Il 5 marzo 1922 nasceva Pier Paolo Pasolini. E io non posso
dimenticare quel 2 novembre 1975 che poneva fine alla straordinaria esistenza
di un poeta - uno di quelli, disse Moravia nella sua orazione al funerale, che
nascono una volta in un secolo. Io ho diciassette anni, sono davanti al
televisore acceso, inizia il Tg con una foto di Pasolini. E' chiaro che è
successo qualcosa. Nel ricordo successivo a lungo collocavo la visione di quel
Tg al rientro da scuola. ma non era possibile per due motivi: il 2 novembre era
vacanza, e quell'anno cadeva di domenica.
Conoscevo già Pasolini: ero un pasoliniano della prima ora,
della mia prima ora, quando non era scontato esserlo. Un insegnante di lettere,
al liceo, una mattina aveva detto che uno come lui sarebbe stato meglio non
fosse mai nato; e io avevo avuto, tra i banchi, un istantaneo ed esplicito moto
di stizza. Un'altra insegnante, pur amata e apprezzata, aveva commentato la
scelta di un collega di introdurre al quarto ginnasio gli Scritti
corsari al posto dell'Eneide (che allora si leggeva nella
cinquecentesca e indigesta traduzione di Annibal Caro - "traduttor dei
traduttor di Omero"); il libro di un "degenerato". Era stato
invece un professore di religione - un giovane sacerdote - ad aprirci altri
spiragli su Pasolini, e a dirci che in quegli anni il poeta di Casarsa era il
solo a proclamare pubblicamente la propria omosessualità.
Conoscevo già Pasolini in vita, anche se non avevo ancora
letto nessun suo libro. Com'è che lo conoscevo? Mi capitava di leggere qualche
suo articolo su quotidiani e riviste. Ricordo quando Piero Ottone lo volle al
"Corriere della sera" all'inizio del 1973 - e allora di anni non ne
avevo ancora quindici, e frequentavo il quarto ginnasio al Liceo "Rosmini"
di Palma Campania, il liceo dove sono tornato a insegnare e dove con Pasquale
Gerardo Santella, nel 2005, dedicammo un progetto scolastico allo scrittore
corsaro. Lo seguivo, Pasolini, nelle interviste di Enzo Biagi in televisione, o
in una puntata di "Controcampo" nel 1974 nella quale ribadiva il suo
concetto di "omologazione". E sentirlo parlare, con quella
precisione, era come leggerlo. E in quella trasmissione, o in un'altra, lo
sento dire che considera buona letteratura la propria: e questa
(auto)affermazione mi colpisce per la consapevolezza senza false ipocrisie che
un intellettuale ha del proprio lavoro.
E poi avevo visto già alcuni film in televisione. E,
probabilmente, le prime volte senza sapere chi fosse Pasolini: i film più
popolari come Il vangelo secondo Matteo del 1964, che allora
veniva spesso trasmesso a Natale o a Pasqua, e Uccellacci e
uccellini del 1966 con Totò, E quindi visto quella prima volta per Totò.
Film guardati con tutta la famiglia: e ricordo ancora la sera che costrinsi mio
padre a vedere il per lui incomprensibile Medea con la
stupenda Maria Callas. Mentre solo con mia sorella - in quegli anni
giovani, una delle persone con cui condividevo le scoperte culturali - devo
aver visto, al televisore piccolo - un Brionvega rosso - Accattone. E
solo pochi mesi fa sono stato al Pigneto, dove sono state girate alcune scene
del film, tra cui quella della morte del protagonista. Che anno era? Pasolini
era già stato trucidato oppure no? Come ricordarlo, adesso? Il confronto con i
libri - per dire che non si trattava di una mera trasposizione dai due romanzi
borgatari dei quali rimaneva piuttosto l'ambientazione - l'ho potuto fare
allora, e quindi Pasolini era già morto, perché i libri li ho letti solo in
seguito -, o questo confronto è avvenuto soltanto a posteriori: il film visto
con Pasolini vivo e i romanzi letti dopo? Non posso dirlo.
Posso dire solo che il film mi sembrò poesia, anche nel senso
che le riprese e il montaggio mi sembrarono scanditi metricamente. Per cui con
fastidio sentii l'affermazione fatta molti anni più tardi da Franco Zeffirelli,
secondo il quale con il passaggio di Pasolini al cinema la poesia aveva perso
un poeta e il cinema non aveva guadagnato un regista. Per me, il poeta rimaneva
poeta ed era un regista dallo sguardo particolare, che sapeva isolare in un suo
spazio ogni inquadratura.
I libri. Ecco, i libri sono arrivati dopo, poco dopo quel '75
che stava andando a finire con la morte novembrina di Pasolini. Dal 5 al 16
giugno 1976 ho letto Una vita violenta, in una copia prestatami da
Pino Ionta (oggi psichiatra) che credo avesse a sua volta presa in prestito in
biblioteca (forse a Sarno, dove facevamo periodiche incursioni), Dal 5 al 26
novembre 1977 ho letto invece Ragazzi di vita. Perché così tanto
tempo tra l'uno e l'altro? Letti cronologicamente a ritroso, e pur a distanza,
i libri, con il film, furono un'agnizione su un mondo sconosciuto e una
finestra su quella realtà sottoproletaria che - ingannandosi - Pasolini
considerava potenzialmente rivoluzionaria rispetto a tutti gli altri ceti -
compresa la classe operaia - ormai irrimediabilmente imborghesiti. Al di là di
questo - ma a questo collegato - fu la scoperta del dialetto come lingua
popolare-e-letteraria, a fare il paio, il romanesco, con il siciliano dei Malavoglia di
Verga (copia prestatami nel novembre 1975 - sì, poco dopo la morte di
Pasolini, da Giovanni D'Onofrio, allora mio compagno di banco e oggi
neurochirurgo). Su quelle letterature, e sul napoletano di Eduardo De Filippo,
improvvisai una lezione per alcune alunne di una 5 classe ACI, ovvero
assistenti di comunità d'infanzia, a Breno in Valcamonica: doveva essere la
primavera del 1988, e lì insegnavo psicologia, non lettere, ma tant'è.
Poi venne la lettura delle poesie (alcune anticipate dalle antologie
scolastiche, e poi in volume): Le ceneri di Grasmci, La
religione del mio tempo (nei Grandi libri Garzanti, dal riquadro
verde), L'usignolo della Chiesa Cattolica (nell'edizione
Einaudi). Ormai ai tempi dell'università.
E in Valcamonica l'acquisto, nel 1987 o 1988, della copia degli Scritti corsari uscita con una rivista, a recuperare articoli letti a suo tempo o dibattiti sentiti aleggiare. Letto, quel libro, nel soggiorno assolato quasi in riva all'Oglio in una lontana stagione. Nel frattempo, con i miei anni, scorrevano gli altri suoi film (stupendo l'episodio de La ricota), fino al fermo-immagine all'idroscalo di Ostia (quel monumento dimenticato restituitoci da Nanni Moretti con il sottofondo struggente del Concerto di Colonia di Keith Jarrett).
In quegli anni ancora giovani (metà Novanta) dovevo registrare la passione
pasoliniana di una giovanissima fidanzata bergamasca. E in questi anni adulti
condividere passione e ideologia con la moglie siciliana, qui,
fronte Vesuvio, dove da tempo ho fatto ritorno. Ah: una moglie conosciuta
andando a Messina per presentare all'Horcynus Festival, diretto da Franco
Jannuzzi a cui debbo la conoscenza della futura consorte, un numero della
rivista "Quaderni di Cinemasud" a Pasolini dedicato. Tutto torna...
Futura consorte che precedentemente aveva vissuto per quasi dieci anni in
Friuli, a Spilimmbergo e a Fanna, che dista dieci chilometri da Casarsa della
Delizia, il paese della madre di Pasolini, dove Pier Paolo è vissuto diverso
tempo imparando e scrivendo il friulano (il friulano che per lui, giovane poeta
sotto l'influenza dei simbolisti francesi, è la lingua pura"). Ecco, tutto
torna, di nuovo...
E vorrei ritrovare quella foto di Pasolini al tavolo di
lavoro che a lungo mi ha seguito negli spostamenti, qui facendo ritorno, e qui
- temporaneamente - scomparendo tra carte.
E vorrei ritrovare, tra quelle carte, anche il racconto che
scrissi, Trascendente immaginario, quando un noto settimanale
pubblicò le foto del corpo martoriato di Pier Paolo. Scritto al e al quale
tengo, come ai lungi articoli per "L'Indice" nel 2005 e nel 2015, in
due ricorrenze. Trascendente perché immaginavo che
Pasolini e Gramsci se ne stessero ora insieme, in un qualche aldilà, a parlare
di popolo e rivoluzione, mentre in un angolo se ne stava, a guardarli,
sant'Agostino. Agostino d'Ippona c'era entrato perché dovevo dare - o avevo
appena dato - un esame all'università in cui si portavano le Confessioni. E
mi pareva non ci stesse male, anche lui, in quella compagnia, un "usignolo
della chiesa cattolica", di quel mondo contadino che Pier Paolo
rimpiangeva. Con-e-contro Gramsci. Altro mio punto fermo, Gramsci. Ma è un
altro discorso. O forse no.
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