La diffusa contestazione di piazza dei risultati ufficiali delle elezioni in Bielorussia ha portato alla ribalta un personaggio, il presidente Lukašenka, che a trent’anni dai rivolgimenti del 1989-91 sembra effetto di un riavvolgimento del nastro della storia. Di fronte a manifestanti pacifici ha raggiunto il suo palazzo esibendo un Kalashnikov a beneficio delle telecamere, e salutato i poliziotti-robocop che lo proteggevano con il pugno chiuso. Ennesima e tardiva manifestazione di ciò che fu il tardo socialismo reale? Un po’ più di questo: monito prezioso, sempre ritornante, della permanente, ineliminabile possibilità che gesti di libertà siano gettati nel fango da chi ne esibisce il simulacro. Lukašenka incarna, piaccia o non piaccia, un ultimo effetto del potere sovietico nell’est europeo; e il carattere caricaturale della sua figura non diminuisce il disprezzo mondiale che attira ancora una volta su nobili idee per cui tante persone hanno perso la vita.
Come
reagiscono gli eredi, nel resto d’Europa, del socialismo novecentesco? La
classe politica che, a cavallo dell’89, passò senza colpo ferire dalla
contiguità con le tecnocrazie dell’est alla membership entusiasta
presso i circoli non meno tecnocratici del neoliberismo di Schengen si schiera
secondo criteri puramente geopolitici: l’Unione europea ha parlato; i vertici
bielorussi hanno torto, i manifestanti hanno ragione. La marginale area di
individui che invece – privati di un ruolo politico nei tempi odierni – non
condivisero o non condividono la svolta liberal-democratica dell’eurocomunismo,
adotta un criterio sovente del tutto speculare: più tenera e possibilista
riguardo a Lukašenka, al suo sistema di potere e ai bielorussi che si rifiutano
di aderire alle proteste, ritiene che il presidente sia sempre meglio di
Charles Michel o Ursula von der Leyen.
In questa
visione calcistica della politica, i riferimenti alla presunta bontà del sistema
istituzionale bielorusso sono infrequenti o di contorno, non meno delle poco
argomentate, liquidatorie condanne espresse dal mondo liberale. La politica non
è, per questo genere di invettiva, materia d’analisi dei fatti (magari in loco
e a proprio rischio e pericolo) ma d’intuizione metafisica, se non divina. O
Lukašenka è l’avatar di Putin (cosa infatti non vera) oppure il movimento è un
pupazzo collettivo artificialmente prodotto da poteri esterni, secondo una
retorica che sostituisce alla considerazione di ovvie e inevitabili relazioni
di sostegno incrociato tra stati e movimenti politici nel mondo, una
contrapposizione ridicola tra rivoluzioni “pure” e “impure”, “false” e
“autentiche”.
Ogni
tentativo della gente di pretendere una vita migliore è – se ciò avviene nei
paesi “sbagliati” – mera interfaccia di cospirazioni occulte di riconoscibile
origine straniera; dove “straniera” vuol però dire “euro-americana”, poiché
Russia, Cina o Iran, là dove agiscono, lo fanno in consonanza con l’azione
oggettiva di uno spirito assoluto della storia. (Tale ironia si applica
inalterata all’opposto versante, se l’ennesimo dramma nazionale è ridotto
a querelle tra spettatori distanti: basta cambiare i termini
dell’equazione.)
Non si può
prendere posizione, in questo mondo, senza tenere conto delle implicazioni
geopolitiche (il che non coincide, sia detto di passaggio, con l’applicazione
compulsiva di statici e anacronistici preconcetti). Schiacciare destini e vite
di milioni di persone sotto cingolati concettuali tanto grossolani quanto
grondanti disprezzo per le voci in assenza, è tuttavia inaccettabile. Mi sono
sempre chiesto se sarebbe possibile ripetere certe affermazioni guardando negli
occhi un/a protagonista in carne ed ossa di quelle vicende. Forse si avrebbe
timore di un pugno in faccia. Fisico o morale?
Presidenti e
generali hanno sempre mistificato le rivoluzioni come complotto straniero,
dagli Zar alla Cia, in primis contro chi alzava il pugno chiuso. La presenza
della destra nei movimenti di oggi è figlia della miseria culturale e umana
della sinistra. Cosa resta della dimensione di senso originaria di essa? Nulla:
socialismo, democrazia, femminismo non sarebbero esistiti se attitudini
gregarie o di servizio avessero prevalso tra le militanti e i militanti di
allora, inducendoli a parteggiare regolarmente, da osservatori arcigni, per
questo o quello stato contro le rispettive società. Costruire futuro senza
guardare al passato è impossibile; ma quale passato scegliamo – questo fa la
differenza.
http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/?p=30441
Nessun commento:
Posta un commento