Turni di 11 ore senza pause né riposi, sei giorni di lavoro alla
settimana e assenza anche delle minime misure di sicurezza e protezione. I
salari non riescono a coprire nemmeno i costi base della vita quotidiana, a
meno che i lavoratori non facciano continui straordinari. Non solo,
ai dipendenti viene negata la possibilità di effettuare reclami e
di aderire a un sindacato indipendente. Chi si lamenta rischia di essere
costretto alle dimissioni, senza che gli venga pagato l’ultimo stipendio.
Sono queste le condizioni, non negoziabili, imposte da alcune industrie dei
giocattoli in Cina. A
denunciarlo è “What If”, l’ultimo report stilato dall’ong Anti-Slavery
International, e dalla Coalizione europea per la giustizia
d’impresa (Eccj). Un documento che punta il dito in particolare
contro Lego Group e Simba Dickie Group.
Lego e Simba Dickie, il lato oscuro dei giocattoli
Il report sottolinea come negli ultimi decenni alcune grandi
aziende dell’Unione europea siano state coinvolte in violazioni
dei diritti
umani, sfruttamento
lavorativo e danni ambientali in paesi di tutto il mondo. Le
compagnie europee non riescono infatti ad affrontare in modo efficace gli abusi
perpetrati da altre filiali o dai partner commerciali durante la catena di
produzione e nelle fasi di fornitura. La ricerca si concentra sulle modalità di
produzione di due imprese europee, leader globali nel settore dei giocattoli.
La prima è la compagnia danese Lego Group, colosso mondiale
nella produzione dei famosi mattoncini colorati. L’azienda si rifornisce dalla
compagnia cinese Dongguan Wing Fai Foam Products Co. Ltd, che conta
all’attivo tra i 200 e i 300 lavoratori regolari.
La seconda azienda sotto accusa è la Simba Dickie Group, un
gigante dell’industria manifatturiera della Germania che ha come fornitore la
cinese Wah Tung (He Yuan) Toy Manufacturing Co. Ltd, compagnia che
dà lavoro a circa 2.000 persone.
Entrambe le fabbriche, quella di Dongguan Wing Fai e
quella di Wah Tung, si trovano nella provincia cinese del Guangdong.
Questa costituisce un enorme agglomerato industriale e la principale provincia
manifatturiera della Cina. A entrambe le fabbriche cinesi sono state contestate
gravi violazioni dei diritti
dei lavoratori.
Produrre giochi in Cina: lavoratori senza diritti
«Il capo della linea di produzione ha detto che dovevamo rispettare la
quota indipendentemente da quanto tempo avremmo dovuto lavorare o da quanti straordinari
avremmo dovuto fare. I lavoratori dovrebbero lavorare ogni secondo.
Se la quota è stata raggiunta ma il turno non è ancora terminato, i lavoratori
devono comunque continuare a svolgere il loro compito», ha dichiarato un
investigatore sotto copertura nella fabbrica di Wah Tung.
I lavoratori a tempo determinato sono quelli meno tutelati: minore
copertura assicurativa sociale e congedo ridotto. Secondo il report, queste
fabbriche assumono inoltre un numero elevato di lavoratori migranti, la
maggior parte dei quali non ha altra scelta se non quella di vivere
direttamente nei dormitori delle fabbriche.
Gli alloggi in loco sono stati descritti come
sovraffollati, privi di servizi igienici e non sicuri. Le foto
scattate nell’ambito dell’indagine mostrano inoltre lavoratori esausti che si
addormentano nei posti di lavoro, nei corridoi e durante la pausa pranzo,
quando questa viene concessa.
Fabbriche di giochi sotto accusa da quasi 10 anni
Nella maggior parte dei casi, i costi di queste catene
globali di produzione vengono mantenuti bassi proprio come conseguenza, diretta
o indiretta, degli abusi sui lavoratori e del mancato rispetto
dei loro diritti. Le gravi violazioni delle leggi sul lavoro cinesi e
delle convenzioni dell’Organizzazione mondiale del lavoro,
riscontrate appunto nella filiera della produzione di giocattoli, sono state al
centro di diversi report di denuncia da parte di
organizzazioni cinesi e internazionali negli ultimi anni.
Già nel 2011 un documento della Students & Scholars Against Corporate
Misbehaviour (Sacom), “Making toys without joy”, aveva rivelato gravi violazioni
dei diritti dei lavoratori nelle fabbriche cinesi connesse con altri grandi
marchi mondiali, come Disney, Walmart e Mattel.
Tra le violazioni contestate vi erano ore di lavoro straordinario
circa 4 volte superiori al limite di legge, rifiuto di fornire
adeguati dispositivi di protezione individuale, negazione della copia del
contratto e dell’assicurazione sanitaria, sfruttamento del lavoro minorile nei
periodi estivi e presenza di topi nelle zone adibite a
dormitori comuni.
Nel 2018 e nel 2019 anche diverse
organizzazioni della società civile, tra cui China Labor Watch, Solidar e ActionAid hanno
pubblicato due rapporti, “The dark side of the glittering world” e “A nightmare for workers”, sullo sfruttamento in atto nelle
fabbriche di giocattoli cinesi.
«Le aziende e le fabbriche sono ben consapevoli delle leggi sul lavoro in
Cina e anche degli standard internazionali del lavoro. Eppure continuano
a utilizzare scappatoie ed eludere le leggi, tutto nel perseguimento
dei profitti. Con l’aumento dei costi di produzione in Cina e la guerra
commerciale Usa-Cina, ciò potrebbe spingere le principali marche globali a
spostare le loro operazioni all’estero», si legge nel comunicato della
Watch China Labor.
Che conclude ponendo l’accento sul ruolo e sulla responsabilità delle
multinazionali: «Queste condizioni di lavoro saranno replicate in altri paesi
dove le leggi sul lavoro sono ancora più deboli e difficilmente vengono
applicate. Pertanto, è responsabilità delle aziende e dei brand
adottare misure serie per riformare dalle fondamenta le condizioni di
lavoro nella loro catena di fornitura».
Due diligence: cosa prevede la
legislazione Ue
La Commissione europea ha pubblicato un rapporto lo scorso febbraio nel quale sottolinea
l’urgente necessità di un’azione normativa a livello europeo. Molti paesi dell’Unione
europea ed extra-Ue stanno già adottato, o stanno
valutando di adattare la propria legislazione in materia di due
diligence.
Nell’aprile 2020 il commissario Ue per la giustizia, Didier
Reynders, ha annunciato che la Commissione europea introdurrà, a
partire dal 2021, un’iniziativa sulla legislazione obbligatoria in materia
di diritti umani e due diligence ambientale, che diventerà vincolante
per le aziende con sede nell’Ue.
La risposta di Lego (e il silenzio di Simba Dickie)
In seguito alla pubblicazione del report sullo sfruttamento dei lavoratori
nella fabbrica di Dongguan Wing Fai, la Lego Group ha
dichiarato di aver svolto un’indagine in loco e di aver pianificato un’ispezione
annuale presso il sito attraverso un revisore esterno, in conformità
ai principi di “Business Responsabile” dell’azienda. La Lego ha anche affermato
che il fornitore cinese avrebbe posto rimedio a queste criticità, secondo
un’ulteriore e successiva verifica svolta nell’aprile 2020.
Il gruppo tedesco Simba Dickie ha invece rifiutato
per ora di rispondere alle accuse mosse dal Business and Human
Rights Resource Center sulle cattive condizioni di lavoro e di vita
nelle fabbriche di Wah Tung.
Nessun commento:
Posta un commento