Ha trovato uno scarso eco sui media l’accordo tra Tim e Cassa Depositi Prestiti (Cdp) per la creazione di un’unica società che gestisca la banda larga in Italia, ovvero l’acceso a Internet[1]. La notizia è circolata solo il giorno (27 agosto 2020) in cui il governo ha dato parere positivo e il via libera alla creazione di una newco che avrà il controllo della rete unica. Il 1° settembre 2020 i CdA di Tim e di Cdp hanno contemporaneamente approvato il piano e siglato una lettera di intenti per arrivare a primavera 2021 alla creazione della nuova società, che si chiamerà AccessCo.
Per
raggiungere tale scopo, Tim farà affidamento a FiberCop (la società che cura
l’ultimo miglio della rete, quello dagli armadietti in strada alle case), a cui
sarà conferita la rete secondaria di Tim sulla base di un valore d’impresa di
circa 7,7 miliardi di euro (per un valore azionario minore, pari a 4,7 miliardi
di euro: il che fa presagire un aumento futuro del valore delle azioni per la
gioia degli azionisti).
In FiberCop
entra anche il fondo d’investimento privato americano Kkr con il 37,5% (1,8
miliardi) e Fastweb che acquisisce il 4,5%. Ne consegue che Tim deterrà il 58%
della nuova società.
Secondo fonti
informate, si prevede che FiberCop avrà un profitto lordo (Ebidta)
di circa 0,9 miliardi (pari al 19% del valore azionario, livello assai alto)
con un cash-flow positivo a partire dal 2025 e non richiederà quindi
iniezioni di capitale da parte degli azionisti.
Solo
successivamente alla creazione della nuova FiberCop, entra in gioco l’accordo
tra Cdp e Tim per la messa in opera della rete unica, non oltre il primo
trimestre 2021. Il Cda di Tim al riguardo, ha approvato e dato il via libera
alla firma di una lettera d’intenti con CDP Equity (CDPE, la finanziaria di
Cassa Depositi Prestiti), con lo scopo di realizzare un più ampio progetto di
rete unica nazionale con la nuova società AccessCo, esito della fusione tra
FiberCop e Open Fiber. Open Fiber è di proprietà di Cdp e di Enel, che sarà
probabilmente costretta a cedere la propria quota.
Secondo
quanto previsto dall’intesa, TIM deterrà almeno il 50,1% di AccessCo e
attraverso un meccanismo di governance condivisa con CDPE si dice che sarà
garantita l’indipendenza e la terzietà della società. Indipendenza da chi?
Probabilmente da qualsiasi ingerenza pubblica. In proposito, sono previsti
meccanismi di maggioranze qualificate e regole di controllo preventivo, ancora
in fase di definizione.
In
conclusione ecco ciò che al momento appare certo:
- Il nuovo assetto azionario di
FiberCop fa presagire il guadagno di laute plusvalenze. Già per questi
movimenti, il titolo Tim ha avuto in borsa un forte rialzo dal 26 al 28
agosto, passando da 0,36 a 0,42 euro/azione (+ 13,5%) per poi assestarsi a
inizio settembre stabilmente sopra il valore di 0,40 euro per azione e
oggi intorno a 0,38. Le prospettive per FiberCop sono più che lusinghiere
nel medio periodo, visto l’elevata redditività.
- La società che gestirà la banda
unica (AccesCo) opererà in regime di monopolio e la sua governance è
ancora tutta da decidere, anche se appare certo che la maggioranza
relativa (51%) è ad appannaggio di FiberCop, quindi di Tim, il cui potere
di controllo è comunque condizionato dal 37,5% da fondo di investimento
americano Kkr. In ultima analisi, un fondo speculativo come Kkr arriverà a
detenere il 19% della società italiana che ha in mano esclusive il
controllo della rete digitale italiana.
* * * * *
Una volta
spiegato l’assetto societario che caratterizzerà la nuova società che gestirà
la banda unica, vale la pena svolgere alcune considerazioni.
Siamo di
fronte ad un atto di saccheggio (despossession) di un bene comune. Oggi,
possiamo dire che l’accesso a Internet possa essere annoverato tra i diritti
fondamentali dell’individuo. Piaccia o non piaccia, la possibilità di accedere
alla rete è diventato oggi sempre più fattore di discriminazione non solo
tecnologica (digital divide) ma anche culturale e sociale e definisce
una nuova divisione del lavoro su base cognitiva, definendo nuovi processi di
gerarchizzazione e di potere.
Crediamo che
le esperienze della didattica a distanza nelle scuole e università e di
smart-working sperimentate grazie all’emergenza Covid-19 abbiano ben
evidenziato queste nuove forme di segmentazione sociale, con la conseguenza di
aumentare la diseguaglianza. Da questo punto di vista, il diritto alla
connessione libera e gratuita dovrebbe essere uno degli obiettivi delle forze
che si definiscono progressiste e riformiste. Non è così.
La creazione
di un monopolio pubblico-privato nella gestione di un diritto così fondamentale
può essere considerato un caso da manuale del modo con cui la teoria del New
Public Management è diventata la bussola per gestire la governance delle public
utilities (servizi di pubblica utilità).
Essa detta
nuove regole di gestione del settore pubblico, sull’esempio delle pubbliche
amministrazioni anglo-sassoni, dove comincia a diffondersi il sistema di workfare,
integrando le gestioni tradizionali di un ente pubblico con una metodologia più
orientata al risultato economico (o al limite ad annullare le possibili
perdite). Al riguardo è interessare citare un documento del Formez
(www.governance.formez.it, sito della Presidenza del Consiglio dei ministri,
alla sezione ‘documenti/Significati di Governance’, 2012), all’interno del sito
governativo della Presidenza del Consiglio, che meglio di ogni altra analisi
chiarisce gli intendimenti del nuovo paradigma manageriale pubblico, che tende
sempre più a sdraiarsi su quello privato:
“La crisi
finanziaria, che ha colpito gli stati capitalistici a partire dagli anni ’80, e
soprattutto negli anni ’90, ha indotto l’autorità pubblica a cercare di
svolgere un ruolo di timoniere (steering) e coordinatore, legando le risorse
pubbliche a quelle private. L’idea dello steering ha indotto una ridefinizione
dei ruoli dei soggetti pubblici: all’autorità politica compete di operare ad un
livello strategico, svincolandosi dalla gestione operativa che deve essere
svolta dalla macchina amministrativa, mentre le azioni politiche ed
amministrative si aprono e favoriscono la concertazione tra pubblico e privato,
abbandonando la visione adversarial dei rapporti tra l’autorità pubblica e il
business privato… È in questo contesto che si è diffusa la teoria del NPM [New
Public Management, ndr.], che mette in discussione l’esistenza di una cultura e
di forme di gestione specifiche della Pubblica Amministrazione sostenendo la
necessità di applicare ad essa, adattandoli opportunamente, i principi e le
tecniche del management privato. L’applicazione dei principi della
aziendalizzazione, dal canto suo, ha favorito lo sviluppo di alcuni dei tratti
distintivi della governance: l’attenzione alla partecipazione degli
stakeholders; il coordinamento dei diversi interessi in gioco; l’applicazione
sistematica dei principi di efficacia, efficienza, coerenza e trasparenza
dell’intervento pubblico”.
Il
cambiamento postulato dal New Public Management ha cominciato
a investire così tutto il sistema, compreso il rapporto tra politica e
pubbliche amministrazioni, costituendo in sostanza un abbandono del dirigismo
centralista delle organizzazioni pubbliche: il rapporto Stato-Mercato si
declina così in direzione del privato.
Il dibattito
attuale parte da questa constatazione: molti beni pubblici e liberi non sono più
tali in quanto soggetti a processi di “enclosures”, come nel caso dell’acqua, o
di cartolarizzazioni, nel caso di alcune proprietà demaniali o privatizzazione
e liberalizzazione, nel caso delle public utilities e oggi
dell’accesso a Internet.
La possibilità
di usufruire di tali bene di pubblica utilità è così sottoposto alle esigenze
di profitto o direttamente del privato (quando la privatizzazione è
arrivata a compimento) o di un pubblico che ha introiettato la metodologia
della governance privata, volta non all’efficienza, ma al puro
profitto, a dispetto delle esigenze sociali, anche se la proprietà rimane
formalmente statale (e allora si parla di liberalizzazione). Cassa
Depositi e Prestiti, dopo la sua trasformazione in SpA, incarna perfettamente
questa tendenza.
Nel caso
della banda unica, inoltre, assistiamo anche all’estensione verso nuovi
orizzonti del “divenire rendita del welfare”, un processo che ha interessato in
misura maggiore finora la previdenza e la sanità, gli ambiti in cui il processo
di valorizzazione privata è più marcato. Le innovazioni che hanno accompagnato
l’ascesa dei mercati finanziari, come nuovo motore regolatore l’accumulazione,
hanno consentito la capitalizzazione del sistema previdenziale da parte delle
grandi società di intermediazione finanziaria. Il passaggio dal sistema a
ripartizione al sistema a contribuzione ha di fatto permesso di quotare le
aspettative di vita degli individui e incentivare la speculazione finanziaria
su asset non più riconducibili solo all’attività di produzione
ma direttamente alla vita degli individui.
Grazie alla
sua finanziarizzazione (in grado di garantire servizi previdenziali più elevati
a chi detiene quote di risparmio più elevate) il Welfare e le public
utilities non svolgono più il ruolo di ridistribuzione del reddito ma,
all’opposto, ne favorisce la concentrazione, alimentando la segmentazione del
lavoro e la precarizzazione della vita.
Il settore
in cui risulta più evidente il ruolo “produttivo” del Welfare contemporaneo è
quello della sanità, grazie soprattutto alla diffusione delle nuove tecnologie
algoritmiche di raccolta e manipolazione dei big data. Tale
raccolta di dati si sviluppa principalmente nella fase di prevenzione e
monitoraggio della salute dei cittadini, con la funzione di indirizzare la ricerca
farmaceutica privata verso gli investimenti più redditizi.
L’ingresso
dell’industria dei big data ha portato nel settore dell’industria sanitaria le
principali società dell’elettronica in grado di sviluppare dispositivi e
sensori che raccolgono dati e le principali società dell’informatica, dotate
dell’infrastruttura per analizzare le grandi quantità di informazioni raccolte.
Praticamente, tutte le principali corporation che operano nel
comparto dell’elettronica informatica hanno aperto una divisione Health,
in proprio o in collaborazione con università, enti di ricerca, società
farmaceutiche.
Con la
governance privatizzata della rete, grazie alla nuova società AccessCo, il
cerchio si chiude. Si crea, infatti, in tal modo un’infrastruttura digitale in
grado di supportare le strutture di welfare come modo di produzione e ambito di
valorizzazione capitalistica delle nostre vite. L’emergenza sanitaria ha
accelerato questo processo, senza trovare un’adeguata risposta e comprensione
dei fenomeni in atto da parte delle forze antagoniste.
Lungi dal
muoversi verso una maggior consapevolezza del comune e dei beni comuni, mi
sembra di ravvedere una elevata capacità del capitalismo (soprattutto delle
piattaforme) di cogliere ogni opportunità per ampliare la sua base di
accumulazione e consolidare la propria struttura di potere.
Corollario
Quest’estate, i giornali hanno
riportato la notizia di un incontro, a Marina di Bibiano, tra Beppe Grillo e
l’attuale sindaco di Milano, Giuseppe Sala. Tra i vari temi trattati, c’è stato
anche la possibile nomina di Sala al vertice della società AccessCo. Nessuno ha
mai smentito, e si avvicina ormai la scadenza elettorale che dalla scelta di
Sala sarà investita.
NOTE
[1] Una nota critica è
quella di Paolo Maddalena, sul suo blog a MicroMega: “La fibra ottica: un altro
pezzo d’Italia svenduto agli stranieri”
Nessun commento:
Posta un commento