venerdì 31 marzo 2023

L’OCSE ci è arrivata, la Meloni no: l’austerità uccide la sanità pubblica - coniarerivolta


Sono serviti quasi sette milioni di morti dovuti al Covid affinché l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) riconoscesse che i sistemi sanitari di tutti i Paesi membri – che sono sostanzialmente tutte le economie avanzate capitaliste del pianeta – si sono fatti trovare drammaticamente impreparati e sottofinanziati all’appuntamento con la pandemia. Dopo decenni passati a predicare l’austerità e la riduzione del ruolo dello Stato nell’amministrazione della cosa pubblica, l’OCSE è così costretta a mettere nero su bianco che lo Stato deve mettere soldi, tanti soldi, per evitare che la salute della popolazione si deteriori in maniera inesorabile nei prossimi anni. È quello che si può leggere in un recente rapporto, intitolato Ready for the Next Crisis? Investing in Health System Resilience. Le criticità individuate sono note a chiunque abbia avuto la sfortuna di avere bisogno di assistenza medica negli ultimi anni: personale gravemente sottodimensionato, investimenti in strutture e macchinari sempre più carenti, spese in prevenzione totalmente insufficienti e tutto il campionario degli orrori con cui si confronta chi entra oggi in un ospedale pubblico.

In uno scenario che, se si guarda alla situazione media di tutti i paesi OCSE (i paesi più ‘avanzati’ del mondo), è sconfortante, l’Italia spicca e lo fa per le ragioni sbagliate. Non può essere una novità, d’altronde. Nei primissimi giorni della pandemia provammo a tracciare un bilancio degli effetti dell’austerità sulla sanità italiana: spesa pubblica corrente nella sanità (che include gli stipendi dei lavoratori del settore) diminuita in termini reali del 12% tra il 2009 e il 2018; investimenti pubblici in sanità, quali ad esempio l’acquisto di strutture e macchinari, che nello stesso periodo soffrono un taglio del 44%; carenze d’organico ad ogni livello, dai medici fino agli infermieri. Una serie di numeri che possono apparire astratti, ma che hanno un riflesso drammaticamente tangibile nella nostra vita quotidiana e che mostrano tutta la loro violenza quando andiamo a vedere come il numero di posti letto ospedalieri ogni mille abitanti fosse, nel 2020, un terzo di quello che avevamo nel 1980 (3,19 posti letto ogni 1000 abitanti nel 2020, 9,61 nel 1980, secondo dati OCSE).

 

Che fare per arrestare questo sfacelo? Una risposta sicuramente prudenziale la fornisce lo stesso Rapporto dell’OCSE di cui parlavamo all’inizio di questo articolo: aumentare sostanzialmente la spesa in sanità fino a portarla al 10.1% del PIL di ciascun Paese membro. Arrivati a questo punto, può essere utile confrontare queste prescrizioni con quanto sta concretamente facendo in merito il Governo Meloni. Anche qui, purtroppo, siamo costretti a tornare su quanto già detto e ridetto: nell’ultima Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, licenziata a novembre 2022, si può notare come la spesa sanitaria in rapporto al PIL sia prevista al ribasso per gli anni a venire, partendo dal 7,2% del 2021 per poi scendere al 7%, 6.6%, 6.2% e 6% negli anni fino al 2025 (come si può leggere nel documento approvato dal Governo qui, Tavola I.3B). Un provvedimento rivendicato con orgoglio e senza alcuna vergogna dal Presidente del Consiglio nella conferenza stampa di fine anno: leggere l’ultima domanda nella trascrizione dell’intervista per credere.

Detto in parole povere, il Governo Meloni, in totale e perfetta continuità con gli esecutivi che l’hanno preceduto, persevera senza esitazione nel progetto pluriennale di distruzione del sistema sanitario nazionale, un progetto che è un attentato diretto alla salute delle milioni di persone che non hanno i soldi per curarsi nella sanità privata e che possono solo sperare di non ammalarsi per evitare di dover iniziare un percorso che unisce alla disgrazia della malattia anche la beffa di liste d’attesa chilometriche, strutture fatiscenti e personale sanitario sfinito da turni massacranti. Non è retorica, purtroppo, ma ciò che ci dice l’OCSE e che ci dicono i dati sugli oltre 4 milioni di italiani che hanno rifiutato le cure per via delle liste d’attesa troppo lunghe. È inoltre ciò che, in spregio del ridicolo, ci dicono le Regioni, governate dalle stesse forze politiche che a livello di Governo centrale devastano la sanità pubblica: “Se davvero il livello di finanziamento del SSN per i prossimi anni dovrà assestarsi al 6% del PIL, prospettiva che le regioni chiedono che venga assolutamente scongiurata, occorrerà allora adoperare un linguaggio di verità con i cittadini, affinché vengano ricalibrate al ribasso le loro aspettative nei confronti del SSN. Saranno necessarie scelte dolorose, ma non più procrastinabili, al fine di evitare che le mancate scelte producano nel sistema iniquità ancora più gravi di quelle già presenti”.

Il Governo Meloni ha il pregio indiscutibile di essere totalmente trasparente e privo di qualsiasi pudore riguardo alle sue priorità: la salute e il benessere della popolazione sono un orpello da sacrificare sull’altare della fedeltà al dogma dell’austerità fiscale e un boccone da offrire in pasto a chi macina milioni su milioni di profitti con la sanità privata. Forte e spietato con i deboli, che siano i pazienti in attesa di essere curati o i migranti lasciati morire in mare senza batter ciglio, debolissimo e servile contro i forti, che siano i guardiani europei della disciplina di bilancio o il padronato nostrano che richiede manodopera da sfruttare.

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dove sta, dove va l'apocalisse? - Enrico Euli

 

 

Il titolo del film richiama l'Armageddon, l'Apocalisse finale.

E, alla sua fine, ti chiedi perché.

Sembra -infatti- solo la storia di un bambino ebreo americano che affronta il mondo e le sue storture con uno sguardo etico ed una sensibilità profonda verso l'ingiustizia e le discriminazioni, coperte o palesi.

Nel suo disperato tentativo di riuscirci, la storia racconta delle immani e violente pressioni a conformarsi che gli provengono dalle amorevoli cure di genitori, parenti, insegnanti e amici.

Un'assimilazione a valori ipercompetitivi, votati solo all'ascesa sociale ed al successo sugli altri, al mito eroico della vittoria coltivato da ogni self made man che si rispetti.

Per ottenerli, il ragazzino viene iscritto ad un liceo privato per le èlites, in cui incontra -ragazzino anch'egli- il ciuffetto biondo di un certo Donald Trump.

L'omologazione però non riesce, ma con costi molto alti per il protagonista e soprattutto per il suo amico nero.

Dove sta la catastrofe, oltre che nel titolo (ed in una canzone dei Clash, riferimento musicale del regista) ?

Trump non è un'anomalia nel sistema americano, ma il suo interprete più profondo, coerente e sincero (e così è la Meloni per noi qui).

E Biden segue gli stessi valori e segue gli stessi modelli di Trump, in modo soltanto più graduale e farisaico (così come il PD ed i cosiddetti democratici di sinistra in tutta Europa).

La catastrofe, quella che non vogliamo vedere come tale ma che ci condanna senza scampo, sta proprio nel modello di vita che seguiamo e nei suoi valori fondamentali.

Modelli e valori che - proprio mentre esaltano la guerra tra le persone come unica forma significativa di vita - le conducono ineluttabilmente alla distruzione e alla morte, al vivere nella mortificazione, alla morte in vita.

Questa normalità (normalizzazione) è già da ora catastrofe.

É da questa che poi derivano e deriveranno cataclismi e disastri, le emergenze e guerre permanenti ed i fallimenti di ogni soluzione ad esse.

Ma, anziché assumerci la responsabilità del nostro modo di vivere, una parte di americani preferisce (come abbiamo già fatto per decenni con Berlusconi) accusare e condannare Trump per aver pagato in nero una pornostar!

Scelte del genere (oltre a risultare inutili o addirittura controproducenti in sede elettorale) occultano il vero problema, servono solo ad insistere a coprire la catastrofe di un mondo che prosegue ad avanzare e ad investire violentemente e crudelmente le nostre vite (e, soprattutto, quelle dei più poveri ed indifesi).

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giovedì 30 marzo 2023

Libia. Come il governo Meloni sta favorendo l'Immigrazione clandestina - Michelangelo Severgnini


Michelangelo Severgnini è un regista e scrittore da anni è impegnato, con il progetto "Exodus", nel dare voce a chi non ha diritto di parola: le migliaia di migranti-schiavi che si ammassano in Libia (ora sempre più dalla Tunisia).

Libia, il "Piano Mattei" e i famigerati 8 miliardi dell'Eni con il governo di Tripoli al centro dell'intervista rilasciata a l'AntiDiplomatico. Con il Parlamento legittimo che si trova a Bengasi e con l'esercito nazionale che controlla pozzi petroliferi Severgnini è sicuro che "questi 8 miliardi di euro sono un investimento bellico a favore delle milizie criminali che controllano Tripoli e gestiscono il traffico di esseri umani in combutta con le mafie africane come dimostro con il mio lavoro: "
l'Urlo: schiavi in cambio di petrolio".

E le conseguenze sull'immigrazione sono chiare. "Sono le milizie che finanzia la Meloni che fanno arrivare i disperati in Europa: all'atto pratico fa esattamente il contrario di quello che dice. E c'è una sola spiegazione: ed è militare", prosegue Severgnini.

"La missione Irini partita nel 2020 con a capo l'Italia per monitorare l'embargo di armi alla Libia è stata rinnovata. Ogni volta che la Meloni parla di immigrazione parla in realtà di guerra. Siamo un paese in guerra che addestra i soldati ucraini e il fronte Sud è sempre più caldo. Con i pozzi petroliferi in mano all'esercito nazionale libico, gli inglesi stanno facendo pressioni. La militarizzazione del fronte sud del Mediterraneo è in mano all'Italia: lo spauracchio dell'immigrazione serve a militarizzare il Mediterraneo", prosegue Severgnini.



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Gli Idoli del Cristianesimo - Mauro Biglino

 

mercoledì 29 marzo 2023

ricordo di Gianni Minà

 Pace – Gianni Minà

Sento da troppi giorni i tamburi della guerra che, in maniera opprimente, si stanno avvicinando sempre di più nelle nostre vite, appesantite dagli affanni, chi più chi meno, della quotidianità, ma non certo lacerate dai drammi che la guerra porta.

Ho 84 anni, ero un bambino durante la seconda guerra mondiale, ma mi ricordo molto bene il tragico bagaglio che aveva portato: mio nonno ferroviere fu ucciso in un bombardamento degli alleati mentre stava lavorando insieme ai suoi colleghi, la disperazione dei miei, la fatica e la paura di essere sfollati, la mancanza del cibo, il freddo, il terrore di chi rischia la morte per un tozzo di pane, le file interminabili per l’acqua. E poi, i grandi egoismi di molti, i gesti eroici di pochi, la generosità e l’altruismo esercitati in silenzio di altri.

Oggi la mia mente ripercorre quei ricordi dolorosi e vedo che nulla è cambiato: c’è chi inneggia alla guerra, anche nucleare, incurante dei dolori che porta, chi si fa alfiere di vari interessi, chi randella quotidianamente chi la pensa in maniera critica, azzerando il confronto e trasformando il dialogo in una assurda polarizzazione: amico di Putin se sei per la pace o difensore della democrazia se aderisci all’invio di armi per l’Ucraina. Perfino il Papa è stato dichiarato “pacifista estremista”, come se invocare la pace fosse da vigliacchi o peggio, da inetti, incapaci di “prendere una posizione”.

Roba da matti, o da incoscienti. O roba da falchi…

Anche Raniero La Valle, un giornalista e mio antico collega della Rai, che ha prodotto storici documentari sulla Palestina, la Cambogia e il Vietnam, nel suo editoriale su Facebook, sostiene di aver paura della guerra, perché: “anche a noi fu detto “Vincere! E vinceremo”, come infatti accadde con armate straniere che si combatterono sul nostro suolo e dal cielo distrussero le nostre città. (…) Ma noi abbiamo paura che le ultime notizie, magari come allora nascoste nelle “brevi” e poi a lungo secretate, ci informino di un’azione altamente meritoria e densa di valori imperituri come quelle compiute a Hiroshima e Nagasaki; abbiamo paura di perdere non la vita, ma ciò per cui abbiamo combattuto per tutta la vita: per la pace, la libertà, l’onore, la difesa dei popoli martoriati ed oppressi dalle colonie, dagli Imperi, dalla Trilaterale, dagli Esodi, dalle guerre bipartisan, dalla fame, dalla “giustizia infinita” inalberata per gratificare il mondo intero della democrazia, dei respingimenti, dei porti chiusi e delle estradizioni; così come abbiamo combattuto contro le operazioni alla “Desert Storm” per annientare Stati canaglia e terrorismi, o contro i missili stranieri da Comiso puntati contro l’Ungheria.”

Gino Strada, come lo hanno ricordato a un incontro a Sesto S. Giovanni, prendendo in prestito le parole di  Albert Einstein all’indomani della fallimentare conferenza sul disarmo del 1932 a Ginevra, diceva sempre che la guerra non si può umanizzare, ma solo abolire, perché è impossibile e illusorio imporre regole di comportamento.

La pace non va contrattata, non è un’opzione tra tante, la pace si abbraccia senza se e senza ma, anche a costo di essere perdenti.

Apro  un sito: atlanteguerre.it, molto interessante. Nella cartina interattiva, si clicca nei paesi colorati e si legge il conflitto: il mondo è come se avesse una cintura fatta di paesi in guerra.  Troppi, ancora. La lista dei paesi si allunga quotidianamente.

In America Latina, ad esempio,  lo sanno bene cosa hanno portato le guerre e le dittature. Popoli assoggettati, sterminati, come ad esempio i paesi del Centro America, il Salvador o il Guatemala, chiamati, per le continue stragi delle loro popolazioni “il mattatoio d’America” e che hanno avuto dalla storia solo un flebile “scusa” di Barak Obama in una conferenza stampa nel 2010. Ma si sa, non tutte le vittime di guerra hanno la stessa considerazione. Eppure quel continente, senza voce da sempre, al contrario di noi occidentali, ormai ridotti a consumatori alienati anche di guerre, esportatori di una democrazia svuotata, di cui non sappiamo più neanche il senso, è sempre alla ricerca del “buen vivir”, in una dimensione circolare, che produce benessere per tutti, spirituale e materiale, senza escludere nessuno.

Spesso, da quando conosco quel continente, mi sono domandato: ma chi vive meglio, noi o loro?

I media certo non aiutano a capire: se prima eravamo ossessionati 24 h da notizie, informazioni, appelli quotidiani sul Covid, oggi la nuova ossessione sono le immagini di guerra, la cui quantità e tipo di messaggi ormai è fuori controllo; questo sistema, ormai, in una sorta di news war, ha spento tutte le voci del resto del mondo e non mi soffermo più sulle fake, che si rincorrono ad arte, nella impossibilità di essere smascherate. Approfitto, però, per ospitare tra le mie righe un appello dei nostri  più importanti inviati di guerra che mi ha segnalato Livio Senigalliesi, uno dei fotografi che ho ospitato nelle pagine della mia rivista “Latinoamerica”: https://bit.ly/3uSa56J.

Oggi sono costretto a casa e osservo distrattamente i telegiornali e i programmi, spalmati tutti sulla guerra Russia-Ucraina, tanto da farmi avere un leggero senso di nausea, un overload di notizie, come mi era capitato con la pandemia, ora scomparsa dai radar, anche se la curva, pare, si stia rialzando. Telegiornali di 30 minuti, dove 24 spesi nel conflitto che ci invade e 6 miseri minuti su politica estera e italiana e ovviamente, per “politica italiana” intendo la cronaca nera, lasciandoci però appesi su questioni che erano primarie nell’agenda fino a qualche tempo fa: ad esempio i migranti portati in Bielorussia dal Medioriente e bloccati ai confini della Polonia da un muro di filo spinato di più di 180 km, che fino hanno fatto?

Ma come si può andare avanti così?

Per sapere qualcosa di serio e vero sui conflitti e sul mondo, ormai ascolto quasi solamente Radio Vaticana.

Sulla rivista Missioni Consolata  il suo direttore Gigi Anataloni, nel suo editoriale nomina monsignor Tonino Bello, che sosteneva qualche tempo fa: “Il mio desiderio è quello del cessate il fuoco, perché non è possibile, non è accettabile, non è pensabile che ancora oggi, con tutto il progresso che abbiamo fatto, con tutta la cultura che abbiamo alle spalle, della gente debba essere massacrata a questo modo. E’ osceno. Io credo che ci vergogneremo domani per la nostra mancanza di insurrezione di coscienza (…) La guerra tutto può partorire, fuorchè la pace e la giustizia. La pace non arriverà, finchè non si farà giustizia.”

Non ci rendiamo neanche conto che questi tamburi di guerra non porteranno certo alla prosperità economica, anzi: l’inflazione sta crescendo e crescerà ancora indebolendo il valore dei già magri stipendi delle classi più fragili, aumenteranno i precari, i prezzi si gonfieranno sempre di più e le conseguenze sociali saranno devastanti, non soltanto per l’Europa, ma anche per altre regioni del mondo: la globalizzazione non dà scampo a nessuno, e la pandemia ci ha già insegnato che i confini non esistono più.

Vorrei concludere questo mio breve articolo sulla pace, con una notizia di speranza, che tanto ci fa bene, e che viene proprio dal popolo cubano che ho apprezzato per i tratti che lo caratterizzano: la dignità, l’umanità, ma soprattutto la loro solidarietà nelle piccole e grandi cose, nonostante siano strozzati da un blocco economico che dura da più di 60 anni, nonostante siano stati messi a forza nella vergognosa lista di “stati canaglia”.

Nei giorni scorsi, è passata in Italia una delegazione di scienziati cubani che Fabrizio Chiodo in collaborazione con AICEC e l’Ambasciata cubana,  ha portato a Napoli. Sono tre generazioni di grandi ricercatori della biotecnologia cubana: il professor Luis Herrera-Martinez, uno dei padri di questa disciplina, Dagmar Garcia Rivera, la più giovane,  e il professor Verez-Bencomo a cui si deve lo sviluppo del primo vaccino sintetico della storia, il vaccino contro Haemophilus influenza del tipo B, e anche il vaccino contro la polmonite, che, a differenza di quello statunitense venduto a 100 dollari la dose (il cui costo proibitivo non può essere acquistato da paesi depressi economicamente) ha permesso e permetterà ai bambini di Cuba e dei paesi più poveri di essere curati contro una delle malattie più letali per l’infanzia, la polmonite. L’iniziativa napoletana racconta la storia personale dei tre protagonisti e la storia della biotecnologia di Cuba, ma soprattutto la collaborazione tra l’istituto vaccinogeno Finlay all’Avana e il Laboratorio di Virologia dell’Ospedale Amedeo di Savoia di Torino che sta lavorando per comprendere lo spettro di applicabilità dei vaccini cubani (soprattutto il vaccino Soberana Plus) in funzione delle varianti in circolazione.

A Cuba, diversamente da altri Paesi, anche i più industrializzati, i decessi per Covid (normalizzati sulla popolazione) sono risultati inferiori durante tutta la pandemia, soprattutto durante l’arrivo di Omicron e questo grazie sia a una campagna di vaccinazione ma soprattutto ai vaccini pubblici sviluppati, nonostante il blocco economico imposto dagli Stati Uniti che vieta l’approvvigionamento di materie prime, strumenti e tecnologie. Di fondamentale importanza è stato anche aver sviluppato l’unico vaccino contro SARS-CoV-2 pensato per la popolazione pediatrica e somministrato al 97% dei bambini cubani dai due anni in su. Fabrizio Chiodo, ricercatore del CNR e collaboratore dell’istituto vaccinale Finlay dove ha lavorato al disegno e allo sviluppo dei vaccini Soberana, ha spiegato in un articolo di Franz Baraggino sul Fatto quotidianoCi si è concentrati sui vaccini proteici che, a differenza dei vaccini a materiale genetico come Pfizer e Moderna, si basano su una tecnologia già nota e largamente utilizzata anche in campo pediatrico. I dati sono stati messi a disposizione della comunità scientifica e pubblicati su riviste scientifiche internazionali ed è in corso la procedura di pre-qualifica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Un ok che basta ad agevolare l’export del vaccino cubano in molti paesi del mondo. Sono a basso costo, con un brevetto pubblico ed un trasferimento di tecnologia piuttosto semplice. Per questo penso che possano essere importanti nel supporto ai tanti Paesi che non vedranno la loro popolazione vaccinata prima del 2023. Abbiamo tentato di realizzare un ponte, una strategia che stimolasse un interesse su questi vaccini nonostante gli standard previsti in Europa, nella speranza che le evidenze scientifiche prevalgano sulla geopolitica e che nessuna opportunità sia preclusa alla lotta contro il Covid”.

Più vaccini e meno armi, ha detto il Papa già a ottobre scorso. Non può essere considerata solo una esortazione di un leader religioso, è un messaggio impellente rivolto a tutti noi, soprattutto nel nostro Paese, dove la spesa sanitaria è condannata a continui tagli e i fondi per  l’Istruzione ci sbattono all’ultimo posto nella graduatoria europea.

Un antropologo ha detto che l’inizio della civiltà è iniziata da un femore guarito. Nell’era preistorica, animale o uomo, quando si ferivano, la loro vita era condannata. Non potevano scappare. Un femore guarito è stata la prova che qualcuno si è preso cura del ferito, lo ha protetto e lo ha curato.

Questa regola vale ancora oggi: nessuno si salva da solo. Lo ha detto il Papa ma lo hanno già detto le popolazioni millenarie prima di lui. Noi dobbiamo solo ascoltare e seguirne il solco e, come amava dire Vittorio Arrigoni, Vik, il mio giovane collega, scrittore e pacifista che sognava e lavorava per la pace tra Palestina e Israele, “restare (restiamo) umani”.

https://www.giannimina.it/archivio/articoli/pace/

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Turbare la nostra tranquillità - Paolo Trezzi

 

Cara Comune-info, viviamo un tempo complesso, dove…


§  Si muore per detenzione
Nelle carceri italiane nel 2022 ben 203 persone, di cui 84 registrate come suicidi. Eran state 149, di cui 58 suicidi, nel 2021. Numeri troppo alti ogni anno. E troppo alti è, peraltro, già uno. Il carcere uccide, a norma di Legge.

§  Cospito è condannato a morire di detenzione perché ha messo due bombe e gambizzato un uomo, e quello stesso Stato che con lui non tratta è allo stesso tempo proprio quello che non si trattiene da ammazzare detenuti, non tratta con Cospito ma trattiene sulla sua coscienza come medaglie, guerre e maree di morti per terra e per mare

§  Si muore poi per somma di detenzione, dissuasione e dimostrazione, non certo, sia chiaro ai benpensanti, per detonazione. È quello che avverrà con Alfredo Cospito. Per continuare a vivere mentre è vivo, morirà perché lo Stato a un moribondo gli impedisce pure di leggere quel che vuole. Gli vieta di morire nel suo letto ai domiciliari. Lo Stato così misericordioso e legiferante coi potenti così aguzzino e ligio contro i moribondi.

§  Si muore per dissuasione.
È così che Cospito sta morendo di 41bis, in sciopero della fame, perché se tutto ha un prezzo ha deciso, a costo della morte, che non tutto è in vendita. Che lui non è in vendita. Il prezzo per lo Stato era ed è vendere, rinnegare il suo credo politico, qualche compagno o compagna. Mors tua vita mea.

§  Perché lo Stato continua a torturare con il 41bis, carcere duro, ergastolo ostativo, un moribondo e con lui una moltitudine di persone detenute (728 al 41bis, 1259 con ergastolo ostativo) anche “anziani e malati che voglion tornare a riabbracciare la propria moglie dopo 30 anni”.

§  Non si muore per detonazione.
Come si vuole ancora credere, perché però Cospito ha messo due bombe carta fuori una Caserma a Fossano. Una Strage senza morti. Senza morti né feriti, che non potevano e nemmeno voleva ci fossero, se non due cestini di rifiuti in effetti decisamente messi male.

§  Lo dimostra il fatto che per nessuno degli imputati la Strage di Piazza della Loggia (8 morti, 102 feriti) è stato ipotizzato il “reato di strage politica” e lo stesso è all’ex Nar Cavallini, nel processo per la Strage di Bologna (85 morti, 200 feriti) reato per il quale Cospito è invece stato condannato per la detonazione di quelle due bombe carta.

§  Si muore per determinazione.
Che è quella di mantenere una tortura dentro le Leggi di uno Stato. Come lo è nella deflagrante sostanza della verità il 41 bis “Una metastasi che rischia e di fatto sta minando quello che ci vantiamo di chiamare stato di diritto, un cancro che in una democrazia un tantino più totalitaria potrà essere usato per reprimere zittire col terrore qualunque dissidenza politica, qualunque sorta di ipotetico estremismo”

Alfredo Cospito purtroppo morirà perché vuole che la morte lo trovi però vivo fino all’ultimo giorno, all’ultimo respiro, mentre il suo cospiratore, Carlo Nordio, ora addirittura ministro della Giustizia continuerà a essere vivo pur essendo morto da tempo, colui che il 28 marzo 2019 infatti disse: “Il nostro ordinamento ha introdotto quella figura di isolamento mortuario che è il 41 bis, e che per certi aspetti è più incivile anche di questa mutilazione farmacologica (la castrazione chimica). Questo per dire che il nostro sistema non brilla di civiltà”

§  Si muore per distrazione.
Quando non si chiede l’abolizione del regime del 41bis e dell’ergastolo ostativo

Alfredo Cospito ha deciso di turbare la tranquillità di tutti quelli come noi che sono soddisfatti e sono complici. Non suoi, dello Stato che, senza riuscire a piegarlo, lo sta ammazzando a norma di Legge.

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martedì 28 marzo 2023

La Cina è vicina

 

articoli, video, immagini di Paolo Desogus, Massimo Cacciari, Manlio Dinucci, Noam Chomsky, Domenico Gallo, Alessandro Orsini, León Ferrari, Latuff, Gianandrea Gaiani, Giuliano Marrucci, Alessandro Di Battista, Andrea Muratore, John Mearshaimer, Francesco Santoianni, Enrico Vigna, Tonio Dell’Olio, Giacomo Gabellini, Gianni D’Elia, Piccole Note, Alessandro Ghebreigziabiher, Giuliano Granato, Matteo Saudino, Clara Statello, Enrico Tomaselli, Emanuele Quarta, Giuseppe Masala, Luciano Canfora, Fabio Filomeni, Paolo Ferrero, Fabio Mini, Patrizia Cecconi, Benjamin Abelow, Fabrizio Poggi, David Swanson, Tiziano Ciocchetti, Disarmisti esigenti, Giorgio Monestarolo, Gian Marco Martignoni, Enrico Vigna, Francesco Sylos Labini


La mediazione cinese, l’arroganza occidentale – Paolo Desogus

L’azione della Cina in Russia può forse apparire velleitaria, ma la risposta stizzita degli Stati Uniti (“è un inganno”) mi sembra ancora più fragile e inconcludente. E questo non solo perché Biden rischia di restare col cerino della guerra in mano, ma anche per il rilievo internazionale della visita di Xi Jinping.

La guerra in Ucraina sta infatti mostrando un carattere incredibilmente provinciale ed autoreferenziale di Usa, Europa cui si aggiungono Israele, Australia, Canada e Giappone. L’Occidente resta indubbiamente quella parte di mondo più ricca, influente e tecnologicamente (oltre che militarmente) avanzata del mondo. Ma è anche quella che più di ogni altra ha costruito la propria fortuna sullo sfruttamento dei paesi più poveri, sull’abuso della forza degli eserciti e sull’impunità internazionale.

Il mix di arroganza e attitudine colonialista degli stati più ricchi si scontra sempre di più con la ricerca da parte dei paesi esclusi di un nuove sponde, come la Cina e la Russia, per poter uscire dalla gabbia geopolitica tessuta a loro svantaggio. È interessante a questo proposito osservare come nelle ultime settimane sia sempre più significativo il disimpegno militare francese in molte realtà africane. Nel continente avanzano Russia e Cina con programmi economici e militari tutt’altro che trascurabili. Ha poi molto sorpreso la ripresa dei rapporti diplomatici tra Arabia Saudita e Iran. A questo poi si aggiungono la posizione del Brasile contro l’invio di armi a Zelensky, le ambiguità dell’India…

Insomma, al di fuori della fortezza Nato numerosi altri paesi subiscono sempre meno l’egemonia occidentale. Il viaggio di Xi Jinping si rivolge a loro. È per difendere le nuove relazioni economiche e militari che la Cina sta investendo nella costruzione del proprio prestigio politico per la pace, in contrasto con l’immagine di un Occidente capitanato dagli USA. Quante guerre ha provocato la Cina negli ultimi 70 anni e quante gli USA?

Sono poi notizia di poche ore fa le dichiarazioni del ministro delle finanze israeliano Smotrich secondo cui il popolo palestinese non esiste, è un’invenzione della propaganda. Dove vogliamo andare con questa arroganza?

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Cacciari: “L’Italia è in guerra. Lo dicano chiaramente, basta con ipocrisie”

“Mi pare che una persona persona ragionevole non dovrebbe aver dubbi sul fatto che l’Italia sia in guerra. O siamo al colmo dell’ipocrisia oppure se io fornisco armi e mezzi a chi è in guerra, è evidente che sono in guerra anche io. È anche chiaro che la Nato ha dichiarato guerra alla Russia e che, appunto, siamo in guerra, con tutti i pericoli che questo comporta”. Sono le parole pronunciate ai microfoni de L’Italia s’è desta (Radio Cusano Campus) dal filosofo Massimo Cacciari sull’invio di armi in Ucraina e sulla situazione attuale del conflitto.

E aggiunge: “L’aggressore è la Russia e non si discute. Non è che ci siano dei segni espliciti di volontà di pace da parte della Russia, ma è altrettanto evidente che se la Corte Penale dell’Aja dichiara Putin criminale e vuole arrestarlo, questo non è certo un atto di pace. Vi pare che sia un atto che favorisca la pace dire che il nemico è un bandito e che quindi va arrestato? È chiaro che è un atto di guerra. Né dall’una, né dall’altra parte – continua – è stato avviata al momento la minima concreta iniziativa non dico di pace, ma di cessate il fuoco. E naturalmente ciò avviene sulla pelle degli ucraini. Dopodiché Meloni non può che fare quello che ha fatto Draghi. Punto e basta. Fine. Un Paese debitore come il nostro non può che obbedire al creditore. Vogliamo capirlo o fingiamo di ignorare la realtà come fanno i bambini?”.

Cacciari condivide l’intervento del senatore leghista Massimiliano Romeo, secondo cui c’è un pensiero unico e se uno prova a prendere in considerazione il piano della Cina viene tacciato come collaborazionista: “Non c’è dubbio, è così. Non ho nessuna simpatia per la Lega, ma è vero quello che ha detto Romeo. A volte sei costretto a dare ragione a chi dice, come Romeo, che il re è nudo, c’è poco da fare. E’ evidente che vi è un interesse da parte di una grande potenza – spiega – nel condurre al disfacimento di un avversario politico sul piano internazionale. Questo è raggiungibile anche senza la Terza guerra mondiale, perché la Russia è debole. È un discorso di realismo politico, se in politica non sei realista devi cambiare mestiere. Datti alla letteratura o a tante nobili arti che con la politica non c’entrano niente”.

Il filosofo sottolinea: “La situazione è questa: c’è una potenza debolissima che è la Russia sulla quale gli Usa pensano di dare la spallata definitiva. La Russia ha compiuto una missione suicida con l’invasione dell’Ucraina e ne pagherà le conseguenze. L’unica speranza è che non ne paghiamo le conseguenze tutti. Già stiamo pagando conseguenze gravissime, perché i costi di questa guerra non sono distribuiti in modo uguali. Gli Usa ci guadagnano e noi ci stiamo straperdendo. Uno che dice le cose come stanno perché deve essere demonizzato? Dite che siamo in guerra e la facciamo finita“.

Cacciari poi spiega la posizione della Cina: “Il conflitto geopolitico enorme che stiamo vivendo non è più una riedizione della Guerra Fredda, non è cioè una guerra tra Usa e Russia, ma tra Usa e Cina. Quindi è chiaro che non si accetteranno mai posizioni cinesi perché l’avversario vero in questo grande conflitto è la Cina. La Cina ha il vantaggio di avere una posizione di preminenza sulle politiche russe, ma in prospettiva la sfida è tra Cina e Usa. Per questo l’Occidente – continua – non andrà mai dietro alla CIna. La Russia deve capire che, se vuole uscire da questa situazione, deve soltanto ritirarsi. Non c’è niente da fare. La Russia è una potenza sconfitta dalla caduta del Muro, oggi ha commesso un errore strategico. E gli errori strategici in campo politico e internazionale si pagano salatissimo e col sangue”.

Cacciari, infine, invita a leggere l’ultimo libro del generale Fabio Mini, “L’europa in guerra”, e conclude: “La Russia, se vuole salvarsi, deve accettare le posizioni iniziali di Zelensky, quelle con cui ha vinto le elezioni: autonomia della Crimea, una soluzione del Donbass tipo quella del Trentino Alto Adige, cioè provincia autonoma in Ucraina e infine una trattativa per la collocazione politico-militare dell’Ucraina che non comportasse l’installazione di basi strategiche nucleari della Nato nel territorio ucraino – chiosa – Queste posizioni iniziali di Zelensky sono state in parte stravolte dal fatto che lui è stato costretto a fare il governo con alcune componenti politiche dell’Ucraina totalmente aliene a ogni idea di trattato di pace con la Russia. Si può tornare a quelle posizioni, ma soltanto la Russia riconosce l’errore strategico commesso. E forse questo è possibile solo con un cambio di leadership in Russia. Mi pare che su questo puntino americani e Nato“.

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Aeronautica, attivo un sistema per info ai soldati ucraini

“Ieri ho ricevuto un plauso dal capo di Aircom (comando centrale delle forze aeree Nato – ndr) perché il nostro velivolo è vicino al teatro di guerra e fornisce informazioni sul campo”.

Così il capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare, Luca Goretti, in audizione alla Commissione Esteri e Difesa del Senato, spiegando: “noi virtualmente abbiamo creato un ombrello virtuale di informazione di dati per l’Ucraina.

Abbiamo dato un vantaggio al popolo ucraino di poter competere alla pari con la Russia in una guerra che, anche se non sembra, è altamente tecnologica, dove ogni informazione viene mandata al soldato ucraino sul cellulare. Il potere aereo, quest’ombrello, non si vede ma esiste”.

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Noam Chomsky: «La diplomazia cinese fa paura agli Usa, non vogliono la pace» (intervista di Valentina Nicolì)

Sui recenti sviluppi della crisi ucraina abbiamo raccolto per il manifesto alcune riflessioni di Noam Chomsky, professore emerito del Mit, linguista, filosofo e politologo di fama internazionale di cui è uscito in libreria in questi giorni l’ultimo volume, Poteri illegittimi. Clima, guerra nucleare: affrontare le sfide del nostro tempo, (ed. Ponte alle Grazie tradotto e curato nell’edizione italiana da chi scrive).

Venerdì 17 marzo la Corte penale internazionale ha accusato formalmente Vladimir Putin di crimini di guerra in Ucraina e ha emesso un mandato di arresto contro di lui e la Commissaria per i diritti dell’infanzia Maria Lvova-Belova, che cosa ne pensa?

La Corte penale internazionale ha emesso un mandato di arresto contro Putin perché sarebbe responsabile della deportazione e trasferimento illegale di bambini ucraini. O, per dirla in maniera un po’ diversa citando Al Jazeera, «gli ipocriti di professione della Corte penale internazionale» hanno emesso un meritatissimo mandato di arresto a carico di «quel personaggio grottesco che è il presidente russo, che compie allegramente crimini contro l’umanità ed è poco più che un delinquente» («An ICC warrant against Putin is good – and hypocritical», Al Jazeera, 20 marzo 2023). I mezzi d’informazione occidentali preferiscono attenersi a una versione più morbida. In ogni caso, è sempre meritevole ricercare la verità, per quanto possa entrare in conflitto con l’asservimento alle verità dottrinarie dei potenti.

Partendo dal presupposto che quello della Cpi sia un atto legittimo, sorge spontanea la domanda se esso non debba stimolare l’applicazione di un criterio analogo anche a quanto è avvenuto in Iraq, proprio in questi giorni in cui si commemora il ventesimo anniversario dell’invasione a guida angloamericana.
Se la Corte penale internazionale avesse il coraggio di elevarsi a tale livello di onestà e integrità, la punizione sarebbe dura e brutale. Quando il procuratore della Corte Fatou Bensouda ha osato suggerire che la Cpi dovrebbe indagare sui pesanti crimini statunitensi e israeliani, il presidente Trump ha dichiarato l’emergenza nazionale e ha imposto sanzioni contro i funzionari della Corte sospettati di essere colpevoli di questa oltraggiosa violazione dell’«ordine internazionale basato sulle regole» governato dagli Stati uniti. Il visto di Bensouda è stato revocato. Successivamente, sono state imposte sanzioni a Bensouda e a un altro alto funzionario della Corte penale internazionale (si tratta di Phakiso Mochochoko, «US Sanctions on the International Criminal Court», Human Rights Watch, 14 dicembre 2020, ndr). Esiste già una legge del Congresso statunitense che autorizza il presidente Usa a usare la forza per «salvare» qualsiasi americano che rischi di essere portato dinanzi al tribunale dell’Aia (nota informalmente come Hague Invasion Act, è una legge federale entrata in vigore il 2 agosto 2002, mirante a «proteggere il personale militare degli Stati Uniti e altri funzionari eletti e nominati del governo degli Stati uniti contro procedimenti penali da parte di un tribunale penale internazionale di cui gli Stati uniti non fanno parte». Il Padrino non tollera alcun segno di insubordinazione.

Il 20 marzo il presidente cinese Xi Jinping è arrivato a Mosca per una visita ufficiale di tre giorni su espresso invito di Putin. Pensa che questa visita possa rappresentare un concreto passo avanti verso una qualche forma di negoziato per fermare la guerra in Ucraina?
Il governo Usa ha condannato immediatamente la visita e la proposta cinese. La posizione ufficiale degli Stati uniti rimane invariata: la guerra deve continuare per indebolire gravemente la Russia. Come molti commentatori occidentali hanno osservato, non senza un certo entusiasmo, è un grosso affare per gli Stati uniti. Facendo ricorso a una piccola porzione del proprio colossale bilancio militare, gli Stati uniti sono in grado di deteriorare pesantemente le forze del suo principale avversario in campo militare, generando peraltro un’impennata negli utili e nelle vendite dell’industria militare. In verità, producendo un guadagno molto più ampio. Più in generale, la diplomazia cinese è motivo di grande preoccupazione per Washington. La sua recente iniziativa per promuovere un accordo tra Iran e Arabia Saudita mette i bastoni tra le ruote a un ordine regionale che gli Stati uniti dominano sin dalla Seconda guerra mondiale, e mina gli sforzi degli Stati uniti di punire l’Iran per la sua diserzione da questo sistema, in quella che i pianificatori statunitensi del secondo dopoguerra consideravano l’area strategicamente più importante del mondo. Non è una faccenda di poco conto.

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2% del PIL in armi oppure in ospedali e scuole?

Non sono affatto gratis le armi che inviamo all’Ucraina, che acquistiamo per sostituirle e che aggiungiamo per raggiungere il traguardo (“da pazzi” secondo il Papa, urgente per Meloni&Crosetto) del 2% di Pil di spesa militare, cioè 13 miliardi in più all’anno in aggiunta agli attuali 30. O meglio, sono gratis per gli ucraini, ma non per noi, che le paghiamo care e salate con le tasse e i tagli ai servizi pubblici: nella Finanziaria ci sono già meno scuole e meno fondi alla sanità. In un anno l’Italia ha già inviato a Kiev aiuti militari per “circa un miliardo” (Tajani). Le scorte militari sono in esaurimento per via degli aiuti militari all’Ucraina. L’arsenale va riempito subito: non si possono prenotare sistemi d’armi e averli tra venti mesi.  Comprare nuove armi non sarà gratis. Secondo le stime di Milex, costerà alle casse pubbliche circa un miliardo di euroAnche per spendere meno, l’Inghilterra ha deciso di inviare a Kiev munizioni con l’uranio impoverito. L’uranio infatti arriva dagli scarti delle centrali nucleari, riciclarli nelle munizioni consente di risparmiare sullo smaltimento. Migliaia di reduci, anche italiani si sono ammalati di tumore dopo aver combattuto in Iraq e nei Balcani, dove l’uranio impoverito fu usato nelle munizioni della Nato. C’è una correlazione tra l’aumento dei pazienti (e dei morti) e l’uso di quest’arma.  Quando esplodono, le munizioni rilasciano metalli pesanti cancerogeni. 7.600 militari italiani in missione dalla Bosnia alla Somalia all’Iraq si sono ammalati di cancro per l’esposizione all’uranio impoverito, rilasciato da proiettili Nato; e 400 sono morti di leucemia o altri tumori.

La strage infinita non riguarderà solo i soldati ucraini e russi, ma anche i civili filo ucraini e filo russi. L’esplosione sprigiona nell’aria polveri sottilissime che si depositano sul terreno e vengono inalate da uomini e animali, entrano nell’organismo per via respiratoria o tramite gli alimenti e viaggiano nel sangue da un organo all’altro: un veleno invisibile che uccide anche a distanza di decenni.

Dmitry Medvedev, attuale vicepresidente del Consiglio di sicurezza nazionale, afferma che proiettili all’uranio impoverito dati alle forze ucraine “aprirebbero il vaso di Pandora” delle reazioni (nucleari) russe. Bombe atomiche appostate in Bielorussa come già in Italia.  Bombe atomiche sganciate sull’Ucraina porterebbero al 100% la maggioranza pacifista degli italiani, terrorizzati di fare la stessa fine. Troppo tardi.

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