venerdì 28 febbraio 2025

Tracotanza yankee, Disfatta europea, Tragedia ucraina - Franco Berardi

 

Si trattiene il respiro mentre i bianchi dementi del Ku Klux Klan globale si scatenano nella loro ultima danza, tagliando e depredando risorse indispensabili per miliardi di persone. Preparano il genocidio su larga scala, e intanto si preparano ad azzuffarsi tra loro, mentre gli incendi e le alluvioni ingoiano la terra, e si sgretola quel che è rimasto della civiltà.

La tracotanza dei vincitori immaginari

In Vuelta de Siglo Bolivar Echeverria spiegava qualche anno fa che il passaggio al secolo ventuno consiste essenzialmente nell’instaurazione della cosmovisione barocca al posto dell’architettura gotica della società industriale.

Jean Baudrillard lo sapeva già quando, nel 1977, scrisse il libro più importante di quel decennio, Lo scambio simbolico e la morte. Mario Perniola lo disse in maniera chiarissima ne La società dei simulacri: nel mondo che viene il simulacro prenderà il posto della realtà.

Il mondo che doveva venire adesso è venuto.

Un programma informatico ha generato il video che mette le cose a posto nella desolata landa di Gaza.

A Documenta Kassel nel 2017 io mi permisi un giorno di proporre una performance che si chiamava Auschwitz on the beach, ma i media tedeschi mi accusarono di antisemitismo, e un Ministro mi accusò di essere un provocatore di cattivo gusto.

Il tracotante Donald Trump ha copiato la mia idea e ha prodotto un video che mostra Auschwitz on the beach trasferito a Gaza.

Laddove ieri c’erano campi di concentramento, bambine che muoiono di fame di sete e di freddo, carri armati che schiacciano corpi sanguinanti, colonne di famiglie ridotte allo stremo e inseguite da droni assassini, finalmente sono sorti grattacieli, dollari scendono da una statua d’oro di Trump, i bambini risorti dalle fosse comuni corrono allegri per raccogliere la manna che scende biblicamente dal cielo, e infine il buon Netanyahu prende il sole in spiaggia sullo sdraio accanto al buon babbo Natale Donald Trump.

Nel frattempo il funambolico Musk licenzia migliaia di persone dai ministeri, intima ai funzionari dell’FBI di rivelare quel che hanno fatto nell’ultima settimana, e lancia progetti faraonici di colonizzazione dello spazio esterno.

Era ora, li stavo aspettando da quando un giornaletto che si chiamava A/traverso dichiarò baldanzoso: Informazioni false producono eventi veri. Era l’anno 1976.

Attenzione, ragazzi. Non è il caso di scandalizzarsi. Non è il caso di difendere i diritti umani, la costituzione, i buoni sentimenti, la democrazia, tutta vecchia roba fuori moda. La generazione che è venuta al mondo con un joystick in una mano e un cellulare negli occhi non starebbe ad ascoltare: si infileranno come tanti topolini nel tritacarne algoritmico che li trasformerà in schiavi depressi ma contenti fino a quando non si sveglieranno, e allora sarà troppo tardi.

Il cinismo fa parte del gioco barocco. La gotica realtà è cancellata dalla forza di enunciazione algoritmica, cumuli di cadaveri si accumulano tutt’intorno, bulldozer giganteschi li seppelliscono insieme al ventesimo secolo, e finalmente potremo volare sulle ali della fantasia assistita dal calcolo, dell’intelligenza artificiale e dell’immersione virtuale nel Mediaverso introiettato con un dispositivo di Neuralink.

Trattenete il respiro, ragazzi, e aspettate solamente un po’.

Non è detto che i geni informatici abbiano capito tutto di come funziona la realtà dei corpi che gemono, che soffrono, e talvolta muoiono.

Io non so come va a finire (non lo sa nessuno), ma faccio la mia profezia, e come al solito rischio di azzeccarla.

L’avventurismo media-demiurgico sta già producendo uno sgretolamento della realtà geopolitica globale, e presto produrrà degli effetti di sgretolamento della stessa società americana.

Quei milioni di lavoratori americani che Musk sta allegramente minacciando, hanno tutti un fucile in cantina. Decine di migliaia di funzionari dell’FBI umiliati e trattati come scolaretti da una banda di allegri stupratori gestiscono banche dati e possono mandare in tilt l’ordine della vita americana. Lo stato profondo esiste davvero, non è un’invenzione di Steve Bannon, e prima o poi è destinato a vendicarsi per difendere i suoi luridi interessi che Elon crede di potere ignorare.

(E forse le milizie di Steve Bannon staranno con i nemici di Musk.)

«Qua nessuno ha un minimo di spina dorsale – ha detto un dipendente dell’Environmental Protection Agency alla Cnn – Musk vuole far fuori l’Epa perché non gli importa niente dell’ambiente.I dirigenti dell’Epa cercano di essere accondiscendenti nella speranza di evitare tagli più profondi. Ma quando cerchi di placare un bullo con l’accondiscendenza, gli dai solo il permesso di perseguitarti di più».

I trumpisti hanno vinto le elezioni contro un partito democratico di rimbambiti e di ipocriti corrotti, ma l’ubris dei vincitori sta suscitando una nemesis sotterranea che presto esploderà, con l’aiuto degli incendi nelle metropoli, e delle prossime imminenti epidemie cui Kennedy ha srotolato il tappetino rosso.

Tratteniamo il respiro e vediamo come va a finire, si dicono milioni di lavoratori americani. Intanto non collaboriamo.

Disertano, si capisce. Che altro possono fare?

 

La disfatta europea la tragedia ucraina

“un popolo schiacciato e deriso per la viltà dei governi americano ed europei dopo due anni di eroismo e sangue, coverà per generazioni il risentimento e affiderà la sacrosanta volontà di riscatto al nazionalismo più bieco, fino a nuovi fascismi, pur di sperare di rovesciare i verdetti. Un’altra democrazia che tracolla fornendo alimento alle forze antidemocratiche che in Europa vanno dilagando.” (Flores d’Arcais: L’invasore premiato e la disfatta della democrazia Micromega 21 febbraio 2025).

Flores ha ragione nel denunciare il tradimento, ma dovrebbe anche fare un mea culpa, perché lui, come altri intellettuali europei ha creduto e, quel che è peggio, ha fatto credere che Biden fosse una persona affidabile, che gli americani davvero fossero impegnati in una disinteressata difesa della democrazia ucraina (che non è mai esistita). Nel gennaio del 2022 la signora Clinton aveva detto senza mezzi termini: intendiamo procurare un nuovo Afghanistan alla Russia. E Biden aveva detto: o la Germania si decide a rinunciare al North Stream 2, oppure siamo in grado di occuparcene noi.

Se ne sono occupati loro, e la Germania si è piegata, e adesso sprofonda mentre il partito nazista supera il 20% dei voti con l’appoggio entusiasta di un ricco razzista sudafricano.

Non posso pensare che Flores sia così ingenuo da avere creduto che gli USA fossero in missione per conto del dio della democrazia. Né posso credere che Flores sia così ingenuo da credere che fosse possibile imporre alla Russia di accettare la NATO al suo confine senza una risposta atomica da parte del regime fascista che governa a Mosca.

La guerra ucraina è stata fin dal principio una guerra americana contro l’Unione Europea, una guerra che puntava a distruggere il popolo ucraino e a rubare le sue risorse. USA e Russia sono strategicamente alleate in questo progetto, anche se nel 22 erano tatticamente nemiche.

Biden ha preparato il terreno provocando la Russia fino a spingerla all’invasione. Adesso, dopo centinaia di migliaia di morti, Trump incontra Putin e si spartiscono le spoglie dell’Ucraina, vittima sacrificale della ferocia occidentale non meno che della ferocia russa. Dopo avere spinto l’Ucraina in una guerra suicida, gli americani la consegnano agli invasori, e in cambio di questo tradimento vogliono impadronirsi delle sue risorse minerarie con l’aiuto dei russi. “Venite pure nel Donbass, che è nostro” dice Putin a Trump. “Insieme spolperemo l’Ucraina dopo averla distrutta e umiliata.”

In un libro del 2016 dal titolo Black Earth The Holocaust as History and as warning Timothy Snyder ricorda che nella seconda guerra mondiale Hitler voleva impadronirsi (e si impadronì) delle terre nere ucraine, e avverte che il Nazismo non è morto con Hitler, e che il genocidio può tornare.

Ora infatti è tornato: Trump vuole le terre ucraine come risarcimento per i soldi che Biden ha sperperato. Putin si è già preso la Crimea e il Donbass. I due Fuhrer della razza bianca trionfano insieme. Il popolo ucraino è cascato nella trappola più crudele: hanno creduto che gli americani fossero gente affidabile, come non se non conoscessero la sorte toccata alle donne afghane.

Il popolo ucraino esce distrutto da questa guerra: sei milioni (soprattutto ucraine) sono all’estero e non so se torneranno a casa. Le risorse del paese sono state devastate in gran parte da Putin, e adesso Trump promette di portargli via quello che rimane. Un paese traumatizzato, super-armato, e tradito da tutti.

Zelenskyy resiste al diktat dei suoi ex-alleati: «Non esiste alcun debito di 500 miliardi con gli Usa, su questo voglio essere chiaro. Tale cifra è frutto di non so quali congetture. Ma ammettiamo che gli Stati uniti volessero da noi anche solo 100 miliardi, io non firmerei lo stesso. Nessuno è mai venuto a dirci: ‘eccovi le armi, questa è la cambiale’. Non posso accettare che ciò che ci è stato fornito come sovvenzione ora sia trasformato in un debito perché semplicemente non-è-così».

E l’Europa?

L’Europa deve fare i conti con la sua disfatta. Disfatta militare, disfatta politica, ma soprattutto disfatta morale.

Compito dell’Unione europea, se esistesse, se fosse mai esistita, sarebbe stato quello di imporre una mediazione pacifica, rifiutando il ricatto di Biden. Invece ora eccola in ginocchio di fronte a Putin e soprattutto di fronte al suo compare della Casa Bianca.

Eccoci alla nuova puntata della tragedia.

L’Unione europea si chiede come salvare l’onore e la democrazia liberale. La democrazia liberale è fottuta. Una dopo l’altra le capitali europee si convertono al Nazional-liberismo di Musk e di Bannon.

Quanto all’onore mi scappa da ridere.

Più che salvare l’onore d’Europa, il gruppo dirigente francese inglese e tedesco deve salvarsi la pelle, e l’Unione europea è un morto che cammina.

Ricordate il primo marzo del 2022 quando l’ingenuo Zelenskyy al Parlamento europeo disse: “l’Ucraina è pronta a morire per l’Europa, ora vedremo se l’Europa è pronta a morire per l’Ucraina?”

Adesso vediamo se moriremo per Zelenskyy, ma questa volta non si tratta di una metafora poetica. Questa volta moriremmo per davvero.

Ragioniamo: Trump ha mandato Vance a Monaco per dire che l’America non ci vuole più bene, e che Putin è il loro nuovo alleato.

Pete Hegseth, stupratore e Segretario alla Difesa, ha dichiarato che l’Europa non deve più contare sullo scudo americano, e che deve difendersi da sé.

Per difendersi da sé l’Europa deve moltiplicare le spese militari, ma non è cosa che si fa in un mese o due. La signora Von den Leyen strombazza che adesso ci armeremo fino ai denti. Ma perché Putin dovrebbe aspettare che l’Europa si sia armata, ora che non c’è più l’America a difendere l’Europa?

La mia impressione è che i russi si preparino a stroncare il riarmo europeo prima che diventi un pericolo per loro. Se io vivessi a Vilnius o a Riga sarei molto preoccupato. E anche se vivessi a Varsavia.

Flores dice che “questa tragedia per la democrazia sarà anche catastrofe per l’Europa. Il regalo di Trump a Putin viene fatto a spese dell’Europa, al prezzo della sua disintegrazione,” e su questo punto non si può che dargli ragione.

Da molto tempo sappiamo che l’Unione Europea è molto lontana da quello che i suoi fondatori avevano voluto che fosse, molto lontana dalle illusioni dei sessantottini convertiti all’europeismo fuori tempo massimo. Da molto tempo sappiamo che l’unione europea è solo un capitolo della controrivoluzione liberista.

Ma ora l’Unione sprofonda nella confusione mentale.

da qui

giovedì 27 febbraio 2025

Monta la protesta per "Vertigo" al Teatro Argentina: BDS invita al boicottaggio - Agata Iacono

 

"La Vertigo Dance Company arriva sul palco del Teatro Argentina, dal 26 febbraio al 2 marzo, con un dittico di spettacoli: ‘Mana’, riallestimento di una coreografia storica di Noa Wertheim, il cui debutto risale al 2009, e ‘Makom’, l’ultima creazione coreografica in prima italiana sulla complessità dell’esperienza umana." 

https://www.shalom.it/news/a-roma-gli-spettacoli-della-vertigo-dance-company-un-viaggio-verso-altri-mondi/

 

Poiché le proteste, i sit-in, i flash mob che inevitabilmente ci saranno dinanzi allo storico teatro Argentina, nel cuore di Roma e nel cuore dei romani, che in tante occasioni si è distinto per aver veicolato attraverso l'arte messaggi di pace, di denuncia delle guerre, delle discriminazioni, a favore degli oppressi, rappresenteranno, (anche se non represse), una bruttissima, rossa, macchia sulla storia del Teatro, ho pensato che fosse necessario farvi sapere chi ospitate.

 

Forse non lo sapete.

 

Dopo, non potrete dire di essere stati ignari.

 

Nel sito di Vertigo Dance Company https://vertigo.org.il/en/ i fondatori si presentano così:

 

"Poco dopo la laurea alla Rubin Academy of Music and Dance di Gerusalemme, Noa Wertheim è stata accettata nella Jerusalem Tamar Dance Company. È stato lì che ha incontrato Adi Sha'al, la cui esperienza di danza professionale includeva sia il Bat-Sheva Ensemble che il Kibbutz Dance Workshop. Partner nella vita e nella danza, Wertheim e Sha'al hanno fondato la Vertigo Dance Company nel 1992.

La prima collaborazione professionale di Wertheim e Sha'al, un breve duetto chiamato Vertigo, ha portato alla fondazione della loro compagnia omonima. L'ispirazione è nata dall'esperienza diretta che Adi ha avuto con la sensazione di vertigine durante i suoi anni di addestramento con l'aeronautica.."

"Vertigo", quindi, nasce dalla sensazione di ebbrezza di un aviatore israeliano su un aereo militare...

 

Non c'è bisogno di precisare cosa stiano facendo quegli aerei (spero lo sappiate) né da quale violenta colonizzazione di insediamento nascano i Kibbutz sulla terra strappata al popolo palestinese 

https://www.kcdc.co.il/en/

 

Da canali social israeliani apprendiamo inoltre che la compagnia Vertigo ha ambientato una parte della coreografia proprio nei luoghi del rave del 7 ottobre , "dove giovani che volevano solo ballare sono stati assassinati, violentati e rapiti a #Gaza.

Questa danza simboleggia la grande rottura di quella mattina nera, i ballerini simulano il meccanismo di difesa umana di lotta o fuga.

E quello che mi ha catturato di più è il riflesso del ricordo traumatico e di come è organizzato nell'anima di un sopravvissuto - Prova a immaginarlo pieno di immagini visive che vengono rilasciate nella mente e sono piene di silenzio e di un urlo che non esce"

(Questo è solo uno dei tanti post)

https://x.com/FightRacism777/status/1793173795055775915?t=SaHq2s_865L83Kzej6upSw&s=35

 

BDS ha lanciato una campagna di boicottaggio dello spettacolo al Teatro Argentina.

 

BDS è la campagna internazionale di Boicottaggio Disinvestimento e Sanzioni per la difesa dei diritti umani, che tanto ha fatto contro l'apartheid in Sudafrica e oggi segna enormi successi nel boicottaggio delle aziende che sono coinvolte, a vario titolo, nel genocidio dei bambini palestinesi, supportando il governo di Israele e il suo esercito.

 

Dopo Puma, ad esempio, che si è dovuta ritirare come sponsor di Israel football association, recentemente anche Erreà ha ceduto e ha ritirato il proprio logo.

 

Ecco il testo dell' appello di BDS:

 

"BOICOTTA

VERTIGO DANCE COMPANY

BOICOTTA

L'OCCUPAZIONE ISRAELIANA

BDS

 

CHI È VERTIGO

DANCE COMPANY E

PERCHÉ

BOICOTTARLA?

 

Vertigo è parte attiva nella

propaganda culturale di

Israele.

 

La sua fondatrice, Noa Wertheim, nel 2011 ha vinto il premio del Ministero della Cultura israeliano per "arte orientata al sionismo".

Ha studi a Gerusalemme e nel kibbutz Netiv HaLamed-Heh costruito nel 1949 da soldati israeliani dopo aver occupato e raso al suolo il villaggio palestinese di Bayt Nattif.

 

Riceve finanziamenti dal Ministero della Cultura e dello Sport israeliano, i cui contratti stabiliscono che "Il fornitore di servizi è consapevole che lo scopo di ordinare servizi da lui è quello di promuovere gli interessi politici dello Stato di Israele attraverso la cultura e l'arte, compreso il contributo alla creazione di un'immagine positiva per Israele".

 

Gestisce il progetto Resilience Farm, un programma di 'resilienza' a beneficio dei soldati israeliani presso il Vertigo Eco-Art Village, dove offre, in maniera gratuita, sessioni terapeutiche, seminari sul corpo e sulla mente, meditazione come forma di 'cura preventiva e post-traumatica'.

 

Chiede donazioni per continuare ad offrire questi programmi a beneficio dei soldati e delle loro famiglie.

 

Vertigo è espressione dell'artwashing, ovvero dell'utilizzo da parte del governo israeliano dell'arte per promuovere la sua immagine internazionale e nascondere i suoi crimini.

 

Sostenere Vertigo

significa

NORMALIZZARE

l'occupazione e

l'oppressione del

popolo palestinese.

 

IL BOICOTTAGGIO È

GIUSTO!

 

Non boicottiamo

gli artisti perché

israeliani,

ma perché

COMPLICI

DELLE POLITICHE DI

APARTHEID E

OCCUPAZIONE!

 

COSA PUOI FARE?

Protesta con il Teatro Argentina per

ospitare una compagnia complice del

genocidio!

Non sostenere spettacolo di Vertigo

Dance Company.

Supporta artisti palestinesi

Diffondi queste informazioni".

da qui

Israele ha distrutto Gaza ma sta perdendo la guerra - Piero Bevilacqua

Può sembrare paradossale e perfino cinico affermarlo. Ma Israele, nonostante l’uccisione di circa 45 mila palestinesi,100 mila feriti, la distruzione quasi totale delle loro case a Gaza, l’abbattimento di pressoché tutte le strutture civili, delle infrastrutture, dei servizi che la rendevano abitabile, ha perso la guerra. Ha compiuto un massacro che ha pochi precedenti per ferocia e crudeltà nella storia recente del mondo, eppure non ha raggiunto ancora interamente gli scopi per i quali ha scatenato l’inferno in questo angolo del Medio Oriente. Hamas non è stato distrutto. Sono stati uccisi alcuni suoi importanti dirigenti, ma altri guerriglieri hanno preso il loro posto, nuovi combattenti più giovani sono entrati nelle loro schiere. Lo spettacolo cui abbiamo di recente assistito, per la consegna degli ostaggi israeliani alle loro famiglie, con i soldati dell’esercito palestinese in tute da combattimento, armati di mitra, con il volto coperto dai passamontagna, hanno offerto al mondo l’esibizione stupefacente di una forza militare ancora intatta. Una capacità di comando e di lotta che un anno e mezzo di bombardamenti a tappeto, l’impiego di armi e tecnologie di morte sofisticatissime, il supporto sistematico di soldi e bombe da parte degli USA, non sono riusciti a sconfiggere. Tornano in mente le parole che José Saramago scrisse nel 2009, dopo la prima Intifada, a proposito dell’«ormai leggendario coraggio del popolo palestinese, che ogni giorno aggiunge numeri all’interminabile numero dei suoi morti e ogni giorno li risuscita nella pronta risposta di quelli che sono ancora vivi».

Certamente Israele ha inferto colpi terribili, ma soprattutto ai gazawi. I guerriglieri di Hamas hanno subito perdite rilevanti, ma sono ancora attivi nei loro nascondigli, nel loro tunnel, nelle loro sconfinate retrovie. Essi godono di un bacino illimitato di reclutamento, che viene dalle giovani generazioni arabe allevate nell’odio dello Stato d’Israele: uno Stato genocida che ha mostrato e continua a mostrare, in maniera dispiegata, tutta la sua volontà di pulizia etnica nei confronti di un intero popolo, la violenza di un razzismo persecutorio e omicida nei confronti delle popolazioni e di tutta la civiltà araba. Ma se Israele sul piano militare ha ottenuto alcuni risultati parziali, su quello politico ha subito una disfatta d’incalcolabile portata. Questo stato di occupanti armati, di colonizzatori violenti delle terre altrui ha dovuto mostrare le vere, remote e presenti intenzionalità storiche delle classi dirigenti sioniste: realizzare il Grande Israele della profezia biblica, costruire un potente Stato in nome di Dio, sterminando e cacciando un altro popolo. Con la guerra scatenata dal Governo di Tel Aviv dopo il 7 ottobre, dopo un anno e mezzo di ferro e di fuoco contro la popolazione civile, perfino contro le ambulanze e le tende dei rifugiati, il disegno strategico delle classi dirigenti israeliane di realizzare “la soluzione finale” della questione palestinese appare in tutta la sua criminale evidenza.

Oggi appare chiaro che l’esercito di Israele ha bombardato le case, gli ospedali, le scuole, le università, le moschee, e quanto a Gaza si ergeva in posizione verticale, non per stanare i soldati di Hamas – come sosteneva Tel Aviv e ripeteva in coro servile la stampa dell’occidente – ma per sottrarre al popolo di Palestina ogni possibilità di sopravvivenza in quel che rimane delle loro terre. Questa evidenza agli occhi del mondo toglie per sempre a Israele l’alibi storico con cui per quasi 80 anni ha nascosto il suo vasto disegno colonizzatore: l’alibi della propria sicurezza e della lotta al terrorismo. Da oggi lo spettacolo delle rovine di Gaza, di centinaia di migliaia di famiglie in fuga, della persecuzione dei superstiti, della colonizzazione violenta della Cisgiordania, degli sconfinamenti in Libano e in Siria, illumina di una luce di verità incancellabile l’intera storia della lunga guerra di colonizzazione condotta da Israele per conseguire questo risultato. La storia del progetto di pulizia etnica raccontata da tanti storici israeliani, da Ilan Pappé a Benny Morris, oltre che da decine di altri studiosi di ogni nazionalità, diventa ora narrazione vivente, popolare e universale, consapevolezza testimoniale di tutti i popoli della terra.

Ma la presidenza Trump aggiunge un sinistro bagliore di disvelamento all’intero paesaggio della storia contemporanea recente. Essa toglie ogni maschera di ipocrisia alle reali intenzioni dell’amministrazione Biden nei confronti della Palestina, che erano quelle di assecondare il progetto di sterminio di Netanyahu. Perché gli USA non avevano alcun piano per Gaza se non il suo svuotamento tramite le uccisioni di massa dei civili, coronato dell’emigrazione finale nei Paesi arabi vicini dei profughi sopravvissuti. Lo provano le tonnellate di bombe inviate per oltre un anno a Israele e il sabotaggio di tutte le risoluzioni dell’ONU e del Tribunale Internazionale di Giustizia. Ma la brutalità del nuovo presidente ha un altro dirompente esito: essa mostra come forse mai era accaduto negli ultimi 80 anni, con il suo agire sfrontato e senza cautele diplomatiche, a quali violenti padroni hanno ubbidito per decenni i governanti europei, di fronte a quanti sfregi della legalità internazionale da parte degli USA costoro si sono genuflessi e hanno taciuto.

È tutta la politica estera americana del dopoguerra che viene implicitamente rivelata da Trump – quella che gli storici ci raccontano da decenni –, una trama ininterrotta di colpi di Stato e massacri, dal Brasile al Guatemala, dall’Iran all’Indonesia, dal Vietnam alla Cambogia, dal Laos al Cile, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria, sino all’ultimo tentativo sanguinoso nella guerra tra Ucraina e Russia. Mentre ora, quasi tutto il ceto politico europeo, tanti intellettuali sedicenti democratici, il giornalismo padronale, vengono smascherati nel loro servilismo suicida nei confronti dei governi USA. Trump ci mostra a quali violenti padroni essi hanno finora ubbidito e ai cui voleri di guerra non più imposti vorrebbero grottescamente continuare a ubbidire, essendo incapaci di qualunque scelta autonoma di politica internazionale che non sia comandata dai governi di oltre oceano.

É dunque tragicamente evidente che i governanti più inetti della storia contemporanea d’Europa, il giornalismo più servile e bugiardo che sia capitato alla nostra generazione, queste élites che hanno accompagnato con la complicità e il silenzio il massacro compiuto da Israele in questo angolo del Mediterraneo, non hanno nulla da dire, nulla da proporre per la Palestina. Essi lasceranno che si consumi qualunque soluzione finale per il suo popolo pur di non urtare i voleri del nuovo prepotente di Washington, tanto più che gli dovranno chiedere clemenza sulla politica economica e nella questione dei dazi. Una situazione che appare, dunque, per tanti versi disperata, ma che offre oggi, paradossalmente, ai tantissimi movimenti per la pace, un’occasione straordinaria di rendere efficace e vincente il proprio impegno. E non solo per prospettive che si aprono in Ucraina, ma anche per la Palestina. Per un anno e mezzo abbiamo assistito impotenti e disperati allo sterminio di un popolo chiuso in una prigione a cielo aperto. Abbiamo osservato con la morte nel cuore le immagini dei bambini col volto coperto di sangue, dei padri che portavano in braccio piccoli corpi coperti di polvere, delle madri vestite di nero accasciate sulle pietre delle proprie case. Ma ora, dopo tanti morti e feriti, dopo tante distruzioni, noi, come sempre disarmati, abbiamo la possibilità di aiutare il popolo palestinese, intenzionato a non abbandonare Gaza, a non lasciarsi deportare, a resistere. Su questa strenua, eroica resistenza si fonda la possibilità di sconfiggere il disegno genocida di Israele e di impedire la definitiva dispersione del popolo palestinese.

Oggi sono attive nel mondo centinaia e centinaia di ONG, di associazioni, movimenti, gruppi, varie formazioni di volontari. L‘élite più generosa di una intera generazione è impegnata a sostenere la causa di un popolo coraggioso e sfortunato. Ma oggi occorre cambiare passo. Sarebbe necessario fare pressione sui vari governi perché diano un loro contributo anche minimo nell’opera di ricostruzione a Gaza: invio di imprese, macchinari, operai. È necessario costruire una rete informativa di tutte le associazioni che raccolgono fondi in modo da avere un quadro meno caotico e più controllato degli aiuti. Così come sarebbe utile costituire un corpo di volontari che potrebbero contribuire in mille modi alla rinascita di Gaza. Ma già fin da ora occorre far giungere a quel popolo accampato fra le rovine dei propri abitati, il messaggio del nostro impegno, della vicinanza di una generosa comunità internazionale che sostiene la sua determinazione a restare, che la vuole aiutare a rinascere. I Palestinesi non si devono sentire soli, noi non siamo il Parlamento di Bruxelles, vergogna e disonore della nostra storia. Per questo dovremmo istituire almeno una unità virtuale, unificare sotto un’unica denominazione le molteplici e disperse iniziative esistenti o che stanno nascendo. Potremmo definire l’intero mondo del pacifismo e del volontariato l’Alleanza Internazionale per la Resistenza Palestinese. E sarebbe importante curare l’aspetto comunicativo e simbolico di questo messaggio unificante: creare bandiere, gadget con la sigla dell’Alleanza, inventarsi un logo, intestare le nostre chat, produrre adesivi da incollare sui muri e sui vetri delle auto. Questo impegno per Gaza potrebbe sollecitare una maggiore creatività nel linguaggio della comunicazione, troppo pigramente affidata ai messaggi in rete. Occorre tornare all’aria aperta, a occupare gli spazi urbani, diventa urgente incontrare le nuove generazioni degli studenti davanti alle loro scuole, e alle sedi universitarie, mostrare loro le possibilità di essere utili a un popolo oppresso, contro le manipolazioni ministeriali, le menzogne quotidiane delle nostre televisioni. Ma è necessario aprire banchetti nelle piazze delle nostre città, per distribuire materiale documentario sulla guerra se vogliamo informare i cittadini che l’Europa e il Governo italiano vogliono sottrarre le poche risorse del nostro bilancio alla sanità, alla scuola, alle necessità dei comuni, per investirli in armi. Lo stanno già facendo allo scopo di servire l’infedele alleato americano e di nascondere il fallimento dell’Unione Europea. Mentre stanno già cercando di persuaderci della necessità che i nostri figli e nipoti diventino soldati di trincea per le guerre prossime venture.

Da questo lavoro, utile a una delle grandi cause del nostro tempo, può nascere una nuova generazione di militanti e di dirigenti politici, destinati a sostituire gran parte della classe dirigente dell’Europa, dei modesti funzionari del capitale, delle piccole donne e dei piccoli uomini oggi palesemente incapaci di misurarsi con i grandi tornanti della storia.

da qui

Un’Europa sottomessa e senza bussola - Alberto Negri

Sonnambulismi A raccontare la favoletta della «pace giusta» ormai insistono solo i giornali del mainstream, spiazzati dagli eventi. Ma quale pace giusta? Gaza e la Palestina sono la prova che in Europa non ci crede nessuno

 

Gli europei non si accorgono neppure più dove stanno andando, o forse fanno finta di non saperlo: sono un po’ sonnambuli e un po’ sottomessi al loro destino. Siamo all’agonia della politica estera comune europea, che per altro non è mai esistita, cullando nel settore difesa l’idea di una Banca per il Riarmo destinata a divorare altre risorse. Hanno sempre seguito l’agenda americano-israeliana, dall’Est Europa al Medio Oriente, e ora ne pagano le conseguenze.

La loro disonestà è tale da pensare che la guerra in Ucraina sia cominciata il 24 febbraio 2022 e non quando, nel gennaio 2014, il sottosegretario di Stato Usa Victoria Nuland, in una conversazione con il suo ambasciatore a Kiev, pronunciò la ormai famosa frase «Fuck the Eu», letteralmente «l’Unione europea si fotta».

Si discuteva ancora di un accordo tra il governo ucraino del filo-russo Viktor Janukovich e l’opposizione. Allora non c’era Trump alla Casa bianca ma Barack Obama e il suo vice era Joe Biden, che accorse a Piazza Maidan a celebrare il primo anniversario delle proteste mentre suo figlio Hunter guadagnava milioni di dollari in Ucraina nel settore energetico. E ora vorremmo stupirci se Trump trascina Zelensky a firmare l’accordo multi-miliardario sulle terre rare mentre Putin, diventato ormai a Washington un «volenteroso dittatore», si offre di portargli quelle in possesso dei russi? Chi più ne ha più ne metta mentre ognuno si fa i propri conti in tasca e Macron, nella sua visita da Trump, reclama che l’Europa ha versato all’Ucraina il 60 per cento degli aiuti, più degli Stati uniti.

Ma il presidente americano si tappa le orecchie: questa guerra, nonostante le copiose commesse all’industria bellica americana, è un «cattivo affare» e bisogna chiuderla. C’è da pensare alla Cina. A raccontare la favoletta della «pace giusta» ormai insistono solo i giornali del mainstream, spiazzati dagli eventi. Ma quale pace giusta? Gaza e la Palestina sono la prova che in Europa non ci crede nessuno.

La sottomissione europea al complesso militar-industriale israelo-americano è totale. Pochi giorni dopo il massacro di Hamas del 7 ottobre, Biden spostava le portaerei nel Mediterraneo orientale e stanziava miliardi di dollari di aiuti militari per Israele: gli Stati uniti si sono immediatamente schierati non per la pace ma per una escalation del conflitto. E noi europei con loro, mascherando i nostri aiuti a Israele dietro la ormai sfiorita formula «due popoli e due stati». Il complesso militar-industriale israelo-americano si è schierato all’Onu con Putin e le dittature perché tra un po’ gli Usa riconosceranno l’annessione israeliana della Cisgiordania.

Chiediamo giustamente a Putin di ritirarsi dai territori occupati in Ucraina ma Israele occupa il Libano, ha esteso la sua presenza nel Golan siriano e si sta divorando la West Bank. Giustifichiamo tutto questo con la necessità di Israele di preservare la sua “sicurezza”, le stesse argomentazioni che usa Putin quando chiede alla Nato di tenersi lontana dall’Ucraina. Non è un caso che contro la risoluzione all’Onu che difendeva l’integrità territoriale dell’Ucraina abbiano votato contro Usa e Israele insieme a Russia, Bielorussia, Mali, Nicaragua, Corea del Nord e Ungheria (Iran e Cina si sono astenuti, si presume per la vergogna).

Il Consiglio di Sicurezza ha poi approvato una brevissima risoluzione degli Stati uniti che chiede la «rapida fine della guerra», senza però citare la Russia come aggressore e senza far riferimento alla sovranità territoriale di Kiev. Francia e Gran Bretagna, che avrebbero potuto porre il veto, hanno preferito astenersi, spianando la strada alla versione di Trump che piace tanto a Israele. Da notare il doppio binario dell’Italia. Stiamo con l’Unione europea ma Meloni, con la scusa del Forum con gli Emirati, si è sfilata dalla cerimonia di Kiev per il terzo anniversario della guerra: prendiamo 40 miliardi di dollari di mancia dagli sceicchi membri del Patto di Abramo con Israele e la premier incassa le lodi sperticate di Trump.

Cosa volete di più? È il manuale della giovani marmotte di Trump. La Ue paga anni di sottomissione a Usa e Israele: Trump è l’anello mancante di decenni in cui abbiamo giustificato, partecipato o avallato guerre di occupazione e aggressione, dall’Iraq alla Libia, dall’Afghanistan alla Palestina, provocando la disgregazione di interi paesi e popoli, centinaia di migliaia di morti e milioni di profughi. Basti pensare all’Iraq nel 2003, dove tra i soldati si contava pure un nutrito contingente di ucraini. Fu un conflitto per «esportare la democrazia» che ha precipitato la regione nell’anarchia e nel terrorismo integralista più feroce.

In un momento in cui ci si indigna per le bugie e i travisamenti della realtà di Trump, bisogna ricordare che la guerra del 2003 fu la più grande fake news della storia recente, quando gli Usa giustificarono l’attacco con una campagna di stampa e propaganda mondiale che sbandierava il possesso da parte di Saddam Hussein di armi di distruzione di massa che non furono mai trovate. Venne persino esibita all’Onu dal segretario di stato Powell una falsa provetta con armi chimiche. Una tragica commedia. Nessuno dei responsabili ha mai pagato – né Bush né Blair – e abbiamo partecipato a quella guerra e alle altre senza fiatare. Ora ci tocca accettare le bugie di Trump e gli insulti del suo vice Vance a Monaco: sanno con chi hanno a che fare. I sottomessi europei.

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mercoledì 26 febbraio 2025

“Umiliante e doloroso”: testimonianze dalle evacuazioni di massa nella Cisgiordania settentrionale - Qassam Muaddi

(da Mondoweiss)

L’evacuazione forzosa di oltre 40.000 persone nella Cisgiordania settentrionale sta riproponendo scene viste a Gaza e alimenta il timore di una pulizia etnica. “La cosa più importante è restare a casa nostra”, dice a Mondoweiss una residente del campo profughi di al-Far’a

Israele ha esteso la sua offensiva nella Cisgiordania settentrionale dal campo profughi di Jenin ai campi profughi di Nur Shams a Tulkarem e di al-Far’a a Tubas. Denominato “Operazione Muro di Ferro”, secondo una dichiarazione dell’UNRWA di lunedì, l’attacco israeliano è in corso da tre settimane, ha ucciso almeno 25 palestinesi ferendone oltre 100 e costringendo 40.000 persone a lasciare le loro case. “Lo sfollamento forzato delle comunità palestinesi nella Cisgiordania settentrionale sta aumentando a un ritmo allarmante”, ha affermato l’UNRWA. “L’uso di attacchi aerei, bulldozer blindati, esplosioni controllate e armi avanzate da parte delle forze israeliane è diventato una cosa normale, una ricaduta della guerra a Gaza”.

La settimana scorsa le forze israeliane hanno fatto esplodere 20 edifici residenziali nel campo profughi di Jenin, una delle più grandi demolizioni in Cisgiordania degli ultimi anni. I residenti locali e le fonti dei media hanno paragonato l’effetto della distruzione alla strategia della “cintura di fuoco” impiegata a Gaza da Israele, che prevede il bombardamento concentrato e ripetuto di piccole aree che distrugge interi isolati residenziali. L’offensiva di Israele in Cisgiordania è in corso da metà gennaio, di fatto l’invasione militare più lunga e di più ampia portata dalla Seconda Intifada. Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha affermato che l’offensiva si estenderà al resto della Cisgiordania con le invocazioni dei politici israeliani di estrema destra di trasferire la guerra da Gaza alla Cisgiordania prima di annetterla ufficialmente. Si prevede che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump farà presto un annuncio sulla possibilità che gli Stati Uniti sostengano una simile mossa.

“È stato umiliante e doloroso”

Come conseguenza i palestinesi della Cisgiordania hanno visto le loro vite paralizzate e sconvolte dalla repressione israeliana. Le chiusure e i blocchi stradali israeliani sono diventati una pratica quotidiana, rendendo gli spostamenti tra città e paesi carichi di incertezze per centinaia di migliaia di palestinesi. Questi fatti hanno trasformato la Cisgiordania in una zona di guerra, soprattutto nei campi profughi. “Prima di essere costretti a lasciare la nostra casa con mio marito e i miei figli abbiamo trascorso due giorni senza acqua, poiché le forze di occupazione hanno tagliato l’acqua all’intero campo”, ha detto a Mondoweiss Nehaya al-Jundi, residente del campo profughi di Nur Shams e direttrice del locale Centro di Riabilitazione per Disabili.

“I soldati dell’occupazione andavano di casa in casa e costringevano la gente ad andarsene, mentre io e la mia famiglia abbiamo aspettato due giorni che arrivasse il nostro turno”, ha continuato al-Jundi. “La mia vicina, Sundos Shalabi, incinta all’ottavo mese, ha deciso con suo marito di andarsene domenica per paura di dover partorire durante l’assedio del campo”. La straziante tragedia di Sundos Shalabi ha fatto notizia all’inizio di questa settimana. “Suo marito stava guidando sulla strada verso la città di Bal’a, appena fuori dal campo profughi, quando i soldati dell’occupazione hanno aperto il fuoco contro l’auto”, ha raccontato al-Jundi. “Lui è stato ferito e ha perso il controllo, quindi l’auto si è ribaltata e Sundos e il suo bambino non ancora nato sono rimasti entrambi uccisi. Suo marito è ancora in terapia intensiva nell’ospedale di Tulkarem”.

“Lunedì i soldati hanno demolito il muro esterno della mia casa, poi con gli altoparlanti hanno invitato tutti i residenti del quartiere ad andarsene”, ha continuato al-Jundi. “Ho preso un po’ di cose necessarie e qualche cambio di vestiti, poi abbiamo chiuso a chiave le porte di casa e ci siamo uniti agli altri residenti in strada, mentre i soldati dell’occupazione separavano gli uomini dalle donne”. “Ci hanno perquisito e interrogato, e ci hanno fatto andare dieci alla volta in una certa direzione”, ha ricordato. “Camminavamo per le strade piene di buche e distrutte in mezzo a pozze di acqua piovana. Alcuni inciampavano e cadevano, uomini e donne, bambini e anziani. Alcuni piangevano. È stato molto umiliante e doloroso”.

La cosa più importante è restare nella nostra casa”

Dopo aver bloccato per dieci giorni gli ingressi del campo profughi ad al-Far’a a Tubas l’esercito israeliano ha intensificato le sue operazioni. Martedì i residenti hanno riferito che le forze israeliane stavano iniziando a demolire negozi e case all’interno del campo.

Avevamo sperato che oggi l’occupazione si sarebbe ritirata dal campo, ma siamo rimasti senza parole nel vederli demolire e in alcuni casi far esplodere i negozi nelle strade interne, senza sosta dalla mattina”, ha detto martedì a Mondoweiss Lara Suboh, una residente di al-Far’a di circa venti anni.

Per dieci giorni non abbiamo avuto acqua, perché la prima cosa che hanno fatto le forze di occupazione è stata di far saltare le tubature dell’acqua e noi dipendiamo dalle cisterne di riserva idrica sui nostri tetti”, ha spiegato. “Alcune persone se ne sono andate subito perché hanno familiari malati o disabili, ma altre persone sono state costrette ad andarsene ieri. I soldati dell’occupazione hanno intimato loro di andarsene entro dieci minuti”.

“Nella nostra strada non l’hanno ancora fatto”, ha aggiunto. “Siamo in cinque in casa, con i miei due fratelli e entrambi i miei genitori. Stiamo sopravvivendo con il cibo che avevamo comprato prima che iniziasse l’assedio, sperando che l’offensiva finisse prima del nostro cibo e della nostra acqua. La cosa più importante per me è che restiamo nella nostra casa, anche se la distruggono e distruggono tutto il resto, possiamo ricostruirla più tardi. Ma non voglio che la mia famiglia e io veniamo sfollati”. In una dichiarazione di martedì il Comitato di Emergenza del campo profughi di al-Far’a ha detto che le forze israeliane hanno già sfollato 3.000 persone su una popolazione del campo di 9.000. A Tulkarem il Comitato di Emergenza del campo profughi di Nur Shams ha affermato che metà della popolazione del campo è stata sfollata e che le forze israeliane hanno distrutto completamente 200 case e “parzialmente” altre 120.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)

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Empatia verso le vittime - Elena Basile

 

È molto difficile comprendere come funzioni l’empatia negli esseri umani. Le teorie psicoanalitiche spiegano che gran parte delle nostre posizioni, apparentemente razionali, trovano la loro radice nell’opaca profondità del nostro inconscio. Banalizzando eccessivamente, si potrebbe affermare che la destra, col suo bisogno di autorità, ordine gerarchico e repressione dei colpevoli, è come espressione del bisogno di reprimere da parte di un padre frustrato; mentre la sinistra, che “vorrebbe supportare” (virgolette necessarie) a priori i deboli nella società, attribuendo al sistema responsabilità forse sproporzionate, sarebbe come una manifestazione del senso di colpa maturato nei confronti della madre. Generalizzazioni che servono a poco. Eppure, non tanto la posizione della destra, tradizionalmente a favore del militarismo patriottico, ma quella dell’elettorato del PD sorprende e inquieta non poco sulla guerra in Ucraina. Le esternazioni di Elly Schlein, che difende ancora l’invio di armi in Ucraina per la pace giusta e afferma di non poter essere mai d’accordo col Presidente Trump, sono di un semplicismo aprioristico stupefacente. Se Trump si dichiara per la pace in Ucraina, bisogna boicottarlo a prescindere perché è Trump. Se Putin afferma che l’Unione Sovietica ha perso 26 milioni di cittadini russi per liberare l’Europa dal nazismo bisogna cancellare una verità storica perché difesa da Putin.  Il ragionamento della leader del PD (e purtroppo di gran parte dell’elettorato piegato dalla propaganda ininterrotta di Mentana) è di una violenza estremista evidente, e dimostra come si sentano di appartenere al mondo del bene come i crociati, e come in nome del bene possano seminare distruzione e abbeverarsi del sangue degli Ucraini.

Contro posizioni del genere a che valgono gli argomenti ragionati e documentati? Vediamone alcuni. Sono anni che i cosiddetti ‘filoputiniani’ cercano di spiegare come questa guerra sia stata decisa dai neoconservatori americani negli anni Novanta, risponda a una strategia illustrata da Brzezinski nel 1997 nel libro La grande scacchiera, ripresa da uno studio della Rand Corporation, Istituto di ricerca del Pentagono, nel 1919, e persegua obiettivi esistenti ai tempi del Primo Ministro britannico Lord Palmerston e della prima guerra di Crimea (1853/56). Questi obiettivi sono riassumibili nell’assedio alla Russia per evitare lo sbocco al mare e la proiezione nel Mediterraneo, che è stata provocata dalla NATO e in parte giustificata dalle ragionevoli preoccupazioni di sicurezza russe: gli anglo-americani hanno violato il principio di ingerenza negli affari interni di un altro Stato realizzando il colpo di Stato di piazza Maidan, sostenendo contro il principio europeo relativo alla protezione delle minoranze linguistiche e regionali, le politiche neonaziste di repressione contro le popolazioni russofone. Questo fatto, a Cuba, a parti inverse, si è tenuto nel 1963 in una crisi internazionale nel corso della quale la postura di Kennedy, basata sulla sicurezza territoriale e sul rifiuto dell’installazione dei missili sovietici a Cuba, è molto simile a quella di Mosca contraria alle basi NATO in Ucraina.

La conquista dei territori ucraini e di quelli dei Paesi NATO è poi smentita da fattori oggettivi (PIL russo, materie prime, superficie, tasso demografico decrescente, esiguità delle truppe impiegate all’inizio dell’operazione speciale, mediazione possibile nel marzo del 2022 quando la Russia non aveva ancora conseguito le sue annessioni).

E infine la posizione occidentale sul Kossovo smentisce la critica alla difesa russa dell’indipendenza delle regioni russofone.

Si tratta di infiniti argomenti documentati a cui Elly e il suo elettorato rispondono battendo il piedino per terra come i bimbi che fanno i capricci: “mai con Putin l’aggressore, mai con Trump, il rozzo e spregiudicato Presidente”.  Questa sarebbe l’illuminata politica estera dei progressisti europei.

Ancora più sbalorditiva è l’empatia che l’intero establishment nutre per Zelensky. Non conoscono invece i volti del milione di vittime ucraine, tra morti, feriti e mutilati di guerra, dei ragazzi che non possono pagarsi l’esonero militare, presi con la forza dalla strada, dalle università, dalle palestre e inviati al fronte in una guerra suicida, carne da macello per gli interessi del nazionalismo delle regioni dell’Ovest ucraino, ma soprattutto per assecondare gli scopi strategici del blob neoconservatore di Washington. Come si fa a provare solidarietà per un politico che ha coperto la corruzione e che dopo questa guerra avrà un esilio dorato, e non sentire pietà per questi ragazzini che cercano di fuggire e vengono riacciuffati, picchiati e rinviati al fronte? L’animo umano è in fondo non troppo complicato. Basta trasformare la complessità di una guerra, il suo dolore, i suoi lutti e disperazione in una partita di calcio in cui si parteggia fanaticamente per un fronte o per l’altro. E allora rimane solo il burattino ucraino contro il nemico, Putin.

Molti analisti che si considerano freddi e lucidi come pesci lessi ritengono ciarpame sentimentalistico quelle che a me sembrano imprescindibili considerazioni etiche. Facciamoli contenti allora e arriviamo al ragionamento di politica internazionale.

Una classe dirigente all’altezza dei suoi incarichi e devota agli interessi dei popoli europei dovrebbe oggi riconoscere il fallimento delle politiche di entrambe le amministrazioni democratica e repubblicana statunitensi mirate a indebolire la Russia attraverso il buco nero dell’Ucraina. La mediazione con Mosca potrebbe allora essere considerata una priorità. Invece di elemosinare un posto al tavolo con Trump, gli europei potrebbero farsi carico di negoziare la cessazione delle ostilità, la fine  dell’invio di armi da parte di Bruxelles, la rinuncia russa ai territori a Ovest del Dnepr,  la neutralità di Kiev nell’ambito di una architettura di sicurezza OSCE, nella quale vi siano garanzie all’inviolabiltà delle frontiere, l’applicazione degli accordi di Minsk, la graduale cancellazione delle sanzioni accompagnata dai referendum nel Donbas e negli altri territori a Est del Dnepr.

Sarebbe indispensabile prendere lo spunto dalle minacce da parte di Washington di imporre tariffe illegali e un aumento straordinario delle spese per la difesa in ambito NATO, per sostenere una difesa europea fuori dell’alleanza atlantica, in grado di difendere e perseguire interessi europei nel rispetto del multilateralismo e della legalità internazionale.

L’avvicinamento ai BRICS e la ricerca di una mediazione con il Sud del globo al fine di riformare il FMI, la BCE e l’ONU dovrebbe essere l’obiettivo naturale dell’Europa, che è innanzitutto una potenza civile e culturale, e ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.

La cooperazione economica con la Cina ha vantaggi innegabili. Con i Brics l’Europa dovrebbe poter evitare di essere vittima degli abusi unilaterali degli Stati Uniti.

Nel Mediterraneo l’Europa non può che sostenere, contro Israele e gli Stati Uniti, la legalità internazionale difesa dalla maggioranza dei paesi membri dell’ONU. Una politica mediterranea e mediorientale indipendente dagli Stati Uniti, oltre a essere consona ai principi umanistici e alla difesa dei diritti umani, sarebbe foriera di ritorni geopolitici notevoli. Essa avrebbe come obiettivo la stabilità della mediazione tra sunniti e sciiti, del ritorno della diplomazia internazionale in relazione al conflitto israelo-palestinese e della fine dell’illegalità nella quale sguazza il governo terrorista israeliano, di gran lunga più responsabile delle organizzazioni di liberazione della Palestina occupata, che adottano metodi terroristi.

L’Europa in grado di costruire una politica estera indipendente che includa anche la transizione ecologica e la cooperazione allo sviluppo sostenibile non è ancora visibile all’orizzonte. Essa dovrebbe essere costituita da un movimento popolare transnazionale che difenda l’interesse del 99% del ceto medio impoverito, delle classi lavoratrici, della piccola impresa, degli agricoltori, dell’artigianato, del precariato, dei migranti e degli emarginati. I mai tramontati ideali di libertà e giustizia sociale, e il DNA della nostra modernità potrebbe animare un dibattito aperto che porti alla cancellazione dei trattati di Maastricht e alla rifondazione della costruzione europea.  Si dovrebbe partire dalla politica e non dall’economia. L’Unione politica e federale con politica economica di bilancio e fiscale comune, munita di un meccanismo di redistribuzione della ricchezza nell’ambito del compromesso al massimo comun denominatore tra creditori e debitori, modulato sul funzionamento equilibrato dei parametri di responsabilità e solidarietà, sarebbe nell’interesse sostanziale europeo. Bisognerebbe inoltre abolire il deficit democratico e riformare le istituzioni secondo il principio della separazione dei poteri. Per questa Europa e il suo statuto costituzionale i popoli voterebbero a favore.  Il debito comune permetterebbe investimenti nello Stato sociale, in sanità, istruzione, ricerca, innovazione, trasporti e infrastrutture. Le cooperazioni rafforzate del nucleo duro, paesi fondatori e mediterranei, potrebbero portare a compimento le politiche comuni dell’immigrazione, industriale, spaziale, energetica.

Se realizzassimo questa Europa, non ci sarebbe bisogno del liberalismo autoritario, di censura, della narrativa unica, dei cordoni sanitari contro le destre radicali. La propaganda neofascista non attecchirebbe. La gente voterebbe per un progetto illuminato al servizio dei popoli.

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martedì 25 febbraio 2025

SEYMOUR HERSH TORNA SUL LUOGO DEL DELITTO. FURONO GLI USA CON L’AUSILIO DELLA MARINA NORVEGESE - Seymour Hersh

 

“Un presidente addormentato al volante ha portato disastri al mondo e Trump è tornato alla Casa Bianca, questa volta con Elon Musk”, scrive Seymour Hersh. A distanza di due anni dal primo esplosivo articolo sul sabotaggio dei gasdotti Nord Stream, che per la prima volta chiamò in causa gli Stati Uniti citando informazioni di intelligence, Hersh torna sulla vicenda confermando nella sostanza la sua teoria iniziale e aggiungendo alcuni dettagli: l’operazione, pianificata dagli USA ancor prima dell’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022 anche se realizzata sette mesi dopo, fu resa possibile dalla decisiva collaborazione della Norvegia: le mine furono innescate da “un aereo della Marina norvegese che volava a poche centinaia di metri sopra le onde. L’aereo sganciò il sonar a bassa frequenza e la connessione funzionò”.

Titolo originale: Nord Stream and the failures of the Biden administration, Seymour Hersh, Substack, 11 febbraio 2025

Siamo ormai a tre settimane dall’inizio della seconda presidenza di Donald Trump, che ha praticamente consegnato il Dipartimento del Tesoro e più di una dozzina di altri dipartimenti e agenzie del Gabinetto a Elon Musk e al suo team di giovani avvoltoi digitali. Sono in procinto di calpestare la Costituzione mentre raccolgono dati economici e intelligence su tutto ciò che vedono, presumibilmente inclusi i dettagli sui vasti rapporti commerciali di Musk con Washington dall’interno del governo. Trump, che ha settantotto anni, ha persino parlato della sua ricerca di un terzo mandato. Eppure, molti in America e persino al Congresso plaudono il caos.

La chiave del successo di Trump, come tutti sappiamo, è stata la vera e propria scomparsa di Joe Biden, i le cui défaillances fisiche e mentali sono state tenute nascoste al pubblico americano per (a quanto ne so oggi) due anni prima del suo disastroso dibattito con Trump lo scorso giugno. Solo allora il Partito Democratico si è deciso ad affrontare la realtà e a costringere Biden a uscire dalla campagna.

La famiglia e lo staff senior di Biden hanno tenuto nascosta la verità fino a quando non è stato troppo tardi per tenere una convention aperta e selezionare un nuovo candidato. Alla fine, Kamala Harris non è stata la scelta migliore, ma l’unica in offerta.

Anche noi della stampa americana abbiamo fallito.

In realtà, ho avuto il mio primo assaggio di qualcosa di sbagliato alla Casa Bianca di Biden nell’autunno del 2022, mentre facevo ricerche e scrivevo una storia, dall’interno, sul ruolo degli Stati Uniti negli attentati ai gasdotti, una storia pubblicata qui nel febbraio 2023. L’articolo si concentrava in parte sulla precedente decisione del presidente di emettere un avvertimento pubblico al presidente russo Vladimir Putin di non attaccare l’Ucraina. Fatto durante una conferenza stampa televisiva alla Casa Bianca il 7 febbraio 2022, l’avvertimento includeva la promessa di distruggere un gasdotto appena completato noto come Nord Stream 2, che era sul punto di trasportare enormi quantità di gas naturale a basso costo dalla Russia alla Germania.

Putin ha ignorato la minaccia e ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio. Sette mesi dopo, il 26 settembre, il Nord Stream 2 e un vecchio gasdotto noto come Nord Stream 1 sono stati distrutti dalle mine piazzate da due sommozzatori della Marina americana che erano stati superbamente addestrati per svolgere il loro lavoro nel Mar Baltico.

Lo scorso febbraio ho pubblicato un articolo di continuazione che contestava la continua negazione da parte della Casa Bianca del suo ruolo nella distruzione dell’oleodotto. La Germania e alcune parti d’Europa stavano lottando con la conseguente mancanza di gas a basso costo e il governo tedesco stava pagando centinaia di miliardi di euro in sussidi a famiglie e imprese per riscaldare case e aziende. Alcuni giornali seguivano diligentemente le piste del governo – i servizi segreti – a Washington e Berlino su uno yacht di 49 piedi, che si diceva fosse stato noleggiato da ucraini con passaporti falsi, che si credeva fosse coinvolto nel sabotaggio del gasdotto.

Mi sono reso conto solo di recente che avrei dovuto prestare più attenzione alle ultime righe di quel primo articolo che ho scritto. “Era una bella storia di copertura”, scrissi citando un funzionario dell’intelligence coinvolto. “L’unica pecca è stata la decisione di farla”. A quel punto, l’operazione ebbe successo solo sotto un aspetto: tre delle mine che erano state piazzate sott’acqua funzionarono e il mondo fu esposto alla vista inquietante di enormi quantità di metano che ribollivano in superficie. I subacquei non avevano abbastanza tempo sott’acqua (rimanere immersi troppo a lungo avrebbe potuto essere fatale) per piazzare una quarta mina pianificata.

Oggi so quello che avevo bisogno di sapere due anni fa, ma non sapevo.

Biden stava mostrando segni di deterioramento (perdita di memoria e cadute occasionali) ben prima che Putin iniziasse le sue minacce contro l’Ucraina e iniziasse ad accumulare forze russe lungo i confini dell’Ucraina. Alla comunità dell’intelligence americana è stato ordinato (la parola d’ordine è un compito) di avere pronto un piano entro il 1° febbraio 2022 per la distruzione dei gasdotti Nord Stream. La Central Intelligence Agency ha fatto il suo lavoro e, lavorando a stretto contatto e segretamente con la comunità delle forze speciali norvegesi, aveva mine e una squadra sul posto, con l’intesa che, se Putin avesse colpito e la guerra fosse iniziata, ci sarebbe stato un ordine immediato di distruggere i gasdotti. Si è capito che Putin avrebbe saputo chi l’ha fatto.

Quell’ordine non arrivò. Invece, la Casa Bianca – il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan era un punto di contatto – ha chiesto che l’unità sviluppasse un meccanismo che potesse innescare le mine, una volta piazzate, tramite un sonar a bassa frequenza. Ci sono voluti mesi di ricerca e pianificazione, ma tutto era pronto per il settembre 2022, sette mesi dopo l’inizio della guerra in Ucraina, ed è stato allora che è stato ordinato l’attacco.

L’attacco è arrivato allora, mi è stato detto, per paura che il cancelliere tedesco Olaf Scholz, di fronte a un inverno senza gas russo a basso costo, si facesse prendere dal panico e ordinasse l’apertura dei gasdotti.

Nelle ultime settimane, sono tornato sulla storia dei gasdotti e mi sono reso conto di aver imparato, e ignorato, molto dalla mia intelligence e da altre fonti sulla disfunzione di Biden risalenti all’inizio del 2022. Ho capito presto, nei miei sessant’anni di reportage sugli Stati Uniti dentro e fuori la guerra, che i presidenti americani erano invariabilmente affascinati e consumati dalle capacità della CIA e di altre agenzie di intelligence di fare le cose. Ho appreso in una conversazione privata con coloro che sono al vertice o nelle vicinanze che non c’è nulla che la maggior parte dei presidenti ami fare di più, dopo una dura giornata passata a implorare senza successo i membri del Senato e della Camera di votare nel modo in cui lui voleva, che fare una passeggiata nel Giardino delle Rose della Casa Bianca con il capo o con la CIA e chiedere di fare qualcosa, che va dal respingere un avversario politico all’eliminare un nemico straniero o una minaccia.

Barack Obama ha avuto i suoi incontri di martedì con alti funzionari della CIA e avrebbe sostanzialmente dato un pollice alzato o il pollice verso sul destino di un sospetto terrorista lontano. Ci sono state spesso morti collaterali, naturalmente. Donald Trump ha celebrato pubblicamente la sua decisione nel gennaio 2020 di autorizzare l’assassinio del maggiore generale iraniano Qassim Soleimani dopo il suo arrivo, tramite un volo commerciale da Damasco, per una visita diplomatica a Baghdad. Altre nove persone, molte delle quali ufficiali iracheni o guardie di sicurezza, sono state uccise nella carovana di due auto che ha incontrato l’aereo. Soleimani era il comandante della forza Quds iraniana, spesso brutale, designata come organizzazione terroristica dagli Stati Uniti e dall’UE. “Il mondo è un posto più sicuro senza questi mostri”, ha detto Trump.

La responsabilità, naturalmente, quando si trattava di tali operazioni segrete, si fermava sempre al presidente.

Ma. come mi ha detto uno degli agenti, la regola non si applicava quando si trattava di fermare Putin nell’operazione in Ucraina da parte di Biden. Il presidente “è uscito intellettualmente di scena nel momento in cui i russi hanno invaso”, ha detto. L’ostilità di Biden nei confronti del continuo flusso di gas russo verso la Germania è stata messa a verbale quando ha gestito alcune questioni relative al petrolio e al gas come vicepresidente di Obama. Come ho scritto nel 2023, Biden, Sullivan, il Segretario di Stato Antony Blinken e il Sottosegretario di Stato per gli Affari Politici Victoria Nuland erano stati oppositori pubblici e ardenti del Nord Stream 1 e 2. La preoccupazione per l’influenza politica del gas e del petrolio russi a basso costo che fluiscono verso l’Europa occidentale è stato un tema della politica estera americana sin dall’amministrazione di John F. Kennedy.

Sullivan, presumibilmente con l’approvazione di Biden, ha convocato una serie di riunioni segrete alla fine del 2021 per trovare un modo per fermare i gasdotti. Quegli incontri hanno rapidamente trovato una soluzione: le condutture potevano essere distrutte da mine che sarebbero state posate da un gruppo altamente qualificato di sommozzatori addestrati dalla Marina, la cui capacità di rimuovere i detriti dai porti e dalle ostruzioni sottomarine era stata ritenuta essenziale per decenni dai comandi della Marina di tutto il mondo.

Un gruppo selezionato di alti ufficiali dell’intelligence americana e sommozzatori della Marina, che lavorano a stretto contatto con gli alleati di lunga data in Norvegia (i servizi di intelligence norvegesi e la comunità marittima hanno lavorato con la CIA in operazioni segrete per decenni) hanno trovato il posto giusto nel Mar Baltico, le mine giuste e i subacquei giusti per portare a termine il lavoro entro l’inizio del 2022. Gli alleati americani in Svezia e Danimarca furono messi al corrente dell’area di attacco pianificata e dell’intenso addestramento e pratica che erano coinvolti.

Il 7 febbraio 2022, meno di tre settimane prima che la Russia invadesse l’Ucraina, Biden ha tenuto un incontro alla Casa Bianca con Scholz. Alla domanda sul Nord Stream 2, Biden ha risposto: “Se la Russia invade . . . non ci sarà più un Nord Stream 2. Metteremo fine a tutto questo”.

Mi è stato detto che gli americani sul campo hanno accettato l’incarico nella convinzione che stessero lavorando per sostenere un presidente degli Stati Uniti che si opponeva al leader russo e assicurava a Putin che faceva sul serio. “La nostra missione è stata istituita come deterrente per la Russia che entra in guerra in Ucraina”, mi ha detto un funzionario statunitense coinvolto, “e avevamo la capacità di far saltare in aria i gasdotti. Quella doveva essere la missione: mostrare a Putin che abbiamo un presidente che non si fa prendere in giro. E guarda cosa è successo”. Si riferiva al fatto che la Russia ha invaso e a un ordine di innescare le mine che è arrivato solo sette mesi dopo.

I sommozzatori andavano e venivano, andavano e venivano: un piano alternativo per far saltare in aria il gasdotto durante un’esercitazione della NATO nel Mar Baltico all’inizio della primavera non era mai stato autorizzato. A un certo punto, il funzionario coinvolto ha detto: “Abbiamo ricevuto un messaggio per farlo quando volevamo farlo”. Alla fine, le mine sono state dispiegate a 260 piedi di profondità nel Mar Baltico in modo da poter essere innescate da un segnale a bassa frequenza noto solo a pochi.

Ad un certo punto, alla fine di settembre, fu dato l’ordine di innescare le mine tramite un aereo della Marina norvegese che volava a poche centinaia di metri sopra le onde. L’aereo sganciò il sonar a bassa frequenza e la connessione funzionò. C’era stata molta angoscia americana a riguardo, e le mine esplosero, creando una minacciosa nuvola di gas metano e molta confusione. C’è stata un’insistente negazione da parte degli Stati Uniti di qualsiasi coinvolgimento. Chiunque abbia autorizzato l’attentato (questo non si sa) ha aspettato fino alla fine di settembre per innescare le mine.

Di recente, il funzionario coinvolto mi ha detto (forse dicendo ora quello che non mi avrebbe detto quando Biden era in carica) che “ci sono stati incontri” tra quelli in Norvegia e Sullivan e Blinken sulla pianificazione del sabotaggio del gasdotto, ma “mai un segno che il presidente fosse coinvolto”.

Biden e il suo team di politica estera hanno lasciato l’incarico senza ammettere alcun ruolo nella distruzione dei gasdotti Nord Stream. I governi di Germania, Danimarca e Svezia hanno risposto alla distruzione del Nord Stream promettendo indagini complete che non sono andate da nessuna parte. Quasi un anno fa, la Danimarca e la Svezia hanno dichiarato che avrebbero chiuso le indagini e inviato i loro risultati alle autorità tedesche, che finora hanno emesso un unico mandato d’arresto per un ucraino senza nome.

Quattro giorni dopo gli attentati al gasdotto, a Sullivan è stato chiesto delle esplosioni durante una conferenza stampa alla Casa Bianca. Il giornalista che ha fatto la domanda ha osservato che Biden aveva definito gli attentati “un atto deliberato di sabotaggio” e ha affermato che i russi stavano “pompando bugie e [dis]informazione”. Questo significa, è stato chiesto a Sullivan, che la Russia è “probabilmente responsabile di questo atto di sabotaggio”?

La risposta in malafede di Jake Sullivan, che ho citato prima, vale la pena ripeterla, dato il suo ruolo diretto iniziale nel sabotaggio:

“In primo luogo, la Russia ha fatto ciò che fa spesso quando è responsabile di qualcosa, ovvero accusare che sia stato davvero qualcun altro a farlo. Lo abbiamo visto ripetutamente nel tempo. Ma il presidente è stato anche chiaro oggi che c’è ancora del lavoro da fare sull’indagine prima che il governo degli Stati Uniti sia pronto a fare un’attribuzione in questo caso… Quindi dovremo aspettare fino a una combinazione di ispezione fisica, raccolta di informazioni e consultazioni con i nostri alleati per prendere una decisione definitiva. E poi prenderemo una decisione su dove andare da lì”.

Dopo un esame dei documenti, posso attestare che gli Stati Uniti non sono andati da nessuna parte a partire da lì.

E avrei dovuto scrivere allora quello che pensavo di fare: un’esegesi dell’incapacità di Biden di essere presidente. Confesso di aver avuto altri informatori sui giorni di menomazione del presidente. Era il settembre 2022.

Ma chi avrebbe mai detto allora che Trump sarebbe tornato con il suo nuovo aiutante Elon? Non il Partito Democratico. E nemmeno io.

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