polk ordinò a Taylor ed ai suoi 3500 membri dell’esercito
di osservatori di attraversare il Rio Grande. Il quartiermastro di Taylor, il
colonnello Cross andò disperso, il suo corpo fu ritrovato undici giorni dopo
col cranio sfondato. Ufficialmente, la pacifista America era stata costretta al
conflitto e non le era rimasta altra scelta se non quella di cominciare
controvoglia una guerra che Ulisse S. Grant in seguito definì “una delle cose
più ingiuste mai intraprese da una nazione più forte contro una più debole”.
Il bombardamento giapponese di Pearl Harbor del 7 dicembre 1941 è la madre di
tutte le menzogne del gigante addormentato. Il giorno successivo all’attacco,
Franklin Delano Roosevelt parlò al Congresso. Gli Stati Uniti erano “in pace”
col Giappone, dichiarò, tuttavia sono stati “improvvisamente e deliberatamente
attaccati”.
Tuttavia, come ha scritto lo storico Thomas A. Bailey: “Franklin Roosevelt
aveva ingannato ripetutamente il popolo americano nel periodo precedente Pearl
Harbor… Era come il medico che deve dire bugie al paziente per il bene dello
stesso”. Gli archivi diplomatici rivelano qualcosa che il dott. Roosevelt
trascurò di includere nell’ormai mitico discorso del “giorno
dell’infamia”…tutti sapevano che ci sarebbe stato l’attacco…
La guerra del Vietnam aveva trovato il suo Maine.
Il Washington Post del 5 agosto 1964 così titolava: AEREI AMERICANI COLPISCONO
IL VIETNAM DEL NORD DOPO IL SECONDO ATTACCO CONTRO I NOSTRI CACCIATORPEDINIERI;
AZIONE INTRAPRESA PER ARRESTARE UNA NUOVA AGGRESSIONE. “La versione ufficiale
era che il 2 agosto, nel Golfo del Tonchino, una torpediniera nordvietnamita lanciò
un ‘attacco ingiustificato’ contro un cacciatorpediniere americano in una
‘perlustrazione di routine’ e che, due giorni dopo, navi da guerra
nordvietnamite continuarono a colpire con attacchi ingiustificati due navi
americane” scrivono i giornalisti Jeff Cohen e Norman Solomon.
Il Presidente Lyndon Johnson, parlando la sera del 4 agosto 1964 alla
televisione nazionale, annunciò incursioni aeree contro il Vietnam del nord.
In risposta, il Los Angeles Times esorta i lettori a “guardare in faccia il
fatto che i comunisti, attraverso i loro attacchi a navi americane in acque
internazionali, hanno essi stessi aggravato le ostilità”.
Alla richiesta di una spiegazione delle azioni nordvietnamite, il Segretario di
Stato Dean Rusk realizzò che esiste “un grande abisso di comprensione tra quel
mondo ed il nostro mondo, di carattere ideologico”.
“Poco dopo gli eventi nel Golfo del Tonchino, Lyndon Johnson si incontrò con i
leader del Congresso e fece pressione su di loro per farsi assegnare ampi
poteri per rispondere alle supposte provocazioni”, dice lo storico Donald R.
Shaffer.“I leader della Camera e del Senato accettarono immediatamente le sue
richieste”.
I sistemi di propaganda spesso rasentano la prevedibilità. Come il Maine, anche
il Maddox non era in crociera di piacere. “Le navi statunitensi hanno
appoggiato i raid dei commando sudvietnamiti nel Vietnam del Nord”, dice
Shaffer. L’equipaggio del Maddox raccoglieva informazioni d’intelligence per
supportare quei raid. Malgrado la natura aggressiva delle sue missioni, non
c’era ragione di pensare che dal Maddox si sarebbe aperto il fuoco.
A detta di Cohen e Solomon, “dai telegrammi inviati dal comandante della task
force nel Golfo del Tonchino, il capitano John J. Herrick, riferisce di ‘avere
delle allucinazioni a causa del tempo’, ‘oscurità quasi totale’ e un ‘uomo
sonar avanti con gli anni’ che ‘stava ascoltando il ritmo del propulsore della
propria nave.’”
Il comandante di squadriglia James Stockdale, che più tardi nel 1992 sarebbe
servito come compagno di cordata a Ross Perot, era un pilota della marina che
volò sul Golfo del Tonchino quella notte. “Avevo la migliore poltrona per poter
osservare l’evento ”rievoca Stockdale “e i nostri cacciatorpedinieri stavano
sparando a bersagli fantasma, non c’erano torpediniere lì…
Non c’era altro che acque scure e potenza di fuoco americana”.
“Non ci fu battaglia. Non c’era un singolo intruso, figuriamoci sei di loro”.
Ben Bradlee del Washington Post lo afferma con franchezza. “Figuriamoci se
c’erano le motocannoniere Swatow di fabbricazione russa con cannoni da 37 e 28
mm. Non hanno mai aperto il fuoco. Mai andate a picco.
Mai lanciato siluri. Non c’erano proprio”.
Un anno dopo il dubbio incidente, Lyndon Johnson ammise: “Per quanto ne so, la
nostra marina laggiù sparò alle balene”.
Un altro esempio della menzogna del gigante addormentato ci viene offerta dallo
scoppio della Guerra nel Golfo nel 1990. Il 25 luglio 1990, il dittatore
iracheno Saddam Hussein intrattenne un ospite nel palazzo presidenziale di
Baghdad: l’ambasciatrice americana in Iraq April Glaspie. Lei disse al
dittatore iracheno: “Ho dirette istruzioni dal Presidente Bush di migliorare le
nostre relazioni con l’Iraq. Avete la nostra considerevole approvazione per la
vostra lotta contro l’aumento dei prezzi del petrolio, causa prima del vostro
braccio di ferro col Kuwait”, prima di chiedere, “Perché le vostre truppe sono
ammassate così vicine ai confini del Kuwait?”.
“Come lei ben sa, per anni mi sono impegnato con ogni sforzo per trovare un
accomodamento alla nostra disputa con il Kuwait”, replicò Hussein, mostrando la
propria versione della menzogna. “Ci sarà un meeting tra due giorni; e sono
preparato a negoziare per offrire solo un’opportunità in più ma in tempi
brevi”.
Quando gli fu chiesto quali soluzioni sarebbero state accettabili, Hussein
rispose senza peli sulla lingua:
“Se potessimo entrare in possesso dell’intero Shatt al Arab – il nostro
obiettivo strategico nella guerra contro l’Iran – potremmo fare delle
concessioni. Ma, se fossimo costretti a scegliere tra l’avere la metà dello
Shatt al Arab e l’intero Iraq (secondo il punto di vista di Hussein il Kuwait è
una parte dell’Iraq) allora rinunceremo all’intero Shatt per difendere le
nostre rivendicazioni sul Kuwait ed entrare in possesso dell’intero Iraq nella
condizione che noi desideriamo. Qual è l’opinione degli Stati Uniti riguardo a
ciò?”
“Noi non abbiamo opinioni sui vostri conflitti arabo- arabo, così come sulla
vostra disputa col Kuwait” rispose Glaspie. “Il Segretario (di Stato James)
Baker mi ha dato istruzioni di enfatizzare le direttive, date per la prima
volta all’Iraq nel 1960, che le faccende del Kuwait non sono associate
all’America”.
Otto giorni dopo l’Iraq lanciò un attacco a sorpresa sul Kuwait fornendo così
al Presidente George W. Bush la scusa per sguinzagliare i mastini della guerra…
La documentazione riguardo al numero di invasioni americane in America Latina
tra il 1898 e il 1934 include
Honduras: sette
Nicaragua: cinque
Colombia: quattro
Cuba: quattro
Repubblica Domenicana: quattro
Messico: tre
Haiti: due
Panama: due
Guatemala: una.
(Per motivi di spazio non posso riportare ciascuna vicenda ma il modus operandi
in molte di queste operazioni è il seguente: i governi eletti legalmente
vengono rovesciati da mercenari addestrati dalla CIA o da agenti della stessa
intelligence.
Per non parlare dei golpe militari orchestrati successivamente da Washington,
vedi Cile, con quelli che Kissinger chiamava i nostri figli di puttana rispetto
ai quali non avevano remore morali).
Poco prima che iniziasse l’Operazione Iraq Libero, una petizione fece il giro
su Internet. Diceva tra l’altro: “Chiediamo al governo degli Stati Uniti di
mettere fine alla sua politica fallimentare di pacificazione riguardo a Saddam
Hussein e, con tutta la prontezza e la forza necessarie, sbarazziamoci del
terrorista Saddam Hussein e delle sue armi di distruzione di massa prima che
lui le possa usare nel conflitto in corso contro gli Stati Uniti”.
La parola chiave in questo passaggio non era “terrorista”, ma bensì “pacificazione”.
Senza questa parola chiave la petizione sarebbe stata impotente.
Senza di essa, non ci sarebbe stata l’invocazione alla “guerra giusta”.
L’introduzione della carta delle Nazioni Unite inizia così: “Noi, popolo delle
Nazioni Unite determinato a salvare le generazioni future dal flagello della
guerra”. Tale linguaggio diventa utile quando gli Stati Uniti intervengono
sotto gli auspici dell’umanitarismo dell’Onu.
Nel 1992-93, la Somalia sperimentò di prima mano tale munificenza congiunta di
Stati Uniti e Nazioni Unite. Venduta al pubblico come un atto di filantropia
americana con immagini di bambini africani malnutriti e storie di malvagi
signori della guerra somali, fu consentito di dare la precedenza a qualche
piccolo aspetto della storia della nazione… Dalla fine del 1970 fino a poco
prima del rovesciamento di Siad Barre agli inizi del 1991, gli Stati Uniti
inviarono centinaia di milioni di dollari in armi per la Somalia per avere in
cambio l’uso delle strutture militari che originariamente erano state edificate
per i sovietici” afferma Zunes. Con le utili basi militari situate in Somalia
per appoggiare l’intervento statunitense nel Medio Oriente, gli avvertimenti
che il supporto americano alla dittatura di Barre avrebbe alla fine portato il
caos e la carestia, non vennero presi in considerazione.
Naturalmente ne conseguirono caos e carestia, creando per gli Stati Uniti le
condizioni ideali per lo sfruttamento e l’insabbiamento.
Quando più tardi nel 1990 gli Stati Uniti volsero il loro generoso ardore verso
la Jugoslavia, scelsero un nuovo ombrello sotto cui nascondere i propri
moventi: la NATO. Tuttavia, poiché non esisteva una reale crisi del tipo
somalo, ne fabbricarono semplicemente una.
“Dovremmo ricordare cosa accadde nel villaggio di Racak nel gennaio scorso”
disse Bill Clinton rivolto alla stampa il 19 marzo 1999.“Uomini innocenti,
donne e ragazzi tolti dalle loro case e condotti in una fogna, costretti ad
inginocchiarsi nel lerciume, presi a raffiche di mitragliatrice non perché
avessero fatto qualcosa, ma per ciò che erano”.
Il diplomatico americano William Walzer, durante la sua missione contribuì a
verificare i crimini serbi. “Da ciò che ho visto” disse Walzer “non esito a
descrivere quel crimine come un massacro, un crimine contro l’umanità. E non
esitò ad accusare le forze di sicurezza governative di esserne responsabili”.
Clinton e Walzer stavano parlando a proposito di un presunto massacro serbo di
45 albanesi kosovari avvenuto il 15 gennaio 1999… un evento che risvegliò il
gigante (di buon cuore) addormentato. Il Washington Post intervenne “Racak
cambiò la politica verso i Balcani occidentali come raramente un singolo evento
riesce a fare”.
Con tutte quelle favole riguardo a pulizie etniche che ruotavano attorno ai
Balcani da quasi un decennio, la regione era matura per lo sfruttamento
americano. Ai serbi fu data una chance per evitare l’attacco: l’Accordo di
Rambouillet. Il demonizzato presidente serbo Slobodan Milosevic rifiutò di
firmare l’accordo, che sembrava essere nient’altro che una provocazione.
“Il documento stabiliva chiaramente che le truppe della NATO avrebbero avuto un
accesso illimitato in tutta la Jugoslavia, non solo nel Kosovo” scrive il
giornalista Seth Ackerman. “La NATO avrebbe amministrato il nuovo sistema
politico del Kosovo, avrebbe avuto il controllo sulle emittenze televisive e
avrebbe infine preparato un referendum per ottenere l’indipendenza del Kosovo
dopo tre anni. Questo provvedimento contraddiceva la recente promessa dei
negoziatori americani secondo la quale il Kosovo sarebbe rimasto parte della
Jugoslavia”.
Ai serbi fu detto di firmare il documento così come era stato scritto.
Milosevic com’era prevedibile e comprensibile s’impuntò ed ebbe inizio un
attacco aereo Stati Uniti- NATO in nome dell’umanitarismo.
“Le giustificazioni umanitarie sono ridicole” dice Robert Hayden, direttore del
Centro di Studi per la Russia e l’Europa dell’est presso l’università di
Pittsburg.“Le vittime tra i civili serbi nelle prime tre settimane di questa
guerra (erano) più alte di tutte le vittime di entrambe le parti in Kosovo
durante i tre mesi in cui è scoppiata questa guerra, e già si supponeva che
quei tre mesi sarebbero stati una catastrofe umanitaria”.
“Che vittoria gloriosa” dichiara Henwood.“La NATO ha ucciso più civili che soldati,
ha accelerato l’evacuazione di centinaia di migliaia di rifugiati, distrutto le
infrastrutture ed inquinato l’ambiente del sudest dell’Europa e nel nome
dell’umanitarismo”.
Un anno dopo la campagna di bombardamenti che il New York Times definì “una vittoria
per i principi della democrazia e dei diritti umani”, un team di patologi
finlandesi che erano stati inviati nel Kosovo per investigare sul massacro di
Racak pubblicarono le loro scoperte.
(Mi fermo qui in questo riassunto perché gli altri atti di guerra e di
aggressione di USA e Nato sono abbastanza vicini a noi. Tanti altri sono stati
omessi per mancanza di spazio. Si dovrebbero conoscere però. Anche se i media
fanno finta che quello in Ucraina sia il primo conflitto in Europa dal 1945,
sapete che non è così. Sono i soliti bugiardi. Non dovete credere ad una sola
parola di quello che vi raccontano. Se possibile, diffidate anche dei vostri
occhi quando la realtà viene ri-costruita con i pixel dei media occidentali).
Tanti saluti popolo.
Articolo del 12
marzo 2022 tratto dal sito Conflittiestrategie.it
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