La strada dei profughi è lunga, in salita e sempre più
affollata. Su di essa, le frontiere rappresentano il varco in cui trovare
salvezza o il muro invalicabile dei respingimenti. Ma se si creasse un ponte,
un ponte di corpi con le braccia aperte, quel limite sarebbe parola
accogliente.
Anche quest’anno quel ponte è stato idealmente creato
in numerose città italiane, seguendo le indicazioni del Manifesto di Lorena Fornasir,
tanti corpi da nord a sud, arrivando fino a Maljevac, tra Croazia e Bosnia, un
posto tristemente noto della rotta dei Balcani. Una mobilitazione pacifica in
nome dell’accoglienza, che da qualche giorno è entrata improvvisamente in una
dimensione diversa, perché al confine orientale stanno bussando non solo
migranti provenienti dall’Asia o dall’Africa, ma dalla stessa Europa.
Il dovere dell’accoglienza
I profughi hanno tutti, indistintamente, il diritto di
essere accolti, noi abbiamo il dovere di accoglierli tutti. Le donne sono le
mamme che scappano dalle guerre con il terrore negli occhi, i bambini sono i
loro figli, privati del gioco, della scuola, dell’intimità di una casa, spesso
del papà. Ma, se per alcuni i confini e le porte si aprono con maggiore
facilità, per altri questo non accade e, a volte, trascorrono pure dieci anni
prima che si passi o si decida di fare ritorno in patria definitivamente. Oggi,
con la guerra vicino, la percezione della dimensione della catastrofe
umanitaria diventa più viva, il dramma di migliaia di persone è evidente, è
qui, a portata di mano, anche se da tempo ormai associazioni e singoli
volontari si danno da fare per rendere il passaggio dei migranti meno
traumatico, segnalando limiti e falle del sistema di accoglienza. Per questo,
le diverse iniziative de “Un ponte di corpi” hanno denunciato la violenza dei
lager libici, i morti in mare, i respingimenti illegittimi ai confini.
Lo ha fatto anche “Torino per Moria”, i cui
manifestanti si sono incontrati in via Garibaldi, presso la chiesa di San
Dalmazzo, proprio nel luogo simbolo delle proteste contro le politiche
migratorie ai tempi di Carola Rackete. A Torino è stato ribadito che le
frontiere e i muri non sono la risposta, che, al contrario, bisogna attivarsi
concretamente per “la concessione del diritto d’asilo e della protezione
umanitaria, il ripristino delle vie regolari di accesso, il rispetto del dovere
di portare soccorso ovunque ci siano vite in pericolo, in mare come in terra”.
In un documento, prima, e nel corso della manifestazione, dopo, il comitato,
sorto nel 2019, ha denunciato le azioni di Frontex, la realtà dei Cpr – i
Centri di Permanenza per il Rimpatrio – in particolare quello del capoluogo
piemontese, in cui lo scorso anno fu trovato morto impiccato Moussa Balde, un
giovane di 23 anni originario della Guinea.
La giornalista Federica Tourn, di Torino per Moria,
ancor più perché a ridosso dall’8 marzo, ha inteso manifestare la vicinanza
ideale alle tante donne, madri, compagne, sorelle, figlie, che non hanno più
potuto riabbracciare i loro uomini, partiti da soli e mai più tornati, mentre
l’avvocato Gianluca Vitale ha espresso la necessità di ripensare integralmente
le nostre leggi sull’immigrazione. Intanto, sempre in via Garibaldi, alcune
donne hanno continuato a ricamare su una coperta i nomi dei morti di tutte le
frontiere, dal Messico alla rotta balcanica. Così, la coperta, in ricordo di
quelle che le donne di Lampedusa spontaneamente offrono ai migranti ammucchiati
sul molo, e la farfalla gialla che vola sui fili spinati, disegnata prima di
morire da una bambina nel campo di Terezin e ora simbolo del Manifesto di
Lorena Fornasir, vogliono rappresentare un’Europa che, pur costruendo spesso
muri, sa anche creare ponti. Ponti di corpi, appunto.
IL
MANIFESTO DEL CARRETTINO VERDE
UN
PONTE DI CORPI lungo i confini tra Italia e Bosnia
A
cura di Lorena Fornasir
Oggi si
manifesta pienamente un attentato alla vita: dalla madre terra, come la chiama
Vandana Shiva, da una natura sistematicamente devastata, a un interminabile
processo di distruzione ovunque nel mondo: stiamo assistendo a una specie di
trionfo della morte.
Il carrettino
verde, carico di cose per far vivere, che accoglie chi riesce a varcare il
bordo mortifero del confine, è invece storia e memoria di una pratica della
cura che le donne conoscono bene, non come gesto sacrificale ma come competenza
di stare, essere in presenza dell’altro, conosciuto o sconosciuto, perturbante
o estraneo.
La donna con il
suo corpo pensante, è l’anticonfine per eccellenza.
Il corpo della
donna contiene in se stesso la negazione del confine perché è un corpo
naturalmente aperto attraverso l’atto più intenso del generare, del portare
alla luce l’ALTRO da SÉ .
La cura per
l’altro può diventare il ricamo di una mappa creativa dove l’amore tiene
assieme i legami spezzati da una parte all’altra del mondo. Madri lontane, in
un mandato tacito e di dolore, ci consegnano la vita dei loro figli.
Noi siamo coloro
che possono dire no allo scontro di razza, perché nel mondo dei morti nessuno è
inferiore all’altro
Noi siamo coloro
che dicono no al razzismo, perché da sempre siamo state la prima razza
considerata inferiore proprio in quanto geneticamente aperte alla vita e sue
portatrici: questa condizione ‘naturale’ è diventata storicamente un servizio!
Noi siamo coloro
che gridano al mondo che non c’è nessun dio e nessun bene, quando migliaia di
essere umani muoiono a causa dei confini;
Noi siamo coloro
che maledicono i confini perché quelle strisce di terra o di mare sono bagnate
di sangue, selezionano chi può passare e chi no, chi può vivere e chi può
morire, chi può essere torturato e chi può essere deportato
Noi siamo coloro
che vogliono alzare alta la voce della maternità, che è la voce della
solidarietà, della vita che altre donne hanno generato consegnandola ad altre
madri del mondo affinché la salvino e la promuovano
Vorremmo essere
in tante ad accorrere sul confine, ad attraversare il confine, ad andare
incontro a chi è bloccato nell’inferno della Bosnia, in gruppo, in gruppi, in
massa, a ribellarci alla morte… noi lo possiamo fare meglio di chiunque…
costruiamo un movimento di donne per aprire tutti i confini.
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