mercoledì 23 marzo 2022

Parlare da soli – Andrés Neuman

una famiglia in difficoltà, Mario sta morendo, Lito è un bambino che non capisce tutto, Elena una mamma e moglie in grande difficoltà.

Mario fa l'ultimo viaggio della vita con Lito, Elena aspetta e le succede qualcosa, niente è facile e scontato.

il libro racconta i pensieri di ciascuno, morire sapendo che succederà a breve non è una passeggiata per nessuno.

Andrés Neuman merita, non ci si annoia mai, promesso.


 

La letteratura diventa, quindi, il quarto personaggio di questo bellissimo romanzo, quasi a ricordarci che, per quanto grande possa essere la nostra gioia, per quanto acuto e triste il nostro dolore, noi non siamo mai soli; già qualcuno lo ha vissuto e condiviso attraverso le pagine di un libro e queste pagine giungono a noi nel momento più opportuno, sempre. Basta saper leggere sè stessi tra le righe.

Marìas, tra gli altri, è uno degli autori di cui si sente di più l’influenza, il suo voler dare un senso ad ogni cosa, incastrare le vite di tutti in un disegno universale, raccontare la vita, ma anche il dolore, senza restrizioni.

Neuman, però, fa un passo avanti e supera la vergogna di solito legata al racconto del lutto e della morte, abbatte il muro del tabù emotivo legato a questo momento così intimo e ci mette davanti allo specchio, con tutte le nostre imperfezioni, senza filtri, nudi e crudi, e ci insegna ad amarci e ad accettare che siamo fatti di bene e di male, di vita e di morte, di gioia e di dolore.

E fino alla fine saranno le pagine scritte a salvare Elena, che, rimasta da sola, sente che ha ancora molto da dire e, se la morte ha interrotto il dialogo, le lettere postume a Mario riusciranno a restituirle una parte di lui. Perché in fondo scrivere è anche questo: mandare un messaggio a qualcuno che non c’è, per fare in modo che sia di nuovo con noi.

E Lito, il bambino?

Beh lui è la vita che va avanti, nonostante tutto, il figlio che impara a immaginare la parte mancante del suo papà, l’allegria che sfacciata irrompe involontaria in una stanza buia, come il sole su un viso stanco di pianto.

da qui

 

Parlare da soli è il più strano e complesso romanzo di Andrés Neuman, perché la trama è secondaria, due dei tre protagonisti non altererebbero l’epilogo anche se scomparissero e tutta l’opera si sostiene grazie al potente monologo di Elena, che riflette sulla vita e la morte, i libri e il piacere, la colpa e il sesso, e  itre uomini dei suoi pensieri: il figlio, l’amante e il marito, malato terminale.

E tuttavia, il vero tema di Parlare da soli trafigge e inquieta: cosa ci succede quando accudiamo una persona amata che sta per morire? Com’è la convivenza con qualcuno che ogni giorno ci guarda da un luogo sempre più remoto? Quando iniziano e finiscono le pene delle persone che amiamo? Le malattie terminali di padri, coniugi e figli non hanno nessuna somiglianza fra di loro, perché alcune presuppongono più tenerezza, altre consentono la nausea e altre ancora producono perfino rancore. Così, Parlare da soli è un lungo soliloquio sulla morte del partner e, per essere più esatti, il monologo di una donna che sa che Mario, suo marito, sta per morire, che il suo corpo le ispira ripugnanza e che scopre che la sua sessualità è postuma.

Pertanto, una delle grandi abilità del romanzo è la scelta della morte del partner come tema, perché solo così acquistano senso la colpa, l’abnegazione, il desiderio, la compassione, il risentimento e il piacere che producono altri corpi più sani e più giovani. «Più vedo Ezequiel, più mi sento in colpa», scrive Elena nel suo diario. «E più mi sento in colpa, più mi ripeto che anch’io mi merito qualche soddisfazione». IN realtà, Elena ha accudito Mario fino alla fine perché era suo dovere, perché era moralmente obbligata e perché in questo modo proteggeva un passato stemperato nel presente e senza alcuna possibilità di futuro: «La compassione distrugge a modo suo» annota Elena. «È un rumore che interferisce in tutto ciò che Mario dice o non mi dice. Di notte, accanto al suo letto, non riesco dormire a causa di quel rumore. Quando si spegne la luce, una specie di chiarore circonda, o forse opprime, ogni cosa che lui ha fatto. Il passato sta già venendo manipolato dal futuro. È un ribaltamento che dà le vertigini. Una fantascienza intima»…

da qui

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